Però a distanza di oltre quindici anni dai primi provvedimenti di
riforma della Pubblica Amministrazione del nostro Paese, accanto ai
grandi entusiasmi iniziali si sono delineate anche alcune perplessità.
Infatti, attraverso un percorso realizzato mediante un notevole numero
di interventi legislativi, la riforma amministrativa ha cercato di
innescare l'innovazione del settore pubblico non limitandosi a
modificare solo le forme giuridiche, ma anche intervenendo su aspetti
più sostanziali. Ma l'enorme lavoro di riscrittura delle leggi
amministrative non è stato seguito da un'adeguata capacità di mettere
in pratica l'innovazione del settore. Ciò è stato spiegato con il fatto che
l'evoluzione della mentalità e dei comportamenti delle persone non
segue gli stessi tempi e modalità dei cambiamenti normativi. Se questi
ultimi dal punto di vista formale sono stati assorbiti piuttosto
rapidamente da una burocrazia abituata da sempre a interpretare e
attuare una mole ponderosa di disposizioni legislative e regolamentari,
nella pratica è mancata invece l'effettiva e sostanziale condivisione
culturale delle istanze di innovazione. Per questo motivo una parte
delle riforme ha perduto di vitalità, correndo il rischio di rimanere solo
un complesso di formule astratte, un contenitore vuoto, e impedendo,
di fatto, di cogliere gli obiettivi sperati in termini di miglioramento dei
prodotti e dei servizi resi ai cittadini.
L'applicazione dei nuovi principi ha impresso profondi
cambiamenti anche agli scenari nei quali si muovono le risorse umane
impiegate dalla Pubblica Amministrazione, investendo decisamente la
disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A.
Sicuramente ci sono state resistenze interne, legate alla ''sfasatura
temporale'' esistente fra l'introduzione delle riforme a livello
normativo e la maturazione di una corrispondente cultura a livello
organizzativo, ma anche altre circostanze, difficoltà oggettive, ostacoli
di natura giuridica, influenze provenienti dal contesto esterno hanno
2
certamente svolto un ruolo determinate nella riuscita solo parziale di
alcune riforme. In generale si può dire che siano stati introdotti,
fondamentalmente, principi tratti dallo schema di pubblico impiego
contrattuale proposti dalla dottrina del New Public Management ma,
nei fatti, essi si sono spesso trovati a coesistere con riferimenti
legislativi non completamente coerenti con esso, risalenti al
precedente assetto burocratico legale-razionale, o si sono dovuti
adattare a contesti profondamente diversi da quelli presi in
considerazione dal modello. Uno dei provvedimenti più importanti
che ha investito la disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze
della Pubblica Amministrazione è stato quello in materia di controlli
interni, oggi disciplinati dal D.Lgs. n. 286/1999, che rappresenta
l’anello conclusivo del lungo processo avviato negli anni ’90. Con tale
decreto si sottolinea che la quasi totalità degli interventi di riforma
amministrativa avviati in Italia a partire dagli anni ’90 si prestano ad
essere letti nella chiave della introduzione di una “cultura della
valutazione” nel mondo per troppo tempo autoreferenziale della
Pubblica Amministrazione. La valutazione è intesa come una
procedura organica e sistematica per assicurare che su ogni dipendente
venga espresso periodicamente un giudizio, che serva a valutare ed
individuarne, secondo criteri omogenei, il rendimento e le
caratteristiche professionali che esso esercita nell’esecuzione del
lavoro. Una serie di fatti contingenti ha fatto sì che questo tema
entrasse prepotentemente nella gestione delle organizzazioni
pubbliche, dopo che per decenni era stato del tutto sconosciuto e/o
contrastato. Le ragioni di questo interesse non necessitano di lunghe
spiegazioni e risiedono, principalmente, nella maggiore autonomia
attribuita alle singole amministrazioni e nella rilevanza data al ruolo
della dirigenza in particolare nella gestione del personale.
3
Nel primo capitolo si introduce l’importanza del ruolo svolto
dalla valutazione come strumento e passaggio fondamentale per un
cambiamento profondo delle pubbliche amministrazioni e del loro
modo di rapportarsi con la società e i cittadini. La valutazione non è
una attività diversa da tutte quelle che una organizzazione svolge al
suo interno, ma più di altre impatta con il modo in cui si prendono le
decisioni e, indirettamente, anche con il sistema dei poteri su cui si
regge l’organizzazione.
Nel secondo capitolo verrà affrontato il problema della
produttività e dell’efficienza nell’amministrazione pubblica, mettendo
in evidenza come uno dei fattori che ne influenza l’andamento sia
rappresentato dal rendimento del lavoratore. Si parte dalla più
generale definizione del concetto di rendimento, evidenziandone la
rilevanza giuridica, per poi soffermarsi, nello specifico, sul fenomeno
dello scarso rendimento del lavoratore e sulla possibilità di
sanzionarlo con il licenziamento con profonde differenze tra il settore
pubblico e quello privato.
Nel terzo capitolo si esporrà in maniera dettagliata la disciplina
dei controlli interni nella Pubblica Amministrazione, con particolare
riguardo alla valutazione del dirigente pubblico, partendo dalla
riforma della dirigenza per poi trattare della disciplina degli incarichi
dirigenziali, del principio di separazione tra politica e
amministrazione, del fenomeno dello “Spoils system” fino
all’individuazione dell’oggetto e delle procedure di valutazione e della
responsabilità dirigenziale come responsabilità di risultato. Si
concluderà il capitolo con un’analisi circa l’effettiva attuazione dei
sistemi di valutazione all’interno della P.A.
Nel quarto ed ultimo capitolo, sulla base delle considerazioni già
esposte, si procederà ad indagare sullo stato attuale della Pubblica
Amministrazione, in particolare sulla sua dimensione storico-
4
evolutiva e territoriale-diffusiva, illustrando, poi, le varie proposte di
riforma che sono state avanzate per un miglioramento della
funzionalità del servizio pubblico e per l’incremento della
produttività, cercando anche di dare qualche contributo personale per
la realizzazione di tali obiettivi. In quest’analisi sarà fondamentale il
punto di vista dell’attuale Governo, con il piano di riforma della
Pubblica Amministrazione del Ministro della Funzione pubblica,
Renato Brunetta, che ha iniziato una vera e propria lotta contro
l’inefficienza nella P.A., e quello del Sindacato, determinato a portare
avanti la battaglia per il rispetto delle regole del lavoro e sul lavoro.
Fondamentale è anche il punto di vista dei cittadini, perché la ragione
d’essere delle P.A. è, innanzitutto, rispondere ai bisogni dei cittadini,
che hanno diritto di conoscere e comprendere un mondo che, oggi più
che mai, richiede ogni cura ed attenzione per affrontare quelle
trasformazioni che lo rendano, come è sua missione, il fondamento
della crescita civile, economica e sociale del Paese.
5
CAPITOLO PRIMO
Amministrazioni pubbliche e la valutazione
1. L’idea e lo sviluppo della cultura della valutazione.
Nel governo dei moderni sistemi pubblici l’analisi e la
valutazione vengono ormai considerate nel mondo una fase critica per
realizzare un’intelligenza delle istituzioni e per innescare un
cambiamento positivo, orientato alla conoscenza.
1
In alcuni contesti,
come negli Stati Uniti, la valutazione ha trovato da tempo un suo
spazio riconosciuto e istituzionale ed ha alle sue spalle una storia ed
esperienza ormai lunga, nel corso della quale sono identificabili
diverse fasi che corrispondono ad un’evoluzione di concetti e di
metodi.
Se si parla di valutazione, si parla di un tema specifico, molto
chiaro, che non può ammettere compromessi, approcci parziali,
schizofrenie fra il dichiarato e il praticato, sia nelle organizzazioni
private sia in quelle pubbliche. La parola valutazione esprime un
concetto che dipende da un giudizio, perché possedendo la facoltà
critica, l’essere umano riflette, valuta e giudica come facoltà naturale e
propria del suo essere.
La valutazione è implicita e intrinseca in ogni momento relazionale e
organizzativo. Valutiamo in ogni momento: un oggetto, una relazione,
un collega, un dipendente, un responsabile, un politico, un attore, un
1
Rebora G., Teoria e prassi della valutazione in Studi organizzativi, 1999, n. 3, pg.
145.
6
film, uno spettacolo. Allo stesso modo ciascuno di noi è, come
persona e nel ruolo che riveste in un’organizzazione, osservato,
valutato, misurato.
La valutazione può realizzarsi per tante strade, impiegare metodi
diversi, ma al fondo essa rappresenta un momento di confronto critico
e dialettico con i risultati dell’azione amministrativa; la valutazione
esamina in chiave retrospettiva la validità, il merito, il valore di
programmi e attività pubblici, ma la sua valenza fondamentale è
quella di risorsa per le decisioni future e quindi per l’evoluzione stessa
delle istituzioni. Bisogna, pertanto, aiutare lo sviluppo di questa
cultura della valutazione. La situazione ancora oggi diffusa, forse
anche più naturale e comprensibile, ma sicuramente da superare, è
quella di una certa resistenza al cambiamento verso un approccio serio
e rigoroso alla valutazione. Si tratta di una resistenza presente dal
punto di vista sia organizzativo che individuale.
Dal punto di vista organizzativo la resistenza è figlia del timore
che la valutazione abbia ripercussioni sul clima interno, sui rapporti
interpersonali, sulla motivazione della persona, sia essa
dirigente/manager o no. Questo timore deriva, purtroppo, dal fatto che
si finalizza qualunque processo di valutazione esclusivamente al
riconoscimento economico o categoriale. Viene, quindi, dimenticata, o
sminuita, la principale finalità organizzativa: valutare vuol dire
analizzare le esigenze dell’ente confrontandole con quelle
dell’individuo; vuol dire confronto, comunicazione, scambio
organizzativo. Valutare vuol dire, raccogliere la maggior parte
possibile di elementi per prendere adeguate decisioni e iniziative
organizzative e gestionali che portino un beneficio generale:
all’efficienza delle persone, alla critica costruttiva verso chi deve
migliorare o modificare le proprie competenze, le proprie prestazioni,
il proprio ruolo.
7
Valutare ed essere valutati vuol dire non appiattire scale di
valutazione, anzi al contrario articolarle. Cultura valutativa vuol dire
anche consapevolezza di alternanza di risultati positivi a risultati
negativi. Cultura valutativa vuol dire capire che la finalità principale
non è solo quella retributiva o incentivante, ma anche quella di
ottimizzare gli aspetti di carattere organizzativo e gestionale, quelli
relazionali fra organizzazione e persone, fra capo e collaboratore, al
fine di ottenere i maggiori vantaggi per entrambi.
2. Il ruolo della valutazione nel processo di cambiamento della
P.A: la “svolta” degli anni Novanta.
In Italia solo a partire dagli anni Novanta, nell’ambito del
processo di riforma che ha investito la Pubblica Amministrazione, si è
andata diffondendo la consapevolezza del ruolo della valutazione
come strumento e passaggio fondamentale per un cambiamento
profondo delle pubbliche amministrazioni e del loro modo di
rapportarsi con la società e i cittadini.
La riforma è stata avviata dalla Legge 23 ottobre 1992, n. 421, recante
la delega al governo per la razionalizzazione e la revisione della
disciplina in materia di sanità, pubblico impiego, previdenza e finanza
territoriale. La riforma riprendeva un ‘intuizione del “Rapporto
Giannini”
2
, tesa ad omogeneizzare il rapporto di lavoro pubblico e
privato, conservando ai titolari della pubblica funzione in senso
tecnico (i dirigenti e i funzionari direttivi) lo status pubblicistico.
2
Rapporto sui principali problemi dell’amministrazione dello Stato, presentato dal
Ministro della Funzione pubblica Massimo Severo Giannini, che contiene un
programma analitico e puntuale, per la modernizzazione organizzativa dello Stato,
alla base di tutte le successive iniziative di riforma, in Rivista trimestrale di diritto
pubblico, 1982, n. 3, pg. 722 e ss..
8
Va detto che la riforma nasceva in un contesto di crisi economica, nel
quale l’esigenza fondamentale era in realtà quella di risparmiare
risorse pubbliche, anche riducendo i costi di funzionamento della
Pubblica Amministrazione
3
. Nella riforma si affacciano così i principi
e i concetti, mutuati dal mondo delle aziende, dell’efficienza e
dell’efficacia e dell’economicità dell’azione amministrativa.
Queste esigenze hanno trovato espressione nel D.Lgs. 3 febbraio
1993, n. 29, emanato a seguito della Legge delega
4
, che opera
un’autentica rivoluzione sul piano delle fonti, traghettando il rapporto
di pubblico impiego dal diritto pubblico al diritto privato. Da un lato,
il decreto modifica l’atto posto alla base del rapporto di impiego, che è
ora un contratto e non più un provvedimento unilaterale di nomina da
parte della Pubblica Amministrazione; dall’altro, restituisce al
contratto collettivo il ruolo di fonte immediata di disciplina del
rapporto. Contestualmente, si prevede l’applicabilità al rapporto dei
dipendenti delle pubbliche amministrazioni del codice civile e delle
leggi sul rapporto di lavoro subordinato nell’impresa. A sanzionare
l’avvenuto mutamento, si dispone il passaggio di giurisdizione, per
tutte le controversie inerenti ai rapporti di lavoro, dal giudice
amministrativo al giudice ordinario.
All’art. 1 sono sintetizzate le finalità del decreto: a) accrescere
l’efficienza delle amministrazioni in relazione a quella dei
corrispondenti uffici e servizi dei paesi dell’Unione europea, anche
mediante il coordinato sviluppo di sistemi informativi pubblici; b)
3
La riforma del pubblico impiego era un tassello del più generale intervento di
risanamento finanziario attuato dal governo Amato nell’ambito di una manovra che
comprendeva anche il riordino di altri settori.
4
Il D.Lgs n. 29/1993 reca Razionalizzazione dell’organizzazione delle
amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico
impiego a norma dell’art. 2 della Legge 23 ottobre 1992, n. 421. Il decreto è stato
più volte modificato, fino a essere sostituito completamente con il D.Lgs. 28 marzo
2001, n. 165, recante Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze
delle amministrazioni pubbliche.
9
razionalizzare il costo del lavoro pubblico, contenendo la spesa
complessiva per il personale, diretta e indiretta, entro i vincoli di
finanza pubblica; c) realizzare la migliore utilizzazione delle risorse
umane nelle pubbliche amministrazioni.
In materia di valutazione si prevede che in tutti gli enti pubblici si
istituiscono nuclei di valutazione o servizi di controllo interno,
chiamati tra l’altro a esprimere periodicamente valutazioni
sull’andamento degli uffici e sull’operato de dirigenti; inoltre si
prevede l’istituzione di uffici per le relazioni con il pubblico in tutte le
amministrazioni.
La riforma organica dell’amministrazione ha trovato il suo
completamento in una seconda fase con le trasformazioni introdotte
per la prima volta dalle leggi che prendono il nome dall’ex Ministro
Bassanini su tutti gli elementi della Pubblica Amministrazione, e non
più solo su alcune parti di essa
5
: la riforma coinvolge, infatti, le
funzioni, l’organizzazione, il personale, i procedimenti, la
semplificazione, la contabilità.
La riforma del lavoro pubblico delineata nel ’93, pur se
altamente innovativa, non aveva consentito un vero e proprio
allineamento con le regole del lavoro privato, né aveva consentito la
piena attuazione dei principi fondanti della riforma, primo fra tutti
quello di separazione fra attività di indirizzo e di gestione. Inoltre,
nella prima tornata contrattuale risultarono subito evidenti alcune
lacune del sistema contrattuale, come la limitazione dell’autonomia
5
In particolare va ricordata la Legge 15 marzo 1997, n. 59, recante Delega al
Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni e altri enti locali, per
la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione legislativa,
scandita dai decreti legislativi n. 396 del 1997 e n. 80 del 1998.
10
collettiva delle singole amministrazioni e l’eccessiva burocratizzazione
e centralizzazione della procedura di contrattazione
6
.
Gli interventi che si sono susseguiti, in particolare nel biennio ’97-’98,
hanno innanzitutto consentito di valorizzare l’autonomia collettiva, sia
in termini di procedure ( ora non più centralizzate e soggette a
controlli di tipo pubblicistico) sia in termini di maggiori spazi
decisionali affidati alla contrattazione integrativa. Dal 1998 è stabilito
che le amministrazioni pubbliche hanno, nei confronti dei loro
dipendenti, gli stessi diritti, poteri e obblighi del privato datore di
lavoro.
Un decisivo passo in avanti è stato compiuto estendendo la
privatizzazione anche alla dirigenza di vertice. Ora i rapporti tra
autorità che fornisce gli indirizzi e dirigenza, responsabile dei risultati,
sono ricondotti sul piano contrattuale e ciò permette di riconoscere in
concreto la qualità della prestazione e il raggiungimento degli
obiettivi. Tale riforma prevede, inoltre, il potenziamento dei sistemi di
valutazione dei risultati e la costituzione di banche dati in materia; il
decreto delegato n. 80/98 estende la competenza degli organi di
controllo interno a verificare la rispondenza degli assetti degli enti ai
principi di razionalità organizzativa posti dal D.Lgs 29/93.
Tra le disposizioni che hanno contribuito a definire il nuovo
scenario, occupano un posto di rilievo i D.Lgs. n. 286 e n. 300,
entrambi del 30 luglio 1999
7
. Il D.Lgs. n. 300 definisce la nuova
6
Presidenza del Consiglio dei Ministri- Dipartimento di Funzione pubblica, 5 anni
di riforma dell’amministrazione pubblica italiana, 1996-2001, consultabile sul sito
internet: www.bassanini.eu/public/5anni/index.html.
7
Il D.Lgs n. 286 del 1999 reca Riordino e potenziamento dei meccanismi di
monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività
svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell’art. 11 della Legge 15 marzo
1997, n. 59; il D.Lgs n. 300 reca, invece, Riforma dell’organizzazione del Governo,
a norma dell’art. 11 della Legge 15 marzo 1997, n. 59.
11
organizzazione del governo, con l’accorpamento e la riduzione del
numero dei ministri e l’istituzione delle agenzie, in particolare quelle
fiscali; il D.Lgs. n. 286 prevede, invece, che le pubbliche
amministrazioni, nell’ambito della rispettiva autonomia, si dotino di
strumenti adeguati a: a) garantire la legittimità, la regolarità e la
correttezza dell’azione amministrativa (controllo di regolarità
amministrativa e contabile); b) verificare l’efficacia, l’efficienza e
l’economicità dell’azione amministrativa al fine di ottimizzare, anche
attraverso tempestivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e
risultati ( controllo di gestione); c) valutare le prestazioni del
personale con qualifica dirigenziale (valutazione della dirigenza); d)
valutare l’adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei
piani, programmi e altri strumenti di determinazione dell’indirizzo
politico, in termini di congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi
predefiniti ( valutazione e controllo strategico).
A seguito di questa disposizione normativa, sono stati introdotti nel
mondo della Pubblica Amministrazione strutture e strumenti nuovi, si
è affermata la cultura del controllo di gestione e della misurazione dei
risultati, sono stati attivati articolati sistemi di valutazione dei
dirigenti, è stata superata la valenza meramente repressiva
dell’ispezione amministrativa , che è andata assumendo i connotati
dell’audit aziendale. Si inizia, in questo periodo, a concepire
l’amministrazione come strumento di innovazione e modernizzazione
del Paese e quindi a valutare come investimenti le spese sostenute per
migliorarne le prestazioni: è il rovesciamento della logica da cui era
partito il processo di riforma, che assegnava la priorità all’obiettivo
del contenimento della spesa.
12
3. Dall’adempimento al risultato
Il nuovo modo di concepire l’attività della Pubblica
Amministrazione nasce dalla consapevolezza che non è più sufficiente
garantire esclusivamente la regolarità e la legittimità formale
dell’azione dei pubblici poteri, ma piuttosto è necessario assicurare e
misurare l’efficienza e l’efficacia del modo in cui essi attuano le
rispettive politiche. L’accento passa dal tema tradizionale
dell’imparzialità dell’amministrazione a quello dell’efficienza
dell’amministrazione, che diviene l’obiettivo primario
8
.
Il passaggio dalla logica dell’adempimento alla logica dell’efficienza,
ha rappresentato una profonda evoluzione della concezione della
Pubblica Amministrazione, che è oggi chiamata non più solo ad
esercitare i poteri connessi alle competenze riconosciutele, bensì a
proporsi obiettivi e realizzarli. Al conseguimento del risultato viene
assegnata la funzione di principio e norma dell’azione giuridica della
Pubblica Amministrazione.
Nell’ambito delle scienze sociali il termine "amministrazione
di risultato" è rivelatore di un modus operandi rivolto, in prevalenza, a
8
In questo contesto è interessante leggere un passo del documento che è alla base
della riforma dell’amministrazione federale americana (National Performance
Review), avviata dal presidente Clinton all’inizio degli anni Novanta. Uno dei
paragrafi iniziali illustra bene come fosse ormai indispensabile passare dalla logica
dell’adempimento a quella del risultato o, secondo la definizione di Osborne e
Gaebler, da un’amministrazione burocratica a una imprenditiva:
“Negli ultimi anni i nostri laeder nazionali hanno risposto alla crescente crisi con la
medicina tradizionale. Si lamentavano dei burocrati, andavano a caccia di “frode,
spreco, abuso”, poi aumentavano i controlli sulla burocrazia al fine di prevenire
frode, spreco, abuso. Ma la cura non è più distinguibile dalla malattia. Non si tratta
di pigrizia o di incompetenza del personale: è questione del red tape ( in inglese red
tape è il nastrino rosso con cui si legano i fascicoli e sta a significare “burocrazia”.
In italiano lo si potrebbe tradurre con “ceralacca”) e di un ammasso di regole
talmente soffocanti da reprimere ogni minimo tentativo di intraprendenza e
creatività. Nessuno offrirebbe dell’acqua a chi sta annegando. Tuttavia, da una
decina d’anni abbiamo continuato ad aggiungere red tape ad un sistema che stava
soffocando proprio a causa di quel red tape”.
13
risorse e servizi interagenti per il soddisfacimento dell’utenza; in sede
normativa si configura come species la cui codificazione è
ampiamente trattata da autorevole dottrina che ne elabora nozione e
caratteristiche.
A discuterne, intorno agli anni ’60
9
, è Massimo Severo Giannini il
quale disserta sull’amministrazione di risultato contrapponendola
all’amministrazione per atti, con cui il maestro indica,
polemicamente, l’attitudine a dare esclusivo rilievo, nell’analisi
(giuridica) del funzionamento delle amministrazioni pubbliche, ai
profili attinenti alle vicende dei singoli procedimenti, riguardati
essenzialmente sotto il profilo della loro aderenza al parametro
normativo (legalità), con la sottovalutazione delle conseguenze
effettive che l’attività amministrativa finiva per conseguire (in altri
termini, il risultato dell’azione posta in essere in un dato periodo
dall’amministrazione).
Da qui, l’input per una disamina più attuale.
Alcuni esponenti della materia
10
, rifacendosi al ruolo di servizio che la
Costituzione attribuisce all’amministrazione, quale processo
programmatorio volto al risultato, insistono su un’azione
amministrativa da finalizzare al soddisfacimento delle istanze del
cittadino.
Sull’ “l’amministrazione performance-oriented”, si soffermano altri
studiosi
11
, per i quali occorrerebbe una ridefinizione del rapporto tra
politica e amministrazione, in uno scenario di nuove responsabilità
9
Tassone A.R., Sulla formula amministrazione per risultati, in Scritti in onore di E.
Casetta, Napoli, 2001, n. 2, pg. 813 e ss.
10
Pastori G., Pluralità e unità nell’amministrazione, in Democrazia e
amministrazione, Scritti in ricordo di V. Bachelet, Roma, 1987, pg. 99 e ss.
11
Cammelli M., Amministrazione di risultato, in Immordino M., Police A. (a cura
di), Principio di legalità e amministrazione di risultati: atti del Convegno Palermo
27-28 febbraio 2003, Torino, Giappichelli, 2004.
14