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A partire dagli anni ’80, il continuo crescendo dei casi di bulimia Nervosa (BN), ha
portato al riconoscimento ufficiale della patologia stessa nella nomenclatura psichiatrica
internazionale, spostando in tal modo l’attenzione su un fenomeno che si dimostrava
essere più diffuso di quello anoressico.
Nonostante si continui a parlare di anoressia e bulimia in termini di due distinte
patologie del comportamento alimentare, soprattutto per esigenze di tipo classificatorio,
oggi sempre più autori concordano nel considerare più attuale l'ipotesi del continuum,
preferendo parlare di Sindrome Anoressico-Bulimica (o Posizione Anoressico-
Bulimica), inquadrando così i disturbi alimentari in una categoria nosografica globale,
sebbene con forme di espressione individuale molto diverse (Recalcati,1998; Jeammet,
1992; Johnson, 1982; Montecchi e Magnani, 1996; Garner e Fairburn, 1988).
Sulla base dei dati osservati, risulta infatti come molte pazienti presentino una
commistione delle due forme, all'origine delle quali si rileva lo stesso terrore di
ingrassare.
Tra le differenze, laddove i due disturbi non coesistano, è importante invece rilevare
che, se da un lato il disturbo anoressico si presenta in genere come egosintonico,
accettato dunque e anche esibito, dall'altro il disturbo bulimico è vissuto più
frequentemente come un impulso rifiutato ed irrefrenabile, che comporta spesso un forte
sentimento di vergogna.
Questo dato si riflette anche nella letteratura, dal momento che l'80% dei lavori
scientifici riguarda l'anoressia e ciò a dispetto dei dati epidemiologici.
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RADICI STORICHE DEI DISTURBI ALIMENTARI
Le culture umane nel corso dei secoli hanno valorizzato varie tipologie corporee a
seconda del contesto storico imperante.
Da una disamina di dati transculturali e storici si possono enucleare più fattori aventi
parte nel processo di valorizzazione delle differenti tipologie corporee; il primo fattore è
collegato con le funzioni fisiche legate alla sopravvivenza: oggi spesso non si pensa
all'importanza del grasso nelle donne come sostegno per la gravidanza e l'allattamento e
negli uomini per lo svolgimento di lavori pesanti, per la difesa dai probabili aggressori.
Un secondo fattore è di ordine economico e sulla scorta di tale aspetto si può
assumere che, nella maggioranza delle culture umane, la grassezza è stata preferita alla
magrezza, sia nelle donne sia negli uomini, laddove le provviste di cibo fossero carenti.
La spiegazione apportata a tale assunto si fonda sulle leggi del determinismo
economico: nelle società in cui le risorse e le ricchezze sono limitate, il corpo grasso è
oggetto di ammirazione in quanto simbolo di ricchezza e di scorte abbondanti; la
grassezza viene piuttosto incentivata, vista come punto di arrivo nello status socio-
economico, come testimoniano arcaici rituali diffusi nell'Africa centrale e orientale, "le
cerimonie di ingrasso" o "le capanne per l'ingrasso", in cui le ragazze neo-puberi
vengono intenzionalmente supernutrite e presentate alla comunità tribale.
La spiegazione economica presa a se stante è tuttavia semplicistica, giacché la
magrezza fu ritenuta desiderabile anche durante la piccola glaciazione europea nel tardo
Medioevo o fra i Garage etiopici, tormentati da angosce collettive relative alla scarsità
di cibo; infatti il corpo magro, i lineamenti sottili hanno spesso assunto una valenza
culturale, come sinonimo di bellezza, eleganza, purezza e giovinezza.
L'aspetto corporeo, la sagoma corporea costituita dalla pelle è infine un sistema di
notevole rilevanza psicologica, poiché si costituisce come il meccanismo di separazione
tra l'ambiente organico interno relativamente stabile e l'ambiente esterno relativamente
instabile ed è l'unico sistema dell'organismo completamente accessibile all'osservazione
esterna.
Indissolubilmente legato all'aspetto fisico, il momento dell'alimentazione ha assunto
per l'uomo significati che sono andati ben oltre la mera funzione nutritiva.
Non c'è situazione più complessa per le sue implicazioni sociali, religiose, edonistiche,
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come quella alimentare.
Il rito del pasto nelle varie culture ha infatti assunto funzioni via via diverse, tra cui
quella di socializzare, di rinforzare l'appartenenza ad un gruppo, di rispettare le
gerarchie sociali dando alla persona più prestigiosa per ceto, età, ruolo, il "posto
d'onore" e la possibilità d'esser servita per prima.
Nella grecità classica del V sec. a.C., ad esempio, si contrapponevano due tipologie
diverse di " uomo " in relazione allo stile di vita imperante.
Ad Atene, città dedita alla filosofia e alla vita nell' "agorà" , il cittadino medio è
raffigurato come "rotondo" e panciuto mentre cammina comodamente nei dintorni dell'
"agorà", gustando prelibatezze locali o mentre discute con altri cittadini di questioni
filosofiche e politiche sui gradini dell'università.
Ben diverso è invece l'aspetto che ha simboleggiato per secoli la vicina Sparta, la cui
cultura era imperniata sui valori del vigore fisico e della potenza militare e la corporeità
celebrata era atletica, muscolosa, fornita di larghe spalle, snella, pronta alla battaglia.
Durante l'apice dell' impero romano c'era una stridente differenza tra la popolazione
che aveva cibo insufficiente e quella che ne aveva in surplus. La pratica alimentare
perdeva il suo fine nutritivo sostituito in toto da quello voluttuario; uomini patrizi in
buona salute si cibavano fino alla saturazione seguita da vomito in un apposito settore
detto "vomitorium" per poi, una volta vuotato lo stomaco, potersi di nuovo lasciare
andare ad altre ingordigie alimentari. Queste pratiche alimentari pur bizzarre non
possono tuttavia essere definite bulimiche, perché il vomito non era provocato al fine di
non ingrassare, ma per poter gustare ancora altre pietanze con lo stomaco libero.
Tuttavia anche tra gli antichi romani la dieta era una pratica adottata sia per ragioni
estetiche sia salutari, serviva per purificare il corpo dalla tossicità di certi alimenti e per
portarlo ad una restitutio ad integrum.
Tra gli scritti di Ippocrate figura anche un trattato sulla dietetica, consigliata sia per
scopi preventivi che terapeutici e secondo Plinio il Vecchio alcuni medici prescrivevano
ai malati diete così rigide da farli quasi morire di fame, mentre altri tendevano a
rimpinzare di cibo i loro pazienti.
Vi era poi chi digiunava per motivi spirituali; gli aderenti alla corrente dello
Gnosticismo, sviluppatasi verso il II e il III sec. d.C., consideravano tutto il mondo
materiale corrotto e praticavano l'ascetismo, con l'astensione quasi totale dal cibo e dai
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beni terreni.
L'ascetismo cristiano trae le sue origini dalle teorie di Platone, secondo cui l'anima
era prigioniera del corpo aspirando al ricongiungimento con il divino; soltanto con
l'emancipazione dal mondo dei sensi lo spirito poteva liberarsi e realizzare il suo
potenziale divino attraverso la privazione dal cibo e da altre necessità terrene. (Platone,
"Fedro")
Se molte donne dal decimo secolo in avanti acquistarono notorietà per i loro lunghi
digiuni di stampo mistico, il digiuno ascetico trova negli uomini la massima espressione
nella "vicenda" dei Padri del deserto, dei monaci anacoreti che in seguito alla
"mondanità" della chiesa, decisero di ritirarsi nei deserti dell'Egitto e della Palestina, per
dedicarsi totalmente al Signore (si narra che trascorressero anni nelle situazioni più
impervie in enormi restrizioni di cibo e acqua).
Alcuni studiosi odierni dei disturbi alimentari come Walter Vandereycken e Ron Van
Deth sono propensi a interpretare molti dei casi di "sante ascetiche" o di "padri del
deserto" come antesignani delle moderne forme di anoressia restrittiva.
Il digiuno come forma di penitenza per dei peccati commessi è una pratica molto
antica: nei Salmi Babilonesi, nell'Antico e nel Nuovo Testamento troviamo pubblici
digiuni per placare la collera divina in concomitanza con catastrofi o guerre.
Il cibo soprattutto nel cristianesimo è poi spesso associato al peccato e l'ingordigia di
cibo alla tentazione del demonio.
Ancora oggi allo scoccare del nono mese del calendario islamico l'intera massa di
fedeli si attiene per un mese ad un rigido periodo di astinenze alimentari e sessuali
dall'alba fino al tramonto.
Nel complesso e variegato quadro del digiuno ascetico si possono riconoscere alcuni
tratti comuni, che ripropongono all'attenzione il valore che alcuni elementi dell'atto
della nutrizione hanno assunto nelle culture umane:
1) La natura destabilizzatrice e sovvertitrice del digiuno in ogni comunità umana.
2) La funzione di espiazione dei peccati espletata dal digiuno.
3) Il divieto di cibarsi di particolari tipi di alimenti, come alcune carni animali,
presente presso molti popoli.
Nei secoli del Medioevo e del Rinascimento, se da una parte ci arrivano documenti di
asceti digiunatori e "fanciulle miracolose", dall'altra abbiamo molte descrizioni di come
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l'aspetto grasso e rubicondo fosse apprezzato e sinonimo di imponenza e ricchezza.
Papi, cardinali, arcivescovi non sembravano esercitare la loro vocazione spirituale con
la stessa intransigenza delle sante ascetiche, piuttosto vengono spesso raffigurati come
corpulenti e sovente impegnati a consumare ingenti quantità di cibo e vino.
Come già accennato in precedenza, in un contesto in cui gran parte del popolo
versava in condizioni di fame se non d'inedia, la grassezza era indice di opulenza e di
potere, un vero e proprio status socio-economico.
Fulgidi esempi di tale stile di vita furono Enrico VIII, sua sorella Elisabetta e la
regina della Russia Caterina "La Grande", magri e atletici in gioventù, grassi leaders in
età matura.
Molti secoli prima che Gull (1868) e Lasègue (1873) quasi contemporaneamente
coniassero il termine "anorexia" e ne definissero i connotati clinici, il fervore religioso
aveva portato uomini e donne a lunghi periodi di digiuno destando la pubblica
ammirazione.
Tenendo in considerazione che la nozione di a-normalità nei fenomeni psicologici,
dipende dalla cultura e dal contesto storico in cui è osservato il modello
comportamentale in questione, ed essendo ben lungi dal voler associare
retrospettivamente una forma di inedia auto-indotta alla moderna "anoressia nervosa", ci
accingeremo a descrivere altre forme di digiuno spontaneo maschile, accadute nei secoli
scorsi: Il digiuno per spettacolo, il digiuno degli artisti e il digiuno come disturbo
clinico.
Dalla fine del XIX sec. fino agli anni '30 del XX i cosiddetti "artisti della fame" e
"scheletri viventi" si servirono per fini spettacolari del loro digiuno prolungato e del
loro estremo dimagrimento, esibendosi dietro compenso nelle fiere, nei circhi e nei
parchi di divertimento.
Lo splendore e il declino degli artisti della fame e delle loro gesta, in tutte le
principali città d'Europa, ci sono giunte grazie agli innumerevoli resoconti fatti da
scrittori e cronisti dell'epoca e ciò perché la lotta dell'uomo contro l'istinto naturale della
nutrizione era fra ciò che più colpiva l'immaginario popolare e che rendeva questi
spettacoli fra i più apprezzati nelle fiere.
Anche se l'interesse per i disturbi dell'alimentazione come affezione psicosomatica si
è diffuso nella seconda metà del XX sec., sostituendo come manifestazione sintomatica
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l'isteria dell'800 per proporzioni epidemiche e interesse scientifico, le complicazioni
legate all'atto nutritivo sono state menzionate nei trattati dei medici in epoche ben più
remote.
Senofonte nel libro IV dell' "Anabasi" riferisce di un fenomeno di fame irrefrenabile che
colpiva i soldati nelle spedizioni di guerra che gli esperti chiamavano "Bulimia".
Secondo la descrizione offertaci dallo scrittore di Scillunte non poteva trattarsi
dell'odierna bulimia, ma etimologicamente di una "fame da bue" molto più
rassomigliabile al binge eating disorder.
Seneca nel suo scritto "Consolatio ad Marciam" deplora le bizzarrie alimentari
compiute dai patrizi nei banchetti definendole un ciclo di abbuffate, vomito, nuove
abbuffate, "Vomunt ut edant, edunt ut vomant".
Per quanto riguarda l'inedia volontaria i romani parlavano di "inappetentia"
(Ippocrate). In un commento al primo libro delle Epidemiche di Ippocrate, Galeno
scrive: "Coloro che rifiutano il cibo e non assorbono nulla sono chiamati dai greci
anòrektous oppure asítous, che significa coloro che non hanno appetito ed evitano il
cibo.
Coloro che invece, dopo aver ingurgitato gli alimenti, provano disgusto o avversione
si chiamano aposîtous e, quando sono spinti a mangiare, non hanno la forza di
inghiottire; anche se si sforzano di nutrirsi, non riescono a ingerire il cibo, ma sono
costretti a rimetterlo.
Il medico bizantino Alessandro Tralliano nel capitolo intitolato "Perì anorexia", tratto
dal suo manuale di medicina, la fa derivare da "Una discrasia o un eccesso di umori
nello stomaco" e prescrive per la sua cura una modificazione degli stessi o
l'eliminazione tramite vomito, nonché evacuazione intestinale.
Per trovare una messa in gioco della psiche nei disturbi dell'appetito e un riferimento
all'affezione maschile bisogna arrivare all'era moderna, quando il medico francese
Joseph Raulin, nella sua monografia sull'isteria del 1758, riconosce il ruolo patogenico
dei disturbi dello spirito e dei sentimenti e riconosce che anche i maschi sono soggetti
alle "affections vaporeuses".
Al 1689 invece è fatta risalire la prima descrizione clinica dell'anoressia;
il medico Morton parla della cosiddetta "consunzione nervosa", che chiama anche
"atrofia nervosa" e la definisce come "una consunzione del corpo senza febbre, né tosse,
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né dispnea, ma accompagnata da perdita dell'appetito e da cattiva digestione...".
La scoperta dell'anoressia nervosa, nell'accezione diagnostico-clinica in cui oggi la si
intende, è contesa da due eminenti psichiatri dell'epoca vittoriana W. Gull e E. Lasègue,
anche se era stata già descritta dal meno noto Marcè 10 anni prima.
Anche se il primo a menzionarla in un articolo scientifico fu effettivamente W. Gull
nel 1868 la descrizione più brillante per contenuto e forma ci viene offerta nel 1873 da
Lasègue. Nell'articolo intitolato "De l'anorexie histèrique" inserito negli "Archives
Gènerales de Medicine" egli afferma : "Lo scopo di questo articolo è rendere nota una
delle forme di isteria della regione gastrica, abbastanza frequente da non essere, come
troppo spesso accade, una generalizzazione artificiale di un caso particolare...Il termine
"anoressia" poteva essere sostituito da "inanizione isterica"...Ho tuttavia preferito il
primo termine perché si riferisce a una fenomenologia meno superficiale, più delicata e
anche più clinica."