ambientali in cui si trovano; III) miscele di inquinanti possono generare
interazioni biochimiche e tossicologiche; IV) esiste un tempo di latenza in
genere molto lungo prima che si manifestino alterazioni a livello di popolazioni
e comunità.
Metodologie di indagine, quali ad esempio le analisi chimiche, possono
non essere sufficienti per lo studio di problemi di tale intensità. Le misurazioni
chimiche del mezzo ambientale sono specifiche, quantitative e sensibili e sono
in grado di identificare i singoli inquinanti quando questi sono presenti al
momento del campionamento. Tuttavia non riescono a discriminare tra forme
di contaminazione influenti o meno sulla biocenosi, e non sono in grado di
rilevare un fenomeno di inquinamento quando la causa non sia più presente.
La valutazione dello stato di salute degli ambienti acquatici, soprattutto
marini costieri e di transizione, mediante metodiche "tradizionali" basate su
analisi chimiche di tipo analitico presenta notevoli difficoltà pratiche per
alcune principali ragioni: I) le alterazioni ambientali si verificano spesso in
presenza di basse concentrazioni di inquinanti, propagati da sorgenti puntiformi
o diffuse spesso discontinue; II) le sostanze inquinanti immesse nell’ambiente
subiscono spesso trasformazioni ignote; III) le masse d'acqua sono in continuo
movimento e le caratteristiche dell'ambiente in esame sono repentinamente
modificate; IV) la concentrazione degli inquinanti calcolata per una imponente
massa d'acqua può risultare modesta, mentre la salute degli organismi può
esserne ugualmente minacciata, e infine V) gli inquinanti possono avere effetti
sinergici deleteri per gli organismi viventi, pur essendo presenti ciascuno a
bassa concentrazione.
Da quanto riportato, si giustifica il tentativo di affiancare a questo
approccio, peraltro insostituibile, indagini focalizzate sulle risposte biologiche
degli organismi. Le prime ad essere state impiegate sono state analisi di tipo
ecologico ed eco-tossicologico.
2
Uno dei più importanti strumenti biologici utilizzati nel monitoraggio dei corpi
fluviali è rappresentato dall’I.B.E. (Indice Biotico Esteso); in questo caso, la
valutazione del livello di qualità dell’ambiente acquatico si basa su un
punteggio determinato da due fattori: la presenza del taxa più sensibile della
comunità bentonica e il numero di unità sistematiche presenti. L’impiego di
metodiche eco-tossicologiche, quali i test di tossicità su Daphnia magna o
mediante batteri chemiluminescenti, è ampiamente utilizzato anche nella
valutazione della qualità di ambienti marini costieri e di transizione, tuttavia
risente di alcuni limiti correlati alle precedenti osservazioni sulla variabilità
delle caratteristiche ambientali. Nell'insieme, risulta evidente che gli studi di
monitoraggio ambientale basati sulla stima di effetti a livello di
popolazione/comunità, evidenziano l’alterazione già in uno stato avanzato
(insuccesso riproduttivo, aumento della mortalità), quando l'alterazione
ambientale stabilitasi è di difficile recupero.
In considerazione dei limiti riscontrati in un approccio condotto
attraverso indagini chimiche, ecologiche o eco-tossicologiche, i più recenti
programmi di monitoraggio supportati dalla agenzie internazionali di
protezione ambientale suggeriscono di affiancare a questi strumenti di analisi
un approccio basato sulla risposta integrata degli organismi alla esposizione ad
inquinanti, che è indipendente dalla oscillazione dei livelli di contaminazione, e
che consente la valutazione di risposte generate in maniera precoce dagli
organismi stessi.
1.2 Un po' di storia e di legislazione
Sin dagli anni settanta sono stati avviati programmi che utilizzano i
molluschi per monitorare i trend temporali dei principali contaminanti organici
e inorganici. Ricordiamo il Reseau National d’Observation de la qualité du
milieu marin (RNO), attivo dal 1979, finanziato dal Ministero dell’ambiente
3
francese e gestito dall’Ifremer; il programma National Status and Trends
(NS&T) del National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), che
conduce dal 1986 un programma di Mussel Watch lungo le coste degli USA
mediante utilizzo di mitili. Ricordiamo, infine, i Progetti pilota per la
determinazione dei contaminanti organici e inorganici condotti nell’ambito del
MED POL e coordinati dall’UNEP in collaborazione con altre Agenzie delle
Nazioni Unite (http://www.minambiente.it).
In Italia il primo tentativo di utilizzare su grande scala i molluschi
bivalvi e in particolare il mitilo mediterraneo Mytilus galloprovincialis, quali
indicatori di “qualità” ambientale, è stato condotto nell’ambito delle attività di
monitoraggio previste ai sensi della Legge n.979 del 31 dicembre 1982 ed
attuate dalle Regioni costiere. In tale legge, infatti, si prevedono “Disposizioni
per la difesa del mare” e in particolare nell’art.3 si prevede di “…organizzare
una rete di osservazione della qualità dell’ambiente marino”. Con questa
attività sistematica di monitoraggio, si è inteso per la prima volta, valutare lo
stato di qualità delle acque marine costiere italiane da un punto di vista
ambientale e non in funzione dei suoi effetti sulla salute dei “bagnanti”: questa
indagine non verifica quindi la “salubrità” del mare, cioè l’impatto delle acque
marine sulla salute umana, ma controlla quanto le attività dell’uomo
modificano l’ambiente marino ed in che misura lo alterano.
I primi programmi di monitoraggio hanno interessato solo le Regioni
dell’Alto Adriatico ed i dati raccolti non erano informatizzati. A partire dal
1996, i dati provenienti dal programma di monitoraggio nazionale sono stati
gestiti attraverso la banca dati del Servizio Difesa Mare Si.Di.Mar., che mette a
disposizione una base di riferimento importante per fissare i livelli di
contaminazione del biota e per consentire confronti con i risultati di successive
indagini relativamente a molti parametri di rilevante interesse ambientale
(http://www.minambiente.it).
4
Con l’introduzione del D.L.152/99 recante "Disposizioni sulla tutela
delle acque dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE
concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva
91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato
da nitrati provenienti da fonti agricole" e successive m odifiche, è stato
compiuto un passo fondamentale in quanto è stata formalmente riconosciuta
l'importanza delle analisi biologiche nella valutazione e gestione del rischio
ambientale. Sostanzialmente, il suddetto decreto riguarda la tutela ed il
risanamento delle acque e “individua gli obiettivi minimi di qualità ambientale
per i corpi idrici significativi e gli obiettivi di qualità per specifica destinazione
per i corpi idrici (….); l’obiettivo di qualità ambientale è definito in funzione
della capacità dei corpi idrici di mantenere i processi naturali di
autodepurazione e di supportare comunità animali e vegetali ampie e ben
diversificate” (D.L.152/99, Titolo II). Il decreto stabilisce che lo stato di qualità
ambientale dei corpi idrici superficiali sia definito sulla base del loro stato
chimico ed ecologico e al fine di una corretta e completa valutazione di
quest'ultimo "dovranno essere utilizzati opportuni indicatori biologici; oltre
all’utilizzo dell’indice biotico esteso (I.B.E.) per i corsi d’acqua superficiali,
sarà necessario utilizzare i metodi per la rilevazione e la valutazione della
qualità degli elementi biologici e di quelli morfologici dei corpi idrici". Nel
decreto si specifica che, per una "prima classificazione della qualità dei corsi
d’acqua vanno eseguite determinazioni sulla matrice acquosa e sul biota (…).
Le determinazioni sul biota riguardano due gruppi di analisi: Analisi di base:
gli impatti antropici sulle comunità animali dei corsi d’acqua vengono valutati
attraverso l’Indice Biotico Esteso (…) Analisi supplementari: non obbligatorie,
da eseguire a giudizio dell’autorità che effettua il monitoraggio, per una analisi
più approfondita delle cause di effetti a breve o lungo termine” (D.L.152/99,
Allegato1).
5
1.3 Cos'è il biomonitoraggio?
Con il termine biomonitoraggio si intende la regolare e sistematica
valutazione delle condizioni dell’ambiente mediante un insieme di metodiche
scientifiche, che utilizzano specie animali o vegetali per misurare l’impatto
degli agenti inquinanti sull'ambiente stesso. Tali metodiche forniscono una
valutazione globale degli effetti dannosi esercitati sugli organismi viventi e
soprattutto permettono di considerare gli eventuali effetti di sinergia che
possono instaurarsi nel caso della presenza contemporanea di più sostanze o
effetti a lungo termine di esposizione anche a basse concentrazioni.
1.4 Le sentinelle ambientali
Per sentinelle ambientali, si intendono tutti quegli organismi (vegetali e
animali) che mediante reazioni identificabili (biochimiche, fisiologiche,
morfologiche) forniscono informazioni sulla qualità dell'ambiente. Utilizzare
organismi indicatori significa trascurare le analisi relative ai componenti
abiotici dell'ambiente e commisurare l'impatto in relazione alla risposta
biologica (Focardi e Leonzio, 2001).
La scelta dell'organismo sentinella dipende da molti fattori, e soprattutto
dal quesito sperimentale di partenza. In linea generale gli organismi sentinella
possono essere utilizzati come bioaccumulatori e come bioindicatori.
Gli organismi animali e vegetali sono in genere bioaccumulatori, cioè
tendono ad accumulare sostanze tossiche nei propri tessuti, inattivandole in
varie maniere. La concentrazione raggiunta dagli inquinanti nei tessuti
biologici può superare in maniera significativa quella presente nell'ambiente e,
per questo, i bioaccumulatori forniscono importanti informazioni sugli
inquinanti presenti e sulla loro biodisponibilità. Il programma di monitoraggio
6
ambientale noto come "Mussel Watch" si basa proprio sulla valutazione dei
livelli di contaminanti accumulati in ostriche e mitili analizzati annualmente in
oltre 100 siti di prelievo lungo le coste atlantiche e pacifiche degli Stati Uniti.
Anche gli organismi vegetali sono noti bioaccumulatori, ed in particolare
alcune macroalghe brune e verdi sono utilizzate per le loro proprietà
d'accumulare metalli pesanti, mentre in genere non sembrano accumulare
inquinanti organici.
Non tutti gli organismi possiedono i requisiti richiesti per essere
utilizzati come bioaccumulatori, che sono essenzialmente:
- alta tolleranza agli inquinanti
- capacità di bioaccumulo.
La scelta dei bioaccumulatori ottimali da utilizzarsi in un programma di
monitoraggio è effettuata sulla base dei risultati della ricerca scientifica di base,
che rappresenta un supporto fondamentale per tutti gli studi di monitoraggio
mediante organismi viventi.
Gli organismi viventi in genere non subiscono passivamente gli effetti di
un'alterazione ambientale, ma attuano una serie di risposte che tendono a
ripristinare l 'omeostasi. Quando l’immissione nella matrice ambientale di una o
più sostanze determina variazioni misurabili della fisiologia, della morfologia o
della distribuzione di un determinato organismo, esso può essere utilizzato
come bioindicatore. La ricerca scientifica ha identificato alcuni organismi in
cui queste risposte sono precoci e ben quantificabili, ed essi vengono quindi
utilizzati come organismi sentinella nei programmi di biomonitoraggio. Le
caratteristiche che li rendono particolarmente adatti allo scopo sono:
- sensibilità all'inquinamento;
- elevata tolleranza agli stress ambientali;
- ampia distribuzione;
- accertata sensibilità verso le sostanze nocive introdotte nell’ambiente;
- facile raccolta e maneggiabilità;
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Oltre all’accertata capacità di accumulare i contaminanti o a mostrare verso di
essi specifiche reazioni, i bioaccumulatori ed i bioindicatori debbono possedere
anche altre caratteristiche, che in parte riguardano il grado di conoscenza
scientifica a loro proposito (Focardi e Leonzio, 2001):
- facile identificazione;
- un ciclo vitale pluriennale;
- adeguate conoscenze sull’anatomia, fisiologia ed ecologia delle specie;
- conoscenza della distribuzione territoriale dell’organismo e dei rapporti con
l’ambiente di vita.
La scelta di un particolare organismo per il programma di monitoraggio
dipenderà dal tipo di ambiente da monitorare (es. acqua dolce o salata) e dalla
scala topografica del progetto di studio (Fossi, 2001). In questo caso è
importante far riferimento alla “mobilità” dell'organismo. Nel caso di un
organismo sessile otterremo un’informazione di tipo puntiforme, nel caso di un
organismo mobile, l’informazione riguarderà l’intera area vitale. Gli organismi
più utilizzati per il monitoraggio degli ambienti acquatici sono tipicamente
teleostei, soprattutto salmonidi, ciprinidi, e siluriformi, e bivalvi, soprattutto del
Genere Mytilus, Ostrea, Crassostrea per le acque costiere e di transizione, e
Unio per le acque dolci.
1.5 Il biomonitoraggio ambientale mediante biomarkers
Viene convenzionalmente definito come indice di stress o biomarker
"…quella variazione, indotta da un contaminante, a livello delle componenti
biochimiche o cellulari di un processo, di una struttura o di una funzione, che
può essere misurata in un sistema biologico" (National Academy of Science,
NRC, 1989). Negli ultimi anni il concetto di biomarker si è ulteriormente
evoluto, assumendo una valenza più ampia. Depledge (1989) definisce
biomarker "...quella variazione biochimica, cellulare, fisiologica o
8
comportamentale, che può essere misurata in un tessuto, in un fluido biologico
o a livello dell'intero organismo (individuo o popolazione), la quale fornisce
l'evidenza di un'esposizione e/o un effetto ad uno o più composti inquinanti
(e/o radiazioni)".Queste v ariazioni o risposte possono essere cercate a livelli
crescenti di complessità (Focardi e Leonzio, 2001). La tossicità primaria di un
contaminante si esercita, in linea generale, a livello biochimico e molecolare
(modificazioni di attività enzimatiche, alterazioni a livello del DNA, etc.) e,
solo successivamente, gli effetti si possono riscontrare, con un meccanismo a
cascata, ai livelli superiori di organizzazione ossia cellule, tessuti, organi, fino
a giungere a livello di organismi e di popolazione (Fossi, 2001).
Le diverse risposte omeostatiche e non, che l'organismo genera nei
confronti dell'insulto chimico, rappresentano quindi potenziali biomarkers
utilizzabili nelle indagini di monitoraggio ambientale
(http://space.tin.it/scienza/marfossi/biomarkers.html).
Esistono tre livelli gerarchici della informazione ottenuta dai saggi
biologici previsti nei programmi di biomonitoraggio:
1) L'identificazione del pericolo rappresenta il primo stadio nella gerarchia di
utilizzo dei biomarkers. Questo approccio si attua quando non è nota la
composizione della miscela di contaminanti, per esempio nel caso di scarichi
industriali o discariche urbane.
2) La valutazione del pericolo rappresenta il secondo stadio nella gerarchia
dell'utilizzo dei biomarkers. Questo approccio si attua nel caso in cui si
possiedano informazioni sul tipo di contaminanti potenzialmente presenti; in
questo modo, utilizzando biomarkers specifici, è possibile individuare le
principali classi di contaminanti presenti nella miscela in questione, le
dimensioni dell'area contaminata e gli effetti tossicologici.
3) La previsione del rischio rappresenta l'ultima fase dell'utilizzo dei
biomarkers; in questo caso si possono ottenere indicazioni sulle possibili
conseguenze a lungo termine a livello di popolazione e comunità.
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A seconda della loro specificità di risposta nei confronti degli inquinanti,
i biomarkers possono essere suddivisi in due categorie:
- biomarkers generali: traducono una risposta dell'organismo a un insieme di
inquinanti, senza consentire di determinare la natura degli inquinanti stessi, ad
es. il test dello stress su stress, della stabilità delle membrane lisosomiali, etc.
- biomarkers specifici: traducono una risposta dell'organismo ad una specifica
famiglia di inquinanti, ad es. l'accumulo cellulare di metallotioneine,
l'inibizione dell'attività delle colinesterasi, etc.
Entrambi questi tipi di biomarkers vengono utilizzati nelle diverse fasi
conoscitive delle indagini di biomonitoraggio.
In merito invece alla induzione della risposta, i biomarkers possono
essere suddivisi in altre due categorie principali (Peakall e Shugart, 1993):
- biomarkers di esposizione: forniscono informazioni sul grado di esposizione
ad uno o più contaminanti presenti nell'ambiente, ma non sugli effetti tossici
che questi generano a livello dell'organismo.
- biomarkers di effetto (o di tossicità): queste risposte indicano sia l'eventuale
esposizione che gli effetti tossici. Essi comprendono gli indici che riflettono
una condizione di deterioramento dovuta all'esposizione ad un contaminante,
come ad esempio la produzione di macromolecole dannose, lesioni di cellule o
tessuti, ridotte capacità di crescita, di riproduzione e di sopravvivenza.
I biomarkers di esposizione così come quelli di effetto possono rappresentare
risposte generali e specifiche (Stegeman et al., 1993).
1.6 Principali biomarkers
Una classificazione generale dei biomarkers, intesi come alterazione
della fisiologia dell'organismo, distingue le seguenti categorie (McCarthy et
al., 1990):
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- alterazioni del DNA;
- alterazioni del sistema immunitario;
- alterazioni istopatologiche;
- risposte in termini di induzione/inibizione della sintesi di proteine.
Dall'utilizzo di biomarkers delle diverse classi si attendono risposte su
scala temporale differente: "precoce" (ore o giorni) nel caso delle risposte
molecolari e "ritardata" (settimane, mesi, anni) nel caso delle risposte cellulari
e fisiologiche.
Alterazioni del DNA
Molti inquinanti ambientali cancerogeni e mutageni, quali gli Idrocarburi
Policiclici Aromatici (IPA) e le diossine, possono causare danni di diverso tipo
al DNA, quali rottura della doppia elica, frammentazioni dei cromosomi,
mutazioni. Questi effetti sono utilizzabili come biomarkers di tipo precoce o
ritardato.
Alterazioni del sistema immunitario
Il sistema immunitario ha la capacità di distruggere elementi estranei e
difendere l'organismo da agenti patogeni; l'aumento nel sangue di cellule a
funzione di difesa o degli anticorpi da esse sintetizzati, oppure l'attivazione di
riposte citotossiche negli emociti, rappresentano quindi un indicatore dello
stato di salute di un organismo e sono utilizzabili come biomarkers in
programmi di monitoraggio.
Alterazioni istopatologiche
Quale stadio finale del loro effetto tossico, molti composti inquinanti
provocano alterazioni istopatologiche in organi bersaglio, in particolare, il
fegato nei vertebrati e la ghiandola digestiva nei molluschi. L'utilizzo di
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tecniche istochimiche rappresenta quindi un ottimo strumento per valutare la
risposta ad effetti acuti e cronici indotti da inquinanti.
Risposte in termini di proteine
A questa categoria di biomarkers appartengono tutte quelle variazioni
dell'attività proteica che un organismo produce a seguito di una esposizione a
contaminanti. Gli organismi inducono l’attività di proteine funzionali che
svolgono un’azione detossificante nei confronti di composti xenobiotici, sono
cioè meccanismi adattativi e protettivi. Un esempio è la sintesi di
metallotioneine nella difesa dai metalli pesanti. Le risposte dell'organismo
possono essere anche fenomeni di inibizione delle attività enzimatiche, quali ad
esempio il blocco delle esterasi ematiche e cerebrali causato da insetticidi
organofosfati. Tutti questi biomarkers sono di tipo precoce.
Un elenco delle quattro classi a cui appartengono i vari biomarkers è
riportato nella seguente tabella:
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Tab. 1.1- Principali biomarkers per il biomonitoraggio ambientale (Fossi, 2001).
Biomarkers Risposta Biologica Contaminanti Tempo di Segnale Esposizione Effetto Distruttivo Non Distruttivo
Risposta
Alterazione del
DNA
Rotture del DNA Rottura doppia elica PAHs, PHAHs Rapido S SI SI Vari tessuti Sangue, pelle
Addotti Formazioni addotti PAHs, PHAHs Rapida S, D, P SI SI Vari tessuti Sangue, pelle
SCE Alterazioni PAHs, PHAHs Media S, D, P SI SI Vari tessuti Sangue
cromosomiche
Risposte di Proteine
Esterasi Inibizione enzimatica OPs, CBs Rapida S, D, P SI SI Cervello Sangue
MFO Induzione enzimatica PAHs, PHAHs Rapida S, D SI SI Fegato, rene Pelle, mucosa
Proteine da Stress Induzione proteica Metalli pesanti, Rapida S SI NO Vari tessuti Sangue
PAHs, PHAHs
Metallotioneine Induzione proteica Metalli pesanti Rapida S, D SI NO Vari tessuti -
Alad Inibizione enzimatica Metalli pesanti (Pb) Rapida S, D, P SI NO - Sangue
Addotti Emoglobina Addotto proteico PAHs, PHAHs Rapida S, D SI NO - Sangue
Biochimica del Modificazione dei vari Metalli pesanti, Rapida, Media S, D SI SI/NO Sangue
-
Sangue enzimi PAHs, PHAHs, Ops
Prodotti Metabolici
Porfirine Disordine metabolico Metalli pesanti, Media S, D, P SI SI Fegato, rene Sangue, feci
ciclo dell'EME PHAs
Alterazioni Sistema
Immunitario
Retinolo Modificazione livelli PHAHs Rapida S SI ? Fegato Sangue
retinolo
Funzioni Tiroidee Alterazione funzioni PHAHs Media S SI NO Tiroide Sangue
tiroidee
Immunotossicologia Varie Metalli pesanti, Media, Lenta S SI ? Cellule linfatiche Sangue
PAHs, PHAHs, Ops
Nota: CBs= Carbammati; OPs= Organofosfati; PAHs= Idrocarburi Aromatici Polociclici; PHAHs= Idrocarburi Aromatici Polialogenati;
Tempo di risposta (Rapido= da ore a giorni, Medio= da giorni a settimane; Lento= da mesi ad anni); Segnale (S= segnale di un problema
potenziale, D= definitivo indicatore di una classe di contaminanti, P= indicatore predittivo di un effetto negativo a lungo termine).
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1.7 Limiti e vantaggi del biomonitoraggio mediante biomarkers
Nel valutare le risposte ottenute da questo approccio
metodologico si deve tenere presente che esistono, oltre ai
contaminanti eventualmente presenti nell’ambiente, altri fattori di tipo
fisiologico, comportamentale o ambientale che possono alterare il
segnale fornito dalle analisi sui bioindicatori e portare ad
interpretazioni errate. Alcune reazioni enzimatiche, ad esempio,
subiscono modificazioni in funzione dello stato ormonale, dell’età,
della dimensione e del sesso dell’organismo (Fossi et al., 1990).
Questi limiti possono però essere superati con una buona conoscenza
delle caratteristiche fisiologiche e del ciclo vitale e riproduttivo
dell’organismo sentinella. La ricerca scientifica di base ha fornito
importanti informazioni circa l'anatomia, la morfologia e la fisiologia
di un certo numero di organismi, ed è quindi un supporto essenziale
per la scelta delle sentinelle ambientali e per la interpretazione dei dati
ottenuti.In natura gli organismi sono sottoposti anche ad un numero
elevato di fattori chimico-fisici come temperatura, salinità, ossigeno,
etc., che influenzano le risposte metaboliche. Un metodo di
biomonitoraggio efficace deve anche essere in grado di identificare e
separare gli effetti delle attività umane dagli effetti naturali
ambientali.
La variabilità biologica degli organismi determina che l'analisi di un
singolo biomarker sia difficilmente in grado di rispondere in maniera
corretta ai quesiti posti dal programma di monitoraggio; come
abbiamo detto, un dato parametro può essere soggetto alla variabilità
insita negli organismi viventi e può fornire talvolta risultati ambigui,
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causando sovrastime o sottostime degli effetti sulle biocenosi (Volpi
et al., 2001).
Per una maggior efficacia dei saggi biologici nella valutazione
della qualità ambientale è necessario, quindi, l’impiego di una batteria
di biomarkers al fine di produrre un risultato integrato, che da un lato
minimizzi gli effetti della variabilità biologica e dall'altro sia
confermato da più di una indagine.
E' importante sottolineare quella che è ritenuta la migliore
prerogativa dei programmi di biomonitoraggio condotti mediante
organismi sentinella. Essi non forniscono indicazioni dirette sul tipo
di contaminazione ambientale, tuttavia informano in maniera precoce
dell'avvenuta esposizione ad inquinanti, permettendo interventi a
breve termine e la messa a punto di adeguati programmi di gestione
sostenibile dell'ambiente in esame.
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