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di economia politica, di economia aziendale, di ordine agricolo, di politica, di
psicologia ed di etica (Schneider, 1996). Per quanto riguarda in particolare i
motivi psicologici ed etici il filosofo mette in evidenza che, paradossalmente,
all’uomo-allevatore risulta più facile separarsi da mille animali che da tre.
“L’allevamento intensivo e di massa porta non solo a una insensibilità
emozionale nei confronti dell’animale, ma soddisfa anche la necessità di
rimanere psicologicamente equilibrati” (introduzione ad Allevamento
etologico dei bovini, Schneider, 1996).
Sul piano etico invece egli osserva che quando si deve difendere
l’attuale sistema di allevamento ci si riferisce sempre alla posizione speciale e
privilegiata dell’uomo in natura. Tuttavia solo l’uomo è in grado di
considerare e di portare avanti oltre ai propri interessi anche quelli di ciò che
lo circonda. La sua singolare posizione in natura infatti si basa sulla capacità
di elaborare considerazioni morali ed etiche. Possiamo perciò parlare di
giustizia etica nel momento in cui, senza pregiudizi, soppesiamo i nostri
interessi riguardo allo sfruttamento degli animali, che a loro volta hanno
interessi, esigenze e diritti, ed abbiniamo il nostro diritto putativo al loro
sfruttamento al riconoscimento del dovere di prendercene cura (Singer, 1982;
Teutsch, 1987; Schneider, 1992).
Un ulteriore impulso verso una evoluzione delle tecniche di
allevamento delle specie di interesse zootecnico, verso soluzioni più rispettose
delle loro esigenze etologiche e fisiologiche è venuto dall’emergenza BSE
che, forse in modo “brutale“ e un po’ troppo giornalistico, ha aperto le porte
degli allevamenti ai media.
Regolamenti comunitari in materia di animal welfare sono stati prodotti
per diverse categorie di soggetti in allevamento, primi tra tutti la gallina
ovaiola (direttiva 1999/74 CE) e il vitello a carne bianca (direttiva 1991/629
CEE; direttiva 1997/2 CE; decisione 1997/1822 CE) .
Il problema di “mucca pazza” ha avuto riflessi particolarmente gravosi
sul settore di produzione del bovino da carne e in questo senso l’Unione
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Europea sta per emanare una specifica normativa per definire alcune linee
guida in materia di benessere anche per l’allevamento di questa categoria di
bovini.
1.1 L’ALLEVAMENTO DEL VITELLONE DA CARNE IN ITALIA
1.1.1 PRODUZIONE E CONSUMO DI CARNE BOVINA IN ITALIA
A partire dal dopoguerra l’andamento dei consumi di carne ha avuto un
trend positivo dettato essenzialmente dall’esigenza del raggiungimento della
sufficienza alimentare. Negli anni successivi e fino agli anni ’70 le migliorate
condizioni economiche hanno conferito alla carne un ruolo di status symbol
che ha determinato un accentuazione ulteriore del consumo di quella bovina in
virtù anche del crescente valore alimentare ad essa attribuito. In detto periodo
il consumo pro capite annuo è passato da 5.3 kg (1950) a 25.2 kg (1970), in
seguito esso è stato condizionato da fattori come la qualità, la praticità di
preparazione e soprattutto, dopo il cataclisma provocato dalla BSE ed altre
emergenze sanitarie (vedi ad es. l’afta epizootica, la diossina riscontrata nei
polli ecc.), da motivi igienico-sanitari. Questa nuova realtà ha modificato la
domanda orientandola verso un consumo più selettivo che ha sfavorito in
particolar modo le carni rosse a vantaggio di carni avicole e suine (vedi
grafico n.1). Nel corso degli anni ’90 si è assistito dapprima ad una tendenza
alla stagnazione e poi alla riduzione del consumo di tutti i tipi di carne e in
special modo di quella bovina (Tabella 1). Recenti dati Ismea (2001)
confermano questa tendenza ed espongono i risultati della crisi da BSE.
Secondo tale fonte il consumo generale di carne ha avuto una flessione del 5%
causato dal forte calo del comparto bovino (28% per il settore aggregato, ben
il 30 % per il vitellone e il 25% per il vitello), compensato solo in parte da un
incremento del consumo di carni suine (+18%), avicole (+14%) e cunicole
(+4%).
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Le stesse fonti hanno stimato, per il 2001, una riduzione della
produzione italiana di carni bovine di circa 0.6 % rispetto al 2000. Essa si
dovrebbe quindi attestare sulle 874.000 tonn. Per quanto riguarda la
consistenza del patrimonio bovino italiano al 1 giugno 2001 esso contava
7.002.000 effettivi, di cui 820.000 ascrivibili alla categoria “vitellone”
(ISTAT, 2002).
1.1.2 CARATTERI DISTINTIVI DEL VITELLONE
Nella categoria di "vitellone" rientrano i torelli interi delle razze a
duplice attitudine (da carne e da latte) oppure da carne, o da latte o incroci tra
queste razze oltre che le manze eccedenti la rimonta delle razze da carne,
macellati a età variabile tra i 12 e i 20 mesi, a seconda del tipo di produzione;
a questa categoria vengono assimilate anche le manze delle razze da latte
scartate dalla rimonta, di solito per infertilità o difetti morfologici (Bittante, e
coll., 1993). Al momento della macellazione devono essere in possesso di tutti
i denti da latte e se appartengono a razze a prevalente attitudine per la carne
devono avere peso maggiore di trecento chilogrammi e non più di due denti da
adulto (Falaschini, 1996). Il peso di macellazione si aggira mediamente sui
550-600 kg, ma anche più in funzione di razza, alimentazione, sesso ecc. La
produzione di questo tipo di bovino ingrassato è legata soprattutto a due
condizioni: l'acquisto sul mercato dei cosiddetti torelli da ristallo
(normalmente del peso di 250-300 Kg) e la disponibilità di elevate quantità di
foraggi aziendali (soprattutto mais).
1.1.3 TECNICHE DI ALLEVAMENTO
1.1.3.1 Alimentazione
In passato la tecnica adottata normalmente nella produzione del
vitellone è sempre stata basata sul concetto economico di fare utilizzare
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all’animale, nella prima fase dell’allevamento, tutti gli alimenti meno costosi
disponibili in azienda salvo aumentare la densità energetica e la qualità degli
alimenti inseriti nella razione nell’ultimo periodo dell’allevamento cioè nel
periodo di finissaggio.
Recentemente però, sono stati riveduti questi tradizionali sistemi di
allevamento poiché è dimostrato che solo mantenendo un livello nutritivo
piuttosto alto durante l’intero ciclo si ha, non solo un più elevato
accrescimento globale degli animali, ma anche una maggiore efficienza di
utilizzazione della razione con una positiva incidenza sulle caratteristiche delle
carcasse in termini di composizione in carne magra, grasso ed ossa.
Oggi la scelta del programma di alimentazione tiene conto di fattori
genetici come la precocità, il sesso e la capacità d’ingestione dei bovini in
allevamento (INRA, 1989). Per quanto riguarda la scelta degli alimenti, ove
disponibile, la razione si basa sull’utilizzo di silomais che rappresenta il
prodotto aziendale in grado di fornire l’Unità foraggera carne a minor costo.
Come alimenti energetici vengono utilizzati altri prodotti del mais come
pastoni e granella mentre l’integrazione proteica, vitaminica e minerale viene
fornita con mangimi commerciali di provenienza extraziendale. In particolari
aree geografiche del nostro Paese, sempre con l’obiettivo di contenere i costi
di produzione, vengono impiegati anche sottoprodotti industriali come le polpe
di bietola e le buccette d’uva e di pomodoro. La quantità di concentrati inserita
nella razione dipende dal piano alimentare adottato; diete ad elevata densità
energetica sono destinate a soggetti appartenenti a razze specializzate da
carne. Razioni a più moderato contenuto energetico vengono invece formulate
per soggetti a duplice attitudine produttiva (Balasini, 1990).
1.1.3.2 Strutture
Nella realtà operativa italiana l’ingrasso dei vitelloni viene per lo più
realizzato in aziende con elevata consistenza di bestiame (da 500 a 5.000
capi). Questo indirizzo produttivo viene attuato con criteri intensivi molto
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spinti, soprattutto nelle zone fertili della Pianura Padana, dove risulta
disponibile il mais che, nelle sue diverse forme, rappresenta la base alimentare
per questa categoria di animali. In questa realtà tuttavia, le ridotte disponibilità
di superficie agraria costringono alla realizzazione di strutture caratterizzate da
notevoli densità di bestiame (Figura 1).
Trascurando la stabulazione fissa a catena in quanto scarsamente
diffusa, i vari tipi di allevamento possono essere distinti, in base ai sistemi di
raccolta e di smaltimento delle deiezioni, in :
Allevamenti su grigliato, di gran lunga i più diffusi in Italia poiché
permettono uno smaltimento immediato delle deiezioni, una notevole
riduzione della manodopera e il mantenimento di una bassa superficie
disponibile per capo. In questo caso le stalle sono di tipo coperto, chiuse su
almeno tre lati e con il fronte mangiatoia rivolto verso una corsia di servizio
per il passaggio dei carri per la distribuzione della razione. Internamente sono
suddivise in più box (da 10-30 capi) con circa 2,5 m
2
di superficie per capo e
0,5 m di fronte mangiatoia. E’ da rilevare che quest’ultimo parametro, in caso
di distribuzione di una razione preparata con sistema unifeed, è nella pratica
ulteriormente ridotto poiché si pensa che non sia necessario che tutti gli
animali mangino contemporaneamente. Per la pavimentazione si possono
utilizzare travetti in cemento armato a sezione trapezoidale con la base
maggiore di 10-12 cm, rivolta verso l’alto, e quella minore di 8-10 cm posti a
3,5 cm di distanza l’uno dall’altro. Un’altra tipologia di pavimentazione
fessurata è costituita da lastre di cemento armato dotate di fori del diametro di
5-6 cm distanziati di 4-7 cm tra loro. Al di sotto di tali pavimentazioni
vengono realizzate vasche, normalmente profonde 2 m, per la raccolta dei
reflui oppure sistemi di convogliamento, come superfici inclinate o raschiatori,
per favorire l’afflusso delle deiezioni in grandi invasi. Inoltre è utile installare
una corsia di movimentazione per il bestiame, esterna alla stalla e comunicante
con ogni box.
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Allevamenti su lettiera permanente, dove il bestiame viene mantenuto
in stalle con tipologie costruttive molto simili a quelle descritte per il grigliato
con l'unica differenza che la pavimentazione è costituita da uno strato di
cemento continuo al di sopra del quale viene sparsa la paglia. Normalmente la
superficie da riservare per capo deve essere pari a 4-4,5 m
2
, ma per limitare il
consumo di paglia si può separare la zona di riposo (3-3,5 m
2
/capo) da quella
di alimentazione (2-3 m
2
/capo). Con questa soluzione la paglia viene utilizzata
solo nell'area di riposo, mentre nella zona di alimentazione si realizza un
pavimento fessurato o si asportano le deiezioni con un raschiatore. La paglia
va sparsa almeno tre volte la settimana e questa esigenza costituisce il limite
più rilevante di questo tipo di allevamento, sia per il costo del sottoprodotto
cerealicolo che per l'impiego di manodopera per la distribuzione.
Allevamenti su terra battuta o feed lots, sono largamente diffusi negli
Stati Uniti e sono costituiti da grandi recinti scoperti, allineati lungo una rete
stradale, con pavimentazione in terra battuta ed eventualmente una striscia di
cemento lungo la mangiatoia. In Italia non sembrano comunque esistere, come
non sembrano esistere i presupposti per una loro diffusione in quanto
richiedono ampie disponibilità di superficie e peggiorano l'indice di
conversione degli alimenti rispetto agli allevamenti controllati (Bittante e coll.,
1993)
1.1.3.3 Razze allevate in Italia
La maggiore fonte di ristalli nazionali è data da soggetti di razze da
latte e a duplice attitudine le quali sono molto più diffuse delle razze italiane
specializzate da carne (Chianina, Piemontese ecc.).
I vitelli di razza Frisona Italiana sono destinati quasi esclusivamente
alla produzione del vitello a carne bianca. Se ingrassati come vitelloni, infatti,
evidenziano una buona velocità di crescita ma una elevatissima ingestione
alimentare e quindi un pessimo indice di conversione e, alla macellazione,
presentano bassa resa, conformazione scadente, modesta incidenza dei tagli di
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prima qualità e mediocri parametri qualitativi delle carni. Solo i vitelli di razza
Frisona Polacca evidenziano prestazioni produttive più accettabili in virtù
della minore specializzazione lattifera di tale ceppo e vengono destinati alla
produzione del vitellone.
I vitelli di razza Bruna Italiana vengono avviati alla produzione del
vitellone in misura maggiore rispetto ai Frisoni dato che evidenziano migliori
indici di conversione degli alimenti.
I vitelli di razza Pezzata Rossa Italiana, derivata Simmental, vengono
invece destinati quasi esclusivamente alla produzione del vitellone (Grafico 2)
e garantiscono quindi un maggiore valore commerciale rispetto ai precedenti. I
soggetti pezzati rossi, sia di origine nazionale che estera, garantiscono infatti
buone prestazioni di allevamento e discrete caratteristiche delle carcasse e
delle carni. Le importazioni di questi vitelli sono piuttosto consistenti e
interessano ceppi particolarmente apprezzati, quali il bavarese, l’austriaco,
l’ungherese, lo slavo e il francese Pie Rouge de l’est.
Tra le razze italiane da carne la Piemontese è la più importante in
termini di consistenza e probabilmente anche di prospettive. Essa era
considerata una razza a duplice attitudine carne-latte, piuttosto precoce, che si
è progressivamente specializzata nella prima delle due attitudini, soprattutto
fissando il carattere delle “doppia coscia”. La Piemontese è caratterizzata da
una taglia medio-bassa, una velocità di crescita media, una capacità di
ingestione molto limitata e un ottimo indice di conversione. Alla macellazione
i soggetti Piemontesi evidenziano una elevatissima resa al macello e carcasse
di ottima conformazione, anche se qualche volta eccessivamente magre. Gli
aspetti qualitativi della carne sono molto apprezzabili.
La seconda razza italiana da carne per diffusione è la Marchigiana, la
quale era in origine una razza da lavoro che è stata progressivamente
selezionata come razza da carne. Presenta, rispetto alla Piemontese, taglia e
capacità di crescita superiori ma efficienza alimentare tendenzialmente
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inferiore con parametri qualitativi (resa, conformazione, ecc.) leggermente
meno favorevoli.
La terza per diffusione, ma forse la più famosa è la Chianina, anch’essa
originariamente da lavoro e poi specializzatasi nella produzione della carne. Il
suo elemento distintivo è essenzialmente il gigantismo che ne fa
probabilmente la razza bovina più grande al mondo. Proprio questa peculiarità
è però collegata ad alcune caratteristiche sfavorevoli quali la scarsa precocità e
la particolare conformazione. La prima caratteristica si manifesta in un
ritardato raggiungimento della maturità sessuale e anche nella necessità di
portare i suoi vitelloni a pesi vivi molto elevati. La seconda fa sì che
difficilmente le sue masse muscolari raggiungano quel rapporto tra spessore e
lunghezza che è richiesto per le carcasse giudicate di prima categoria secondo
la griglia EUROP. Nel complesso quindi i soggetti Chianini presentano un
rapidissimo accrescimento ma una lenta maturazione ed evidenziano discrete
caratteristiche qualitative post mortem. La Romagnola è la quarta razza
italiana da carne ed è forse quella, nel grande gruppo delle razze di origine
podolica, che presenta la migliore attitudine alla produzione della carne.
Anche in questo caso si tratta di una razza originariamente specializzata per il
lavoro. Essa è mediamente precoce, di grande taglia e presenta ottime
caratteristiche qualitative alla macellazione anche se con una pelle piuttosto
grossolana e una elevata incidenza delle ossa nella carcassa.
Allo stesso ceppo della Romagnola appartengono anche la Maremmana
e la Podolica, rustiche e adatte agli ambienti molto difficili.
Nel panorama nazionale dell’allevamento del bovino da carne le razze
italiane hanno ceduto il passo, negli ultimi decenni, alla rapida ed abbondante
diffusione delle razze da carne di origine francese, Limousine, Blonde
d’Aquitaine, Charolaise e i rispettivi incroci che presentano un’eccellente
velocità di crescita, un ottimo indice di conversione, una elevata resa al
macello e buona qualità della carcassa e delle carni. Esse sono peraltro
caratterizzate da scarsa rusticità e sono piuttosto suscettibili a malattie e