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nella regione di gola dell’effusore è responsabile della distribuzione asimmetrica della
pressione a parete, da cui dipendono i side loads.
Visto l’elevato rapporto di pressione tra il convergente e il divergente dell’ugello nel
momento in cui avviene la rottura del setto ed inizia l’analisi del transitorio di avvio del
flusso, quello che ci si aspetta è una rapida evoluzione del flusso ed un urto iniziale di
notevole intensità, quindi sollecitazioni intense nelle prime fasi dell’accensione.
Successivamente si andranno a confrontare le forze assiali e laterali che nascono durante lo
start-up nel vuoto, con quelle che si hanno al livello del mare (ottenute in un precedente
studio [38]). Ci si attende una notevole differenza tra i due casi, visto il rapporto di pressione
iniziale minore a terra rispetto al vuoto e la differente evoluzione del flusso.
In definitiva questo studio è così strutturato:
Parte I: studio teorico
• Capitolo 2: è riportata una descrizione del nuovo lanciatore europeo Vega, e del suo
terzo stadio a solido, Zefiro 9, di cui come detto si andranno a valutare le forze agenti
sull’ugello durante lo start-up.
• Capitolo 3: nella prima parte di questo capitolo sono descritte tutte le cause a cui sono
stati attribuiti negli anni i carichi laterali per endoreattori a propellente liquido e come
essi sono stati valutati; particolare rilevanza è data alla descrizione del modello di
Schmucker. Successivamente vengono descritte le origini dei side loads per
endoreattori a propellente solido; quindi viene presentato il modello, introdotto con
questo lavoro, per il calcolo di queste forze nei motori a solido, la cui idea di base,
che deriva dall’approccio proposto da Schmucker, è l’inclinazione della discontinuità
di contatto in seguito ad uno scollamento asimmetrico del setto.
Parte II: analisi numerica
• Capitolo 5: è riportato lo studio del funzionamento stazionario di Zefiro 9, con
diverse condizioni iniziali.
• Capitolo 6: in questo capitolo viene discusso il problema del tubo d’urto con alti
rapporti di pressione; successivamente, in base alle considerazioni che ne seguono, è
analizzato il transitorio d’accensione di Zefiro 9 nel vuoto.
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• Capitolo 7: sono presentati i risultati ottenuti sulle forze assiali e laterali agenti su
Zefiro 9 nella fase di accensione nel vuoto.
• Capitolo 8: vengono confrontati i risultati ottenuti in questo lavoro con quelli ottenuti
in un precedente studio sulle forze agenti su Zefiro 9 al livello del mare [38].
• Capitolo 9: sono esposte le conclusioni a cui si è giunti.
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PARTE I : studio teorico
2 Il lanciatore Vega
Vega (figura 2.0) [36] è un lanciatore a 4 stadi: i primi 3 alimentati a propellente solido e un
quarto stadio a propellente liquido che servirà nelle fasi terminali del lancio, per guidare i
satelliti verso l’orbita finale. Con i suoi 30 metri d’altezza e con un diametro di soli 3 metri,
rispetto ai 50 metri di altezza e 5.4 metri di diametro di un Ariane 5, Vega infatti, punta
molto sulla flessibilità, una caratteristica necessaria per conquistare il mercato dei lanci su
scala mondiale. È stato progettato per lanciare carichi utili che vanno da 300 a 2000 kg e che
possono essere distribuiti su un singolo satellite o addirittura in una configurazione che
prevede un satellite principale più cinque satelliti più piccoli. In questo modo l’ESA e
Arianespace prevedono di poter intercettare le richieste di lancio di micro- e mini-satelliti,
satelliti cioè che hanno una massa compresa fra i 200 e i 600 kg. A seconda della massa, i
satelliti potranno essere lanciati verso orbite basse (sui 400 km di quota), orbite eliosincrone
ma anche su traiettorie di fuga dal nostro pianeta, nel caso si tratti di sonde scientifiche
interplanetarie.
Figura 2.0 Lanciatore Vega
Oltre alla flessibilità, Vega ha un’altra caratteristica interessante per il mercato dei lanci: il
costo relativamente ridotto. Una azienda di telecomunicazioni o una istituzione scientifica
che voglia acquistare una opportunità di lancio con Vega dovrebbe infatti poter spendere
circa il 10% in meno che rivolgendosi a un altro operatore.
5
In effetti il programma è stato realizzato con una politica dei prezzi strategica, riuscendo a
contenere i costi dello sviluppo e della messa in opera. In concreto:
• per la base di lancio di Vega nello spazioporto di Kourou sono state ripristinate le
strutture che erano servite al lancio del primo Ariane 1, risparmiando sul costo di
nuove infrastrutture;
• viene utilizzata al massimo la tecnologia già sviluppata per l’Ariane 5;
• gran parte della ricerca tecnologica che si è resa necessaria per Vega sarà utilizzata
nelle prossime versioni dell’Ariane 5, che resta il più potente lanciatore europeo.
Al programma partecipano sette paesi membri dell’ESA, fra i quali l’Italia che dopo essere
stata la culla del progetto ne è anche il motore finanziario, avendo coperto circa il 65% dei
costi fino a oggi. La Francia, che dopo il nostro paese è il maggior contribuente, ha
partecipato con il 15% delle spese, mentre il rimanente proviene dalla partecipazione di
Belgio, Olanda, Spagna, Svezia e Svizzera.
In generale le ricadute per le industrie italiane sono notevoli, a partire dalla società per azioni
ELV, fondata nel 2000 dall’industria italiana Avio, che ne detiene ancora oggi il 70% e dalla
Agenzia Spaziale Italiana, che partecipa con il 30%. La ELV S.p.A è il responsabile
industriale per lo sviluppo dell’intero lanciatore: definizione delle caratteristiche tecniche,
progetto e lancio di qualifica. Anche la realizzazione del segmento di terra per il lancio di
Vega, a Kourou è stata assegnata al gruppo italiano Vitrociset, che ha oltre 60 insediamenti
permanenti in tutta Italia e 5 all’estero (Germania, Olanda, Belgio e nella Guyana Francese).
La sede di Kourou dell’azienda italiana già aveva acquisito per il periodo 2002-06 la gestione
tecnico-operativa della base di lancio dei vettori Ariane.
Oltre alla gestione e alla responsabilità del progetto, però, l’industria italiana è impegnata
anche nella costruzioni di molti elementi del lanciatore: Avio S.p.A., infatti, è il responsabile
industriale per lo sviluppo dei motori degli stadi principali di propulsione (P80, Zefiro 23 e
Zefiro 9).
Il primo stadio, il P80, è costituito da un motore a razzo e dal serbatoio che contiene 88
tonnellate di propellente solido (HTPB 1912), che garantiscono una spinta massima di 3040
kN mantenuta per 106.7 s. È stato costruito con tecnologie avanzate a basso costo, che
saranno riutilizzate per i boosters delle future versione dell’Ariane 5. Ha un altezza di 10.5
metri e un diametro di 3 metri.
Il secondo stadio, Zefiro 23, è derivato da un motore a propellente solido che era stato
sviluppato dalla Fiat-Avio, ora Avio S.p.A con un contratto dell’Agenzia Spaziale Italiana.
Utilizza lo stesso propellente del P80. Ha un’altezza di 7.5 metri e un diametro di 1.9 metri.
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Rimane acceso per 71.6 secondi nel corso dei quali brucia 23.9 tonnellate di propellente
solido fornendo una spinta di 1200 kN.
Il terzo stadio, Zefiro 9, ha un altezza di 3.85 metri e un diametro di 1.9 metri. Utilizza 10.1
tonnellate di propellente solido (HTPB 1912), ha un tempo di funzionamento di 117 secondi
e fornisce una spinta massima di 313 kN.
A questi si aggiunge un quarto segmento propulsivo AVUM, che si trova alla base
dell’alloggiamento del satellite, sulla sommità del terzo stadio. Alto 1.74 metri, con un
diametro di 1.9 metri è alimentato da 550 kg di propellente liquido e dà una spinta massima
di 2450 kN. È composto da un segmento avionico e un segmento propulsivo. Il primo è
utilizzato per il controllo di volo e per la gestione globale della missione, per la telemetria,
per la distribuzione dell’energia elettrica necessaria nelle varie fasi di ascesa. Ha funzioni di
controllo di volo a partire dal secondo stadio, fornisce la spinta per i cambiamenti di velocità
necessari alla circolarizzazione dell’orbita, fornisce il corretto puntamento del satellite e si fa
carico delle manovre di rilascio del satellite.
Nel complesso le innovazioni tecnologiche sono notevoli, a partire dal propellente usato. Il
propellente solido è infatti una miscela composita di combustibile e di un particolato
ossidante, tenuti insieme da un collante, di solito una gomma sintetica; in Vega il propellente
contiene meno collante e una percentuale maggiore di alluminio, che aumenta l’impulso
specifico del propellente e stabilizza la combustione. Ma anche l’architettura stessa
dell’ugello da cui il propellente fuoriesce è stata semplificata utilizzando materiale in fibra di
carbonio leggero e di costi contenuti.
Nello specifico di questo lavoro si andranno a valutare le forze agenti durante il transitorio
d’accensione di Zefiro 9; per questo nel paragrafo successivo è riportata una descrizione più
dettagliata del terzo stadio di Vega.
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2.1 Zefiro 9
Zefiro 9 (figura 2.1), con un altezza complessiva di 3.8 m. e un diametro di 1.92 m., contiene
10 t. di propellente e fornisce una spinta massima di 305 kN. Nei recenti test a terra l’ugello è
stato configurato per essere adattato alla pressione ambiente, riducendo il rapporto
d’espansione da 56 a 16, dunque abbassando a 280 kN la spinta massima.
Figura 2.1 Zefiro 9
La tecnologia usata su questo tipo di motore, così come quella del secondo stadio Zefiro 23, è
simile a quella di Zefiro 16, ma ulteriori innovazioni sono state portate quali l’uso del
propellente HTPB 1912 e dei nuovi ignitori che, ad avvenuta accensione, si consumano e si
decompongono per pirolisi.
L’accensione di Zefiro 9 è prevista 239 secondi dopo il lancio ad una quota di 140 km: la
durata della sua vita operativa è di 117 secondi, duranti i quali porta il lanciatore alla velocità
di 7.8 km/s. Il case in composito di questo terzo stadio pesa 1 t. e trasporta 10 t. di
propellente: tutto è stato progettato in modo tale da ridurre al minimo la massa inerte della
struttura. Inoltre l’ugello, di forma parabolica contornata, è dotato di un sistema di attuatori
elettromeccanici (thrust vector control system – TVC) per direzionare la spinta e contrastare
le forze interne laterali che agiscono su di esso. Lo studio condotto in questo lavoro sulla
valutazione di tali forze, può essere utile poi per il dimensionamento di questi attuatori.
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3 Origine dei carichi laterali e metodi di calcolo
3.0 Introduzione
Il problema dei carichi laterali (side loads) agenti sull’ugello, ha da sempre assunto
particolare rilevanza nella progettazione degli endoreattori, sia a propellente solido che a
propellente liquido.
Queste sollecitazioni agiscono sulle pareti dell’effusore e variano la direzione della risultante
della spinta, che non è più quella desiderata (di solito coincidente con l’asse di simmetria),
proprio per la presenza di componenti dirette in direzione trasversale all’asse: valori pari fino
al 20% della spinta utile sono stati rilevati durante i programmi di sviluppo di vari motori, a
partire dal I stadio del Titan III e dal II e III stadio del Saturn V, fino agli endoreattori
utilizzati dagli attuali lanciatori quali lo Space Shuttle Main Engine (SSME) e del Vulcain
presente nell’Ariane 5; oltre ad non contribuire alla spinta, queste forze agendo sulle pareti
dell’effusore causano danni non trascurabili: infatti negli anni si sono verificati
danneggiamenti della struttura dell’ugello, e in alcuni casi la sua rottura. Dunque sono
fenomeni indesiderati che diminuiscono le prestazioni dell’endoreattore e che pongono limiti
strutturali e propulsivi durante la fase di progettazione dello stesso.
Si è visto che i side loads si manifestano principalmente durante i transitori d’accensione e di
spegnimento e durante condizioni operative di sovraespansione nella fase di ascesa da terra di
un motore il cui ugello è progettato per funzionare in quota: sono causati da asimmetrie del
flusso all’interno dell’ugello e dipendono dalla spinta esercitata dal motore stesso, dal
contorno dell’ugello e dal gas espulso, oltre che dalla pressione agente in camera di
combustione e dalla quella dell’ambiente esterno; dunque si può ben capire come queste
forze laterali risultino molto instabili, sia per ciò che riguarda l’intensità, sia per quanto
concerne il punto di applicazione della risultante; si tratta per cui di un fenomeno
tridimensionale e altamente non stazionario.
La maggior parte degli studi condotti finora sui side loads ha riguardato endoreattori a
propellente liquido: questi motori, per la loro la possibilità di riaccensione e di variazione
della spinta, sono caratterizzati infatti da transitori di durata maggiore che comportano la
presenza di sollecitazioni più intense e più durature rispetto agli endoreattori a propellente
solido che, per le loro caratteristiche di progetto e di funzionamento e per la loro geometria
più semplice, sono caratterizzati da transitori molto rapidi.
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Questi carichi laterali [9-12-26-31-32] sono stati osservati, oltre che in simulazioni
numeriche [33], sia nei test con ugelli in scala [25-34] che in quelli di dimensioni reali [35],
durante lo start-up e lo shut-down del motore, oltre che durante il funzionamento
sovraespanso con flusso separato all’interno dell’ugello propulsivo.
Il primo importante studio fu condotto da Nave e Coffey [3] negli anni ’70 su test eseguiti sul
J-2S, ma tuttora il fenomeno rimane in gran parte non spiegato.
Negli anni sono stati trovati diverse possibili origini, e differenti metodi di calcolo dei side
loads, anche se tutti sostanzialmente attribuiscono ad una asimmetria dell’evoluzione della
pressione agente sull’ugello la causa di queste forze; i carichi laterali sono stati attribuiti a:
• transizione della struttura di separazione da FSS a RSS, e viceversa.
• fluttuazione dei valori di pressione nella zona di separazione e di ricircolazione;
• accoppiamento aeroelastico;
• asimmetria della linea di separazione.
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3.1 Origine dei carichi laterali per endoreattori a propellente liquido
3.1.1 Transizione della struttura di separazione da FSS a RSS, e viceversa
Per ugelli sovrespansi, Nave e Coffey [3], poi successivamente avvalorati da ricerche e
analisi numeriche [4], hanno evidenziato come possano esserci all’interno di un ugello
propulsivo due diversi tipi di separazione del flusso dalla parete: la separazione libera (FSS =
free shock separation), e la separazione limitata (RSS = restricted shock separation).
E’ opportuno introdurre la differenza tra queste tipologie di separazione prima di spiegare
perché la transizione tra di esse è origine di carichi laterali.
• Free shock separation (FSS)
Nelle condizioni di free shock separation [5], il getto sovraespanso è totalmente separato
dalla parete soltanto al di sopra di un certo valore del rapporto PR (definito come il rapporto
tra la pressione in camera di combustione Pc e la pressione ambiente Pa): c’è dunque distacco
del fluido con conseguente formazione di un urto obliquo e di una zona di ricircolo di origine
viscosa subito a valle del punto di separazione s, che “spinge” il getto lontano dalla parete
verso l’interno dell’ugello.
Figura 3.0 Andamento della pressione a parete per FSS
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Come si vede dalla figura 3.0, il flusso supersonico nella sezione divergente si espande e
accelera, per cui la pressione, dal valore massimo assunto in gola, diminuisce fino ad un
valore minimo psep, detto pressione di separazione incipiente: infatti nel punto corrispondente
a psep, ha inizio la deflessione dello strato limite, che si distacca soltanto quando la tensione a
parete τw si annulla.
Quindi si ha un repentino aumento della pressione da psep a pp (di plateau), di poco inferiore
alla pressione ambiente pa, proprio a causa dell’urto obliquo che nasce dalla coalescenza delle
onde di compressione nate dalla deflessione del boundary layer. Un altro contributo è dato
dalla parte subsonica di quest’ultimo, che risente del comportamento dell’ambiente esterno.
Nella zona di ricircolazione che nasce subito a valle della separazione, la pressione
lievemente cresce da pp a pw,e. Questo graduale aumento è spiegato con l’ingresso dell’aria
esterna, con pressione pa maggiore, all’interno dell’ugello.
L’accelerazione di quest’aria esterna verso monte, prima che avvenga il mescolamento con il
gas d’efflusso nello strato limite turbolento, causa una diminuzione della pressione statica ed
un aumento della pressione dinamica; quindi considerando la direzione del flusso principale
si ha l’aumento graduale visto [30].
Il punto di separazione si muove verso valle al crescere del rapporto PR = pc/pa: molti studi,
che hanno portato a una serie di modelli empirici e semi-empirici [13-14-15-18-20-21-22-23-
24], sono stati condotti negli anni per predire la sua posizione. E’ stato visto comunque che la
sua posizione dipende dal rateo di separazione psep/pa, il quale include sia la separazione che
la ricircolazione. Questo rateo decresce durante lo start-up dell’ugello, ma vi è però una
deviazione dal normale comportamento non appena il punto di separazione raggiunge
l’uscita: nel punto in cui il rapporto d’area locale raggiunge l’80% del valore finale, il rateo
di separazione inverte il trend e aumenta così come pc/pa per cui, anche se il punto p
raggiunge l’uscita, all’aumentare di pc/pa il flusso può rimanere attaccato nonostante
l’aumento di pressione visto [30].
• Restricted shock separation (RSS)
E’ una tipologia differente di separazione che si verifica solo in condizioni di forte
sovraespansione e per valori elevati di PR.
Osservata per la prima volta negli anni 70’ durante test effettuati con gas freddo su un
modello in scala del motore J-2S [3], è caratterizzata da una limitata zona di separazione e da
un andamento irregolare della pressione a valle del punto di separazione, che può raggiungere
anche valori superiori a quelli della pressione ambiente.
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Attraverso urti ed espansioni che hanno luogo lungo la parete dell’ugello, infatti si ha il
riattaccamento del flusso a parete, e dunque valori di pressioni maggiori di quella ambiente .
Studi numerici condotti da Chen [6], oltre a confermare il riattacco del flusso, hanno
evidenziato anche la presenza di un vortice intrappolato dietro l’urto normale centrale, nato
dalla riflessione di Mach (figura 3.1) dell’urto obliquo di separazione [1], senza tuttavia
spiegarne l’origine.
Figura 3.1 Riflessione di Mach
Solo successivamente una spiegazione sulla formazione del vortice centrale è stata data dagli
studi condotti da Nasuti e Onofri [7-8], confermati poi da dimostrazioni sperimentali [10]: la
formazione di tale vortice è attribuibile principalmente, attraverso un meccanismo non
viscoso, al gradiente di pressione presente dietro l’urto di ricompressione, causato dalla
presenza di flusso non uniforme a valle dell’urto interno.
Infatti questo urto, che nasce dalle onde di compressione generate dalla curvatura del profilo
degli ugelli di tipo TOC (thrust optimized contoured) e TOP (ugello parabolico), interagisce
con il disco di Mach prima formatosi, incrementando in tal modo i gradienti di entropia e
velocità in direzione radiale e quindi la vorticità nella zona subsonica a valle dell’urto
centrale: ha origine così ad un urto con struttura detta a cappello (cap-like shock, figura 3.2)
[10], caratterizzato da un vortice intrappolato dietro l’urto normale.
Figura 3.2 Cap-like shock
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C’è da dire che mentre negli ugelli ideali troncati non vi è affatto urto interno (figure 3.2,
3.3), nei conici è presente, ma esso si riflette senza interferire con l’urto normale centrale
nato dalla riflessione alla Mach; per cui per entrambi questi casi non è possibile che si
realizzi una struttura di tipo RSS.
Dunque a causa del flusso a monte, l’intensità dell’urto di ricompressione non è costante: per
cui vi è un flusso rotazionale a valle, con un proprio gradiente di velocità e entropia, che
diventa maggiore all’aumentare della non uniformità del flusso a monte.
Il vortice ostruisce il flusso d’uscita dell’ugello, deviandolo verso la parete: si genera dunque
un flusso in direzione radiale che tende a riattaccare la regione separata a parate, causando
cioè un passaggio da FSS a RSS.
Figura 3.3 Andamento della pressione a parete per RSS
Il riattaccamento del flusso a parete (figura 3.3) è possibile grazie ad una serie di urti, onde di
espansione e ricompressione che nascono dallo strato limite: questi si riflettono, cambiando
la propria natura, sulla discontinuità di contatto (shear layer) che circonda la zona di ricircolo
non viscosa all’interno dell’ugello, e quindi interagiscono tra loro, riflettendosi di nuovo,
provocando così picchi di pressione a parete maggiori di quella dell’ambiente esterno. Questi
picchi sono dovuti alle onde di compressione a valle della bolla di ricircolo nate dal
riattaccamento del flusso a parete e dall’urto che nasce in seguito alla riflessione sullo strato
limite dell’onda di espansione proveniente dal punto triplo del disco di Mach.