Capitolo 1
I Fenomeni Franosi
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Sebbene in generale, la maggior parte dei fenomeni franosi che si attivano,
sono eventi di riattivazione di movimenti gravitativi pregressi, che
coinvolgono, dunque, aree già precedentemente identificate come “instabili”
sulla base di semplici considerazioni “storiche”, una tipologia di frane che
assume un’importanza centrale nella valutazione della pericolosità e del
rischio associato, è costituita dagli eventi di neo-attivazione. Questi risultano
particolarmente pericolosi, proprio a causa dell’impossibilità di ricorrere a
semplici considerazioni storiche per la previsione sia del “dove” che del
“quando”. Un esempio tragicamente noto, in questo senso, è stato quello
costituito dai fenomeni di debris flow che hanno investito l’area del Sarno nel
maggio 1998. Proprio a seguito di questo evento, che ha provocato 140
vittime, gli organi istituzionali, hanno affrontato per la prima volta il tema del
rischio idrogeologico, inteso come impatto di pericolosità geologiche (frane
ed alluvioni) sull’assetto socio-economico del territorio (D.L. 180/98 e della
Legge 267/98).
Da un punto di vista legislativo, i concetti di previsione e prevenzione dai
rischi naturali, sono stati introdotti in Italia con l’istituzione del Servizio
Nazionale della Protezione Civile (Legge 24/2/1992 n. 225) il quale assolve
principalmente la funzione di tutelare l’incolumità dei cittadini, i beni, gli
insediamenti e l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da
calamità naturali, attraverso attività di previsione, prevenzione, soccorso e
superamento delle emergenze. La Legge 183/89 “ Norme per il riassetto
organizzativo e funzionale della difesa del suolo” ha introdotto l’obbligo di
una sistematica valutazione preliminare del rischio naturale a fini
essenzialmente di pianificazione. Tale legge ripartisce il territorio nazionale in
bacini idrografici, di rilievo nazionale, interregionale e regionale, con
l’istituzione di un’Autorità di Bacino a cui competono, di concerto con le
Regioni interessate, la conservazione, la difesa e la valorizzazione del
territorio, ed indica nel Piano di Bacino lo strumento fondamentale della
conoscenza, pianificazione e programmazione degli interventi. In questo
contesto sono state messe a punto delle metodologie e degli approcci
finalizzati al riconoscimento delle condizioni di pericolosità da frana, che
hanno dunque consentito la elaborazione di cartografie del rischio.
L’obiettivo di questa tesi è quello di identificare ed analizzare i fattori che
concorrono dal punto di vista sia qualitativo che quantitativo, alla
Capitolo 1
I Fenomeni Franosi
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determinazione delle condizioni di stabilità dei versanti, al fine di produrre
delle carte di pericolosità da frana. Tali carte verranno poi confrontate con
quelle prodotte nell’ambito dei Piani di Bacino, procedendo anche ad un
confronto tra le metodologie adottate ed individuando quindi gli elementi di
criticità connessi con quest’ultime.
L’area individuata per l’applicazione sperimentale è quella del bacino del
Torrente Tumarrano, affluente del Fiume Platani.
La metodologia di indagine utilizzata, che sarà di seguito più puntualmente
descritta, prevede una serie di fasi successive così riassunte:
9 Ricerca bibliografica delle informazioni pubblicate e disponibili nei
diversi supporti possibili;
9 Acquisizione e rielaborazione delle cartografie del rischio disponibili
(P.A.I.);
9 Rilievo di campagna delle diverse condizioni geolitologiche e degli
elementi geomorfologici (forme) indicatori di instabilità gravitativa
(analisi di foto aeree e di foto ed immagini satellitari);
9 Impiego di software Gis per la digitalizzazione dei dati ottenute e la
loro successiva elaborazione;
9 Analisi dei dati con metodo statistico-multivariato e interpolazione con i
dati precedentemente censiti;
9 Elaborazione di carte della pericolosità da frana e loro confronto con le
analoghe cartografie acquisite presso l’A.R.T.A.
Capitolo 1
I Fenomeni Franosi
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Capitolo I
I FENOMENI FRANOSI
1.1. I Fenomeni Franosi
Le frane sono diffusamente presenti a scala globale e coinvolgono
intensamente l’intero territorio nazionale, con oltre 460.000 frane catalogate
nel Progetto IFFI, con i relativi danni sia per il patrimonio che per la pubblica
incolumità.
A tal proposito risulta fondamentale cartografare i fenomeni franosi presenti
sul territorio, con l’intenzione di riconoscere e mettere in evidenza, ove
possibile, il ruolo dei fattori che intervengono nell’innesco e nell’evoluzione
dei dissesti, determinando variazioni significative delle condizioni di equilibrio
di un versante.
Nonostante la definizione apparentemente semplice, i movimenti franosi
sono fenomeni molto complessi, la cui classificazione risulta spesso incerta.
Il sistema di classificazione più frequentemente adottato è quello proposto da
Varnes nel 1978 ma, per completezza di analisi, saranno riportate anche
altre classificazioni meno diffuse, basate su parametri differenti.
In seguito per “frana” o “movimento franoso” si intenderà un movimento di
una massa di roccia, terra o detrito lungo un versante.
Definizione
I movimenti franosi sono dei fenomeni di massa coinvolgenti rocce, detriti o
terre, attraverso i quali si manifesta tendenza, da parte di un corpo, al
raggiungimento di un minimo di energia potenziale
, (
Varnes D.J., 1978).
Il distacco e il movimento dei volumi di roccia coinvolti, è sostenuto da un
unico campo di forze: il campo di attrazione gravitazionale. Agli sforzi
gravitativi, le rocce oppongono in generale una resistenza, che prende il
nome di resistenza al taglio. Questa è determinata dalle forze di attrito
meccanico che si ingenerano lungo i piani di rottura e scorrimento, che
Capitolo 1
I Fenomeni Franosi
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possono essere espresse in termini di coefficiente di attrito interno, e dalle
forze di legame tra gli elementi costituenti le rocce, in dipendenza di legami
elettrostatici o cementazione di grani e matrice, che esprimono una proprietà
meccanica, che in misura fortemente variabile, tutte le rocce possiedono: la
coesione.
L’attrito è la resistenza che un oggetto (un piccolo ciottolo, un grande masso,
una casa, una porzione di una montagna) oppone al richiamo della gravità,
che tenderebbe a trascinarlo il più in basso possibile, mentre la coesione è la
forza che “tiene insieme” le particelle (cristalli, granuli, mattoni, strati di
roccia) che costituiscono un oggetto o un materiale. Gli oggetti “geologici”
(masse di terra, strati di rocce, versanti e pareti di montagne) si trovano
quindi in una situazione di delicato equilibrio tra queste forze: quando la
gravità diviene prevalente sulle altre due, allora l’oggetto, o la massa
rocciosa, si muove verso il basso. Moltissimi sono, però, i fattori che possono
intervenire, in modo naturale o per causa dell’uomo, a turbare questo
delicato e instabile equilibrio, venendo a variare l’attrito o la coesione del
materiale, o intervenendo sulla gravità, con variazioni di peso del materiale. Il
tipo di movimento, il volume del materiale, la velocità del movimento e gli
eventuali segni premonitori dipendono proprio da questi fattori.
Per ogni piano ipotetico di rottura, è possibile definire sforzi agenti, che
tendono a deformare le rocce e sforzi resistenti che a questa deformazione,
si oppongono. Il rapporto tra questi ultimi ed i primi, esprime il cosiddetto
coefficiente di sicurezza che, con valore unitario, identifica le condizioni di
equilibrio statico limite del versante. Per valutare le condizioni di equilibrio
lungo una ipotetica superficie di rottura è dunque necessario caratterizzare le
proprietà meccaniche dei volumi di roccia coinvolti. Le prove geotecniche di
laboratorio consentono di valutare i valori di coesione ed angolo di attrito di
taglio di campioni indisturbati, prelevati sui versanti in studio.
Tuttavia, le condizioni di equilibrio dipendono fortemente dalla presenza della
fase acquosa all’interno del sottosuolo. Infatti, questa incrementa il peso dei
volumi di roccia, diminuisce il valore di coesione e di angolo di attrito di taglio
di alcune rocce e, soprattutto, altera le condizioni di sforzo sui piani di
scorrimento. In accordo con il principio delle tensioni effettive, qualsiasi
incremento di pressione neutra nel sottosuolo, provoca una corrispondente
diminuzione della tensione normale e, dunque, della resistenza al taglio. Per
Capitolo 1
I Fenomeni Franosi
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questa ragione le prove geotecniche di laboratorio vengono realizzate sotto
diverse condizioni di pressione neutra.
Per questo risulta difficile classificare i vari tipi di frane possibili e ancor più
difficile tentare di prevederli o di arginarli. Su molti di questi fattori l’uomo non
ha alcun controllo, ma alcuni dipendono strettamente dalle attività umane, ed
è proprio su questi che possiamo intervenire per ridurre i rischi di eventi
franosi e limitare i danni.
Come operazione preliminare, diviene necessario, adottare una terminologia
chiara ed univoca sui movimenti franosi. A tale proposito si ricorda che in
seguito alla designazione dell’ultimo decennio del XX secolo, quale
“Decennio Internazionale per la Riduzione dei Disastri Naturali”, dall’UNDRO-
UNESCO
fu costituita un’apposita Commissione per il censimento mondiale
dei fenomeni franosi (WP/WLI, Working Party on Word Landslide Inventory),
che ha dato un rilevante contributo per l’unificazione dei termini.
Il WP/WLI ha come obiettivo la creazione di una banca dati mondiale, che
costituisce la base di riferimento per l’analisi di distribuzione delle frane e la
preparazione di metodi per la descrizione e per la caratterizzazione delle
stesse. Esso è articolato in diversi gruppi di lavoro per proporre diversi
metodi di classificazione dei diversi e numerosi aspetti dei movimenti franosi,
ed ha rilasciato una terminologia specifica su morfologia, cinematica del
movimento, velocità, cause, condizioni geologiche, di cui esiste una
traduzione in lingua italiana (Canuti ed Esu, Glossario Internazionale per le
frane”. Riv. It. Geot., anno 29, n. 2, 1995).
L’insieme delle definizioni proposte a livello internazionale, sono state
adottate a livello nazionale anche dal progetto AVI (censimento delle aree
storicamente vulnerate da calamità geologiche “frane” ed idrauliche “piene”)
ed il recente progetto IFFI (Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia), che
porta tra gli obiettivi quello di fornire un quadro certo ed aggiornato dei
fenomeni di dissesto gravitativo sull’intero territorio nazionale, utilizzando i
dati disponibili e provvedendo ad una integrazione nelle aree scarsamente
indagate.
Il progetto IFFI a cura dell’ex Servizio Geologico Nazionale, delle Regioni, del
CNR( Consiglio Nazionale delle Ricerche) e delle Amministrazioni
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I Fenomeni Franosi
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interessate è stato presentato nella Regione Lazio il 20 Gennaio 2005 a
Roma.
1.2. CLASSIFICAZIONE DEI FENOMENI FRANOSI
Nella classificazione degli eventi franosi ha un ruolo primario il tipo di
materiale coinvolto, che viene classificato tenendo conto dello stato
precedente al movimento iniziale oppure, nel caso in cui il materiale cambia
stato durante il movimento stesso, prima del momento in cui avviene detto
cambiamento, a questo proposito si distinguono tre tipologie di materiale
principali: Roccia, Terra e Detrito che sono la traduzione dei termini inglesi di
Rock, Soil e Debris definiti in EPOCH (1991-93)
Roccia: un aggregato naturale di granuli o minerali legati da elevata
coesione (cementati), che non viene perduta anche dopo essiccamento o
prolungata immersione. In genere le rocce sono interessate da piani di
discontinuità che influenzano profondamente il comportamento meccanico
dell’intero ammasso roccioso (es. calcari, graniti, arenarie, coltri detritiche
diagenizzate, travertini ecc.).
Terra: è un mezzo granulare multifase, in quanto costituito da grani di
minerali in contatto tra di loro; negli interstizi (pori) presenti tra i grani, può
essere presente sia acqua che aria. Qualora, all’interno dei vuoti, sia
presente solamente acqua il corpo è saturo, nel caso contrario siamo nella
condizione di terreno asciutto.
Detrito: anche questo è un aggregato naturale di grani minerali e può
presentare diversi gradi di cementazione tra gli elementi della matrice; può
essere costituito da materiale prevalentemente grossolano (debris), in cui si
hanno numerosi granuli (20-30%) con dimensioni maggiori dei 2 mm, oppure
può essere costituito da materiale in prevalenza fine (earth), in cui si hanno
circa il 70-80% delle particelle di dimensioni minori dei 2 mm.
Secondo l’approccio seguito dal progetto EPOCH (1991-93), si effettua la
classificazione dei movimenti franosi in base al tipo di movimento della
massa spostata ed al tipo di materiale interessato.
Capitolo 1
I Fenomeni Franosi
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Si individuano quindi, delle superfici di distacco, che possono presentare un
andamento diverso, lungo le quali si è raggiunto il limite della resistenza a
taglio esplicabile dal materiale in sito.
La classificazione dei movimenti di massa usata in questo lavoro è quella
proposta da EPOCH nel 1993, la quale prevede 6 classi di movimento:
1. Crollo
2. Ribaltamento
3. Scivolamenti
4. Espansioni laterali
5. Colamenti
6. Complessi
I movimenti tipo scivolamento possono essere ulteriormente divisi in:
3.a – Scivolamento Rotazionale
3.b – Scivolamento Traslazionale
Quest’ultimo può essere ulteriormente diviso in Scivolamento Traslazionale
non Rotazionale e in Scivolamento Traslazionale Planare.
Successivamente sono state introdotte ulteriori classi a partire da quelle già
elencate o si sono effettuate piccole variazioni con l’intento di catalogare ed
identificare, in maniera univoca, tutti i possibili dissesti franosi sul territorio.
Tabella 1. Classificazione dei movimenti franosi (EPOCH, 1993)
Tipo di movimento
Tipo di Materiale
ROCCIA DETRITO TERRA
Bedrock Debris Earth
Crolli (Falls) rockfall debris fall soil fall
Ribaltamenti (Topples) rock topple debris topple soil topple
Scivolamenti
(Slides)
Rotazionale
Rock Slump Debris Slump Soil Slump
(Rotazional)
Translazionale non rotazionale
block slide block slide slab slide
(Translational) planare
rock slide debris slide mud slide
Espansioni (o Espandimenti) Laterali
rock spreading debris spreading
Soil (debris)
(Lateral spreading) Spreading
Colamenti Rock flow
debris flow soil flow
(Flow) Sackung
Complesse rock flow
slump-earthflow
(Complex) avalanche slide
Capitolo 1
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1.2.1 DESCRIZIONE DEI MOVIMENTI FRANOSI
Crolli (Falls):
Sono dei fenomeni che iniziano con il distacco di roccia da un pendio acclive,
lungo una superficie avente resistenza a taglio limitata o nulla (fig 1.1).
Generalmente si verificano in versanti interessati da discontinuità strutturali
preesistenti (faglie e piani di stratificazione) o di neoformazione e sono
caratterizzati da velocità abbastanza alte e scarsi segni premonitori; infatti,
sono osservabili solo cedimenti nelle
zone laterali dell’ammasso e piccole
fessure superficiali.
Cause innescanti per questo tipo di
movimento sono tutti i meccanismi in
grado di determinare la rottura dei
contatti residui presenti su un sistema
di piani debolezza strutturale,
favorevolmente orientati quali: cicli di
gelo e disgelo, scalzamento alla base del versante ad opera di alvei fluviali,
azione sismica, pressione dell’acqua presente tra le discontinuità, azione
degli apparati radicali della vegetazione, etc..
I fenomeni di tipo crollo sono tipici delle rocce lapidee in cui si sviluppa un
sistema di superfici di rottura piane o leggermente curve; il materiale si
muove generalmente per caduta libera nell’aria e con successivi rimbalzi e/o
rotolamenti fino ad azzerare la propria energia cinetica proporzionale alla sua
massa e al quadrato della velocità raggiunta.
Nello studio dei fronti di crollo, importante è riuscire ad identificare le possibili
aree di distacco definendo le eventuali dimensioni e la relativa forma dei
massi instabili ed ipotizzando l’eventuale tragitto del masso lungo il versante.
La definizione dei possibili percorsi consente di individuare i beni esposti al
rischio ed eventualmente organizzare dei sistemi di difesa passiva a loro
protezione
Fig.1.1
Movimento
franoso tipo
crollo
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Ribaltamenti (Topple o Toppling):
Sono dei fenomeni simili ai crolli e, generalmente, si verificano in versanti
interessati da discontinuità strutturali preesistenti (fig. 1.2). Tali fenomeni
consistono in rotazioni in avanti, attorno ad un fulcro, un punto o un asse
situato al di sotto del centro di gravità della massa spostata, con un
ribaltamento verso l’esterno del versante della massa rocciosa.
Sono spesso associati a crolli, scorrimenti e frammentazioni delle masse
coinvolte. Cause innescanti sono anche
in questo caso i cicli di gelo e disgelo, lo
scalzamento alla base ad opera di alvei
fluviali, l’azione sismica, l’incremento
della pressione dell’acqua presente tra
le discontinuità. Le fratture presenti
(faglie e piani di stratificazione) nelle
zone superiori possono essere aperte
oppure riempite da detrito o altro materiale.
Le frane per ribaltamento si verificano generalmente nelle zone dove le
superfici di strato presentano giaciture subverticali (fig 1.3) e/o lungo le
sponde dei corsi d’acqua per scalzamento al piede (fig 1.4).
Fig.1.2
Movimento
franoso tipo
ribaltamento
Fig.1.3 – Fenomeno franoso tipo ribaltamento su superfici sub-verticali
Fig.1.4 – Fenomeno franoso tipo ribaltamento dovuto allo scalzamento fluviale al piede