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1.1 TELOMERI E TELOMERASI
1.1.1 Struttura e funzionamento
La replicazione delle estremità del DNA è un fenomeno complesso. È noto,
infatti, che la DNA polimerasi sintetizza il DNA in direzione 5’ ο3’ e che, se
mentre sul filamento guida, la sintesi procede in modo continuo, sulla catena
complementare, chiamata “filamento lento”, vengono invece prodotti dei
frammenti discontinui, partendo da inneschi a RNA, sintetizzati dall’enzima
primasi. Alla punta estrema di una molecola lineare di DNA non c’è posto per
formare l’innesco a RNA e dare così inizio alla sintesi del doppio filamento, per
cui parte del DNA terminale va perduto ad ogni replicazione. Quindi, in
mancanza di un meccanismo specifico, le estremità del DNA si accorciano
progressivamente durante i vari cicli di replicazione. In ogni caso non vengono
persi geni codificanti per proteine, vitali per l’esistenza degli organismi, ma parti
di sequenze non codificanti ricche di guanina (G) e timina (T), chiamate
telomeri.
Tali sequenze si presentano per lo più a doppio filamento, anche se terminano
con 30-200 nucleotidi a singolo filamento situati all’estremo -3’ in cui
predominano G e T. Questa estremità costituisce un lembo sporgente detto
ovrehang. Questo estremo sporgente può organizzarsi in una struttura
secondaria, in seguito ad appaiamenti “non Watson e Crick” tra i residui di
guanina: quello che si viene a formare è una sorta di ansa detta T-loop.
I telomeri sono presenti in quasi tutti gli organismi viventi, dai ciliati ai
mammiferi, e differiscono per la sequenza ripetuta. Nell’uomo la sequenza
ripetuta è (TTAGGG)
n
e raggiunge una lunghezza variabile di 3-12 kb (Cerni,
2000). Si pensa che i telomeri siano essenziali per stabilità funzionale e
biochimica dei cromosomi. I cromosomi privi di telomeri sono, infatti, molto
suscettibili all’azione enzimatica ed interagiscono chimicamente in modo rapido
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con altre strutture cellulari, tra cui i cromosomi stessi. I cromosomi, in tali
condizioni, si fondono in strutture multiple che non possono essere distribuite
correttamente dal fuso mitotico.
Ad ogni ciclo di replicazione, delle unità telomeriche vengono perse e, in
assenza di un meccanismo di ripristino, la cellula va incontro ad un arresto
proliferativo irreversibile, che viene definito stato di senescenza.
Questa perdita può essere contrastata dall’enzima telomerasi.
La telomerasi è il complesso enzimatico che ha il compito di allungare i telomeri
ed essa contrasta, in parte, la normale perdita durante la replicazione. Si tratta di
una ribonucleoproteina costituita da una componente ad RNA (human
telomerase RNA, hTR) e da un complesso multiproteico, che funziona
nell’insieme come una trascrittasi inversa. Il componente principale di questo
aggregato è l’hTERT (human telomerase reverse transcriptase) (Beattie et al.,
2001; Wenz et al., 2001). La componente a RNA di questo enzima funge da
stampo per la polimerizzazione di nuove sequenze telomeriche, che avviene
grazie all’azione trascrittasica inversa dell’hTERT.
La telomerasi, nel suo complesso, è capace di allungare le estremità del
filamento di DNA, attraverso un meccanismo ciclico di trascrizione inversa.
Il meccanismo di allungamento dei telomeri prevede una fase di sintesi e una di
traslocazione. Nella prima fase la telomerasi si appaia, con il proprio RNA,
all’estremità 3’ del filamento sporgente del cromosoma. La regione a RNA della
telomerasi può essere divisa in due parti funzionali, una è responsabile per
l’allineamento con gli ultimi 3-5 nucleotidi del filamento di DNA telomerico da
allungare, l’altra serve da stampo per la sintesi di una nuova unità telomerica.
Durante la fase successiva di traslocazione, l’ibrido RNA-DNA neosintetizzato
si denatura, probabilmente i filamenti scivolano l’uno sull’altro in modo tale
che, nuovamente, l’RNA della telomerasi, si appaia con gli ultimi 3-5 nucleotidi
del filamento di DNA da allungare.
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Ripetuti cicli di allungamento e traslocazione portano all’aggiunta di un numero
corrispondente di unità telomeriche.
Figura 1: schema di funzionamento della telomerasi.
In condizioni normali la telomerasi è presente e attiva soltanto nelle cellule
germinali (spermatozoi, cellule uovo e loro cellule progenitrici) e durante lo
sviluppo embrionale, garantendo così la completezza dei telomeri al momento
della nascita.
Nel corso della vita la telomerasi scompare in quasi tutte le cellule somatiche e
pertanto viene a determinarsi un accorciamento progressivo dei telomeri in
rapporto al numero delle replicazioni cellulari nel frattempo intervenute. La
regressione telomerica va a coincidere, nell’ultima fase, con il fenomeno
dell’invecchiamento cellulare (senescenza replicativa). Pertanto, dopo un
numero calcolabile di duplicazioni (50-70 nelle cellule umane), al di sopra di
una certa soglia critica di riduzione della lunghezza telomerica, la crescita
cellulare si blocca, per passare da una fase di senescenza ad una fase di crisi,
nella quale la letalità cellulare prevale a seguito della fusione e della
frammentazione dei cromosomi.
AAUCCCAAUC
TTAGGGTTAGGGTTAG
SITO DI ANCORAGGIO
FILAMENTO STAMPO
AAUCCCAAU
TTAGGGTTAGGGTTAGGGTTA
AAUCCCAAUC
TTAGGGTTAGGGTTAGGGTTA
RNA
FILAMENTO STAMPO
RNA
RNA
FILAMENTO STAMPO
SITO DI ANCORAGGIO
SITO DI ANCORAGGIO
hTERT
hTERT
RICONOSCIMENTO
ALLUNGAMENTO
TRASLOCAZIONE
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Nelle cellule tumorali, invece, la telomerasi è di nuovo presente poiché viene
attivata la “riaccensione” del gene corrispondente. La ripristinata disponibilità
dell’enzima garantisce questa volta l’integrità dei telomeri e quindi la
replicazione senza limiti e per tempi indefiniti delle cellule tumorali
(immortalità cellulare).
Diversi studi hanno confermato che l’attività della telomerasi e l’espressione di
hTERT sono fortemente correlate con segni istologici di malignità cellulare in
molti tessuti umani (Hiyama e Hiyama, 2002). Un modello che emerge da
questo tipo di osservazioni indica che cellule tumorali possiedono immortalità
replicativa acquisendo l’abilità di mantenere la lunghezza dei telomeri,
solitamente attraverso l’attivazione dell’espressione di hTERT; infatti, durante
lo stadio precoce della trasformazione cellulare, i telomeri logorati sopprimono
la trasformazione maligna limitando la vita delle cellule, mentre il
mantenimento dei telomeri mediante telomerasi, negli stadi avanzati di tumore
ne aumenta la progressione..
Altri studi indicano che l’espressione di hTERT e l’attività della telomerasi sono
presenti in numerose lesioni precancerose, tumori benigni e altri stadi di malattia
(Hiyama et al., 1996; Matthews et al., 2001; Zheng et al., 2000; Kolquist et al.,
1998).
In un gruppo di tumori benigni e maligni, che a volte sono indistinguibili
attraverso l’esame morfologico, l’attività telomerasica è un utile indicatore per
determinare la malignità; inoltre tale parametro è anche correlato con la
prognosi del paziente.
1.1.2. Metodiche per il dosaggio dell’attivita’ telomerasica
Lo studio dell’attività della telomerasi costituisce un valido strumento per la
diagnosi e la terapia oncologica. Per questo motivo da anni si stanno mettendo a
punto metodiche sempre migliori per valutare questo parametro.
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Un’importante tappa in questo ambito è costituita dal lavoro di Kim e
collaboratori (Kim et al., 1994) che hanno messo a punto il saggio TRAP
(telomeric repeat amplifiction protocol) basato sull’uso della rezione
polimerasica a catena (PCR). I campioni utilizzati per questa metodica
provengono da estratti proteici di cellule o tessuti, in cui si è utilizzato il
detergente CHAPS (3-[(3-cholamidopropyl)dimethyl-ammonio]-1-
propanesulfonate). Tale estrazione non danneggia l’attività enzimatica della
telomerasi che quindi può essere dosata “in vitro”. Durante la prima fase del
saggio TRAP, la telomerasi presente nell’estratto sintetizza nuove unità
telomeriche, allungando degli oligonucleotidi sintetici presenti nel tubo di
reazione. Nella seconda fase questi prodotti fungono da stampo per
l’amplificazione in PCR. Sono state disegnate condizioni di reazione tali da
essere ottimali sia per l’attività della telomerasi che per la Taq polimerasi, in
modo da poter essere eseguite in un unico tubo di reazione.
I nucleotidi usati nella miscela di reazione della PCR sono marcati con
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P, in
modo che i prodotti di amplificazione siano radioattivi. Finita la reazione di
PCR, i prodotti vengono separati su gel di poiliacrilamide e successivamente
trasferiti su supporto cartaceo. In questo modo i prodotti possono essere rilevati
mediante autoradiografia su lastra fotografica. Le bande ottenute differiscono tra
di loro di 6 paia di basi, cioè di una lunghezza telomerica e si dispongono,
durante la corsa elettroforetica, come in una scala (ladder). L’intensità e la
quantità delle bande prodotte è in relazione all’attività telomerasica che, quindi,
può essere stimata, anche se non in maniera quantitativa. Un esempio del
risultato di un esperimento TRAP è mostrato qui di seguito.
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Il fatto che la telomerasi produca sequenze ripetitive, pone due grandi problemi
per il saggio TRAP basato sulla PCR:
dato che i primers usati per la PCR sono complementari con le sequenze
telomeriche, è possibile che si appaino tra di loro, diminuendo di molto
l’efficienza della reazione di amplificazione; producono infatti prodotti corti
di PCR non rappresentativi dei prodotti telomerici;
questi primers possono appaiarsi con qualsiasi unità ripetuta prodotta dalla
telomerasi, quindi potrebbero non appaiarsi alle estremità del filamento da
amplificare. Ne risulta che la lunghezza del prodotto di PCR non è
rappresentativo dell’originale lunghezza dell’oligonucleotide sintetico
allungato dalla telomerasi.
Per ovviare a questi problemi, Tatematsu e i suoi collaboratori hanno disegnato
nuove sequenze di primers (Tatematsu et al., 1996), portando nuove migliorie al
saggio.
In primo luogo, per evitare appaiamenti interni, i primers sono stati disegnati
con una base diversa al 3’ in modo da evitare prodotti di PCR derivati da questo
complesso (Tatematsu et al., 1996). In secondo luogo, su entrambi i primers è
stata introdotta una sequenza anomala all’estremità 5’ al fine di aumentare la
possibilità che essi si appaino solo con l’ultima sequenza TTAGGG prodotta
dalla telomerasi. In questo modo i prodotti della PCR sono più rappresentativi
della lunghezza originale dei prodotti telomerici (Tatematsu et al., 1996) e
Figura 2:
esempio di risultato di
un esperimento eseguito
con il metodo TRAP.
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pertanto il metodo risulta più sensibile e adatto alla misurazione dell’attività
telomerasica. Questo protocollo messo a punto da Tatematsu e collaboratori è
stato chiamato “strecth PCR assay” e anch’esso prevede l‘amplificazione con
nucleotidi marcati e la rivelazione mediante autoradiografia.
Il metodo messo a punto da Kim, poi modificato da Tatematsu, è stato
successivamente migliorato da un gruppo di ricercatori italiani (Gelmini et al.,
1998). Infatti il metodo TRAP convenzionale, anche se altamente sensibile, non
permette un’analisi quantitativa dell’attività dell’enzima. Il metodo proposto da
Gelmini e collaboratori introduce una modifica che consiste nell’utilizzo di un
fluorocromo sensibile (PicoGreen) che si lega selettivamente al DNA a doppia
elica (Ahn et al., 1996). Poiché il saggio TRAP è basato su una reazione che
genera frammenti di DNA a doppia elica partendo da estratti proteici e poiché la
quantità di DNA generato è da considerare proporzionale all’attività
telomerasica nel campione iniziale, la stima della concentrazione di DNA in
campioni post-PCR riflette, in maniera quantitativa, la misura dell’attività della
telomerasi (Gelmini et al., 1998). La quantificazione dei prodotti di PCR viene
quindi effettuata mediante colorazione con il fluorocromo PicoGreen e
successiva analisi al fluorimetro. Di ogni campione sono state preparate due
aliquote, entrambe saggiate per l’attività telomerasica. Inoltre, per ogni
campione, è stato allestito un controllo negativo, ottenuto dopo pretrattamento
con RNasi, che, distruggendo l’RNA, abolisce l’attività dell’enzima.
Questo saggio è rapido, semplice e può fornire una misurazione sensibile,
precisa ed accurata dell’attività telomerasica in campioni tumorali umani ed è
stato utilizzato per il lavoro sperimentale presentato in questa tesi.
1.1.3. Meccanismi di regolazione dell’attivita’ telomerasica
La modulazione dell’espressione di hTERT sembra essere il meccanismo
principale della regolazione dell’attività telomerasica. Infatti mentre la subunità
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hTR è espressa nella maggior parte delle cellule sia normali che tumorali,
hTERT è espressa solo nelle cellule in cui l’attività telomerasica è presente.
L’identificazione di numerosi elementi regolatori all’interno del promotore di
hTERT, suggerisce che l’attività telomerasica sia soggetta a molteplici livelli di
controllo e potrebbe essere regolata da differenti fattori di trascrizione in diversi
contesti cellulari. Inoltre, le modifiche post-traduzionali di hTERT, come ad
esempio la fosforilazione, l’assemblaggio funzionale della ribonucleoproteina
telomerasi, il trasporto al compartimento nucleare e l’accesso dell’enzima ai
suoi substrati aggiungono ulteriori livelli di complessità nella regolazione della
telomerasi. (Cong et al., 2002).
Tuttavia tutti questi sistemi regolativi sembrano avere un’importanza minore
rispetto a quella rivestita dai diversi fattori di trascrizione che legano il
promotore di hTERT.
1.2. I PROLIFERATORI DEI PEROSSISOMI E I LORO
RECETTORI
1.2.1. I proliferatori dei perossisomi (PP)
I “recettori dei proliferatori dei perossisomi” o PPAR ((Peroxisomal
Proliferator-Activated Receptors) sono fattori di trascrizione nucleari
appartenenti alla superfamiglia dei recettori steroidei (Kersten et al.,
2000).Come gli altri recettori nucleari, anchei PPAR vengono attivati dal legame
del recettore con il suo specifico ligando.
In particolare i PPAR vengono attivati da ligandi definiti “proliferatori dei
perossisomi” (PP).Tale denominazione è stata introdotta per la prima volta da
Reddy e collaboratori (Reddy e Krishnakantha, 1975) ad indicare una classe
eterogenea di composti chimici capaci di indurre la proliferazione di particolari
organelli definiti perossisomi, in fegato di topo e di ratto. L’aumento del numero
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e delle dimensioni dei perossisomi induce epatomegalia in seguito a iperplasia e
ipertrofia degli epatociti, nei quali si evidenzia un notevole incremento della β-
ossidazione degli acidi grassi (Reddy e Rao, 1977; Cohen e Grasso, 1981;
Reddy e Lalwai, 1983; Moody et al.,1991). Successivamente , vista la
persistenza di questa alterazioni morfologiche e metaboliche, si è dimostrato
come questi agenti possano indurre significativamente lo sviluppo di
epatocancerogenesi.
Studi epidemiologici condotti sull’uomo con PP ipolipidemici (Hanefeld et al.,
1983; Frick et al., 1987) e studi “in vivo” su epatociti umani ( Parzefall et al.,
1991; Gol et al., 1999) hanno evidenziato che tali agenti non portano a
proliferazione dei perossisomi né a quei fenomeni evidenziati nei roditori. Ciò è
in accordo con l’ipotesi che tali agenti non siano cancerogeni per l’uomo o, per
lo meno, l’uomo è sensibile solo ad alcuni degli effetti tossici esercitati dai PP
(Boitier et al., 2003).
I PP possono essere sostanze normalmente presenti nell’organismo ( e vengono
considerati ligandi endogeni), come gli acidi grassi saturi (palmitico e stearico),
gli acidi grassi mono (oleico) e poliinsaturi (linoleico e arachidonico) e gli
eicosanoidi (leucotrieni, prostaglandine, acido idrossi eicosatretraenoico e acido
idrossi eicosapentaenoico) oppure sostanze di sintesi, molte delle quali utilizzate
da tempo come farmaci (Fig.1).
Tra le sostanze di sintesi possiamo citare:
ξ agenti terapeutici:
- farmaci ipolipidemici come i fibrati (bezafribato, ciprofibrato,
clofibrato, fenofibrato, gemfibrozil, bifonazolo, tiadenolo, Wy-
14,643);