1
Introduzione
Il presente lavoro si propone di analizzare le evidenze empiriche
relative all’efficacia delle psicoterapie psicodinamiche sul disturbo borderline
di personalità.
Il primo capitolo introduce le complessità legate alla definizione del
concetto di borderline. Viene effettuata una rapida panoramica relativa alle
principali teorie eziopatogenetiche del disturbo, evidenziandone la multi-
fattorialità: conflitti pulsionali irrisolti e scissione (Kernberg, 1975), iper-
coinvolgimento materno conflittuale (Mahler, 1975, Masterson e Rinsley,
1975), trascuratezza da parte del care-giver (Adler, 1985), dissociazione
(Meares, 2014), deficit metacognitivo (Fonagy, 1999), disregolazione
emotiva (Linhem, 1999), ambiente invalidante (Paris, 1999), credenze
patogene (Beck, 1990). A seguire viene illustrato il percorso storico che ha
portato all’attuale definizione nosografica del disturbo borderline, come
oggi descritto nel DSM 5. Si presenta inoltre il significato attribuito al
termine non come categoria nosografica a sé stante, bensì come
organizzazione di personalità (Kernberg, 1975) nell’accezione focalizzata
sugli aspetti di funzionamento utilizzata nel PDM per diagnosticare i
disturbi di personalità. Vengono inoltre passati in rassegna i principali
strumenti diagnostici per individuare il disturbo, alcune scale specifiche per
misurare particolari aspetti sintomatologici del disturbo ed infine gli
strumenti specifici di diagnosi del DBP.
Il secondo capitolo prende in esame le principali psicoterapie
psicodinamiche manualizzate per la cura del DBP, illustrandone le
caratteristiche specifiche nonché gli aspetti comuni e le differenze principali.
In particolare, le terapie trattate sono: Transference-Focused Therapy - TFT
(Kernberg, Yeomans, Clarkin, 1999), Mentalization-Based Therapy – MBT
(Bateman e Fonagy, 2004), Psychodynamic Interpersonal Therapy - PIT (Guthrie,
1999), General Psychiatric Management - GPM (Gunderson e Links, 2001),
Dynamic Deconstructive Psychotherapy - DDP (Gregory, 2010). Sono inoltre
descritte altre psicoterapie non di matrice psicodinamica specifiche per il
DBP perché utlizzate in RCT comparativi sull’efficacia delle psicoterapie
2
psicodinamiche, in particolare la Dialectical Behavior Therapy – DBT
(Lineham, 1993) e lo Schema-Focused Therapy - SFT (Young, 1999).
Il terzo capitolo passa in rassegna i principali studi empirici di
valutazione di efficacia delle terapie psicodinamiche per il DBP, cercando di
evidenziare limiti e pregi degli studi e di analizzare su quali aspetti
sintomatologici o strutturali ogni terapia risulta essere più efficace. Il focus è
sulle psicoterapie psicodinamiche, per le quali si prendono in esame 20 studi
di efficacia, comprensivi di un campione di più di 1.100 pazienti (non sono
stati conteggiati gli stessi pazienti ai follow-up o agli studi di cost-effectivness).
Viene effettuata inoltre un breve panoramica sugli studi empirici relativi a
terapie non psicodinamiche, in particolare la DBT e lo SFT. In questo caso
sono stati presi in considerazione solo gli studi principali e compartivi (11
studi su un campione di circa 625 pazienti).
4
1. Zona di confine
Il disturbo borderline presenta un quadro sindromico di non facile
collocazione. La denominazione stessa del disturbo richiama a una zona di
confine, alla labilità della linea di demarcazione, a qualcosa che sta al bordo
di qualcos’altro senza farne parte. A differenza di molti altri disturbi di
personalità (paranoide, antisociale, narcisistico, istrionico, dipendente,
ossessivo-compulsivo) che contengono già nel nome una sorta di rimando
immediato ai sintomi psicopatologici correlati, il termine borderline non
suggerisce nulla oltre alla collocazione del disturbo: situato al confine della
normalità nel suo continuum con la patologia, o al confine tra quadri
nosologici differenti. Come rilevato da Paolo Migone
1
in un articolo sulla
Psicodinamica del disturbo borderline (1990), tale disturbo rappresenta, dopo
l’isteria, il secondo grande paradigma teorico della storia della psicoanalisi.
Meares (2012) fa un passo ulteriore, affermando che si tratta persino
dello stesso paradigma, nella sua mutazione storica, sistemica e
fenomenologica:
“L’isteria e il DBP, benchè siano sostanzialmente la stessa cosa, non appaiono
come sindromi del tutto equivalenti. La differenza più importante è nel modo in
cui si manifestano.”
2
L’autore si focalizza dunque sulla varietà sintomatologica di un
disturbo che pare avere lo stesso nucleo eziopatogenetico dell’isteria, ma
manifestazioni sintomatiche differenti, anche in relazione all’ambiente
storico e socio-culturale nel quale si presentano.
1
MIGONE P., Psicodinamica del disturbo borderline, in Il Ruolo Terapeutico, 1990
2
MEARES R. (2012), Un modello dissociativo del disturbo borderline di personalità, Milano 2014.
5
2. Prevalenza
La patologia borderline costituisce effettivamente un fenomeno di
vasta entità. Widiger e Frances
3
(1989) stimarono che ne fossero affetti il
10% dei pazienti psichiatrici non istituzionalizzati e il 15-20% di quelli
istituzionalizzati. Swartz et al.
4
(1990) evidenziano che la prevalenza del
disturbo nella popolazione generale oscilla tra lo 0,7% e l’1,8%. Una ricerca
empirica di Togersen
5
(2001) attesta il manifestarsi della patologia nell’1-
2% della popolazione generale. Il DSM-5
6
(2013) riferisce che la mediana
della prevalenza del DBP sulla popolazione generale è stimata all’1,6%, ma
può arrivare fino al 5,9%. La prevalenza è di circa il 6% nei contesti di
assistenza primaria, di circa il 10% negli ambulatori di salute mentale e di
circa il 20% tra i pazienti ricoverati. Una successiva analisi di Gunderson
7
(2014) porta la prevalenza del disturbo tra il 15% e il 25% in popolazioni
cliniche.
2.a Correlazioni di genere
Il disturbo secondo il DSM-5 presenta anche correlazione al genere
(75% su popolazione femminile). Gabbard
8
(2015) riporta che in uno
studio di Zlotinick
9
(2002) relativo alle differenze di genere nel DBP gli
uomini hanno maggiori probabilità di avere comorbilità con abuso di
sostanze e di corrispondere dunque a più criteri al disturbo antisociale,
mentre le donne evidenziano maggiori correlazioni coi DCA. Più facilmente
quindi secondo Gabbard sussiste la possibilità che gli uomini vengono
3
WIDIGER T. A., FRANCES, A. J., Epidemiology, diagnosis and comorbility of BPD, in American
Psychiatric Press, 1989
4
SWARTZ M., BLAZER D., GEORGE L. ET AL., Examinating the prevalence of the borderline
personality disorder in the community, in Journal of Personality Disorder, 4, pp.416-425, 1990.
5
TORGERSEN S., KRINGLEN E., CRAMER V, The prevalence of personality disorders in a community
sample, Arch Gen Psychiatry, 58, 590-596, 2001.
6
APA-AMERICAN PSYCHIATRIC ASSOCIATION (2013), DSM-5, Cortina, Torino 2014.
7
GUNDERSON J. G., Handbook of Good Psychiatric Management for Borderline Patients, in American
Psychiatric Publishing, Washington DC, 2014.
8
GABBARD G.O., Psichiatria Psicodinamica. Quinta edizione basata sul DSM-5, Milano 2015.
9
ZLOTNICK C., ROTHSCHILD L., ZIMMERMAN M., The role of gender in the clinical presentation
of patient with borderline personality disorders, in Journal of Personality Disorders, 16, pp. 277-
282, 2002
6
definiti antisociali piuttosto che borderline. Gunderson
10
(2010) ritiene
“impressionante” che una malattia mentale venga diagnosticata in rapporto
donne/uomini 3:1 e suggerisce la possibilità di errore di campionamento,
diagnosi o differenze biologiche o socio-culturali tra donne e uomini. Egli
ipotizza che le donne abbiano una probabilità tre volte maggiore di cercare
aiuto in contesto clinico, o che tratti quali la rabbia siano considerati
caratteristici per gli uomini e patologici per le donne. Rileva inoltre che
paradossalmente diagnosi ingiustificate di DBP vengono effettuate su
donne quando il clinico è donna. Al di là dei possibili errori diagnostici,
l’evidenza è comunque di una prevalenza del disturbo nella popolazione
femminile, forse anche in relazione alla maggiore vulnerabilità femminile
rispetto ai fattori di rischio del DBP (alta emotività, vulnerabilità allo stress,
abuso sessuale - dieci volte più frequente nel genere femminile).
2.b Correlazioni alla cultura di appartenenza
Il DSM-5 rileva che il pattern comportamentale del disturbo
borderline è stato identificato in varie parti del mondo, quindi non pare essere
correlato ad una specifica cultura. Il DSM-5 sottolinea che ci possono
essere manifestazioni comportamentali transitorie che danno ingannevole
impressione di presenza del disturbo, solitamente in adolescenti o giovani
adulti in uso-abuso di sostanze.
10
GUNDERSON J. G., HOFFMANN P. D. (2005), La personalità borderline: una guida per
professionisti e familiari, Springer Milano 2010.
7
3. Sintomatologia e difficoltà di collocazione nosografica
Il disturbo borderline è caratterizzato da una vasta e varia costellazione
di manifestazioni psicopatologiche, ed è forse anche in ragione di questa
estrema variabilità sintomatologica e fenomenologica che intorno all’utilizzo
del termine si è creata una certa difformità. I pazienti borderline compiono
sforzi immani per evitare l’abbandono, reale o immaginario, e in questo
tentativo disperato può portare ad alterazioni profonde dell’immagine di sé
e degli altri (oscillante in mmodo discontinuo tra idealizzazione e
svalutazione), degli aspetti cognitivi e dell’umore. La rabbia inappropriata è
una costante dei loro comportamenti, così come l’impulsività, sempre agita
in aree dannose per sé (gioco d’azzardo, spese, abbuffate, comportamenti
sessuali a rischio, guida spericolata). Gli atti autolesivi sono comuni, il
suicidio riuscito si verifica nell’8-10% dei ci (DSM-5). Altre componenti
sono l’umore disforico o i (rari) sintomi disocitivi.
Tyrer
11
(2009) in un articolo relativo alla collocazione nosografica
del disturbo borderline arriva a suggerire che esso non appartenga ad alcuna
collocazione e che debba essere abolito in quanto “passaporto per
l’eterogeneità”. L’affermazione è estrema ma mette in risalto che tra i clinici
non c’è ancora accordo completo né sul quadro sintomatologico
(vastissimo) né sul nucleo centrale del disturbo: ciò comporta difficoltà nella
diagnosi, nel trattamento e nella prognosi.
Come detto da Meares (2014):
“nonostante questa contraddizione i clinici che lavorano con questi pazienti
giudicherebbero appropriate tutte e due le descrizioni”
12
.
Anche Frances et. al (1984) descrivono quello dei borderline come
un quadro clinico di "ingannevole vaghezza".
11
TYER P., Why borderline personality disorder is neither borderline nor a personality disorder?, in Personality
Mental Health, 3, pp.86-95, 2009.
12
MEARES R., Un modello dissociativo del disturbo borderline di personalità, p. 33, Raffaello Cortina
Milano 2014.
8
Stern (1938)
13
fu il primo a fornire una descrizione precisa dei
sintomi del disturbo, oggi solo in parte sovrapponibile alla descrizione del
DSM-5
14
.
Come rilevato da Lewis e Greyner
15
(2009) relativamente ai criteri
del DSM-IV
16
, ma valido anche per il DSM-5, due persone diagnosticate
come DBP possono avere, dei nove criteri descritti, solo un criterio in
comune. Emerge chiaramente la difficoltà nel trovare un marker o un
criterio unificante per il disturbo.
13
STERN A., Psychoanalitic investigation and therapy in the borderline group of neuroses, in Psychoanalitic
Quarterly, 7, 1938 pp.467-89
14
APA-AMERICAN PSYCHIATRIC ASSOCIATION (2013), DSM-5, Cortina, Torino 2014.
15
LEWIS K. L., GREYNER B.F., Borderline or complexpost traumatic stress disorder? an update on the
controversy, in Harvard Review of Psychiatry, 17, 5, pp. 322-328, Harvard 2009.
16
APA-AMERICAN PSYCHIATRIC ASSOCIATION (1994), DSM-IV, Masson, Milano 1996.