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INTRODUZIONE
“L’essenziale è invisibile agli occhi”
A. de Saint-ExupØry
Sentirsi male nel proprio corpo, avere un cattivo rapporto col cibo e non riuscire a piacersi
mai: questa è la triste e stressante situazione che quotidianamente vivono le persone affette
da disturbi del comportamento alimentare, le cui manifestazioni piø conosciute sono
l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa, spesso collegate tra loro.
Nell’ultimo ventennio, questi disturbi, sovente accompagnati da disturbi dell’immagine
corporea come la dismorfofobia, sono diventati una vera e propria emergenza di salute
mentale per gli effetti devastanti che hanno sulla salute e sulla vita di moltissimi
adolescenti e giovani adulti.
Essi sono un sintomo sociale, un’espressione radicalizzata di un disagio specifico, che si
manifesta in primo luogo nelle società del benessere e la cui diffusione appare fortemente
influenzata dal contesto sociale, dai condizionamenti del mercato e delle politiche
commerciali, oltre che dai comportamenti individuali. La componente culturale, estetica e
mediatica è, dunque, una concausa ambientale di un disagio clinico-psichiatrico che
affonda le sue radici nella storia individuale delle persone che soffrono di queste patologie.
Si tratta di una sorta di epidemia che attraversa tutti gli strati sociali e le diverse etnie, le
cui conseguenze possono essere anche molto gravi: infatti, se non trattati in tempi e con
metodi adeguati, i disordini alimentari possono diventare una condizione permanente e, nei
casi piø gravi, possono portare perfino alla morte, che solitamente avviene per suicidio o
per arresto cardiaco. Secondo l’American Psychiatric Association, infatti, essi sono la
prima causa di morte per malattia mentale nei paesi occidentali.
L’anoressia e la bulimia sono, dunque, malattie gravi che hanno radici profonde nella vita
delle persone, il cui esordio spesso consiste in una banale dieta, una restrizione alimentare
che si trasforma in altro: il controllo alimentare spesso diviene ingovernabile, riduce gli
affetti e costringe a rifugiarsi nella solitudine e nella diffidenza nei confronti della vita
stessa, negando la patologia e il bisogno di cure.
Questi disturbi sono vere e proprie malattie mentali, ma comunemente vengono intese
come un capriccio nei confronti del cibo, una questione estetica e, nonostante la loro
estrema diffusione nella società moderna, non sono ancora sufficientemente inquadrati in
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modo corretto nell’immaginario collettivo nØ sono percepiti il piø delle volte come
realmente gravi. Sarebbe, invece, opportuno avere maggiore consapevolezza del fatto che
anoressia e bulimia sono solo la punta dell’iceberg, ovvero l’effetto di un disagio
psicologico implicito e molto piø profondo: si tratta di un tentativo di morire per essere
visti, per avere un’identità che altrimenti la società non concederebbe, per colpire come un
kamikaze con il proprio “corpo-bomba” le figure genitoriali o altre che non hanno
apparentemente saputo dare l’ascolto e lo spazio d’amore di cui la persona sofferente
aveva bisogno.
I comportamenti alterati dell’alimentazione, quindi, sono solo ciò che appare e nascondono
l’essenza del problema: un dolore interiore, una sofferenza profonda che gli altri
difficilmente vedono o riescono a comprendere. Queste gravi patologie sono riconducibili
ad una richiesta d’aiuto non verbalizzata. Non è, quindi, l’appetito a dover essere curato,
ma il soggetto e la sua storia.
Il pensiero ossessivo del cibo protegge la mente da un groviglio di emozioni come la paura,
la tristezza, la rabbia, il desiderio, di fronte a cui ci si sente fragili e vulnerabili. Perdite
affettive importanti, abbandoni e altri eventi traumatici infantili: in molti casi il cibo
diventa l’anestetico che permette di non sentire la sofferenza, un’autocura per non pensare.
In questo modo, però, il dolore permane e la vita non viene vissuta.
Non si tratta, perciò, di malattie dell’appetito nØ di patologie da imitazione. Siccome il
corpo è il teatro della mente e le esperienze emotive piø profonde trovano in esso una
manifestazione esterna e visibile, nei disturbi alimentari ciò che è interno - un disagio e una
sofferenza profondi - trova nel corpo uno strumento per comunicare e attraverso cui
manifestare quel dolore. Un dolore nel quale chi soffre si sente intrappolato.
Per tutte queste ragioni mi sono primariamente interessata a questi disturbi, con l’obiettivo
di ricavare quante piø informazioni possibili sui differenti trattamenti implementati nel
corso degli anni nel mondo occidentale, allo scopo di tracciare una panoramica sintetica
dei trattamenti terapeutici piø diffusi e conosciuti, sino ad arrivare ad esplorare le ricerche
scientifiche piø recenti relative a questo tema così appassionante e delicato.
Ho condotto, inoltre, una ricerca quasi-sperimentale su 30 pazienti affette da anoressia
nervosa e da bulimia nervosa in cura presso il Servizio per il Trattamento dei Disturbi della
Condotta Alimentare offerto dall’Azienda ospedaliera Sant’Anna (CO), di cui 15 pazienti
riceventi un trattamento ambulatoriale e 15 riceventi quello residenziale nella Comunità
Terapeutica di Asso (CO). Nel capitolo dedicato all’esposizione della ricerca viene
descritto, innanzitutto, qual è il suo obiettivo generale, che consiste nel valutare gli effetti
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dei due trattamenti - condotti dalla stessa Øquipe multidisciplinare - sul campione di
pazienti considerato, in un tempo limitato di osservazione. Vengono poi esposte le ipotesi
che questo studio cerca di verificare, le modalità di campionamento adottate, nonchØ i
criteri impiegati per la selezione e una sintetica descrizione dell’intero campione, e viene
presentato un approfondimento degli strumenti utilizzati per raccogliere i dati sia nella
prima che nella seconda somministrazione. In particolare, nel paragrafo riguardante il
metodo, viene fatta una premessa relativa ad alcuni limiti che molte ricerche possono
presentare e che sarebbe importante tenere in considerazione nell’interpretare i risultati che
emergeranno da questo studio. Infine, il paragrafo conclusivo relativo alla discussione
della ricerca comprende una riflessione su tutti i risultati ottenuti, con particolare
riferimento alle ipotesi iniziali da cui la ricerca stessa è partita, e a queste considerazioni è
seguita l’offerta di alcune possibili spiegazioni dei miglioramenti significativi evidenziati
dalle analisi e sono state proposte delle ipotesi esplicative relativamente ai cambiamenti
attesi, ma non riscontrati oppure evidenziati in un gruppo diverso da quello atteso.
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CAPITOLO 1
Questo primo capitolo si apre con la descrizione delle caratteristiche fondamentali dei
disturbi alimentari, con una specifica sezione in cui sono menzionati i criteri diagnostici
dell’anoressia nervosa, della bulimia nervosa e dei disturbi dell’alimentazione non
altrimenti specificati (NAS), riportati nella quarta edizione del Manuale Diagnostico e
Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-IV; American Psychiatric Association, 1994), con
l’aggiunta di un breve rimando alla visione transdiagnostica.
Segue, poi, una panoramica sintetica dell’eziologia di questi disturbi, che è un’area di
indagine ancora oggi fortemente dibattuta, in cui si evidenziano i principali fattori
patogenetici dell’anoressia e della bulimia.
¨ stato dedicato, inoltre, un paragrafo alle conseguenze che tali patologie possono avere sia
dal punto di vista fisico sia da quello psicologico, con un’opportuna differenziazione tra i
danni fisici che può comportare l’una e quelli che può causare l’altra. Una simile
distinzione non viene fatta per quel che riguarda le ripercussioni psicologiche, poichØ esse
risultano piuttosto comuni ad entrambi i disturbi.
Successivamente, sono stati riportati alcuni cenni relativi alla diffusione, all’incidenza e
alla prevalenza dell’anoressia e della bulimia nella popolazione femminile e maschile, con
particolare riferimento al loro esordio, alle fasce di età piø colpite e all’ipotesi che si tratti
di “sindromi culture bound”. Viene poi riservato un breve spazio ai dati relativi al decorso
di entrambi i disturbi.
Infine, l’ultimo paragrafo è dedicato ad un breve approfondimento sulle differenti tipologie
di intervento esistenti nell’ambito del trattamento di questi disturbi, con una descrizione
sintetica delle caratteristiche di fondo e dei criteri di scelta del trattamento ambulatoriale,
di quello in day-hospital e in comunità residenziale come valide alternative all’ambulatorio
e, infine, del ricovero ospedaliero classico e per riabilitazione nutrizionale intensiva.
1.1. COSA SONO I DISTURBI ALIMENTARI? UNA PRIMA DESCRIZIONE DI
ANORESSIA NERVOSA E BULIMIA NERVOSA
Appartengono alla categoria dei disturbi del comportamento alimentare l’anoressia
nervosa, la bulimia nervosa e i disturbi alimentari non altrimenti specificati (NAS), ma in
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realtà questa categoria comprende uno spettro molto ampio di disturbi: essi si possono
collocare su un continuum di gravità e, pur presentando molte caratteristiche comuni,
sottendono significati psicopatologici specifici che vanno indagati nell’ambito dello
sviluppo psichico individuale.
Tali patologie possono essere definite come “persistenti disturbi del comportamento
alimentare o di comportamenti finalizzati al controllo del peso, che danneggiano la salute
fisica o il funzionamento psicologico e sociale, e che non sono secondari a nessuna
condizione medica o psichiatrica conosciuta” (Fairburn & Walsh, 2002).
L’anoressia e la bulimia sono malattie di origine psicologica e risultano essere fenomeni
piuttosto complessi: da un lato, la loro descrizione clinica presenta aspetti di uniformità e
serialità fenomenica, dall’altro, il dilagare del fenomeno sembra aver assunto una
complessità e una variabilità sintomatica tali che persino le nosografie psichiatriche
ufficiali ne hanno modificato diverse volte i criteri diagnostici negli ultimi vent’anni
(DSM-IV, American Psychiatric Association, 1994; ICD-10, World Health Organization,
1993).
Si tratta di disturbi caratterizzati da una grave alterazione relativa al modo di alimentarsi e
alla percezione della propria immagine corporea; infatti, la persona affetta da un disturbo
alimentare può aver iniziato a mangiare una quantità piø ridotta o piø abbondante di cibo in
un certo periodo della sua vita, ma ad un certo punto il mangiare delle quantità minori o
maggiori può essere sfuggito dal suo controllo, unitamente all’emergere di una profonda
angoscia relativa alla forma e al peso del proprio corpo (Bulik, Reba, Siega-Riz &
Reichborn-Kjennerud, 2005).
Esse possono, dunque, causare seri disordini nella dieta quotidiana della persona, che
vanno dal mangiare una quantità esageratamente ridotta di cibo ad un’alimentazione
gravemente smodata, e riconoscono la loro origine nella rete di situazioni fisiologiche,
psicologiche, familiari e sociali in cui è inserito chi ne soffre.
Questi disturbi spesso coesistono con altre patologie come la depressione, l’abuso di
sostanze e i disturbi d’ansia e, se non adeguatamente trattati, possono causare gravissimi
danni sia dal punto di vista fisico sia psicologico, conducendo in alcuni casi sino alla
morte: si stima, per esempio, che le persone che soffrono di anoressia hanno una
probabilità di morire 18 volte superiore a quella di persone sane della stessa età (Harris &
Barraclough, 1998; Steinhausen, 2008).
L’anoressia e la bulimia si sono diffuse in modo esponenziale nelle società occidentali, per
la probabile influenza di fattori storici, sociali e culturali nella “scelta del sintomo”, e si è
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assistito ad una rapida metamorfosi delle forme cliniche e della fascia di età interessata:
negli anni Sessanta l’anoressia era caratterizzata quasi esclusivamente dal solo digiuno,
negli anni Settanta hanno fatto la loro comparsa nella fenomenologia anoressica alcuni
sintomi bulimici (abbuffate e vomito), negli anni Ottanta sono aumentati i casi di bulimia
normopeso, infine, negli anni Novanta il disturbo si è evoluto in direzione dei
comportamenti compulsivi, con l’aumento dell’abuso di droghe e alcool, gesti
autolesionistici e tentativi di suicidio (De Giacomo, Renna & Santoni Rugiu, 1992).
La letteratura psichiatrica e psicologica sui disturbi alimentari appare oggi sterminata,
nonostante sia presente una notevole sproporzione tra gli studi clinici puramente
sintomatici o epidemiologici e quelli dedicati alla valutazione dell’efficacia dei trattamenti
implementati per la loro cura.
In genere, però, pressochØ tutti gli studi sul tema concordano nel sostenere che i disturbi
alimentari possono manifestarsi in persone di diverse età, sesso, provenienza sociale e che
sono determinati da condizioni di disagio psicologico ed emotivo, che quindi richiedono un
trattamento sia del problema alimentare in sØ che della sua natura psichica, con l’obiettivo
di aiutare il paziente a ristabilire un equilibrato comportamento alimentare, ma soprattutto
ad adottare soluzioni di gestione dei propri stress emotivi che non siano dannose per la sua
salute.
Sembra, perciò, che chiunque possa sviluppare un disturbo dell’alimentazione, sebbene la
popolazione maggiormente colpita risulti essere di sesso femminile e con esordio del
disturbo collocabile durante l’età adolescenziale o la giovane età adulta, in particolare tra i
12 e i 25 anni (Becker, Grinspoon, Klibanski & Herzog, 1999).
Nonostante ciò, le ricerche ABA (Associazione per lo studio e la ricerca sull’anoressia, la
bulimia, l’obesità e i disordini alimentari) ed altri autori evidenziano che, sebbene l’età
adolescenziale sia considerata da sempre a rischio, il fenomeno si è esteso in modo
preoccupante anche alle età precedenti lo sviluppo puberale (fino a raggiungere l’età
pediatrica) e a quelle decisamente successive all’adolescenza, intorno ai 40 anni (Gowers,
Crisp, Joughin & Bhat, 1991; Inagaki et al., 2002). Questo dato è confermato anche dal
fatto che, mentre nel DSM-III-TR (APA, 1987) i disturbi alimentari venivano inseriti nella
categoria dei “Disturbi con esordio adolescenziale”, nel DSM-IV (APA, 1994) e nella sua
modificazione successiva DSM-IV-TR (APA, 2000a) viene ad essi riservata una sezione
specifica a parte (Steiner & Lock, 1998).
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1.2. CRITERI DIAGNOSTICI: SINTOMI E CARATTERISTICHE
Nei principali sistemi per la classificazione e la diagnosi psichiatrica, ovvero l’ICD-10
(World Health Organization, 1993) e il DSM-IV (American Psychiatric Association,
1994), vengono riconosciute tre forme di disturbi dell’alimentazione: l’Anoressia Nervosa,
la Bulimia Nervosa e i Disturbi dell’Alimentazione Non Altrimenti Specificati NAS (che
comprendono anoressie e bulimie parziali, incomplete, quadri clinici in cui sono presenti
quasi tutti - ma non tutti - i sintomi che la comunità scientifica ritiene necessari per la
diagnosi medica di anoressia o di bulimia) (Fairburn, 2010).
Anoressia nervosa e bulimia nervosa sono due sindromi che la nosografia psichiatrica piø
recente, a partire dal 1980, tiene distinte poichØ i criteri diagnostici sono tali per cui la
diagnosi può essere solo l’una o l’altra. Nonostante ciò, queste due patologie condividono
molte caratteristiche, tra cui la psicopatologia considerata centrale, ovvero l’eccessiva
importanza attribuita al controllo dell’alimentazione, del peso e della forma del corpo
(Dalle Grave, 2003; Fairburn, Cooper & Shafran, 2003).
Il DSM-IV (APA, 1994) fornisce i criteri diagnostici soltanto per l’anoressia e la bulimia,
ma non per i disturbi dell’alimentazione NAS che, invece, costituiscono una diagnosi
residua per i casi clinicamente significativi che non soddisfano tutti i criteri diagnostici
dell’anoressia nervosa o della bulimia nervosa.
Le principali novità introdotte dal DSM-IV rispetto alle classificazioni precedenti sono le
seguenti (Cuzzolaro, 1998):
• i disturbi del comportamento alimentare non sono piø inscritti tra quelli di solito
diagnosticati per la prima volta durante l’adolescenza, ma sono stati spostati nel corpo
generale della classificazione;
• le diagnosi di anoressia nervosa e di bulimia nervosa non possono coesistere, ma si
escludono reciprocamente;
• sono stati definiti due sottotipi per ciascuna sindrome;
• è stata proposta una nuova categoria diagnostica che figura tra i disturbi
dell’alimentazione NAS, il Binge Eating Disorder.
1.2.1. L’ANORESSIA NERVOSA
Per la diagnosi di Anoressia Nervosa sono necessarie le seguenti caratteristiche (American
Psychiatric Association, 1994):
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A. rifiuto di mantenere il peso corporeo al livello minimo normale per l’età e la statura o
al di sopra di esso (mantenimento volontario di un peso corporeo inferiore all’85% di
quello previsto con indice di massa corporea IMC pari o inferiore a 17,5);
B. intensa paura di aumentare di peso o di ingrassare, pur essendo sottopeso;
C. alterazione del modo in cui il soggetto vive il peso e le forme del proprio corpo,
influenza indebita del peso e delle forme del corpo sui livelli di autostima, diniego
della gravità della perdita di peso in atto, eccessiva valutazione e controllo della forma
del corpo e del peso, autovalutazione centrata esclusivamente sulla forma del corpo, sul
peso e sulla capacità di controllarli;
D. amenorrea nelle donne che hanno già avuto il menarca, ovvero assenza di almeno tre
cicli mestruali consecutivi (si considera una donna amenorroica se i suoi cicli
avvengono solo dopo somministrazione di ormoni come gli estrogeni). Il valore di
questo criterio risulta discutibile e probabilmente verrà abbandonato nel DSM-V (la cui
pubblicazione è prevista per il 2013) perchØ la maggior parte delle pazienti che
soddisfano i primi due criteri sono anche amenorroiche e quelle che non lo sono non
presentano differenze significative da queste ultime.
SOTTOTIPI:
1. Sottotipo con restrizioni: durante l’episodio di anoressia nervosa la persona non
presenta frequenti episodi di abbuffate o di comportamenti purgativi/condotte di
eliminazione (ad esempio, vomito autoindotto, abuso o uso improprio di lassativi,
diuretici o clisteri) e mostra una riduzione costante della quantità di alimenti ingeriti;
2. Sottotipo con abbuffate/condotte di eliminazione: durante l’episodio di anoressia
nervosa la persona presenta frequenti episodi di abbuffate compulsive o di
comportamenti eliminativi (come il ricorso al vomito autoindotto, l’uso inappropriato
di pillole lassative e diuretiche, l’iperattività fisica per perdere peso).
Si può, dunque, affermare che una persona può essere diagnosticata anoressica quando,
riducendo o interrompendo la propria consueta alimentazione, scende sotto l’85% del peso
normale per la propria età, sesso e altezza. La caratteristica piø tipica dell’anoressia
nervosa è proprio la severa perdita di peso ed il raggiungimento di un peso corporeo molto
basso, che può determinare dei gravi rischi per la salute; tale perdita di peso sembra
principalmente dovuta alla dieta ferrea e fortemente ipocalorica seguita: spesso, infatti, una
persona anoressica comincia con l’evitare tutti i cibi ritenuti grassi e a concentrarsi su
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alimenti sani e poco calorici, con un’attenzione ossessiva al contenuto calorico e alla
composizione dei cibi; inoltre, frequentemente i pasti vengono evitati o consumati con
estrema lentezza, rimuginando a lungo su ogni boccone ingerito.
In aggiunta, il corpo viene percepito e vissuto in modo alterato, con un eccesso di
attenzione alla sua forma, e a questo si unisce un deciso rifiuto di ammettere la gravità
della propria condizione di sottopeso. Infatti, sebbene alcuni possano rendersi conto della
propria magrezza, tipicamente i soggetti con questo disturbo negano le gravi conseguenze
sul piano della salute fisica del loro livello di emaciazione, senza perciò rendersi conto che
forme anoressiche gravi o di lunga durata possono condurre non solo a inedia e a seri
problemi di salute, ma perfino alla morte.
Nonostante la persona risulti essere estremamente sottopeso, essa rifiuta, quindi, di
assumere cibo o limita in maniera severa la quantità di cibo che mangia (spesso assumendo
solo determinate categorie di alimenti), ha un’immagine distorta del proprio corpo,
un’intensa paura di aumentare di peso e di diventare grassa (anche quando è sottopeso) e
tende a praticare un’eccessiva attività fisica.
A questo proposito, mentre alcuni pazienti eseguono un’attività fisica compulsiva allo
scopo di perdere ulteriormente peso, altri si autoinducono il vomito o usano altre forme
non salutari di controllo del peso, come ad esempio l’uso improprio di lassativi o di
diuretici, mentre altri ancora possono perdere il controllo dell’alimentazione e andare
incontro ad episodi bulimici.
Sintomi comuni che vanno ad affiancare quelli tipici del disturbo - che peggiorano con la
perdita di peso e tendono invece a scomparire con la normalizzazione ponderale - sono la
depressione, il deficit di concentrazione, la perdita dell’interesse sessuale, l’ossessività e
l’isolamento sociale. A proposito di queste ultime tre complicazioni della patologia, è da
notare, infatti, che la persona anoressica diventa così ossessionata dal cibo che la propria
vita finisce con l’essere totalmente incentrata sulla questione alimentare, impedendo di
provare interesse ed entusiasmo verso qualsiasi altra cosa (Dalle Grave, 2004).
Diagnosticare precocemente l’anoressia non è affatto semplice, soprattutto per quanto
riguarda i soggetti molto giovani, perchØ i cambiamenti fisici che accompagnano
l’adolescenza e che comportano squilibri di peso e altezza possono mascherarne le prime
fasi; nelle ragazze uno dei sintomi piø classici è l’interruzione del ciclo mestruale per
almeno tre mesi successivi, sintomo che, però, non si applica a giovani adolescenti che
ancora non abbiano avuto il menarca o, al contrario, alle ragazze che prendono la pillola
anticoncezionale.
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1.2.2. LA BULIMIA NERVOSA
Per quanto riguarda la diagnosi di Bulimia Nervosa sono necessarie le seguenti
caratteristiche (American Psychiatric Association, 1994):
A. ricorrenti episodi di abbuffate compulsive. Un episodio di abbuffata è caratterizzato da
entrambi i seguenti elementi: a) ingestione in un ristretto periodo di tempo (ad esempio
nell’arco di un paio d’ore) di una quantità di cibo decisamente superiore a quella che la
maggior parte delle persone mangerebbe in un simile periodo di tempo e in circostanze
equiparabili (a volte per un totale di diverse migliaia di calorie); b) un senso di
mancanza/perdita di controllo durante l’episodio (la persona sente di non riuscire a
smettere di mangiare o sente di non riuscire a controllare cosa e quanto sta mangiando);
B. ricorrenti e inappropriati comportamenti compensatori allo scopo di prevenire
l’aumento di peso, come il vomito autoindotto, l’abuso o uso improprio di lassativi,
diuretici o clisteri, l’eccessivo esercizio fisico e il digiuno;
C. le abbuffate e i comportamenti compensatori inappropriati si verificano in media
almeno due volte alla settimana, per tre mesi;
D. i livelli di autostima sono indebitamente ed eccessivamente influenzati dalla forma del
corpo e dal peso e sono strettamente legati al controllo di queste caratteristiche;
E. il disturbo non si verifica esclusivamente durante gli episodi di anoressia nervosa.
SOTTOTIPI:
1. Sottotipo purgativo (con abbuffate/condotte di eliminazione): durante l’episodio di
bulimia nervosa, la persona si induce regolarmente il vomito o fa un uso inappropriato
e frequente di lassativi, diuretici o clisteri;
2. Sottotipo non purgativo (senza condotte di eliminazione): durante l’episodio di bulimia
nervosa, la persona mette in atto altri comportamenti compensatori inappropriati come
il digiuno o l’esercizio fisico eccessivo, ma non si induce regolarmente il vomito e non
fa un uso improprio di lassativi, diuretici o clisteri.
Una persona bulimica si abbuffa, quindi, in modo molto diverso da quello che avviene
quando normalmente si mangia troppo e l’abbuffata è preceduta e seguita da uno stress
emotivo molto forte: dopo aver mangiato in modo così eccessivo e senza la capacità di
controllarsi e di fermarsi, la persona bulimica generalmente si sente in colpa e angosciata
all’idea di aumentare di peso, perciò tende a mettere in atto dei comportamenti eliminativi
e punitivi, quali il vomito autoindotto e l’uso improprio di lassativi e diuretici; in misura
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meno frequente gli episodi bulimici sono, invece, seguiti dall’adozione di comportamenti
non eliminativi, come il digiuno o l’esercizio fisico eccessivo e compulsivo, sempre con
l’intento di dimagrire. Se questi comportamenti purgativi diventano ripetitivi, ad esempio
si manifestano due volte alla settimana per tre mesi, si è di fronte a un chiaro segnale di
disordine alimentare. E’ da notare che solo raramente i pazienti bulimici non si infliggono
alcuna punizione e che questi cicli di abbuffata-espulsione, se non controllati, possono
condurre a seri problemi di salute.
In aggiunta, a lungo andare, un soggetto bulimico entra in una fase di depressione e di
disgusto verso se stesso, cerca di occultare il proprio comportamento agli altri e la sua
forma fisica finisce con il diventare un’ossessione permanente e con l’avere forti
ripercussioni sulla sua autostima. Nei casi piø tipici sono frequentemente presenti sintomi
di depressione ed ansia e, come nell’anoressia nervosa, un sottogruppo di pazienti abusa di
sostanze e mette in atto comportamenti autolesionistici (Fairburn, 1990).
Inoltre, siccome i tentativi di perdita di peso sono interrotti da frequenti episodi bulimici,
ciò spiega perchØ il peso delle persone con questo disturbo rimanga nella norma o
lievemente al di sopra o al di sotto della norma stessa; una persona bulimica, infatti, può
essere di peso normale, sottopeso o sovrappeso, diversamente da una anoressica che è
sempre sottopeso, ed il suo peso può variare enormemente anche in un breve periodo di
tempo.
1.2.3. I DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE NON ALTRIMENTI SPECIFICATI
Infine, questa categoria comprende i disordini alimentari che non soddisfano i criteri
diagnostici dei disturbi sopra elencati. Non esistono criteri diagnostici per tale categoria,
ma alcuni esempi comprendono (American Psychiatric Association, 1994):
1. casi di donne per cui sono soddisfatti tutti i criteri diagnostici dell’anoressia nervosa,
ma esse hanno mestruazioni regolari;
2. casi in cui tutti i criteri diagnostici dell’anoressia sono soddisfatti, ma, nonostante la
significativa perdita di peso, quello attuale si colloca in un range di normalità;
3. casi in cui tutti i criteri diagnostici della bulimia nervosa sono soddisfatti, ma le
abbuffate e i meccanismi compensatori inappropriati si verificano con una frequenza
inferiore alle due volte alla settimana o hanno una durata inferiore ai tre mesi;
4. casi in cui il soggetto ha la tendenza a masticare e sputare ripetutamente, senza
inghiottire, grandi quantità di cibo;
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5. casi in cui un individuo con un normale peso corporeo ricorre all’uso regolare di
comportamenti compensatori inappropriati dopo aver mangiato piccole quantità di cibo
(per esempio ricorrendo al vomito autoindotto dopo aver mangiato un paio di biscotti);
6. Binge Eating Disorder: ricorrenti episodi di abbuffate in assenza di un uso regolare di
inappropriate condotte compensatorie tipiche della bulimia nervosa.
1.2.4. VERSO UNA VISIONE TRANSDIAGNOSTICA DEI DISTURBI
DELL’ALIMENTAZIONE
Lo schema del DSM-IV sopra riportato per la classificazione di questi disturbi incoraggia
l’idea che essi siano una serie di disturbi distinti, ma è importante considerare che non tutti
i casi sono precisamente descrivibili nell’arco dei sintomi tipici dell’anoressia e della
bulimia: alcuni soggetti, infatti, iniziano con una forma di anoressia, ma poi, incapaci di
mantenere il basso peso, scivolano verso comportamenti bulimici. Secondo l’American
Psychiatric Association (1993), la metà dei pazienti anoressici finisce con l’avere sintomi
di bulimia, e in qualche caso i pazienti bulimici sviluppano comportamenti anoressici.
¨, infatti, frequente che la stessa persona passi, in diversi momenti della vita, dall’uno
all’altro disturbo: gli studi degli ultimi anni hanno evidenziato che nei pazienti che non
guariscono dall’anoressia nervosa il passaggio alla bulimia nervosa è frequente e lo stesso
si può dire per i disturbi dell’alimentazione NAS; questi, infatti, sono l’esito comune
dell’anoressia e della bulimia, che a sua volta tipicamente inizia come anoressia o disturbo
dell’alimentazione NAS (Fairburn, 2010).
In aggiunta, è possibile constatare che in tutte e tre le categorie diagnostiche sono presenti
alcuni comportamenti in comune e specifici di queste patologie, come ad esempio la
sensazione costante di essere grassi, il check del corpo (ovvero il controllo costante del
peso e delle forme del corpo), le preoccupazioni e l’eccessiva importanza conferita
all’alimentazione, al peso e alla forma del corpo, elemento quest’ultimo che costituisce il
nucleo psicopatologico condiviso da tutti e tre i disturbi.
La migrazione da un disturbo all’altro e il fatto che anoressia, bulimia e disturbi
dell’alimentazione NAS condividano la stessa psicopatologia distintiva, suggeriscono che
siano coinvolti meccanismi comuni transdiagnostici nel loro mantenimento e che, perciò,
ci sia motivo di considerarli come un’unica categoria diagnostica invece che come disturbi
separati, proprio come suggerisce la recente “Teoria Transdiagnostica” (Fairburn, Cooper
& Shafran, 2003; Milos, Spindler, Schnyder & Fairburn, 2005).
15
Nella Tabella 1 sono riportate sinteticamente le caratteristiche cliniche che li
contraddistinguono e il grado di importanza di ciascuna di esse per ogni specifico disturbo;
come si può notare, la maggior parte delle seguenti caratteristiche è condivisa da tutte e tre
le categorie dei disturbi alimentari (Dalle Grave, 2003):
Tabella 1. Principali caratteristiche cliniche dei disturbi dell’alimentazione
Anoressia
nervosa
Bulimia
nervosa
Disturbi
dell’alimentazione
NAS
Eccessiva
importanza
attribuita al peso,
alla forma del
corpo, al loro
controllo +++ +++ ++
Pensieri e
preoccupazioni
per
l’alimentazione, il
peso e la forma
del corpo +++ +++ ++
Dieta ferrea
+++
++ ++
Abbuffate
+ +++ ++
Vomito
autoindotto
+
++ +
Uso improprio
di lassativi + ++ +
Uso improprio di
diuretici
+
+ +
Esercizio fisico
eccessivo e
compulsivo ++ + +
Altri
comportamenti
di compenso
+
+ +
Check
dell’alimentazione +++ + +
Check del corpo
+++ +++ ++
Evitamento
dell’esposizione
del corpo + ++ ++
Sensazione di
essere grassi
+++
+++ +++
Basso peso e
sindrome da
denutrizione +++ + +
16
1.3. FATTORI EZIOPATOGENETICI
Attualmente, l’eziologia dei disturbi alimentari non sembra ancora del tutto chiara e
universalmente riconosciuta, non è cioè ancora stato possibile costruire una teoria sintetica
che spieghi quale specifica interazione di forze sia necessaria e sufficiente a provocare un
disturbo dell’alimentazione e, per questa ragione, è auspicabile che in futuro la ricerca
provi ad identificare con maggior precisione i fattori di rischio così come i fattori protettivi
di queste patologie.
¨ fortemente probabile che esse siano la risultante dall’interazione di una molteplicità di
fattori biologici, genetici, ambientali, socio-culturali, psicologico-psichiatrici, individuali e
familiari, a cui si aggiunge un’ossessiva sopravvalutazione dell’importanza della propria
forma fisica, del proprio peso corporeo e una necessità di stabilire un controllo su di essi
(Bulik, Reba, Siega-Riz & Reichborn-Kjennerud, 2005).
Alcuni dati derivati dalla ricerca sui fattori di rischio indicano che tali disturbi sembrano
derivare dalla combinazione di una predisposizione genetica e di fattori di rischio
ambientali (Fairburn, 2010). Purtroppo, non si sa ancora nulla di certo sui processi causali
individuali coinvolti e sul modo in cui i fattori genetico-biologici interagiscono con quelli
ambientali, dunque sono necessari degli approfondimenti ulteriori al fine di comprendere
quale sia la reale interazione tra tutti questi fattori (Bulik et al., 2005).
Tenendo presente che le ricerche effettuate si sono prevalentemente concentrate
sull’anoressia e con minor frequenza sulla bulimia, mentre non ci sono ancora dati
sufficienti sulla patogenesi dei disturbi dell’alimentazione NAS, la seguente tabella riporta
sinteticamente un elenco dei potenziali fattori di rischio dei disturbi dell’alimentazione
indagati negli ultimi anni attraverso una serie di studi integrati retrospettivi eseguiti sulla
collettività (Fairburn, Cooper, Doll & Welch, 1999; Fairburn & Harrison, 2003; Fairburn,
Welch, Doll, Davies & O’Connor, 1997) e da alcuni studi prospettici (McKnight, 2003;
Stice, 2002). I fattori di rischio generali si riferiscono a condizioni non modificabili che
aumentano il rischio di sviluppare i disturbi dell’alimentazione, mentre quelli specifici si
riferiscono a condizioni che colpiscono in modo specifico il sottogruppo di individui che
sviluppa questa patologie (Fairburn & Harrison, 2003).
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Tabella 2. Principali fattori di rischio dei disturbi alimentari evidenziati dalla ricerca
FATTORI DI RISCHIO GENERALI
- Sesso femminile
- Adolescenza e prima età adulta
- Vivere in una società occidentale
FATTORI DI RISCHIO SPECIFICI
Storia familiare
- Disturbi dell’alimentazione
- Depressione
- Alcolismo (bulimia nervosa)
- Obesità (bulimia nervosa)
Esperienze premorbose
- Problemi con i genitori (basso contatto, alte aspettative, dispute genitoriali)
- Abusi sessuali
- Diete tra i familiari
- Commenti negativi sull’alimentazione, peso e forme corporee da familiari o
altri
- Lavori o attività ricreative che incoraggiano la magrezza (es. danza)
- Esposizione ad immagini di persone magre trasmesse dai mass-media
Caratteristiche premorbose
- Bassa autostima
- Perfezionismo (anoressia nervosa e in misura minore bulimia nervosa)
- Interiorizzazione dell’ideale di magrezza
- Ansia e disturbi d’ansia
- Obesità (bulimia nervosa)
Come si evince dalla tabella, i disturbi dell’alimentazione possono avere un’origine
familiare e gli studi sulle famiglie evidenziano proprio questo dato: studi
transgenerazionali e sui gemelli hanno dimostrato che essi si manifestano con una
probabilità dieci volte maggiore tra i parenti di una persona già malata, soprattutto se si
tratta della madre, rispetto ai familiari di individui non affetti (Lilenfeld et al., 1998;
Strober, Freeman, Lampert, Diamond & Kaye, 2000). La trasmissione è crociata tra
anoressia nervosa, bulimia nervosa e disturbi dell’alimentazione NAS: questo significa che
se, ad esempio, un individuo è affetto da anoressia, nella famiglia si potranno avere con
maggior frequenza sia casi di anoressia sia di bulimia o di disturbi dell’alimentazione
NAS; tale fatto indica che le categorie diagnostiche di questi disturbi sembrano