1.2 LA TEORIA DI ROKEACH
La definizione del valore utilizzata da Rokeach è stata notevolmente
influenzata da quella di Kluckhohn (1951), illustrata in
precedenza.
Rokeach (1973), a sua volta, sostiene che essi siano dei
convincimenti stabili che uno specifico modo di condotta, o meta
finale della vita, sia personalmente o socialmente preferibile ad uno
opposto o contrario. Noi utilizziamo i nostri valori, culturalmente
appresi, come standard per stabilire se siamo morali e competenti
come gli altri, per guidare la nostra autopresentazione e per
favorire la razionalizzazione di credenze, atteggiamenti,
comportamenti, che altrimenti potrebbero essere personalmente o
socialmente di difficile accettazione. Soprattutto i valori
influenzano direttamente la scelta dei modi ed i mezzi dell’azione.
I valori sono raggruppati in sistemi, durevoli organizzazioni di
credenze riguardanti le modalità di condotta, o stati guida
terminali dell’esistenza, lungo un continuum di importanza
(ordinamento gerarchico).
I nuovi valori appresi vengono inseriti in esso secondo rapporti di
priorità. Rari e limitati sono, infatti, i casi in cui il comportamento
di una persona è guidato da un solo valore per un considerevole
periodo di tempo, in quanto i valori operano in relazione tra loro,
secondo un piano generale, per risolvere conflitti e per prendere
decisioni.
I valori sono più generali, mentre gli atteggiamenti sono più
specifici ad oggetti, situazioni, persone, ecc. I valori sono, quindi,
più centrali rispetto a questi ultimi, in quanto li determinano, sono
più resistenti ai cambiamenti, hanno funzione motivazionale,
prescrittiva e proscrittiva sia a livello individuale, sia sociale.
Essi vengono perseguiti tramite atteggiamenti positivi verso l’azione
in questione e si riferiscono ad una singola credenza, trascendente
gli oggetti e le situazioni specifiche.
Tale sistema valore-atteggiamento viene utilizzato per risolvere i
conflitti e prendere decisioni: quando nelle situazioni di vita
vengono attivati due o più valori, spesso in contrasto tra loro,
l’individuo si basa sul proprio sistema di valori per risolvere il
conflitto e mantenere o innalzare la propria autostima. Quindi il
sistema di valore, piuttosto che un singolo valore, dovrebbe fornire
una più completa comprensione delle forze motivazionali che
dirigono credenze, atteggiamenti e comportamenti.
Un’altra innovazione introdotta da Rokeach (1967) consiste nella
distinzione tra sistemi di valori terminali, o obiettivi centrali di
vita, e strumentali, o modalità di condotta, finalizzate al
raggiungimento di tali mete, entrambe trascendenti specifici oggetti
e situazioni.
Egli, in questo modo, si allontana dalle posizioni di altri autori,
come ad esempio Kluckhohn (1951) che ritiene che le qualità
personali, i tratti che gli individui pensano di avere, possano
servire o come mezzi, o come obiettivi. Inoltre, sebbene i valori
strumentali e terminali interagiscano e si influenzino a vicenda,
non è detto che gli uni siano al servizio degli altri.
Successivamente altri ricercatori come Schwartz e Bilsky (1987),
nonostante in un primo studio abbiano riscontrato la presenza di
tale distinzione, in seguito (Schwartz & Bilsky, 1990) hanno
ipotizzato che qualcosa d’altro l’abbia prodotta, in quanto è stata
riscontrata anche quando tutti i valori sono stati espressi in forma
terminale (Finlandia) e dove il linguaggio (cinese) impediva di
formularli separatamente (Hong Kong). Hanno dato, quindi, una
interpretazione alternativa, sostenendo che la discriminazione
empirica potesse essere stata prodotta artificialmente dall’ordine
seriale, nel quale i valori erano stati valutati, anche se non hanno
spiegato in che modo un effetto dell’ordine possa aver generato
delle regioni distinte. Un processo, tuttavia, sembra chiaro: i
soggetti potevano modificare la loro scala soggettiva di importanza,
man mano che incontravano valori più o meno importanti di quelli
precedentemente incontrati. Di conseguenza, le sostituzioni
nell’uso della scala avrebbero ridotto le correlazioni tra i valori
lontani tra loro, perché sarebbero stati, probabilmente, valutati in
base a scale soggettive differenti. Quindi, se la distinzione tra valori
strumentali e terminali era dovuta ad un cambiamento d’uso della
scala, si sarebbe dovuta ridurre o annullare quando i soggetti,
come prima cosa, ancoravano le loro valutazioni dell’intera scala,
prima di passare ai singoli valori.
Da uno studio successivo (Schwartz, 1992), per verificare le ipotesi
derivate dal precedente, tale netta separazione non è emersa,
probabilmente perché essa non è una base significativa sulla quale
gli individui organizzano i loro valori.
Secondo Rokeach (1973) i valori possono essere concettualizzati
come una gerarchia semplice e lineare. Tra essi esiste un ordine di
priorità definito tramite un processo cognitivo, che implica il
confronto tra coppie di essi, influenzato a sua volta dalla
personalità soggettiva, dal grado di socializzazione, dall’ambiente
socio-istituzionale e culturale.
La Value Survey (Rokeach, 1967) è costituita da due gruppi di 18
valori ciascuno, presentati in ordine alfabetico: i valori terminali,
che definiscono gli obiettivi ultimi della vita, e i valori strumentali,
che indicano i comportamenti attuati per raggiungere tali scopi.
Fu somministrata, in forma completa, per la prima volta nel 1968
ad Americani adulti dal NORC (National Opinion Research Centre)
dell’Università di Chicago e successivamente nel 1971. Altre
valutazioni dei soli valori terminali furono effettuate dall’ISR
(Institute for Social Research) dell’Università del Michigan nel 1974
e nel 1981.
Il metodo di misura di Rokeach si differenzia dai precedenti in
quanto è più diretto, concreto, con precise definizioni dei valori,
applicabile ad un campione casuale o rappresentativo di cittadini
di una nazione o società.
Le altre scale presentavano numerosi limiti: ad esempio la Ways to
Live (Morris, 1956), suddivisa in 13 paragrafi eccessivamente
complessi con troppe idee, esposte in modo prolisso.
Anche la Personal Value Scales (Scott, 1965) ha una forma
completa, composta da 240 items, troppo ampia e antieconomica.
Di essa esistono anche forme ridotte, tuttavia meno bilanciate ed
affidabili.
La Value Orientations (Kluckhohn & Strodtbeck, 1961) utilizza una
misurazione culturalmente specifica, difficilmente applicabile in
contesti diversi da quello dell’iniziale formulazione.
Diverse sono le modalità secondo cui i soggetti possono esprimere
le loro risposte: la classificazione secondo l’ordine gerarchico di
importanza, utilizzata nella RVS, e la valutazione tramite
l’attribuzione di un punteggio.
Secondo una ricerca condotta da Moore (1975) i vantaggi della
classificazione sono che: permette di focalizzarsi sui valori in
questione, rispecchia il modo reale in cui le persone attribuiscono
le priorità, evidenzia le differenze individuali. I limiti sono che le
misurazioni ottenute sono ipsative, cioè non indipendenti tra loro e
che non viene considerata la possibilità che le persone abbiano dei
valori di uno stesso grado di importanza, oltre al fatto che nella vita
quotidiana alcuni valori, in genere, non sono confrontati con altri.
Un altro problema della RVS è rappresentato dall’utilizzo di misure
basate su singoli items (Robinson, Shaver & Wrightsman, 1991), in
cui ogni valore è espresso da un titolo chiave di una o due parole
(es. Una Vita Confortevole) e da una breve espressione esplicativa
posta sotto, tra parentesi (una vita benestante), che è contestato
dalla teoria Psicometrica, secondo la quale, nessun singolo item è
una semplice misura del costrutto di interesse, in quanto riflette
degli errori, alcuni attribuibili ad altri costrutti irrilevanti, altri a
fluttuazioni casuali.
I migliori risultati, quindi, si ottengono da un certo numero di
differenti items, soprattutto per gli studi interculturali ed inter
gruppi, per inferire le differenze tra essi, in quanto i soggetti hanno
più possibilità di comunicare i loro punti di vista ed i ricercatori
ottengono numerose fonti di dati ai quali affidarsi per interpretare i
risultati. La validità delle misurazioni tramite singolo item,
comunque, dipende dall’argomento della ricerca e dal tipo di
domande, in quanto è una procedura semplice, applicabile ad una
varietà di contesti.
Un’applicazione della RVS (Rokeach & Ball Rokeach, 1989) ha
permesso, ad esempio, di stimare la stabilità ed il cambiamento
delle posizioni reciproche dei valori nella società americana tra il
1968 ed il 1981, da cui sono emerse solo delle minime variazioni
date dall’incremento, in un primo momento dei valori sociali, poi di
quelli individuali, in relazione ad alcuni eventi sociopolitici
concomitanti. Inoltre si è evidenziata la possibilità di indurre
cambiamenti a lungo termine di valori, atteggiamenti e
comportamenti sociali.
Il processo di cambiamento avviene tramite la percezione di
insoddisfazione di sè, generata dalla consapevolezza delle
discrepanze presenti nel proprio credo che, in particolar modo,
sono implicate nella considerazione di sè come essere umano
competente e morale. Il cambiamento ha come fine la riduzione o
eliminazione di tale insoddisfazione. La stabilità è, invece, il
risultato dell’autosoddisfazione, che quindi rinforza l’esistente
sistema di credenze.
I ricercatori ipotizzano che gli spostamenti di valori, verificatisi
negli Stati Uniti, tra il 1968 ed il 1981, siano dovuti alla
socializzazione, ad un aumento della propria autoconsapevolezza,
alla percezione delle discriminazioni sociali ed a motivi economici.
1.3 RELAZIONE VALORE-ATTEGGIAMENTO-COMPORTAMENTO
Teoricamente è accettato il fatto che i valori spieghino ed
influenzino il comportamento, tuttavia a livello empirico si è
cercato di definire cosa essi siano e come influiscano sul
comportamento, ma non è mai stato creato un modello di
equazione strutturale per la comprensione della loro modalità di
correlazione agli atteggiamenti. Il primo tentativo a questo
proposito è stato compiuto da Homer e Kahle (1988).
I valori sono la forma più astratta tra le cognizioni sociali (Kahle
1983, 1984): tali astrazioni fungono da prototipi per la creazione di
atteggiamenti e comportamenti. In una determinata situazione
l’influenza dovrebbe teoricamente passare dai valori astratti, agli
atteggiamenti, a specifici comportamenti.
Fino ad ora la maggior parte delle ricerche empiriche ha
evidenziato una correlazione tra valori e tendenze attitudinali o
comportamentali: la mancanza di analisi causali è probabilmente
funzione del disegno di ricerca e dei limiti statistici, in quanto molti
sistemi di misura dei valori si basano su scale nominali o ordinali e
non sono quindi utilizzabili immediatamente per la
sperimentazione o per creare modelli di equazione strutturale.
Homer e Kahle (1988) hanno adottato come strumento di misura la
Lista dei Valori di Kahle, per la sua semplicità di somministrazione,
l’alto grado di influenza nella vita quotidiana e le maggiori
somiglianze con il metodo di Rokeach.
Poichè i valori possono influenzare il comportamento direttamente
e indirettamente, tramite gli atteggiamenti, nella ricerca si è testato
un modello di equazione strutturale, con un riferimento concreto
agli acquirenti di cibi naturali.
Dall’analisi dei dati è emerso che i coefficienti di correlazione tra gli
atteggiamenti alimentari e i comportamenti d’acquisto erano
significativi, ma non lo erano quelli tra le dimensioni dei valori e il
comportamento d’acquisto, a causa della mediazione degli
atteggiamenti: questo conferma il ruolo degli atteggiamenti di
mediatori tra i valori più astratti ed i più specifici comportamenti.
In particolare, considerando i 3 valori con il maggior peso su
ciascun fattore, ossia autostima, senso di appartenenza, piacere e
divertimento nella vita, coloro che hanno selezionato il primo, un
valore interno, tendono a prendersi cura di se stessi, conoscono la
questione degli additivi nella carne e l’importanza
dell’alimentazione per l’individuo; coloro che hanno selezionato il
secondo, un valore esterno, si adeguano all’atteggiamento
culturalmente dominante di disgusto per il cibo naturale,
probabilmente per sentirsi parte di tale cultura; coloro, infine, che
hanno selezionato il terzo, pongono l’accento sul gusto del cibo
come fonte di piacere.
Ulteriori conferme della relazione indiretta tra i valori ed i
comportamenti sono state fornite dallo studio di McCarty e Shrum
(1993, 1994) sulla percezione del riciclaggio dei rifiuti solidi.
Per poter comprendere la relazione valori-atteggiamenti, si devono
considerare le variabili antecedenti (demografiche, ad es. età,
reddito, grado di istruzione, occupazione, ecc.) ed intervenienti (ad
es. le esperienze personali, la loro percezione, ecc.). Specificamente:
la percezione della scomodità del riciclaggio influisce fortemente sul
relativo comportamento. Se i soggetti possono essere persuasi che
ciò non è nè difficoltoso, nè oneroso, forse è possibile ottenere un
cambiamento di comportamento.
Un modo più indiretto di modificare un comportamento è
focalizzarsi sull’importanza del riciclaggio.
Per ottenere un reale cambiamento di comportamento si dovrebbe
rendere più saliente il suo legame con i valori e, in tal caso,
sottolineare che la partecipazione individuale al riciclaggio possa
soddisfare i propri valori personali (Shrum et al., 1994, 1995,
1996).
1.4 LA TEORIA DI SCHWARTZ
La teoria dei valori di Schwartz (1992) è stata costruita in un
periodo compreso tra la seconda metà degli anni ’80 e la prima
metà degli anni ’90.
Schwartz nella definizione dei valori, si rifà a Kluckhohn (1951) che
li concepisce come concetti di ciò che è desiderabile, influenzanti il
modo in cui le persone selezionano le azioni e valutano gli eventi,
ed a Rokeach (1973), per il quale sono dei criteri di condotta e di
autopresentazione.
Nella teoria (Schwartz, 1992; Schwartz & Bilsky, 1987, 1990) essi
sono: delle credenze, riguardano obiettivi desiderabili o modalità di
condotta, trascendono le situazioni specifiche, guidano la selezione
o la valutazione del comportamento delle persone e degli eventi e
sono ordinati per importanza in relazione gli uni agli altri, per
costituire un sistema di priorità di valori.
I valori sono rappresentazioni cognitive di tre tipi di necessità
universali umane: bisogni biologici dell’organismo, esigenze di
interazione sociale coordinata, richieste socio-istituzionali per il
benessere e la sopravvivenza del gruppo. Queste preesistono a
ciascun individuo: per affrontare la realtà ognuno deve riconoscere,
ideare, progettare risposte ad esse, e, per essere membro di un
gruppo, deve parlarne con gli altri. Tramite lo sviluppo cognitivo gli
individui sviluppano la capacità di rappresentarsi consciamente le
richieste come obiettivi di valori; tramite la socializzazione vengono
insegnati i termini culturalmente condivisi che permettono la
comunicazione su tali obiettivi o valori. In ogni caso, poichè i valori
sono degli obiettivi, devono rappresentare gli interessi personali o
di un gruppo di persone.