INTRODUZIONE
Anche a chi non possiede conoscenze particolarmente approfondite sulla
psicologia e le neuroscienze in generale, e la memoria in particolare, non sarà
difficile constatare come, un'esperienza vissuta in una condizione di forte attivazione
emozionale, conduca in linea di massima a memorie più intense e durevoli nel
tempo. Per molti di noi non è infatti arduo descrivere, con dovizia di particolari,
esperienze della nostra vita particolarmente importanti anche se distanti nel tempo,
come ad esempio la nascita di un figlio o di un fratello; né ci risulta difficile in molti
casi ricordare il luogo in cui ci trovavamo e/o ciò che stavamo facendo nel momento
in cui siamo venuti a conoscenza di un qualche evento di forte risonanza mediatica
come ad esempio l'attacco alle torri gemelle dell'11 settembre 2001. Questo dato
contrasta con il ben maggiore sforzo cognitivo che dobbiamo compiere per mettere a
fuoco con precisione piccoli espedienti di vita ordinaria come ad esempio ciò che
abbiamo mangiato alla cena di due sere addietro.
Ma quali sono i meccanismi tramite i quali l'emozione è in grado di influenzare
una traccia di memoria rendendola più resistente al suo naturale decadimento dovuto
al tempo? Questo è solo uno dei tanti quesiti a cui gli scienziati che si occupano di
memoria stanno cercando di rispondere da oltre mezzo secolo attraverso un gran
numero di approcci e tecniche sperimentali e, benché sia ancora molta la strada da
percorrere affinché a tale quesito si possa dare una risposta esaustiva e
universalmente accettata, alcuni passi avanti in questa direzione sono stati compiuti.
Comprendere a fondo la natura di tali meccanismi è sicuramente importante in
termini di ricerca di base, ma lo è ancor di più se ci si ferma a considerare il gran
numero di psicopatologie in cui parte della sintomatologia potrebbe essere dovuta
proprio alla disregolazione di questi meccanismi. Solo per citare alcuni esempi si può
considerare il caso del disturbo da stress post-traumatico, in cui i pazienti che ne
soffrono sperimentano memorie intrusive legate al trauma che non riescono a
controllare; o anche il caso dei pazienti depressi che notoriamente mostrano la
tendenza a “ruminare” su memorie negative e spiacevoli.
Tra i progressi di cui si è accennato, ve ne sono due che più degli altri hanno
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riscosso un maggior numero di consensi da chi si occupa di questo filone di ricerca:
quello che identifica nel consolidamento mnestico il processo chiave in cui
l'emozione, con il suo carattere squisitamente modulatorio, esercita il suo effetto; e
quello che identifica nell'amigdala la struttura tramite cui questa modulazione risulta
possibile.
1. -- Il consolidamento mnestico 1.1 - Primi studi sul consolidamento Nell'ambito della teoria della memoria, con il termine “consolidamento” o
“consolidamento mnestico” si fa riferimento, in termini generali, alla stabilizzazione
di una traccia di memoria successivamente alla sua acquisizione, così come alla fase
in cui tale stabilizzazione ha luogo (McGaugh, 2000; Dudai, 2002).
Nella letteratura psicologica, il termine consolidamento si fa risalire a uno studio
di Mü ller e Pilzecker (1900) pubblicato all'inizio del secolo scorso nel quale i due
autori osservarono come il corretto richiamo di materiale verbale appena appreso,
poteva essere ostacolato dalla presentazione di nuovi stimoli verbali nei primi minuti
dopo l'acquisizione degli stimoli target . Questo effetto, a cui diedero il nome di
“inibizione retroattiva”, fu per loro la prova del fatto che la memoria sia conservata
inizialmente in uno stato relativamente fragile e che essa necessiti di un certo lasso di
tempo per essere stabilmente consolidata (M ü ller & Pilzecker, 1900 in Dudai, 2004).
Oltre quarant'anni dopo questo studio pionieristico, il consolidamento venne
chiamato in causa anche per render conto dei primi modelli animali di amnesia
ottenuti da Duncan sui ratti tramite l'elettroshock (Duncan, 1945; 1948; 1949). Nel
primo dei suoi tre studi pubblicati tra il 1945 e il 1949, l'autore somministrò ai suoi
animali, impegnati nell'apprendimento di un labirinto complesso, uno shock
elettroconvulsivo dopo ciascuna sessione di acquisizione a diversi intervalli di
tempo. Quello che emerse fu una relazione inversa tra la velocità di apprendimento
del labirinto e la distanza tra la prova di acquisizione ed il trattamento amnesico
(Duncan, 1945). Lo stesso trattamento elettroconvulsivo fu riutilizzato da Duncan in
un esperimento successivo, in cui i ratti furono addestrati ad evitare una griglia
elettrificata. Nuovamente egli osservò un decadimento della traccia di memoria che
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risultò massimo nel gruppo di animali che aveva ricevuto l'elettroshock a 20 secondi
dalla sessione di addestramento, e via via sempre meno marcato nei gruppi trattati
dopo 40 secondi, 1, 4 e 15 minuti. Egli inoltre non osservò differenze significative
rispetto ai gruppi di controllo negli animali in cui il trattamento era stato
somministrato a un intervallo temporale di 1, 2 o 15 ore (Duncan, 1949). Lo
psicologo ipotizzò che tali risultati fossero dovuti all'interruzione da parte dello
shock elettroconvulsivo di quella che chiamò “perseverazione neurale post-
apprendimento” necessaria per il consolidamento mnestico (Duncan, 1949 in Sara &
Hars, 2006). Tale concetto appare molto simile a quello che negli stessi anni, e
indipendentemente dai lavori di Duncan, fu formalizzato da Hebb nella sua ben nota
“teoria della doppia traccia”, nella quale egli suggerì che la memoria a lungo termine
si formi a partire dalla stabilizzazione dell'attività neurale “riverberante” alla base
della memoria a breve termine (Hebb, 1949 in McGaugh, 2000).
Il merito di Duncan e dei suoi studi è stato principalmente quello di inaugurare la
tecnica dell'amnesia retrograda o, per essere più precisi, dell'interferenza post-
acquisizione nello studio del consolidamento nei modelli animali di memoria. Tale
tecnica è stata efficacemente applicata in una molteplicità di paradigmi
comportamentali differenti nei quali , grazie all'impiego strumentale di diversi tipi di
farmaci, è stato possibile ampliare notevolmente le nostre conoscenze sulle basi
neurobiologiche e neurochimiche del consolidamento mnestico.
Pionieri di questo approccio psicofarmacologico allo studio del consolidamento
sono stati gli studi su modelli animali di memoria condotti negli anni '60, basati
sull'impiego di alcuni antibiotici noti per la loro capacità di bloccare la sintesi
proteica. La caduta della prestazione mnestica osservata in seguito alla
somministrazione di queste sostanze, in particolare la puromicina
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, in una fase
precedente o immediatamente successiva all'apprendimento di un compito, ha
dimostrato, sia sul pesce rosso (Agranoff & Klinger, 1964; Agranoff e altri, 1965,
1966) così come sul topo (Flexner e altri, 1963, 1965, 1967; Barondes & Cohen,
1966, 1967), come la sintesi di nuove proteine rappresenti un evento biologico
indispensabile per la stabilizzazione di nuove memorie a lungo termine. Oltre agli
1 Antibiotico derivato dal batterio Streptomyces alboniger che causa un'interruzione prematura della
catena polipeptidica di una proteina in via di traduzione nel ribosoma (Nathans, 1964).
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inibitori di sintesi proteica, il consolidamento è stato ostacolato efficacemente anche
attraverso l'uso di anestetici depressori dell'attività del sistema nervoso centrale
(SNC) come l'etere dietilico e i barbiturici tiopental sodico (pentothal) e
pentobarbital sodico, quest'ultimi noti per la loro capacità di potenziare la
trasmissione inibitoria mediata dal GABA attraverso un prolungamento della durata
di apertura dei suoi principali recettori canale, i GABA
A
. L'azione di questi composti
si è dimostrata efficace quando somministrati successivamente alle sessioni di
apprendimento di un labirinto (Leukel, 1957; Garg & Holland, 1968a), di un compito
di evitamento attivo (Abt e altri, 1961; Essman & Jarvik, 1961) e di un compito in
cui è stata modificata la valenza del rinforzo associato alla pressione di una leva
(Perlman e altri, 1961).
Sull'altro versante, cioè quello del potenziamento del consolidamento mnestico,
non si possono non includere in questo breve excursus storico, i lavori che sempre a
partire dagli anni '60 si sono serviti della somministrazione post-addestramento di
una gran varietà di farmaci psicostimolanti. Tra questi, se ne possono citare alcuni in
cui è stato ottenuto un miglioramento della prestazione mnestica nell'apprendimento
di labirinti (McGaugh, 1959; Ross 1964), nell'apprendimento discriminativo
(McGaugh & Thomson, 1962) come pure nell'apprendimento di una risposta di
evitamento attivo (Bovet e altri, 1966; Oliverio, 1968) per mezzo della
somministrazione post-acquisizione della stricnina, sostanza che stimola il SNC
attraverso l'antagonismo dei recettori per il neurotrasmettitore inibitorio glicina
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.
Effetti analoghi sono stati replicati anche con psicostimolanti differenti quali: la
picrotossina (Breen & McGaugh, 1961; Bovet e altri, 1966; Garg & Holland, 1968b);
il difenildiazadamantolo (McGaugh e altri, 1961; 1962; Westbrook & McGaugh,
1964); la nicotina (Bovet e altri, 1963; Garg & Holland, 1968c; Oliverio, 1968) e
l'anfetamina (Doty & Doty, 1966; Krivanek & McGaugh, 1969).
Grazie al contributo di questi autori e alle generazioni successive di ricercatori che
hanno continuato a studiare il consolidamento, disponiamo oggi di una quantità di
2 La prima testimonianza sull'effetto facilitatorio della stricnina sulla memoria risale a Lashley
(1917). Tuttavia in questo lavoro, e in altri che ne seguirono, essa venne sempre somministrata in
una fase precedente all'apprendimento, lasciando aperta la possibilità che quello osservato fosse in
realtà un effetto di performance aspecifico piuttosto che un effetto mnestico per se (McGaugh &
Roozendaal, 2009).
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dati sperimentali tale da permetterci di descrivere il fenomeno in maniera dettagliata.
1.2 - Criteri dimostrativi e sistemi neurotrasmettitoriali coinvolti Il consolidamento è stato descritto in tutte le specie e per ciascun test
comportamentale di memoria fin'ora studiato che conduca alla formazione di una
traccia di memoria a lungo termine, definita operativamente come una memoria
rilevabile ad almeno 24 ore dal suo apprendimento. Il processo ha luogo in una
limitata finestra temporale che ha inizio nei primi secondi dopo l'apprendimento ed
ha durata variabile a seconda del compito e del trattamento effettuato (Dudai, 2004).
Essendo il consolidamento definito come la stabilizzazione post-apprendimento di
una memoria, appare chiaro come il criterio chiave per poter sostenere che una certa
manipolazione farmacologica produca un effetto su questo processo, sia la
dimostrazione che la tal sostanza faciliti/ostacoli la stabilizzazione di una traccia di
memoria se somministrata nella finestra temporale in cui esso ha luogo (per la
maggior parte dei compiti da pochi secondi a un'ora circa). La somministrazione
effettuata in tale finestra temporale, mantiene l'animale privo di farmaci in
circolazione sia durante l'acquisizione sia durante il test di ritenzione. Una classica
condizione di controllo molto usata in letteratura per affermare che una determinata
sostanza agisce selettivamente sul consolidamento in un test di evitamento inibitorio,
è la dimostrazione che essa perda di efficacia se somministrata dopo 120 minuti dalla
sessione di acquisizione (vedi ad esempio Castellano e altri, 1991). Se infatti tale
sostanza dimostra un'efficacia pressoché invariata a diversi intervalli temporali pre e
post-addestramento, è possibile che l'effetto osservato sia dovuto all'interferenza con
un qualche altro processo mnestico come l'acquisizione, il mantenimento, il richiamo
o l'espressione della memoria (Dudai, 2004). Nel caso in cui il farmaco in questione
interferisca con il consolidamento, vi sono due elementi importanti da considerare
per provarne la selettività: che esso non produca effetti significativi sulle abilità
sensorimotorie dell'animale di cui necessita per l'esecuzione del compito, cosa che
comunque viene scongiurata dalla somministrazione successiva al testing
comportamentale; e che, inoltre, l'effetto del trattamento non sia rinforzate di per sé,
cosa che potrebbe creare nell'animale un'ulteriore associazione tra procedura
comportamentale e ottenimento del farmaco. Al fine di controllare questi effetti è
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possibile includere nello stesso esperimento un gruppo di soggetti che siano
sottoposti alle stesse condizioni del gruppo testato (stessa manipolazione,
esposizione all'apparato e sostanze iniettate) ma senza ottenere lo stimolo che
dovrebbe generare il ricordo. Altro aspetto rilevante per poter generalizzare i risultati
ottenuti con un certo farmaco, è che i suoi effetti non siano compito-dipendenti
ovvero che siano replicabili con diverse procedure comportamentali. Attraverso
l'applicazione di questi criteri alla ricerca animale, è stato possibile individuare i
numerosi sistemi neurotrasmettitoriali che partecipano e rendono possibile il
consolidamento delle memorie.
Sistemi neurotrasmettitoriali coinvolti nel consolidamento - Essendo il
glutammato il principale neurotrasmettitore eccitatorio del cervello, non sorprende
come i suoi ricettori siano implicati nella totalità dei processi di memoria a breve e
lungo termine ( Riedel e altri, 2003). Per quanto riguarda il consolidamento in
particolare, è stato estesamente dimostrato come il blocco post-apprendimento dei
suoi principali sottotipi recettoriali impedisca che le memorie vengano efficacemente
stabilizzate. Molti sono gli studi, ad esempio, in cui antagonizzando i recettori
NMDA, di particolare interesse in relazione al loro coinvolgimento nel
potenziamento a lungo termine, tramite antagonisti quali l'MK801, l'AP5 ed il CPP
somministrati per via sistemica o intra-amigdala è stata indotta una caduta della
prestazione mnestica di topi e ratti impegnati in compiti di evitamento inibitorio
(Jerusalinsky e altri, 1992; Liang e altri, 1994; Castellano e altri, 1999; Roesler e
altri, 2000; Ciamei e altri, 2001). Per i recettori AMPA, meno studiati dei precedenti,
è stato comunque dimostrato un coinvolgimento nel consolidamento di una risposta
di evitamento inibitorio che poteva essere ostacolato tramite somministrazione
dell'antagonista CNXQ in amigdala e in ippocampo a 0, 90 e 180 minuti
dall'addestramento (Jerusalinsky e altri, 1992). Anche i recettori metabotropi per il
glutammato, al pari dei suoi recettori canale, si sono dimostrati necessari per il
consolidamento tuttavia, data la varietà di sottotipi differenti sia per distribuzione sia
per i meccanismi molecolari innescati dalla loro stimolazione, si rimanda a Riedel
(2003) per un approfondimento.
Se la neurotrasmissione eccitatoria mediata dal glutammato è fondamentale per il
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