Utopia Vs. eterotopia. Poetica architettonica e tecnologie dell'informazione tra scenari e immaginario. Materiali e tecniche esecutive in tre progetti di Zaha Hadid, Shin Takamatsu e Future Systems.
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17 per il concorso “Recipro-city” al padiglione Canadese, ecc. (AA.VV., 1996). Gli elaborati presentati avevano alcune particolarità. Oltre al compiaciuto manierismo nella rappresentazione delle tavole di progetto (modellazioni solide virtuali a colori), era evidente l'assenza, o quasi, di disegni convenzionali (piante, prospetti, sezioni, particolari costruttivi, ecc.). L’impressione che se ne poteva trarre era che si trattasse di progetti sperimentali, con carattere di avanguardia, alla ricerca di nuove sensibilità e nuovi linguaggi, che sfruttavano, in larga parte, le potenzialità delle nuove tecniche di rappresentazione del progetto. Leggere in questi progetti solo la particolare tecnica di rappresentazione sarebbe però riduttivo. Ritengo sia importante evidenziare anche le influenze di scenario e immaginario contemporanei, che in bilico tra scienza e fantascienza, tra presenza e futuribilità della tecnica, tra fiducia e timore nel progresso tecnologico, hanno un ruolo importante nella formazione della cultura contemporanea, non solo architettonica. L’analogia con le immagini proposte da alcune avanguardie architettoniche del nostro secolo come il Futurismo, l’opera di Richard Buckminster Fuller o del gruppo Archigram è evidente. La Rivoluzione Industriale, le macchine, la fisica nucleare e le imprese spaziali, erano i referenti per il passato. Nel presente è evidente l’influenza della “terza ondata” (3) caratterizzata dallo sviluppo delle tecniche informatiche: la cosiddetta “società dell’informazione” (4). Hans Hollein, nel testo di presentazione al Catalogo della Mostra (AA.VV., 1996), sottolinea come la cultura contemporanea, e quindi l’architettura, siano profondamente influenzate dalle nuove tecnologie dell’informazione (5). L'architettura è espressione di una civiltà, delle sue concezioni estetiche, dei suoi valori simbolici, delle condizioni economiche, ecc.. I presupposti dei mutamenti dell'architettura stanno quindi nelle modificazioni della società che li genera. La rivoluzione industriale modificando le tecnologie di produzione, l'economia, la società e dunque la cultura ha creato nuovi presupposti per cui anche l'architettura ha potuto cambiare. La rivoluzione informatica che modificazioni ha creato? Quali creerà? L'architettura ha subìto conseguenze? Ne subirà? (6) Il padiglione britannico alla VI Mostra Internazionale di Architettura alla Biennale di Venezia ha avuto, a questo proposito, un titolo significativo: <<L’ARCHITETTURA DELL’INFORMAZIONE. La rivoluzione nella tecnologia dell’informazione cambierà la nostra vita. Cambierà anche l’architettura?>>. Michael Brawne, curatore del padiglione, nel Catalogo dello stesso afferma (7): <<...Ipotizzare l’avvento della rivoluzione dell’informazione significa solo estrapolare tendenze già in atto, non è certo un esercizio di chiaroveggenza. Molto più difficile e rischioso è prevedere in che modo quella rivoluzione influenzerà l’architettura in quanto forma di entità abitate.>> (Brawne, 1996, tr. it. 1996, p. 2). Nel 1995 Kenneth Frampton pubblica il testo "Studies in Tectonic Culture" in cui, nell'ultimo capitolo, esprime la preoccupazione che l'architettura contemporanea stia andando verso una eccessiva e progressiva smaterializzazione (8): osservando le percentuali di costo nelle costruzioni, infatti, rileva una sempre crescente incidenza di impianti e partizioni mobili, e un sempre più forte declino dei costi relativi alla struttura e alle facciate. Questo, secondo Frampton, è un processo negativo, tant'è che nel suo lavoro dedica spazio quasi esclusivamente agli architetti della "Tectonic 18 Culture", architetti che investono ancora massicciamente le loro risorse poetiche nella costruzione di edifici in cui la valenza materiale della struttura e della composizione "muraria" è consistente. Per contro Robert Venturi (1996), con accenti piuttosto enfatici, e, soprattutto, Charles Jencks (1995), affermano la valenza positiva di questi nuovi scenari per l'ispirazione poetica della architettura contemporanea (9): la rivoluzione informatica, le biotecnologie, i nuovi scenari culturali aperti dalla scienza e dalle nuove impostazioni epistemologiche (Kuhn, Flichy, ecc., cfr. con cap. 2), costituiscono, secondo questi autori, i presupposti per un cambiamento della architettura. Venturi, per esempio, sollecita il riferimento alla nuova iconografia dell'era elettronica e dei programmi CAD: <<Here is architecture as iconographic representation emitting electronic imagery from its surfaces day and night rather than architecture as abstract form reflecting light from its surfaces only in the day - an architecture that embraces human dimension over those of abstract expression - that celebrates the beginning of an age of virtually universal literacy and embraces meaning over expression. (...) From the graphic opportunity afforded by the CAD system and exploited by Deconstructionist designers who simply punch ROTATE and STRETCH on their computers to project forced-decorative geometric expressions of complexity and contradiction... (...) ... iconography over expression: generic over spatial: electronic over insdustrial.>> (Venturi, 1996, pp. 5-7-16) Jencks, dopo aver legittimato il post-moderno, formula ora alcuni nuovi paradigmi per l'architettura in relazione alle mutate condizioni culturali e spirituali: <<It is a new world view that is illuminated by what are called the new "sciences of complexity", which includes Complexity Theory itself, Chaos science, self-organizing systems, and nonlinear dynamics. These - plus the new story of "cosmogenesis", which is compatible with them - reveal the universe as a single, unfolding, creative event that is always reaching new levels of self-organization. The implications of this are not only spiritual but architectural.>> (Jencks, 1995, p. 9) Per la definizione di questo nuovo perimetro culturale nell'ambito di ricerca della critica architettonica si veda anche il recente testo di Prestinenza Puglisi (1998), in cui l'autore e Antonino Saggio, per mezzo di diverse analisi critiche, arrivano a denominare questa nuova architettura "HyperArchitettura", in analogia alla struttura degli ipertesti (10). Postmoderno Questi sono fenomeni in atto. Accanto a queste interessanti potenziali sinergie tra tecnologie dell'informazione e architettura vanno però considerate le conseguenze che, nel recente passato, le tecnologie della informazione di massa hanno avuto sulla costruzione dell'architettura. La “società dell’immagine” (11) e la “società dello spettacolo” (12) si sono infatti materializzate nello spazio fisico grazie agli architetti “postmoderni” (13). Gli esiti di questo atteggiamento nello spazio costruito (14), l’uso della storia come bagaglio di immagini, il campionamento citazionista, l’uso delle immagini dei media per la costruzione architettonica, ecc., hanno generato uno scollamento tra progetto, cultura materiale e cultura tecnologica della progettazione. Questo atteggiamento si è esteso, in modo virulento, lungo i circuiti dei media, dalla “architettura di casta” dei “grandi architetti” promotori di questo movimento, alla “architettura diffusa” (15), caratterizzando, purtroppo, gran parte del territorio contemporaneo. 19 Le trasformazioni urbane I mutamenti generati dallo scenario culturale contemporaneo nella costruzione dello spazio fisico sono stati già ampiamente trattati soprattutto in riferimento alla scala urbana. Nel padiglione italiano della VI Mostra Internazionale di Architettura alla Biennale di Venezia, nella sezione dedicata al paesaggio curata da Gabriele Basilico e Stefano Boeri, era esposta una ricerca che analizzava alcune realtà suburbane italiane per mezzo di un'indagine fotografica. Nei dintorni dei grandi agglomerati urbani di Milano, Venezia, Firenze, Rimini, Napoli e Gioia Tauro, lungo le principali vie di comunicazione, sono nate, negli ultimi decenni, una miriade di costruzioni che poco si adattano ai metodi classificatori usati fino a ora. Il rapporto tra tipologia edilizia e morfologia urbana, tra “elementi primari” e aree residenziali e gli altri strumenti interpretativi in uso per la “città storica” (16) non consentono un’analisi di questi nuovi agglomerati suburbani: <<Lo spazio metropolitano è in apparenza infinito: città senza confini e luoghi centrali. (...) ... i contrasti si traducono qui in dissociazioni irrisolvibili, in elementi non funzionali a quel processo dialettico tra istituzioni e società che sempre ha governato l’antica città.>> (Ilardi, 1995, p.8). Recentemente questi “accidenti” urbani sono stati oggetto di numerosi studi (17). Massimo Ilardi, per esempio, esprime alcune considerazioni su come la realtà urbana contemporanea sia profondamente mutata. L'ampliamento della città al di fuori dei confini definiti dalla pianificazione, genera quell’unica sterminata periferia, caratterizzata da non luoghi antropologici (18), che costituisce uno degli aspetti più rilevanti della forma della città contemporanea. In questo senso l’essenza del progetto moderno si può definire a partire da queste realtà della periferia contemporanea (19). Facendo un passo ulteriore in avanti nella analisi della realtà urbana contemporanea, il territorio può essere visto come un paesaggio ibrido (20), disseminato di manufatti che hanno significativamente modificato l’essenza stessa del concetto di città con una proliferazione di edifici singolari, spesso ammassati in modi difficilmente interpretabili: villette e capannoni, centri commerciali e palazzine, box e officine, ecc. (21). Non più solo spazi della periferia sono caratterizzati da questo mutamento di significato, ma gli stessi centri storici imbalsamati e svuotati hanno assunto queste nuove valenze. Sono mutate le città, ma soprattutto è cambiato il modo con cui noi vediamo, viviamo, interpretiamo e costruiamo la città, perchè se <<Ciò che la scienza può raggiungere non sono le cose stesse (...), ma solo le relazioni tra le cose. Al di fuori di queste relazioni non esiste realtà conoscibile.>> (Poincaré, studioso fondatore delle geometrie non euclidee, in Prestinenza Puglisi, 1998, p. 55), modificando le condizioni culturali dell'osservatore, i fenomeni e le relazioni mutano, e dunque gli oggetti stessi dell'osservazione non sono più gli stessi . Lévy tradurrebbe questo fenomeno con il concetto di nomadismo di ritorno (Lévy, 1994, tr. it. 1996, pp. 16-17, cfr. con nota 24 cap. 2). Conurbazione, città diffusa, banlieue, suburb, ecc., sono questi i termini in gioco nella definizione della attuale forma urbana (22). La forma, i materiali e le tecniche esecutive usate in queste nuove realtà urbane richiamano con forza l'attenzione della ricerca architettonica. La cultura materiale della “città di latta”, con le sue estese aree residenziali, i suoi spazi pubblici, i suoi centri commerciali, gli autogrill, le stazioni di 20 servizio, ecc., richiama con forza un esame interpretativo, difficile ma necessario, nell’ambito di ricerca proprio della cultura tecnologica della progettazione. La periferia oggi non è più il ghetto, la casa popolare, ma è la moltitudine di lottizzazioni abusive e non che si estende lungo le principali vie di comunicazione, nei comuni limitrofi ai grandi centri urbani, e in alcune realtà di provincia. Questi pezzi di territorio, a lungo snobbati, costituiscono una parte assai importante dello spazio costruito contemporaneo, essi costituiscono le: <<... città senza autore [che] sono le città della gente, costruite dall’immaginario comune, governate dai bisogni diretti di chi le vive in cui si sta realizzando lo scardinamento del senso “comune” della cultura. (...)>> (Desideri, 1995, p. 28) Utopie - eterotopie La ricerca architettonica contemporanea è caratterizzata da questa duplice tensione: verso le proiezioni dell'immaginario e la realtà dello scenario. Nella costruzione dell'immaginario le tecnologie della informazione, le biotecnologie e, in genere, le nuove frontiere della scienza svolgono una funzione fondamentale per la costruzione di orizzonti utopici (23) e/o distopici (24), anche in ambito architettonico (cfr. con capp. 2-4). Nella interpretazione dello scenario l'eterotopia (25) costituisce, invece, il concetto che, più di altri, riassume il senso del reale (cfr. con capp. 1-3). Da questo apparente ossimoro utopia Vs. eterotopia (26), l'opposizione tra una idea, una speranza senza un luogo, formalmente irrealizzata e irrealizzabile, propria dell'immaginario, e l'eccesso di realizzazione delle eterotopie come <<... luoghi che appaiono delineati nell'istituzione stessa della società, e che, costituiscono una sorta di contro-luoghi, specie di utopie effettivamente realizzate nelle quali i luoghi reali, tutti gli altri luoghi reali che si trovano all'interno della cultura vengono al contempo rappresentati, contestati e sovvertiti, una sorta di luoghi che si trovano al di fuori di ogni luogo...>> (Foucault in Foucault et alii, 1994, p. 14), nasce il tema centrale della tesi. La proliferazione negli ultimi anni di progetti di utopie urbane ispirate alle nuove tecnologie e di progetti sperimentali con carattere di rottura nei confronti dei linguaggi architettonici "consolidati", ritengo siano di primaria importanza per la valutazione dei percorsi che l'architettura contemporanea sta intraprendendo. Questo interesse diventa ancor più necessario quando questi progetti passano dalla "carta", o per meglio dire dal "video", alla costruzione. Indagare i materiali e le tecniche esecutive utilizzate, da alcuni di questi architetti, per le loro costruzioni, studiare lo "specchio" della architettura contemporanea, il punto di contatto tra l'utopia e l'eterotopia, é il fine di questa tesi: <<... luoghi, che sono assolutamente altro da tutti i luoghi che li riflettono e di cui parlano, li denominerò, in opposizione alle utopie, eterotopie; e credo che tra le utopie e questi luoghi assolutamente altri, le eterotopie, che vi sia senza dubbio una sorta d'esperienza mista, mediana come potrebbe essere quella dello specchio. Lo specchio dopo tutto, è un'utopia, poiché é un luogo senza luogo. (...) Ma si tratta anche di un'eterotopia, nella misura in cui lo specchio esiste realmente, e dove sviluppa, nel luogo che occupo, una sorta di effetto di ritorno: é a partire dallo specchio che mi scopro assente nel posto in cui sono, poiché é là che mi vedo.>> (Michel Foucault in Foucault et alii, 1994, p. 14) 21 Obiettivi <<I presupposti (...) elementi che rendono possibile e realizzano l'opera d'arte (...) In architettura sono i fattori che partecipano al momento dell'ideazione progettuale...>> (Orsini, 1990, p.9). <<... l'architettura è la volontà di un'epoca concepita in termini spaziali. Vitale, mutevole, nuova.>> (Ludwig Mies van der Rohe in Frampton, 1980-1985, tr. it. 1986, p. 185). <<Until the end of the world, una totalità coerente di naturalità e di artificialità, di memoria e di megabyte, di deserti e di conurbazioni affollate, di sentimenti e di videofax, di piogge acide e di foreste ricostruite, di edificato e di demolito, di fiori e di insegne, di canyon e di motel on the road, oltre ogni ossimoro pensabile, ci consegneranno definitivamente alla naturale innaturalità delle cose del mondo.>> (Desideri, 1995, p. 91). Il fine Obiettivo della tesi è verificare i materiali e le tecniche esecutive utilizzati in tre progetti di tre autori, la cui ricerca poetica è particolarmente influenzata dai caratteri di scenario e immaginario contemporanei. Verificare come la poetica ante-rem di Zaha Hadid, Shin Takamatsu e Future Systems, è stata applicata nella costruzione, e come queste costruzioni si relazionano con i temi della situazione urbana contemporanea. Verificare la coerenza nella scelta di questi materiali e di queste tecniche esecutive con gli assunti delle elaborazioni poetiche, con particolare riguardo alla elaborazione precedente, o coeva, di progetti sperimentali o non realizzati. Verificare i mezzi con cui si è cercato di raggiungere il fine di una architettura, parafrasando Mies, <<... vitale, mutevole, nuova.>>. La tesi si inserisce nel filone di ricerca del Laboratorio Sperimentale di Laurea definito Cultura, storia e tecniche del costruire e si rivolge, in particolare, al confronto tra le poetiche di tre progettisti in relazione ai mutamenti culturali contemporanei, con particolare riguardo alle nuove tecnologie della informazione. La scelta dei progettisti a cui riferirsi e degli edifici da prendere in esame è stata fatta, dopo aver vagliato molte possibilità, in funzione al grado di novità delle proposte poetiche e progettuali, in relazione alle considerazioni legate alle analisi svolte sullo scenario e immaginario culturale e urbano contemporanei e infine in funzione alla possibilità di visitare personalmente gli edifici costruiti oggetto di approfondimento. Zaha Hadid è stata scelta per la dichiarata ispirazione ai temi della cultura contemporanea con l'uso poeticamente nuovo di materiali, spesso, tradizionali, per il movimento congelato e la leggerezza delle sue costruzioni, per l'ispirazione, dichiarata, alle avanguardie pittoriche e agli architetti del Movimento Moderno, per la particolare composizione degli edifici in relazione al contesto, per l'ispirazione a concetti come la fine della prospettiva euclidea nell'interpretazione dello spazio, ecc. (cfr. con De Sessa, 1996). Shin Takamatsu per la fusione-confusione tra movimento e staticità, per la costruzione di "macchine immobili" (Félix Guattari in Guattari et alii, 1996, pp. 11-20), per l'uso ricercato di materiali tradizionali e innovativi per costruire edifici evidentemente ispirati a una estetica ispirata al futurismo e alla fantascienza. Future Systems per il sistematico carattere sperimentale dei progetti, spesso non realizzati, da un punto di vista funzionale, formale e materiale, con evidenti ispirazioni all'immaginario indotto dalla cinematografia 22 contemporanea (cfr. con Pawley, 1993). La scelta degli edifici da approfondire è stata fatta, oltre che per la loro raggiungibilità, per poter valutare le tre tipologie fondamentali della costruzione urbana contemporanea: la residenza, gli edifici semi-pubblici (commercio e servizi) e le infrastrutture. Il progetto di architettura come atto culturalmente legittimato Punto di partenza per la verifica degli obiettivi della tesi è la considerazione secondo la quale il progetto di architettura deve essere un atto culturalmente legittimato. Tale legittimazione si fonda sulla definizione di una poetica che trovi le proprie radici nella cultura del tempo (27). La definizione di alcuni paradigmi culturali con cui "misurare" la coerenza poetica delle realizzazioni costituisce una premessa necessaria al riconoscimento collettivo dell'architettura. La poetica come strategia operativa Il paesaggio mediatico del capitale globale si è dapprima affiancato alla realtà, poi l’ha in parte sostituita surrogandola, e, infine, l’ha profondamente modificata dettando le proprie regole (28). I presupposti al progetto, nella contemporaneità, è raro trovarli nelle realtà culturali locali, nei rapporti di prossimità spaziale, nella cultura materiale consolidata. Più spesso è evidente l’influenza di quegli aspetti della cultura contemporanea che, di volta in volta, viene definita come deterritorializzata, mercificata, estetizzata, globalizzata, ecc. (29). La politica, per esempio, non si rappresenta più, o quasi, nello spazio fisico, ma è, oramai, trapassata quasi completamente nei media di informazione di massa. Se si guarda ai programmi politici, per esempio, è sempre più difficile scorgere attenzione ai temi relativi alla qualità dello spazio costruito. L’architettura è, invece, sempre più spesso espressione del potere economico e a esso si ispira. L’economia globale del capitale, per mezzo dei media, plasma il gusto e la cultura contemporanei ovunque essa arrivi, ed è oggi il maggiore soggetto agente per le trasformazioni in atto nello spazio fisico. Quand’anche i suoi effetti sono meno pervasivi, come in alcune realtà ai “confini”, essa comunque cambia il modo con il quale la realtà esistente viene percepita e vissuta (30). In questo quadro di riferimento il mercato immobiliare della residenza spesso si spinge verso progetti “professionalizzati” che soddisfano il profondo bisogno di riterritorializzazione (31). In questo senso credo vanno interpretati i vuoti richiami formalistici alle culture tradizionali, l’uso degli stilemi del passato, il riferimento a stili di vita pseudo-naturalistici, le enclaves residenziali “immerse nel verde”, ecc.. Questo mediando, nel contempo, schemi funzionali ispirati a modelli di vita globalizzati diffusi dai media. Una reazione a questo stato di cose é quanto mai necessaria. Come è stato in passato, la formulazione di progetti utopici, le proposte delle avanguardie, i progetti sperimentali sono stati un necessario punto di partenza per il ripensamento sull'architettura. Da queste proposte ritengo si possa partire per la formulazione di poetiche che abbiano un ruolo strategico nel ricondurre alle regole fondative del progetto (32). Le tecnologie dell'informazione costituiscono, in questo senso, una delle principali fonti della costruzione dello scenario e dell'immaginario contemporaneo (33). 23 Con queste premesse la tesi si serve delle analisi relative allo scenario e all’immaginario per la definizione del quadro di riferimento in cui si sono sviluppate le proposte architettoniche oggetto di studio. I mezzi Lo studio dello scenario culturale indaga, in una prospettiva interdisciplinare, i caratteri, antropologici, filosofici, psicologici, economici, sociologici e politici, della cultura contemporanea in relazione agli sviluppi delle tecnologie informatiche. In esso si cerca di definire, con un approccio teorico, alcuni elementi della cultura contemporanea che fungano da punto di partenza per le elaborazioni successive. La definizione dell’immaginario culturale si avvale, invece, del contributo delle prefigurazioni svolte in alcune opere della fantascienza contemporanea, con particolare riferimento ai testi di quella parte della fantascienza definita come “cyberpunk” (34). Attraverso queste opere si vogliono restituire alcuni aspetti della figura dell’immaginario contemporaneo. Lo scenario urbano definisce i caratteri delle contemporanee trasformazioni dello spazio fisico per mezzo di una ricerca teorica e di una ricerca iconografica. Il fine dell’analisi è l’individuazione, nella “architettura diffusa”, dei caratteri del paesaggio ibrido e della cultura materiale contemporanei nelle “enclaves residenziali” e nei “non-luoghi”. Una ricerca che permetta di avere un continuo confronto tra le proposte architettoniche analizzate e la realtà del paesaggio contemporaneo. Con questa parte si cerca di comprendere come: <<Il mondo contemporaneo sembra aver assunto le forme e i colori della televisione; [e come] le immagini elettroniche a colori si sono fatte mondo.>> (Bettetini, 1987, p. 75) (35). L’ambito territoriale prescelto è il percorso che, lungo le principali direttrici di traffico, mi porta settimanalmente da Milano verso Sondrio. I risultati della ricerca iconografica sul mio "paesaggio di riferimento", può avere evidenti caratteri di estendibilità ad altre parti del paesaggio italiano, e non solo. La ricerca sull’immaginario urbano si avvale invece delle prefigurazioni svolte in alcune opere della letteratura di fantascienza cyberpunk e nella cinematografia. Queste immagini costituiscono un ideale viaggio nei progetti urbani dell'immaginario collettivo (36). La struttura delle tavole allagate, tripartite, con la ricerca iconografica sullo scenario urbano in basso e quella sull'immaginario in alto, rimanda alla ideale struttura del percorso progettuale tra scenario e immaginario, con le illustrazioni dei progetti presi in considerazione nel mezzo. 24 Sommario generale La tesi è suddivisa in tre parti. Parte prima La prima parte è basata sull’analisi di scenario e immaginario culturale della società dell’informazione. In un'ottica interdisciplinare vengono affrontati i temi relativi all’informatizzazione della società e i suoi esiti nella cultura contemporanea. Parte seconda La seconda parte, fondata anch’essa su una duplice analisi di scenario e immaginario, si rivolge a temi più propriamente urbani e architettonici. Parte terza La terza parte, applicativa, con la definizione dei caratteri della poetica dei progettisti scelti e lo studio fino alla scala del dettaglio costruttivo di una loro opera recente, intende formulare le considerazioni necessarie al raggiungimento degli obiettivi della tesi. Ogni parte è suddivisa in capitoli introdotti da un sommario, che sintetizza i temi trattati nel capitolo, da una o più citazioni puntuali, che fungono da riferimento introduttivo ai temi del capitolo, e da un paragrafo che chiarisce alcuni aspetti di carattere generale. Svolte le argomentazioni, ciascun capitolo è chiuso da alcune notazioni che riassumono per punti gli esiti delle analisi svolte e dalle note che citano i “referenti” (37) utilizzati per le elaborazioni svolte e suggeriscono alcuni percorsi di approfondimento riportati a margine per non interrompere la continuità del testo. Parte prima: società dell’informazione Capitolo 1 Nel primo capitolo si analizzano alcuni aspetti dello scenario culturale della contemporanea società dell’informazione. L’analisi si rivolge, in un’ottica interdisciplinare, a vari aspetti di ordine antropologico, psicologico, filosofico, economico e sociologico. Il fine è la definizione di un quadro di riferimento culturale entro il quale inserire gli effetti dei più recenti sviluppi delle tecnologie informatiche. La definizione di alcune parole chiave, che possano definire i caratteri dello scenario culturale della società dell’informazione per sommi capi, costituisce la sintesi delle analisi svolte. Capitolo 2 Nel secondo capitolo, introdotte le ragioni per cui si è fatto uso dell’analisi dell’immaginario, sono innanzitutto brevemente trattati i rapporti arte- scienza e scienza-fantascienza per inquadrare l’ambito di studio. L’analisi dell’immaginario si riferisce poi alle prefigurazioni svolte dagli attori della ricerca scientifica e tecnologica, dalla cosiddetta “cultura cyber” e dalla letteratura cyberpunk. Nelle considerazioni conclusive sono sintetizzati gli esiti della ricerca per mezzo di alcune parole chiave, che possano definire alcuni caratteri dell’immaginario contemporaneo, in relazione alle tecnologie dell’informazione. Parte seconda: paesaggi ibridi Capitolo 3 Nel terzo capitolo sono affrontate le tematiche relative allo scenario urbano contemporaneo per mezzo di alcuni recenti studi e di una ricerca iconografica diretta. Con i primi si intende tracciare un quadro di riferimento della ricerca, mentre la parte iconografica restituisce la 25 situazione esistente in un tratto di paesaggio italiano. Capitolo 4 Il quarto capitolo delinea alcuni tratti dell’immaginario urbano contemporaneo. Gli strumenti dell’analisi sono le opere letterarie cyberpunk, la cinematografia di fantascienza e alcuni progetti sperimentali, città immaginarie e utopie urbane. La ricerca iconografica restituisce le prefigurazioni svolte nelle opere letterarie e cinematografiche. Parte terza: dalla sperimentazione alla costruzione Capitolo 5 Il quinto capitolo funge da inquadramento culturale per la definizione degli obiettivi della tesi: la poetica come strumento per la legittimazione culturale del progetto di architettura. In esso si intende verificare l’assunto per cui la progettazione deve avere profonde radici nella cultura del tempo e sono richiamati alcuni elementi fondativi di tale impostazione: la definizione del concetto di cultura materiale, i temi relativi ai fini e i mezzi in architettura, quindi ai rapporti tra forma, funzione e tecniche esecutive, e infine la definizione dell’importanza dello studio della cultura tecnologica della progettazione come metodo per una consapevole formulazione di una poetica architettonica che, costituendo un quadro metanormativo di riferimento, permetta una legittimazione culturale del progetto di architettura. Capitolo 6 Il sesto capitolo analizza e documenta gli approfondimenti svolti sulla poetica e sui progetti di Zaha Hadid. In particolare i disegni, fino al dettaglio costruttivo, e la documentazione fotografica originale dell'edificio per appartamenti IBA a Berlino, sono gli strumenti con cui indagare, coerentemente con gli obiettivi della tesi, la coerenza tra fini e mezzi nell'uso di materiali e tecniche esecutive per sub-sistemi. Capitolo 7 Il settimo capitolo analizza e documenta gli approfondimenti svolti sulla poetica e sui progetti di Shin Takamatsu. In particolare i disegni, fino al dettaglio costruttivo, e la documentazione fotografica originale dell'edificio "Quasar" a Berlino, sono gli strumenti con cui indagare, coerentemente con gli obiettivi della tesi, la coerenza tra fini e mezzi nell'uso di materiali e tecniche esecutive per sub-sistemi. Capitolo 8 L'ottavo capitolo analizza e documenta gli approfondimenti svolti sulla poetica e sui progetti di Future Systems. In particolare i disegni, fino al dettaglio costruttivo, e la documentazione fotografica originale del West India Quay Bridge a Londra, sono gli strumenti con cui indagare, coerentemente con gli obiettivi della tesi, la coerenza tra fini e mezzi nell'uso di materiali e tecniche esecutive per sub-sistemi. Considerazioni conclusive Sulla scorta delle considerazioni svolte nei vari capitoli, e in particolare in quelli relativi ai tre progettisti presi in considerazione, si cerca di verificare il raggiungimento degli obiettivi della tesi. 26 Note 1. A questo proposito confrontare con alcuni testi che affrontano il tema della progettazione assistita da strumenti di Computer Aided Design (CAD): Bertoldini (a cura di), 1991; Campioli et alii, 1991; Zappelli (a cura di), 1993; Bertoldini, Nardi, Talamo (a cura di), 1993; Los , Grossa, Pulitzer, 1990; Zanelli, 1996. In particolare si rimanda al recente testo di Prestinenza Puglisi del 1998 p. 51 e segg.: <<Un nuovo modo di articolare il linguaggio, in ogni caso, indipendente da qualsiasi esplicita riflessione concettuale, formale o tecnica sull'elettronica, sta nascendo. Se non altro, per il fatto che l'introduzione dei computer e dei programmi di disegno è stato l'elemento di novità forse più rilevante nell'organizzazione e strutturazione degli studi di architettura. E ogni nuova tecnologia, anche se usata nel più tradizionale e meno problematico dei modi, alla fine fa emergere caratteri nuovi. Per capire quali, può essere interessante rifarsi a uno scritto di Sergio Lepri sulla videoscrittura. Secondo Lepri, le novità apportate da questa tecnica sono tre: - si introducono elementi di oralità nella stesura del testo... - il linguaggio è più vivo. più semplice, ... il periodo si scioglie, diventa più breve... - vi è una maggiore presenza di figure retoriche del gruppo metafora- similitudine-ossimoro... (...) Le novità che riscontriamo nella videoscrittura le possiamo con facilità riscontrare nel disegno CAD: - semplificazione del linguaggio ed elementi di oralità... - prevalenza della paratassi sull'ipotassi... - predilezione per le figure retoriche... (...) Il parallelismo con la videoscrittura vale anche per i limiti: l'uso indiscriminato di librerie ed elementi preconfezionati, la facilità di effettuare duplicazioni rendono molti progetti eseguiti con il CAD anonimi, sciatti, ripetitivi.>> (Prestinenza Puglisi, 1998, pp. 66-67) 2. Tomàs Maldonado afferma: <<Noi disponiamo ora, diciamo, di plastici informatici che sono, in realtà, molto più malleabili e manipolativi di quelli del passato, in quanto consentono una interazione più ricca e più controllata tra utente e modello. Ma anche perché i plastici informatici sono in grado di coprire, in un unico sistema di rappresentazione, la totalità dell’arco di modellazioni possibili: da un lato, di fornire le medesime prestazioni dei classici modelli iconici, dall’altro, di quelli non iconici (modelli diagrammatici e matematici). (...) Per millenni, il processo creativo si è svolto, nel bene e nel male, percorrendo strade diverse da quelle che ora ci viene prospettata. Noi ancora non sappiamo, o non sappiamo abbastanza, come la creatività progettuale potrà svilupparsi nel contesto di questo nuovo universo di modellazione.>> (1992, pp. 104-105). 3. Alvin Toffler nel suo testo “La terza ondata” (1980) suddivide l’evoluzione della civiltà in <<... una Prima Ondata (la fase agricola), una Seconda Ondata (la fase industriale) e una Terza Ondata, che inizia ora a manifestarsi.>> (Toffler, 1980 tr. it. 1987, p. 5). Questa Terza Ondata è generata dagli sviluppi delle tecnologie informatiche. Toffler ritiene che oggi : <<...noi siamo l’ultima generazione di una vecchia civiltà e la prima di una nuova ...>> (ibid., p. 15). Queste Ondate conflittuali convivono ancora in vari angoli del globo, e l’immaginario comune è non solo influenzato da queste rivoluzioni, ma influenza esso stesso il cambiamento: <<Ogni volta che una singola ondata di cambiamento predomina in una determinata società, è relativamente facile intravedere il modello di sviluppo futuro. Scrittori, artisti, giornalisti e altri percepiscono “l’ondata del futuro”>> (ibid., p. 18). 4. <<La velocità elettrica tende ad abolire il tempo e lo spazio nella consapevolezza umana. Non c’è alcun ritardo negli effetti di un evento sull’altro. L’estensione elettrica del sistema nervoso crea quel campo unificato di strutture organicamente interrelate cui diamo il nome di Era dell’Informazione.>> (Marshall McLuhan in Kerckhove, 1991, tr. it. 1993, p. 173). John Naisbitt (1982) prefigura dieci tendenze fondamentali per la società degli anni ‘90 traendole dalla ricerca su alcuni fenomeni degli anni ‘80 negli U.S.A. Queste tendenze possono essere così riassunte: 1) da società industriale a società dell’informazione, 2) dalla tecnologia forzata alla alta tecnologia/alta sensitività, 3) dall’economia nazionale all’economia mondiale, 4) dal breve al lungo termine, 5) dalla centralizzazione al decentramento, 6) dall’aiuto istituzionalizzato all’aiutati-da-solo, 7) dalla democrazia rappresentativa alla democrazia partecipativa, 8) dalle gerarchie alle maglie del reticolo, 9) da Nord a Sud, 10) da “questo o quello” alle opzioni multiple. Secondo Naisbitt la prima di queste è la più importante in assoluto: <<...la megatrasformazione da società industriale in società dell’informazione. (...) La società dell’informazione è una realtà. (...) Questa ha inizio negli U.S.A. nel 1956 quando per la prima volta i colletti bianchi sorpassano quelli blu.>> (Naisbitt, 1982, tr. it. 1984, pp. 15-16). Nel testo successivo, Megatrends 2000 (Naisbitt- Aburdene, 1990, tr. it. 1990), oltre a confermare quanto esposto nel testo precedente, vengono prefigurate alcune tendenze per il decennio che porta al nuovo millennio e precisamente: <<...1 - Boom dell’economia globale degli anni Novanta 2- Rinascimento dell’arte 3- Il sorgere del socialismo di mercato 4- Globalizzazione degli stili di vita e nazionalismo culturale 5- Privatizzazione dello stato assistenziale 6- Ascesa dell’area del Pacifico 7- Il decennio delle donne al comando 8 - L’era della biologia 9- Rinascita 27 religiosa del nuovo millennio 10- Trionfo dell’individuo...>> (ibid., p. 5). 5. <<...non più soltanto mercato-chiesa-municipio. Sistemi di comunicazione complessi e nuove tecnologie, mezzi di trasporto diversi e metodi di costruzione avanzati rideterminano la progettazione, lo sviluppo e la realizzazione dell’ambiente (...) Le nuove idee, tendenze, visioni del futuro, trovano invece espressione nell’opera individuale. (...) Oggi gli architetti sono sismografi culturali che registrano una situazione in evoluzione, situazione che si riflette nella loro opera e che ne viene proiettata verso il futuro. (...) ...l’aeroporto, il museo, il grattacielo, il centro commerciale, il teatro o lo stadio, la fiera, la scuola, il tempio, oltre, ovviamente, agli edifici in cui si vive e lavora. (...) ...far vedere al pubblico che le visioni non rimangono necessariamente sulla carta ma possono divenire realtà. In questo contesto va vista anche la mostra speciale “Radicals”, che documenta i movimenti “radicali” tra la fine degli anni cinquanta e i primi anni settanta. È apparsa ovvia la necessità di ripensare alle tendenze più progressive dei decenni passati, quando in diversi luoghi del mondo si verificò un forte impulso alla visione del futuro, all’applicazione di nuove tecnologie, verso una nuova interpretazione dell’architettura... (...) ...un approccio visionario dotato di una certa coerenza, nonostante le distanze geografiche. (...) Da Londra, Vienna, Milano, Tokyo, New York e altre città scaturirono concetti radicali e proposte fantastiche, visioni, utopiche del futuro, intese non soltanto come posizioni teoriche, ma come progetti concreti, da realizzare. Si anticipava un futuro. Forse non era ancora accettabile dalla società, o era tecnologicamente impossibile, ma la sensibilità sismografica di quella generazione fu stupefacente... (...) Scopriamo così che l’utopia di ieri è la realtà di oggi, e che molti dei visionari degli anni sessanta e settanta sono oggi gli autori di quegli edifici recentemente realizzati, e di quei concetti e progetti in corso (esposti nella mostra principale) che ci conducono verso il nuovo millennio.>> (Hollein, 1996, tr. it. 1996, pp. 1-2) 6. A questo proposito Guido Nardi (1989) afferma: <<I progressi tecnologici introdotti nella struttura economica, quali l'informatica, la telematica e la biologia molecolare, porteranno notevoli cambiamenti nell'organizzazione sociale e nei modelli culturali di riferimento. Negli anni futuri l'unione fra informatica e robotizzazione potrà condurre a svuotare le fabbriche, gli uffici e anche i negozi di una parte considerevole del personale che vi è impiegato. Già ora la città svolge solo in parte le funzioni per le quali era stata creata (...) le università, i mercati e le fabbriche tendono a collocarsi sempre più lontano da essa in quanto i sistemi di comunicazione fanno sì che non sia più necessario incontrarsi per lavorare, vendere o comprare.>> (Nardi, 1989, p. 81-82) 7. <<La progettazione implica sempre, in qualche misura, la previsione di un evento e riflette dunque le nostre idee e aspirazioni al riguardo. Inevitabilmente, la previsione si fonda sulla nostra consapevolezza del presente e del passato. (...) Naturalmente il futuro è fonte di perenne fascinazione (...) La futurologia è un’industria in espansione. Si scrivono libri, si pubblicano rapporti scientifici, giornali e televisione speculano sull’anno 2000 e sul secolo venturo. (...) È ovvio che non c’è un consenso unanime su ciò che il futuro ha in serbo. Eppure, è largamente accettato il fatto lo sviluppo e l’applicazione estensive delle tecnologie dell’informazione assumeranno una posizione sempre più determinante nella nostra vita. (...) Ipotizzare l’avvento della rivoluzione dell’informazione significa solo estrapolare tendenze già in atto, non è certo un esercizio di chiaroveggenza. Molto più difficile e rischioso è prevedere in che modo quella rivoluzione influenzerà l’architettura in quanto forma di entità abitate.>> (Brawne, 1996, tr. it. 1996, p. 2). 8. <<Attenzione, dice Frampton nell'ultimo capitolo: nell'architettura contemporanea la forma si dematerializza, la costruzione sta perdendo solidità. Prospetta alcuni dati: nei nuovi edifici il costo della struttura è sceso dall'80% al 20%. Le partizioni mobili sono salite dal 3% al 20%. Alle facciate non resta che il 12.5%. Ma soprattutto gli impianti arrivano a incidere per il 35%. Con la conseguenza che, nella realizzazione di una costruzione, l'involucro diventa sempre più secondario, mentre acquistano peso le prestazioni, i sistemi di rilevamento, i controlli bioclimatici, i dispositivi tecnici. Per usare la metafora di McLuhan: nell'edificio il sistema nervoso sta prendendo il sopravvento sull'ossatura e sulla muscolatura. Oggetto dell'avversione di Frampton sono le nuove sperimentazioni architettoniche e il decostruttivismo. Secondo il critico questi hanno portato oltre ogni limite l'estetica della trasparenza, ridotto le facciate a puri schermi, ingurgitato la tecnologia, la cibernetica, il multimediale. Da qui il bisogno di un nuovo rigore, di una sintassi della costruzione (la tettonica, appunto), di un ritorno alla materialità dell'oggetto.>> (Prestinenza Puglisi, 1998, p. 58) 9. <<... Charles Jencks : "The Architecture of the Jumping Universe". Un testo nel quale il critico inglese abiura il Post-Modern, che aveva contribuito a lanciare, per una nuova architettura in cui, grazie ai progressi dell'informatica, scienza e natura devono collaborare per superare il rigido e algido meccanicismo su cui era fondato l'International Style. Quali i fondamenti di questo approccio ecologico-cibernetico? Jencks li trova nella filosofia della natura di Ilya Prigogine e della scuola di Santa Fe, ma anche nella teoria delle catastrofi di Thom. L'universo, secondo questi modelli, è un sistema complesso che si evolve per salti (da 28 qui il titolo del libro: "L'architettura dell'universo che salta")... Come può l'architettura rendere visibile questo processo? Acquisendo una dimensione spirituale e mutuando dalla natura le forme del suo divenire. Da qui l'interesse di Jencks per le forme organiche, per i frattali, per le strutture che si curvano e si muovono come le onde di un atomo, e per tutto ciò che rappresenta il moto spirituale dell'uomo. Ma soprattutto l'interesse per il computer, che rende possibile all'uomo inserirsi attivamente in questo processo di continue trasformazioni per guidarlo e indirizzarlo. (...) [un] ideale <<cosmogenico>> di una natura altamente tecnologizzata, sempre al limite fra naturale e artificiale.>> (ibid., pp. 59-60) 10. <<Primo: così come è nata una civiltà informatica completamente diversa da quella meccanica, è nata una nuova architettura profondamente segnata dalla scrittura elettronica... (...) Secondo: la nuova architettura si pone con la natura in un rapporto non più di diversità, ma di integrazione. (...) Terzo: alcuni protagonisti hanno già captato lo spirito del tempo e stanno producendo una nuova stagione di capolavori. L'architettura della nostra contemporaneità, insomma, è già cominciata e noi non ce ne siamo accorti.>> (ibid., p. 61); <<... la spazialità fluida, liquida, sottomarina, metaforica, simbolica e interconnessa di Kandinsky (e di Mirò e di Klee) è, senza l'informatica, impossibile da concettualizzare in architettura. Con l'informatica, però, essa diventa almeno nebulosamente intuibile. (...) ... HyperArchitettura.>> (Antonino Saggio in Prestinenza Puglisi, 1998, p. 86) 11. <<La nostra è stata definita una civiltà delle immagini. Si può accettare questa definizione, anche se, a ben guardare, tutte le civiltà sono state civiltà delle immagini. Questa definizione sarebbe più vera, se aggiungessimo che la nostra è una civiltà in cui un particolare tipo di immagini, le immagini trompe-l’oeil, raggiungono, grazie al contributo di nuove tecnologie di produzione e diffusione iconica, una prodigiosa resa veristica.>> (Maldonado, 1997, p. 48). <<Come i barocchi, noi siamo creatori sfrenati d’immagini ma segretamente siamo iconoclasti. Non di quelli che distruggono le immagini, ma di quelli che ne fabbricano una profusione dove non c’è niente da vedere. (...) Ed esse non sono che questo: la traccia di ciò che è scomparso>> (Baudrillard, tr. it. 1988, p. 38) 12. <<Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione. (...) Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra individui, mediato dalle immagini.>> (Debord, 1971, tr. it. 1990, p. 85-86) 13. Vedere par. 1.4 14. Nella architettura postmoderna la valenza che assume il termine post prima del termine moderno è spesso di pre o ante. Questo atteggiamento ricorda molto quello dell’eclettismo ottocentesco quando la crisi nei riferimenti culturali indotti dalla Rivoluzione Industriale ha fatto si che l’architettura utilizzasse le nuove tecniche per una passiva riproduzione di stilemi del passato in cerca di antiche sicurezze. Così oggi l’eclettismo contemporaneo usa il passato come bagaglio di immagini con cui trovare facile presa su una società destabilizzata dalla “rivoluzione informatica” anziché sfruttarne le innovazioni tecniche in senso produttivo e coerente. Tomàs Maldonado a questo proposito afferma: <<... non è con meno, bensì con più (e certamente diversa) conoscenza tecnico- scientifica che possiamo superare gli aspetti negativi cui questa stessa conoscenza, o almeno la sua utilizzazione, ha dato origine. Ipotizzare una crescita zero della conoscenza tecnico-scientifica, per rendere fattibile una presunta riconciliazione con la natura, è pura follia. (...) La verità è che non possiamo presentarci senza un modello razionale alternativo, a mani vuote, di fronte a sistemi di potere dotati di una sofisticata razionalità strumentale.>> (Maldonado, 1987, pp. 10-11) In termini analoghi si è espresso Paolo Rossi durante il seminario del 29 Novembre 1996 presso il Laboratorio di Sperimentazione dell'architettura diretto dal Prof. Guido Nardi del Politecnico di Milano, in cui ha svolto argomentazioni analoghe riguardo ai rapporti tra tecnica e natura in relazione al soggetto umano. (vedere par. 1.2). 15. <<Dal concetto di <<cultura materiale>> deriva quello di <<architettura diffusa>>, cioè quell’architettura propria della collettività e della ripetizione, quella in cui il progetto procede secondo i tempi lunghi e relativamente inconsci della tradizione... (...) L’architettura diffusa inizia il suo declino con l’affermarsi, in tempi diversi presso ogni singolo gruppo culturale, della rivoluzione industriale. Quest’ultima infatti annulla la cultura materiale formatasi nel lungo periodo della cultura agricola, e le fa perdere le regole prime, o metaregole, legate alla creatività e alla cultura collettive, che si erano consolidate e stratificate durante i millenni.>> (Nardi, 1989, p. 99) Il concetto di architettura diffusa cui ci si rifà nel contesto di questa tesi è da mettere in relazione alla cultura occidentale-europea legata allo sviluppo dei mass-media, alla “società dell’immagine”, alla “società dello spettacolo” e alle sue forme materiali di rappresentazione nella realizzazione dello spazio costruito. 29 16. Il riferimento è a quella parte della cultura urbanistica e architettonica contemporanea che si fonda sullo studio dell’architettura della città, sui rapporti fra tipologia edilizia e morfologia urbana, e in particolare: L’architettura della città di Aldo Rossi (1966), L’architettura come mestiere e altri scritti di Giorgio Grassi (1989), L’architettura della realtà di Antonio Monestiroli (1985). 17. I testi di riferimento a questo proposito possono essere: Massimo Ilardi L’individuo in rivolta. Una riflessione sulla miseria della cittadinanza (1996), Paolo Desideri Città di latta. Favelas di lusso autogrill svincoli stradali e antenne paraboliche (1996), Mirko Zardini (a cura di) Paesaggi ibridi. Un viaggio nella città contemporanea (1996), Rosario Pavia Le paure dell’urbanistica. Disagio e incertezza nel progetto della città contemporanea (1996), Leonardo Benevolo L’Italia da costruire. Un programma per il territorio (1996), i numeri monografici di Casabella n. 575-576 di gen.-feb. 1991 e n. 597-598 di gen.-feb. 1993, ecc. 18. Marc Augé (1992), vedere par. 1.2. 19. <<Gli sterminati e multirazziali ghetti urbani, le periferie senza nome e senza luoghi che esplodono in maniera trasgressiva e spontanea, oltre i raccordi e le tangenziali velleitariamente posti dal progetto come confine: sono queste le nuove forme fisiche della metropoli contemporanea. Non ci sono piazze, non ci sono monumenti, non c’è storia nelle periferie urbane. Ogni profondità è dissolta. Solo superfici senza origini e riferimenti. Solo arterie stradali che proiettano fuori, che spingono a transitare e a circolare senza trattenere. Ma da questo punto di vista tutta la metropoli è oggi una sterminata periferia: gli spazi dell’anonimato, i nonluoghi (i supermercati, le grandi catene alberghiere, le discoteche, le jeanserie) sono ovunque, né più centrali, né più solo periferici. Questo è oggi l’esistente: la periferia come progetto moderno.>> (Ilardi, 1995, pp. 46-47). 20. <<Torniamo al concetto di nonluogo... (...) Sarei per un superamento di questa definizione. È stato utile cavalcarla, con qualche spregiudicatezza, per rompere molte rigidità e smuovere acque piuttosto stagnanti. Ma credo che sarebbe ora di cambiare cavallo. Nonluogo è l'area di perenne attesa della SDO a Centocelle, così come la piazza del Pantheon invasa dai <<coatti>> con la radio della macchina a tutto volume a tarda sera. L'identità di tutti gli spazi è oggi mutevole e transitoria, dentro e fuori i recinti delle città storica. Questo finisce per svuotare il concetto di nonluogo. Lo stesso vale per gli <<iperluoghi>>... (...) e per tutti gli altri <<nomi>> che tendano a costruire il loro significato in opposizione dialettica allo storico locus, e al suo legame con l'identità architettonica e funzionale di un sito. Ciò che più ci interessa oggi è invece il carattere ibrido, la compresenza di forme e funzioni che caratterizza le nuove architetture <<pubbliche>>. Data da Mirko Zardini in una raccolta di saggi, la definizione di paesaggi ibridi sembra più adatta a descrivere l'oggetto e l'incubo dei nostri sogni architettonici. Ibridi in fondo come la necessità di <<progettare>> l'uso pubblico di spazi che sono quasi sempre privati.>> (Pippo Ciorra in Cerviere, 1998, p. 36) 21. <<Le case finalmente. Solitamente basse e monofamiliari erano definitivamente non-finite: su un nucleo iniziale (usualmente riconoscibile per l’omogeneo manto di intonaco) il tempo aveva stratificato le mille testimonianze della repentina mutevolezza degli assetti domestici di ogni nucleo familiare (...) l’addizione volumetrica (...) il garage costruito all’acquisto di quel nuovo gippone (...) l’antenna parabolica (...) la veranda in alluminio anodizzato (...) Non avrebbero potuto dire alcunché sulla classificazione tipologica di quel che stavano osservando: quelle favelas di lusso erano davvero il capolinea del tipo edilizio. Autocostruzione e alta tecnologia si alternavano in naturale sequenza nella città di latta...>> (Desideri, 1995, p. 16). 22. A questo proposito si rimanda al testo a cura di Mirko Zardini (1996) che restituisce le relazioni presentate al seminario <<Highway, Multiplicity>>, tenutosi il 26.01.1996 su due pullman che hanno percorso l’autostrada A4 da Milano a Vicenza organizzato dall’associazione culturale “Abaco”: <<La città contemporanea è oggi qualcosa di molto diverso da quella descritta dagli architetti solo venti o trenta anni fa. Come possiamo comprenderla o trasformarla? Da questa domanda è nata l’idea di un viaggio, reale e immaginario nello stesso tempo, in quel vasto territorio urbanizzato che si estende oltre i limiti della città storica, in ciò che chiamiamo periferie, città diffusa, banlieue, suburb...>> (Zardini, 1996, p. 17) 23. <<Utopia: ... "concezione immaginaria di un governo o di una società ideali" (1821, A. Bonavilla), ... "concezione, idea, aspirazione, fantastici e irrealizzabili" (1851, V. Gioberti: "i lavori dell'ingegno indirizzati a ombreggiare in qualche modo la perfezione sociale chiamansi utopia, perchè non han luogo effettivo e spaziano nel campo indistinto delle idee perplesse delle astrazioni") ... (...) Voce dotta, tratta da Tommaso Moro dalle due parole greche ou "non" e tòpos "luogo"...>> (Cortellazzo e Zolli, 1988, vol. 5, p. 1404); <<Che ne è di questo vocabolo chiave del testo? Designa esso l'U-topia, terra di nessun luogo, inesistente, oppure l'Eu-topia, il paese migliore, superiore persino a quello raffigurato da Platone? O piuttosto le due cose insieme: la miglior comunità politica, certo immaginabile dato che il testo ne fornisce la prova, ma inesistente al di fuori, appunto, dell'immaginario 30 che si apre al sapere e viene da questo elaborato?>> (Baczko, 1980, vol. XIV, pp. 866-867); <<Le utopie spesso non son altro che verità premature.>> (ibid., pp. 871-872); <<... l'Utopia... (...) Viene da pensare che quest'isola felice, introvabile sulle carte geografiche del nostro mondo, galleggi... in un mare di inchiostro. In questo caso sarebbe la più importante di un vastissimo arcipelago in cui troveremmo, a distanze più o meno lunghe, "La Repubblica" di Platone, "La città di Dio" di sant'Agostino, ... Sono infatti tutti luoghi "utopici", "luoghi che non hanno luogo" e possiamo raggiungere soltanto immergendoci fra le pagine di un libro, o, appunto, rievocando un sogno. Restringendo consapevolmente il campo, è proprio la tematica del viaggio, reale o immaginario, che vorremmo proporre come possibile chiave di lettura dell'Utopia.>> (Davide Sala in Moro, 1516-1518, tr. it. 1995, p. 9) <<L'Utopia può essere un limite verso cui tendere nel tentativo di migliorare la vita, la società e il mondo. (...) ... un faro che guidi la nave tanto fragile della vita verso dimensioni e spazi nuovi. (...) Viaggiare nel mondo reale, in quello fantastico o in quello virtuale può forse essere insufficiente, ma è certamente una delle strade da battere...>> (ibid., p. 12) 24. <<Romanzi anticipatori, certo, che giocano liberamente con elementi fantascientifici. Ma, non diversamente dalle utopie, anche le antiutopie costituiscono soprattutto una testimonianza preziosa intorno alle speranze, alle angosce e alle idee fisse del loro tempo. (...) Tramite il gioco di specchi tra il futuro immaginato e il presente conosciuto, le antiutopie rimettono in discussione il ruolo assunto dalle utopie nel mondo contemporaneo, prima ancora che abbiano trovato attuazione.>> (Baczko, 1980, vol. XIV, p. 886); <<Lo storico delle utopie lascia di buon grado agli utopisti stessi l'incombenza di immaginare il futuro dell'utopia; individuare il passato è per lui una fatica sufficiente. Se tuttavia egli dovesse lanciare un monito, egli riprenderebbe forse le parole di Berdjaev: le utopie sono oggi più che mai realizzabili. Non nel senso che le fantasie dei romanzi utopici possono diventare realtà, ma in un altro. Come tutti gli immaginari sociali, le utopie sono oggi più che mai manipolabili, principalmente mediante le moderne tecnologie di comunicazione, poderosi strumenti della propaganda, ecc. La loro <<riuscita>> storica può dunque venire, oggi più che mai, fabbricata, particolarmente dai poteri e dalle forze totalitarie che mirano a monopolizzare e a sequestrare l'immaginazione sociale.>> (ibid., p. 917) ; <<Nel 1516 il "desiderio" di uno degli intellettuali più illuminati di tutta la storia della cultura occidentale era una totale rivoluzione della società, del sapere e dei costumi. Lo spunto per vagheggiarlo furono i viaggi di chi stava scoprendo nuovi continenti e nuove vie di comunicazione. (...) Ci avviamo verso il Duemila e la rivoluzione informatica ci apre nuove vie di comunicazione, nuovi spazi mentali e dimensioni virtuali. All'abolizione della proprietà privata dei beni, posta da Moro alla base della felicità degli utopiani, fanno oggi da corrispettivo i movimenti per l'abolizione della proprietà privata (o monopolistica) dell'informazione e per il libero accesso alle banche dati. I nuovi viaggi passano attraverso le reti telematiche che dovrebbero mettere a contatto intelligenze e culture diverse, aprendo prospettive di libertà e di emancipazione all'uomo contemporaneo.>> (Davide Sala in Moro, 1516-1518, tr. it. 1995, p. 10); <<L'Italia ha generato e consumato "utopie" in innumerevoli edizioni e varianti. (...) La loro qualità più grande, ma anche la più grande debolezza, sta nel fatto che non costano nulla e si pongono assai raramente il problema della propria realizzazione pratica. Proprio questa debolezza è da sempre strumentalizzata dai paladini dell'oscurantismo più becero. Data l'impossibilità della sua realizzazione immediata, si dice, il progetto utopico non potrà che scivolare nella "distopia", che descrive uno sviluppo distorto, mostruoso e apocalittico della società. (...) ... è un'abitudine dei conservatori di tutti i tempi profetizzare un futuro disastroso come conseguenza diretta di qualsiasi innovazione nel campo del costume, della cultura o della tecnologia.>> (ibid., p. 11) 25. <<L’eterotopia è un antiutopia. Infatti, se l’utopia è una speranza senza luogo, l’eterotopia costituisce un’eccedenza di realizzazione. Eterotopici sono quei luoghi che non necessitano di riferimenti geografici, sono i luoghi dell’attraverso, spazi di crisi e di condensazione di esperienza. Sono eterotopici non solo i luoghi delle istituzioni totali - prigioni, manicomi, ricoveri per anziani ecc. - ma anche quelle istanze che coinvolgono completamente i soggetti, come a esempio il viaggio di nozze tradizionale, i drive in e le navi, realtà che si fondano solo su se stesse.>> (Premessa in Foucault et alii, 1994, p. 7) <<L’eterotopia ha il potere di giustapporre, in un unico luogo reale, diversi spazi, diversi luoghi che sono tra loro incompatibili. (...) Non è possibile entrarvici se non si possiede un certo permesso e se non si è compiuto un certo numero di gesti.>> (Michel Foucault in Foucault et alii, 1994, pp. 16-19); <<La città è conosciuta in modo frammentario, per recinti, per punti; solo alcuni di questi diventano “luoghi” e assumono identità. Si attraversa una città “senza luoghi”, spostandosi da un recinto a un altro. La città è sempre più un insieme di “interni”, di recinti fortificati, dove domina la ricerca di sicurezza, di protezione. Essa implode nelle sue nuove eterotopie. I grandi interni dei centri commerciali e direzionali, le grandi hall degli alberghi e delle stazioni riassumono in sé una spazialità urbana perduta. La città come “esterno”, come vuoto, come rete di percorsi che fa paura.>> (Pavia, 1996, p. 31 67) 26. <<... un cambiamento nell’estetica avvenuto dagli anni Sessanta a oggi. L’esperienza estetica... (...) ... è possibile solo nella cultura di massa, nella fine dei grandi racconti (...): è il paesaggio dall’utopia all’<<eterotopia>>. (...) Nel mondo postmoderno non è più possibile proporre alcun valore estetico come assoluto, come riferito a una umanità intesa come un tutto: <<La “verità” possibile dell’esperienza estetica tardo-moderna è probabilmente il “collezionismo”, la mobilità delle mode, il museo anche; e alla fine, lo stesso mercato, come luogo di circolazione di oggetti che hanno demitizzato il riferimento al valore d’uso e sono puri valori di scambio...>>>>(Nacci, 1995, p. 382) 27. <<Il problema diventa allora il riconoscimento di questi paradigmi o metaregole, che condizionano il costruire ma che nello stesso tempo ne consentono la condivisione sociale. (...) La necessità del riconoscimento collettivo delle scelte architettoniche ripropone il problema della cultura materiale e con esso quello della conoscenza delle tecniche esecutive e dei materiali, non tanto per le loro qualità fisiche o prestazionali, quanto per i contenuti culturali che li caratterizzano e che condizionano il costruire. (...) il costruire può essere legittimato solo attraverso il rispetto di determinati condizionamenti che ne costituiscono il sistema metanormativo. Tecniche esecutive, materiali, cultura, storia individuale e storia collettiva sono i paradigmi di questo sistema. (...) Se il costruire è attività creativa sottoposta a una legalità generale, la poetica del costruire fa di questa legalità il proprio programma operativo.>> (Guido Nardi Prefazione in Campioli, 1988, pp. 10-12). 28. In merito alla definizione del concetto di paesaggio mediatico rimando alle elaborazioni svolte da alcuni autori. Innanzitutto James Graham Ballard afferma che: <<[il “paesaggio mediatico” è] ...il mondo della televisione, delle comunicazioni moderne, della radio, delle riviste popolari, dei giornali, della pubblicità, dei beni di consumo connotati. Il paesaggio urbano oggi è in gran parte un terreno concepito con degli scopi immaginari. Con quel termine [paesaggio mediatico] intendo l’intero armamentario di questo ambiente in gran parte sintetico che avviluppa il pianeta. (...) L’ombrello delle telecomunicazioni globali ci copre completamente sin dalla fine degli anni Sessanta, dopodiché ha ricostituito la realtà secondo i propri parametri.>> (Ballard, 1994, p. 177). Riprendendo Ballard, Antonio Caronia afferma, che: <<... il nostro ambiente è oggi la seconda natura, è quel media landscape che James Ballard aveva visto in maniera lucidissima già nei primi anni Sessanta come l’ambiente all’interno del quale siamo immersi, come il mondo che riesce a farci vivere e senza il quale non potremmo letteralmente vedere alcuna realtà.>> (Antonio Caronia in Berardi (a cura di), 1995, Ciberfilosofia, p. 91) Ancora Caronia afferma il valore di seconda natura che il paesaggio mediatico rappresenta nella contemporaneità: <<La storia dell’uomo come lotta di liberazione dal codice genetico sta subendo in questi anni un’accelerazione improvvisa. La nuova pelle del pianeta sono i satelliti artificiali, e la nuova pelle dell’uomo lo schermo del video: una pelle, quest’ultima, così estensibile da permettere all’uomo di mescolarsi con l’ambiente, in una osmosi tra natura (la “seconda natura” del media landscape) e cultura mai registrata prima d’ora. Interno ed esterno... (...) ... il corpo sta nuovamente per cambiare statuto: non si può dire ancora se voglia scomparire nella nuova immaterialità delle interazioni elettroniche o espandersi una volta di più con la telerobotica degli esoscheletri e della telepresenza.>> (Antonio Caronia in Ferraro e Montagano (a cura di), 1994, p. 196) 29. <<La deterritorializzazione è quel processo che sradica l’individuo dalla sua origine familiare, territoriale, ideologica, professionale, per gettarlo in quel processo di scambio astratto che è accelerato dalla tecnica, dalla comunicazione e portato alla velocità assoluta dalla digitalizzazione. (...) Dopo aver messo in crisi gli istituti tradizionali come la famiglia, l’appartenenza religiosa e la comunità popolare, il capitalismo, giunto alla sua pienezza tardomoderna, distrugge perfino le barriere politiche e psichiche che avevano garantito in precedenza il suo sviluppo: la nazionalità, la lingua, il lavoro. Gli uomini non sono stati abituati culturalmente a liberarsi dalle appartenenze, a vivere senza identità. (...) Secondo la terminologia deleuze-guattariana si mette in moto a questo punto un movimento possente di riterritorializzazione. Ecco perché, proprio quando il capitalismo ha raggiunto la piena disidentificazione, si scatenano processi di reidentificazione arcaica, tradizionale, protomoderna, integralismo religioso, il nazionalismo, il populismo...>> (Berardi, 1995, p. 108) 30. <<La realtà non è data a priori, ma è acquisita, generata dal progresso delle società. Sebbene la pietra resti sempre pietra e la montagna rimanga al suo posto, la modalità con cui apprendiamo la loro realtà si evolve insieme alle nostre conoscenze.>> (Paul Virilio in Ferraro e Montagano (a cura di), 1994, p. 182) 31. A questo proposito Franco Berardi afferma che: <<Mentre i media producevano un’omologazione dei valori culturali si metteva in moto, contemporaneamente e in controtendenza, un movimento di riterritorializzazione, di ricucitura dei sistemi di valore tradizionali.>> (Berardi, 1995, p. 172). E ancora Berardi riguardo alla reazione riterritorializzante afferma che: <<Il mondo materiale ricompare come immane residuo. Il 32 pianeta di terra e di carne viene attraversato da un flusso di divenire digitale. Ma inevitabilmente gli resiste. Nel momento stesso in cui la mondializzazione dell’economia, l’informatizzazione della finanza e la digitalizzazione della comunicazione provocano più completa deterritorializzazione degli atomi sociali, questi reagiscono manifestando un bisogno disperato e violento di riterritorializzazione, di identità culturale e di appartenenza. (...) In questo stesso momento, mentre il pianeta di terra e di carne è trascinato nella miseria e nella violenza, una parte dell’umanità si trasferisce nella sfera della virtualità.>> (Berardi, 1995, p. 84) 32. <<Si tratta di autoindurre processi di adeguamento alla mutazione, si tratta di seguire la via di minor resistenza alla mutazione. Si tratta di produrre le protesi più adeguate per la concatenazione organismo-macchina, organismo-ambiente, organismo-infosfera.>> (Berardi, 1995, p. 127) 33. <<Il processo della produzione sociale è sempre più centrato sull’informazione e il suo prodotto principale tende a essere l’immaginario collettivo. Al centro del processo di produzione sociale sta il sistema tecnomediatico. Perciò il nodo essenziale del rivolgimento in corso è nel punto di intersezione tra tecnomediamorfosi e divenire della mente interconnessa. Questo punto di intersezione è il Neuromagna.>> (Berardi, 1995, p. 8) 34. La definizione è tratta dal testo redatto in occasione del seminario svoltosi presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano nell’ambito dei corsi di Guido Nardi e Anna Mangiarotti nell’anno accademico 1995/96: <<Cyberpunk è, come virtuale e interattivo, una delle parole chiave di cui il linguaggio giornalistico e la moda si sono appropriati per registrare e in qualche misura per delimitare i mutamenti connessi al nuovo scenario della comunicazione. Con una differenza, però: mentre un’espressione come “interattività”, nonostante la sua varietà di significati, designa comunque dei fatti tecnici relativamente bene individuati, parlando di cyberpunk si fa riferimento a un complesso di idee, a un insieme di figure narrative e retoriche, e ad alcuni autori e gruppi, che sembrano dare espressione politica alle utopie e alle paure collegate agli sviluppi tecnologici di questi anni. Si tratta di una vera e propria nebulosa culturale, di cui è impossibile tracciare con precisione i confini, ma che è presente in varia forma in diversi paesi europei, negli Stati Uniti e in Canada. L’etichetta viene applicata anche a prodotti di successo, come il recente film “Johnny Mnemonic”, a numerosi videogiochi e computer game, oltre naturalmente a un’intera tendenza della fantascienza, senza dubbio la più influente degli ultimi due-tre decenni.>> (Nacci, Ortoleva, 1995, p.1). Si vedano anche i capp. 2 e 4. 35. A questo proposito, lo stesso Gianfranco Bettetini, riferendosi all’uso del linguaggio in chiave semiologica nell’ambito della società contemporanea permeata dagli effetti della televisione e dell’audiovisivo, afferma che: <<Anche nel linguaggio comune, nella conversazione quotidiana, sembra che siano scomparsi i riferimenti ai “grandi testi” della tradizione culturale e che si parli per citazioni prive di contesto, per prelievi frammentari in un discorso sociale disarticolato e a molte voci. I mass media comunicano come la gente parla, senza riferimenti a modelli e a esempi: e tutto questo viene vissuto come il risultato di un’apertura totale verso il mondo libertario della rinuncia alle regole e alle scelte culturali.>> (Bettetini, 1987, p. 156). 36. In questo senso la psicologia cognitiva ha dimostrato che ciò che vediamo è in realtà ciò che la nostra mente, la nostra esperienza e la nostra cultura ci fanno vedere: <<La percezione visiva (...) non è una registrazione passiva del materiale di stimolo, ma un impegno attivo della mente. Il senso della vista opera selettivamente. La percezione delle forme consiste nell’applicazione delle categorie formali, che in causa della loro semplicità e generalità possono chiamarsi concetti visuali.>> (Arnheim, 1969, tr. it. 1974, p. 46) . Rudolph Arnheim afferma inoltre: <<Un atto percettivo non è mai isolato; esso non è che la fase più recente di un flusso di innumerevoli atti consimili, svolti nel passato e sopravviventi nella memoria. Similmente, le esperienze del presente, immagazzinate e amalgamate con la sollecitazione del passato, precondizionano i percetti del futuro.>> (ibid., p. 96) Le immagini mentali possono essere dunque interpretate come bagaglio culturale usato dal nostro cervello per la percezione del mondo. Nell’era dell’informazione tali immagini mentali sono prodotte da strumenti tecnici come la fotografia, il cinema, la televisione, ecc. : <<Con la moltiplicazione industriale delle protesi visive e audiovisive, e l’utilizzazione incontinente a cominciare dalla più tenera età di tutti questi materiali di trasmissione istantanea, si assiste ormai normalmente a una codificazione sempre più laboriosa delle immagini mentali, con tempi di ritenzione in diminuzione e senza grande recupero ulteriore, dunque a un rapido crollo del consolidamento mnesico.>> (Virilio, 1988, tr. it. 1988, p. 23). In questo senso la letteratura e la cinematografia sono interpretate come fonti per l’analisi dell’immaginario collettivo contemporaneo: <<...le immagini mentali (...) sono sfuggite per molto tempo alla considerazione scientifica, e ciò proprio nel momento in cui il progresso della fotografia e della cinematografia sfociava in una proliferazione senza precedenti di nuove immagini che entravano in concorrenza col nostro immaginario abituale.>> (ibid., p. 125). 33 37. <<Queste poche pagine sono il risultato di meditazione, letture e ricerca, ma, soprattutto, di furti e saccheggi spietati da alcuni libri intelligenti e acuti, alcuni dei quali compaiono in bibliografia. (...) La confessione del furto - che non ne diminuisce la colpa, come ci insegnavano a dottrina - è solo l’ammissione e il riconoscimento che, probabilmente, non c’è conoscenza se non passando attraverso le regole dell’abigeato e delle scorrerie. Nel diffuso clima di ‘trasparenza’ è forse giunto il momento di concedersi anche queste impudiche ammissioni.>> (Alfredo Antonaros in Casari et alii (a cura di), 1996, p. 53)
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Utopia Vs. eterotopia. Poetica architettonica e tecnologie dell'informazione tra scenari e immaginario. Materiali e tecniche esecutive in tre progetti di Zaha Hadid, Shin Takamatsu e Future Systems.
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Informazioni tesi
Autore: | Mario Previsdomini |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 1998-99 |
Università: | Politecnico di Milano |
Facoltà: | Architettura |
Corso: | Architettura |
Relatore: | Guido Nardi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 614 |
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