Questo ultimo aspetto ha introdotto un particolare interesse sull
comportamento di matrici zeolitiche ospitanti cationi di metalli di transizione.
Questi ultimi infatti, sono in grado di intervenire come siti adsorbenti e agenti
catalizzanti nella trasformazione di composti inquinanti altrimenti di difficile e
lunga trasformazione.
Sfruttando proprio questo potere catalitico ed adsorbente si cercherà,
mettendo a contatto zeoliti e sulfamidici, in particolare la sulfadiazina la
sulfametazina e la sulfacloropiridazina di vedere se esse sono in grado di
adsorbire le molecole organiche o di degradarle in prodotti diversi dalla
molecola parente generalmente meno pericolosi e dannosi dal punto di vista
ambientale.
La ricerca è così articolata: nel primo capitolo vengono inquadrate in dettaglio
le questioni ambientali legate all’utilizzo degli antibiotici, le loro sorgenti,i
processi di trasporto e le conseguenze della loro presenza, sia per il suolo,
che per la salute umana, facendo riferimento anche alle ricerche svolte già su
matrici argillose per degradare questi inquinanti.
Nel secondo capitolo vengono poi introdotte le generalità, le caratteristiche e
l’impiego delle zeoliti facendo anche una breve digressione sulle loro strutture
mineralogiche.
Nel terzo capitolo, vengono descritte le metodologie impiegate per il
trattamento e lo studio dei campioni.
Infine, nel quarto capitolo presentati e commentati i risultati relativi a tutto il
lavoro di analisi.
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CAPITOLO 1
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1. PROBLEMATICHE AMBIENTALI RELATIVE ALL’USO DEGLI
ANTIBIOTICI
Gli antibiotici sono composti chimici sintetizzati dal metabolismo
secondario di organismi viventi con la funzione di inibire l’attività di
microrganismi, virus e batteri.
Nel tempo gli antibiotici hanno assunto un ruolo importante nel trattamento e la
prevenzione delle malattie da risultare al terzo posto fra tutte le medicine
consumate dall’uomo e rappresentare il 70% di tutti i farmaci utilizzati in
veterinaria (Halling-Sørensen et al., 1998).
Di conseguenza ogni anno i paesi più industrializzati consumano tonnellate di
antibiotici, sia per terapia umana che veterinaria.
Studi condotti in Germania hanno rivelato che, tra il 1997 e il 1999, la quantità
annuale prescritta all’uomo è cresciuta da 7,659 a 8,528 tonnellate e tale
valore è tuttora in crescita. Nello stesso intervallo temporale le dosi annuali di
antibiotici in veterinaria sono aumentati da 3,494 a 3,902 tonnellate. (FEDESA,
2001)
Essi però sono utilizzati in agricoltura,negli allevamenti animali e in
acquacoltura non solo per le loro proprietà antibatteriche e antiparassitarie ma
anche per usi non terapeutici;ad esempio come promotori per la crescita in
particolare di polli e suini.
Proprio per la loro natura chimica possono però intaccare gli animali stessi e i
microrganismi del suolo e delle acque.
Infatti una volta somministrati agli animali essi possono essere assorbiti e solo
parzialmente metabolizzati prima di essere rilasciati nell’ambiente tramite le
deiezioni (urine e feci).
L’insieme degli escrementi poi è considerato un buon e naturale concime e
può essere deposto sui terreni agricoli e quindi contribuire alla contaminazione
diretta del suolo da parte di questi agenti antibatterici (Hirsch et al., 1999;
Kummel, 2001).
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In seguito a fenomeni piovosi i liquami zootecnici possono essere dilavati e
finire nelle acque di superficie come fiumi e laghi o addirittura raggiungere,
infiltrandosi nel terreno, le falde acquifere in profondità provocando il loro
inquinamento e conseguentemente rappresentare un rischio per la salute
umana e ambientale (Alder et al., 2001). Dunque ne risulta che ogni ambiente
può essere coinvolto.
L’utilizzo di antibiotici per l’allevamento di pesce in acquicoltura rappresenta
un’altra significante sorgente di inquinamento in quanto essi vengono introdotti
direttamente nel sistema acquatico. Solo recentemente i ricercatori hanno
iniziato a quantificare i livelli di antibiotici nell’ambiente : usando informazioni,
da differenti paesi, sui pattern di somministrazione sono riusciti ad identificare
quali farmaci sono i più frequenti e persistenti nell’ambiente.
Gli effetti sull’uomo e sugli animali sono stati investigati già in passato da studi
tossicologici, mentre il potenziale impatto ambientale dato dall’uso di antibiotici
è diventato solo recentemente un argomento interessante per la ricerca
(Alistair B.A Boxall, 2004).
In Figura 1 sono schematicamente mostrati i processi a cui gli antibiotici
possono andare incontro una volta che le deiezioni sono poste sul terreno
come concime naturale.
Gli antibiotici posso essere adsorbiti dalle radici delle piante oppure subire una
lisciviazione a causa della pioggia e contaminare acque di superficie e acque
in profondità. Possono però intervenire fenomeni degradativi da parte dei
microrganismi del suolo e fotodegradazione.
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Figura 1 Destino ambientale degli antibiotici
1.1. Residui di farmaci ad attività antimicrobica negli alimenti di
origine animale
Premessa
I farmaci ad attività antimicrobica hanno iniziato ad essere impiegati in
medicina veterinaria subito dopo la loro scoperta: le prime applicazioni
terapeutiche nella cura degli animali si ebbero nel trattamento delle mastiti
(Brock T. D., Madigan M. J., Mortinko M. J., Parker J, 1994). Negli anni
cinquanta poi, la scoperta della capacità di tali farmaci di favorire l’aumento
ponderale degli animali, determinò un impiego sempre crescente di
antimicrobici come additivi alimentari. (Lassiter C. A. 1955; Booth N. H. (1988)
La vastità di tale impiego in alimentazione animale spinse persino alcuni ad
affermare che le produzioni zootecniche non sarebbero state possibili, o
quantomeno sarebbero risultate antieconomiche, senza l’impiego di tali additivi
In effetti l’uso degli antimicrobici è arrivato ad assumere dimensioni imponenti.
È stato riportato che nel 1992 il 42% dei farmaci veterinari erano impiegati a
tale scopo ed è anche stato stimato che gli antibiotici rappresentavano la più
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cospicua categoria di farmaci impiegati in medicina veterinaria, sia in termini di
quantità assolute che in termini economici.(Miller d. j. 1993). Recentemente
sono state poste limitazioni legislative all’impiego di antimicrobici come additivi
alimentari per cui, nel breve e medio periodo, l’impiego di tali medicinali
dovrebbe ridursi.
Residui negli alimenti
È ovvio che l’impiego di antibiotici su così larga scala abbia determinato e
determini la presenza di residui negli alimenti. È riportato in letteratura che nel
1962 negli U.S.A. il 12% circa dei campioni di latte risultava positivo alla
presenza di antimicrobici (Huber W. G. 1971).Risultati simili si ebbero in Gran
Bretagna dove nel 1963 l’11% dei campioni di latte denunciò la presenza di
residui di penicillina (Garrod l. p.1964).
Uno studio del 1969 condotto in macelli dell’Illinois (USA), su tessuti, urine e
feci di suini, bovini, ovini e pollame rivelò la presenza di residui di antibiotici
rispettivamente nel 27%, 9%, 21%, 20% dei casi . In Danimarca nel 1962 trovò
che il 12% dei bovini adulti, il 58 % dei vitelli ed il 23% dei suini avevano
residui di antibiotici (Kampelmacher E. H., Guinee P. A. M., Van Noorle
Jansen L. M. 1962).
Uno studio successivo, sempre in Danimarca, trovò residui di antimicrobici nel
77 % dei bovini e nell’1% dei suini . Nel 1963 in Francia si trovarono residui
nel 4.1% dei campioni di carne testati. Pitre J. (1963) Come si vede i dati sono
piuttosto eterogenei e variabili e dipendono molto dal tipo di campionamento e
soprattutto dalla sensibilità della metodica di indagine impiegata. Studi condotti
con metodiche di analisi più sensibili delle precedenti, rivelarono, in campioni
di latte prelevati dal commercio, la presenza di residui di tetracicline,
Sulfametazina e di altri antimicrobici nel 75 % dei casi. (Brady M. S., Kats S.
E. 1988; Charm S. E., Chi R. 1988; Collins-Thompson D. L., Wood D. S.,
Thompson I. Q. 1988).
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Tuttavia, stime più attendibili valutano intorno all’1% la percentuale di campioni
contenenti residui di antimicrobici.Diverse possono essere le cause della
presenza di residui negli alimenti: tra le più frequenti si possono citare il
mancato rispetto dei tempi di sospensione previsti per il farmaco, la mancata
od erronea individuazione degli animali trattati ed usi impropri dei farmaci, cioè
a dosaggi troppo elevati ovvero con la somministrazione a categorie per le
quali il farmaco non è registrato.
Rischi per la salute pubblica
Al contrario di quanto ci si sarebbe aspettato, le prime preoccupazioni inerenti
la presenza di residui di antimicrobici negli alimenti non furono espresse da
ambienti sanitari, ma dalle industrie di trasformazione del latte che
verificavano come tali residui fossero in grado di inibire le colture di starter
impiegati nella produzione di latticini fermentati. (Hunter G. J. E. 1949; Stoltz E.
I., Hankinson D. J. 1953)
Le prime attenzioni sanitarie verso il problema furono dovute soprattutto al
timore di reazioni allergiche in individui precedentemente sensibilizzati con
antibiotici betalattamici (Freeman T. R. 1953).
Altre preoccupazioni vennero dalla dimostrazione della tossicità selettiva di
alcune molecole per il midollo osseo (cloramfenicolo) (Paige J. C., Tollefson L.,
Miller M. 1997).
Al giorno d’oggi i maggiori timori destati dall’impiego di antimicrobici nelle
produzioni zootecniche vengono dalla possibilità che questo impiego,
soprattutto se effettuato a dosaggi sub-terapeutici, determini una pressione
selettiva in grado di selezionare ceppi di batteri antibiotico-resistenti non
patogeni per gli animali, ma potenziali agenti di episodi tossinfettivi nell’uomo.
Tale meccanismo di pressione selettiva desta preoccupazioni anche perché
potrebbe agire sulla flora intestinale del consumatore: si teme cioè che gli
antimicrobici presenti negli alimenti possano depauperare la microflora
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intestinale dell’individuo esposto, favorendo così l’eventuale adesione di
batteri patogeni.
Limiti massimi di residui (L.M.R.)
La consapevolezza dei potenziali rischi per la salute del consumatore ha
indotto i governi dei vari paesi ad introdurre nelle proprie legislazioni
concentrazioni massime di residui tollerate negli alimenti.
Tali concentrazioni vengono chiamate Limiti Massimi di Residui (L.M.R.) sia
nella Unione Europea sia in Canada, mentre negli U.S.A. vengono denominate
semplicemente tolleranze; i termini, tuttavia, si possono considerare sinonimi.
Il termine L.M.R. si può definire come la massima concentrazione del residuo
legalmente tollerato (ad es. la molecola di origine o suoi metaboliti), espresso
in parti per milione (ppm) o in parti per bilione (ppb) di sostanza fresca. I
L.M.R. per una molecola vengono fissati a partire dalla Dose Giornaliera
Accettabile (D.G.A).
La D.G.A. è una stima della quantità di un farmaco veterinario, espressa in
rapporto alla massa corporea che può essere assunta da un individuo per tutta
la vita senza correre significativi rischi tossicologici. Per fissare la D.G.A. di
una data molecola si determina la minima concentrazione in grado di causare
effetti tossicologici nella specie da laboratorio più sensibile e si divide poi tale
concentrazione per un fattore di sicurezza (solitamente 100 o 1000). Nota la
D.G.A., i limiti massimi di residui si calcolano conoscendo i consumi medi dei
vari alimenti di origine animale. In tabella 1, prendendo come esempio la
matrice latte, vediamo riassunte le tolleranze ammesse per le molecole di
antibiotici maggiormente impiegate in medicina veterinaria.
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