INTRODUZIONE
Lo psichiatra Luigi Cancrini nell'opera “Quei temerari sulle macchine volanti” del 1982
apre il discorso sulla tossicomania partendo da un' analogia.
I temerari sulle macchine volanti erano i piloti degli aerei assai primitivi, che volteggiavano
sui cieli degli U.S.A. durante gli anni venti del novecento. Essi realizzavano così il sogno di
Icaro, utilizzando macchine capaci di dilatare lo spazio del loro desiderio. I tossicomani per
Cancrini volano sulle macchine della droga, anch'esse dilatatrici di un incolmabile desiderio,
nel tentativo di superare un mondo ad ali protese.
Glover nel 1948 tenta una pioneristica sistemazione concettuale del problema clinico delle
tossicomanie. Anche se il suo lavoro ha ormai diversi anni ed è in parte superato, ci lascia
degli spunti di riflessione interessanti anche per le dipendenze attuali, come l'aver riscontrato
con frequenza: le difficoltà di adattamento sociale, il tentativo sostenuto dal farmaco di
risolvere un conflitto mentale mediante l'alterazione di una funzione endopsichica ed
autoplastica a scapito delle funzioni alloplastiche, le difficoltà relative alla sfera della
sessualità e angosce di tipo psicotico, depressivo-maniacale, paranoide. Olievenstein tenta nei
suoi lavori di delineare una personalità del tossicomane. Dal punto di vista fenomenologico
riprende le intuizioni di Glover ma dal punto di vista dinamico delinea la personalità del
tossicomane come una gestalt che si sviluppa in questo senso a causa: dell'incontro con la
droga vissuto come folgorazione, del contrasto con una legge paterna impotente ad affermare
il rispetto delle regole e la vitalità, di un materno che mette il bambino al posto di un altro
facendogli incarnare un desiderio mancato e il senso di colpa vissuto dal tossicomane per un
Io non meritevole di amore. L'incidente per Olievenstein, che determina una debolezza delle
funzioni dell'Io, avviene durante la fase dello specchio lacaniana. Nel momento di passaggio
dall'Io fusivo con la madre ad un Io diverso, lo specchio rimanda un immagine frantumata e
deformata da vuoti. Ciò da vita alla contraddizione tra un'immagine che è percepita e
presente nella memoria, ma è inutilizzabile ai fini del superamento della fase
dell'indifferenziazione. Questa simultaneità di riconoscimento e frattura, da vita al rituale del
“farsi”, basato sul desiderio e sul bisogno di ripetere quell'esperienza nella speranza
dell'incontro con l'immagine di Sè intravista. Quest'ultima viene ricomposta grazie alla
sostanza d'abuso ed ai suoi effetti, che si collocano al posto della frattura annullandola. La
vita emotiva si colora così di indeterminatezza non avendo immagini a cui riferire le pulsioni,
che rimangono disorientanti all'interno del suo bisogno illimitato e onnipotente. Emilio
Renda nel 1999 invece ci ricorda, tramite le parole di altri prima di lui come Hillman e Jung,
3
che il tossicomane è quindi alla ricerca del Sè, della sua “pietra filosofale” in un clima
povero di immagini e di simboli, che gli preclude la “discesa agli inferi”. La
tossicodipendenza ha così le radici in una differenziazione incompleta, in cui spesso il
paterno non ha né strumenti né percorsi per affrontare e reggere la “paranoia primaria”
proiettata su di lui dalla diade madre-figlio, ovvero Demetra e Kore. L'”età dell'oro” dello
stato pregenitale ed onnipotente è la meta seguita in maniera mortifera nella dipendenza. La
funzione mortifera del tossicodipendente ha per Renda una funzione societaria perchè ci
ricorda il grande tabù della morte, rendendola vicina e lontana contemporaneamente. Nel XX
secolo la morte, sia fisica che psichica, viene nascosta e negata, impedendoci una riflessione
sulla necessità del trascendente e sul mistero. Il tossicodipendente ci fa riaffiorare questa
consapevolezza “infera”. Egli è un indicatore di morte che la agisce e la letteralizza attraverso
un sintomo che si sarebbe potuto manifestare in ognuno di noi; a causa di ciò appare per la
società come un soggetto irritante. Infatti, le prime risposte sociali date al fenomeno
tossicodipendenza, visto ed esperito come sintomo, sono state il contenimento e
l'istituzionalizzazione carceraria. Ricorda Renda come la droga per gli antichi e per i popoli
primitivi, è invece connessa al rito, al mito e alla religione; nei quali gli stupefacenti sono
usati per creare una “breccia nel muro” della normale coscienza, luogo d'incontro del
“Mysterium Tremendum” e via per l'auto-trascendenza. Con la perdita degli dei il rapporto
dell'umanità con gli stupefacenti cambia, innescando dinamiche patologiche ma anche di
intervento e di terapia (therapeìa). Negli anni settanta del novecento, il concetto di
“comunità” arriva in Italia. Essa ha il significato di ambiente educativo istituito, anche sotto
la spinta di influssi politici dell'epoca, nella speranza di risolvere il problema della nuova
emarginazione e del disagio sociale. Il disorientamento e la ricerca di nuove forme di
aggregazione pongono le basi per l'esplosione della tossicodipendenza, fenomeno che
socialmente unisce la malattia alla devianza. Giovanni Starace a inizio millennio, ed altri
autori, delineano un quadro dell'evoluzione storica della comunità terapeutica come risposta
al problema della dipendenza. Dalle prime forme di accoglienza informale, contraddistinte
dalle spinte religiose e umanitarie, si è passati ad interventi più articolati e strutturati. Oggi
giorno il fenomeno tossicodipendenza è cambiato rispetto agli anni settanta, la maggior parte
dei ragazzi che usano sostanze non accede alle comunità o al servizio pubblico ed è
necessario utilizzare interventi a bassa soglia per consentirne l'individuazione e far emergere
con chiarezza questo fenomeno sociale. All'interno delle comunità terapeutiche si vive
l'esperienza di una relazione personalizzata priva di strumentalità, perversione e violenza. Le
regole del gruppo comunità sono diverse da quelle della famiglia d'origine e della strada.
4
Nella comunità si prende coscienza dei limiti, si impara a non usare la forza e a non sentirsi
costretti a primeggiare e si creano una reale fiducia e stima di Sè. L'esperienza di relazione
con gli altri è vissuta momento per momento e si possono effettuare dinamiche di
identificazione ed individuazione nella ricerca di una vera emancipazione. Si abbatte la
logica dicotomica interna del sistema dei premi/punizioni, reclusione/libertà, tutto/niente. Ciò
nel tentativo di ripristinare il nesso tra passato presente e futuro, riprendendo il cammino
nella propria storia personale, che fu interrotto dal flash accecante dell'incontro con la droga e
dei suoi effetti. All' attimo onnipotente che unifica desiderio e realizzazione, si sostituisce il
tempo dell'attesa e dell'evoluzione. Si impara a raggiungere un'intimità con sé stessi diversa
da quella vissuta tramite l'addiction, che significa dedizione alla sostanza o al
comportamento. Il consumo, l'addiction, il ricercare la presenza del piacere e l'assenza di
dolore, connotano il clima culturale odierno. Frutto della presa di coscienza del cambiamento
delle tossicodipendenze, la nuova edizione del DSM-5 ha riclassificato il gioco d’azzardo
patologico nell’area delle dipendenze (addictions) per le similarità tra il GAP e le dipendenze
da sostanze d’abuso. In clinica il disturbo è attualmente definito “disordered gambling”
(gioco problematico). Questo cambiamento riflette l' evidenza che alcuni comportamenti,
attivano il sistema di ricompensa del cervello, con effetti simili a quelli delle droghe e che i
sintomi del disturbo da gioco d’azzardo assomigliano in una certa misura a quelli dei disturbi
da uso di sostanze. Siamo nell'era delle nuove dipendenze, che come accaduto negli anni del
dopoguerra e negli anni settanta con le prima forme di dipendenza da sostanze, stanno
destando considerevole allarme sociale e politico. Basti per esempio pensare al
movimento”NoSlot” e ai proclami di enti religiosi e sociali contro il gioco d'azzardo.
5
1-ATTACCAMENTO, ONNIPOTENZA, SCISSIONE, STATI BORDERLINE,
MENTALIZZAZIONE E TRATTI PERVERSI NELLA DIPENDENZA
La ricerca di sostanze o comportamenti di supporto all’individuo durante le fasi evolutive e
di passaggio, con lo scopo di superarne l’angoscia derivata, o con la finalità di migliorare i
limiti delle proprie prestazioni; è un atteggiamento da sempre presente nell’uomo. Alcune
persone però rimangono intrappolate, vittime di questa ricerca, causando un’alterazione del
rapporto con la realtà. Da un punto di vista psicanalitico, lo sviluppo progressivo della
personalità dell’individuo, durante la crescita passa a far riferimento a nuovi modelli
comportamentali via via che passa dall’infanzia, all’adolescenza, all’età adulta
1
. Questo
processo può essere soggetto ad interruzioni e la persona può rimanere “fissata” ad uno di
questi stadi a causa di un trauma e al conseguente stato d’animo provocato dall’avvenimento.
Di conseguenza, nel momento in cui si verificheranno nuovamente delle condizioni che
rievocheranno il trauma, l’individuo potrebbe manifestare condotte immature, regredendo,
nel contesto di un comportamento per il resto maturo
2
. Queste azioni riflettono
preoccupazioni conservate da periodi della vita più remoti, in quanto alcuni aspetti del sé non
avevano partecipato alla successiva maturazione della persona. L’individuo ha come
incapsulati dentro di sé residui, sensazioni, impulsi, emozioni impresse al momento del
trauma, che possono riemergere sotto nuove sollecitazioni dai quali il soggetto tenta di
difendersi.
Nella dipendenza patologica, l’individuo utilizza una sostanza, un oggetto o un
comportamento, in maniera distorta, vivendo un’esperienza di incoercibilità e di bisogno
coatto di ripeterla in maniera compulsiva. È una condizione invasiva caratterizzata da
craving, assuefazione, astinenza, in relazione ad un’abitudine incontrollabile che il soggetto
non può evitare di porre in essere. Anche se le dipendenze più note sono quelle da droga e da
alcool, esiste un gruppo di dipendenze legate ad oggetti e comportamenti quotidiani. Per
esempio le dipendenze da cibo, sesso, internet, videogiochi, shopping, lavoro, relazioni
sentimentali ed esperienze emotive, gioco d’azzardo. Le sostanze ed i comportamenti citati
provocano stati soggettivi di euforia e alterazioni di coscienza. Sono esperienze potenti che
hanno lo scopo di alleviare l’ansia, il dolore, l’angoscia e tutti gli stati emotivi percepiti dal
soggetto come negativi, attraverso una diminuzione della coscienza o un innalzamento della
soglia di sensibilità. ”È da notare la differenza terminologica tra il termine francese
1 Cfr. N. Kessel.- H. Walton., L'alcolismo.Patologia e terapia del bere, Milano, Feltrinelli Editore, 1978
2 Ibidem
6
toxicomanie, che ci fa intuire un’economia psichica basata sul desiderio di nuocere a sé stessi
mentre il termine inglese addiction, implica la schiavitù del soggetto nel suo sforzo di
superare la sofferenza psichica
3
”. Molti comportamenti di dipendenza sembrano
accompagnati dal craving, un’entità sindromica rappresentata da una forte attrazione verso
sostanze ed esperienze appetibili tali da comportare la perdita del controllo e azioni
obbligatorie, tese alla soddisfazione del desiderio anche in presenza di ostacoli o pericoli.
La ricerca di sostanze che alterano lo stato di coscienza è un nucleo fenomenologico comune
a molte forme di dipendenza
4
. La creazione di stati dissociativi permette al soggetto di uscire
temporaneamente dalla sua realtà per risolvere una condizione di disagio persistente,
percepirsi in maniera più positiva accrescendo l’autostima, la sicurezza in sé stesso e nelle
relazioni sociali e migliorare l’immagine di sé. Anche i fenomeni micro/macro dissociativi
vanno dal normale al patologico con l’elemento comune del ricorso ad esperienze di
isolamento e di sottrazione del sé dalla realtà quando le angosce non possono essere
trasformate nello stato di coscienza ordinario. La dissociazione è una forma di difesa che
prevede la separazione di alcune informazioni o di processi mentali dal resto della coscienza.
Sbarra la coscienza dall’inondazione degli stimoli interni ed esterni. La dissociazione è
adattiva in un bambino esposto al trauma perché ha la capacità di suddividere il dolore in
compartimenti stagni per evitargli di doverli affrontare di continuo, come in una forma di
autoipnosi. La dissociazione consente una modalità di soluzione a conflitti inconciliabili,
grazie ad esperienze sensoriali alternative che consentono l’integrazione nella relazione con
la realtà. Un suo eccessivo uso produce uno stato patologico costituendo una forma di
dipendenza a discapito del rapporto con la realtà. La parte scissa si comporterà come
un’identità mentale indipendente ed altra rispetto alla personalità globale, sfuggendo di fatto
al suo controllo. Queste esperienze di isolamento possono essere paragonati a rifugi della
mente, ovvero luoghi mentali o comportamenti ripetitivi e abitudini nei quali ritirarsi per
sfuggire dall’angoscia della realtà. I rifugi della mente sono medicazioni dell’Io, con la
funzione di elaborare e controllare le angosce di morte, di distruttività e aggressività
primitive, ma nei soggetti in cui queste problematiche sono molto disturbanti, il rifugio perde
le sue capacità nutritive e integrative, dominando la psiche e dando luogo ad una patologia
che favorirà il ritiro dal mondo oggettuale, favorendo attività autoerotiche, di dipendenza
morbosa e veri e propri disturbi dissociativi
5
. Nel rifugio della mente la realtà non è né
3 V . Caretti- D. La Barbera.,(a cura di)., Le dipendenze patologiche. Clinica e psicopatologia, Milano,
Raffaele Cortina Editore, 2005, pagina 12
4 Ibidem
5 Ibidem
7