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CAPITOLO 1: INTRODUZIONE
La coltivazione delle microalghe a fini energetici è al centro di numerosi progetti pilota in tutto il
mondo, grazie all’elevato potenziale di queste come materia prima per la produzione su vasta scala
di biocombustibili di seconda generazione. Ciò può rappresentare una forte alternativa nell’ambito
dell’identificazione di soluzioni rinnovabili per la produzione di energia ed un valido strumento per
quanto riguarda il raggiungimento di una maggiore indipendenza dai combustibili fossili nella
produzione di energia elettrica, termica e nell’autotrazione.
Le microalghe sono importantissimi organismi vegetali unicellulari acquatici, presenti sulla terra già
1,5 miliardi di anni fa; come le piante superiori, sono organismi che crescono sfruttando l’energia
solare e catturano l’anidride carbonica convertendola in carbonio organico e, quindi, in energia
chimica. Sono, dunque, produttori primari. La loro crescita, può essere notevolmente più rapida di
quella delle piante terrestri, il che porta ad una produzione assai maggiore di biomassa.
Per questo motivo le microalghe sono oggetto di intensi studi in ambito energetico: appaiono,
infatti, particolarmente idonee per l’assorbimento della CO
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e per la produzione di biocombustibili,
oltre che per altri usi comunque importanti, come la depurazione di acque reflue civili ed agro-
zootecniche e per la produzione di molecole bioattive, fonte di antibiotici, antitumorali, antivirali,
antiossidanti ed immunostimolanti a cui l’industria farmaceutica e cosmetica guardano con
crescente interesse. Rispetto alle biomasse convenzionali, vi sono numerosi fattori che sulla carta
giocano a favore delle microalghe: la loro produzione non è in concorrenza con quella agricola e
forestale, non richiede pesticidi e non prevede nemmeno un rilevante consumo di acqua dolce. Le
alghe, infatti, possono essere coltivate su terreni marginali o superfici acquatiche, utilizzando acqua
salmastra oppure acque reflue derivanti da diversi usi.
Inoltre, si riproducono con grande velocità e la massa di alcune microalghe è costituita fino al 50%
in peso da lipidi e oli naturali, il che garantisce una produzione di biocarburanti, per unità di
superficie, molte volte superiore alle migliori piante terrestri oggi comunemente utilizzate.
Il processo più semplice per sfruttarne il contenuto energetico è l’invio a digestione anaerobica, che
trasforma in biogas l’energia chimica immagazzinata nelle alghe.
Questo processo può avvenire anche all’interno di digestori esistenti e di norma sottoalimentati
come quelli presenti negli impianti di depurazione delle acque reflue.
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Queste acque, ricche di azoto e fosforo, sono attualmente considerate un prodotto di scarto senza
valore e devono essere sottoposte a trattamento prima dello scarico, ma possono essere utilizzate
con successo come substrato per la coltura di microalghe.
Gli impianti di depurazione sono costituiti da una serie di manufatti, ognuno con specifiche
funzioni: lo schema convenzionalmente adottato per il trattamento delle acque reflue comprende
una linea acque ed una linea fanghi. La prima porta alla produzione di un effluente liquido finale di
qualità tale da risultare compatibile con la sua restituzione al corpo idrico recettore, senza che
questo ne possa subire danni ambientali legati all’immissione di nutrienti ed inquinanti.
La seconda comprende quei processi che consentono di trattare il fango di risulta, costituito
dall’insieme di fango primario (ove siano presenti i sedimentatori primari) e di fango biologico, in
modo da stabilizzarlo e rimuovere buona parte dell’acqua in esso presente, in modo da ridurne il
volume. Il processo di digestione (anaerobica o aerobica) è responsabile della stabilizzazione del
fango e ne degrada la componente organica. La digestione anaerobica converte la sostanza organica
a biogas, costituito principalmente da CH
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e CO
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. Il surnatante della digestione anaerobica, ricco di
nutrienti quali azoto e fosforo, deve essere ricircolato in testa ai trattamenti di depurazione per poter
essere sottoposto a trattamento prima della scarico. Situazione analoga caratterizza i surnatanti dei
trattamenti di ispessimento e disidratazione dei fanghi che completano appunto la sequenza della
linea fanghi.
Per garantire una rimozione dei nutrienti compatibile con i limiti imposti dal recepimento della
direttiva Nitrati (Direttiva 91/676/CEE), è necessario operare con età del fango elevate,
prolungando i tempi di ritenzione nella fase biologica, e, spesso, in assenza di sedimentazione
primaria. In tali condizioni, il fango prodotto è caratterizzato da minori concentrazioni di sostanza
organica e questa, a sua volta, ha un maggior grado di stabilizzazione. Si assiste, quindi, ad una
graduale riduzione della frazione di sostanza organica inviata a digestione anaerobica, a fronte di un
maggior dispendio energetico di aerazione nella linea acque. Molti digestori anaerobici degli
impianti di depurazione lavorano, dunque, non a pieno regime e sono potenzialmente utilizzabili per
digerire nel contempo altri scarti organici.
In questo contesto, il progetto di collaborazione tra Università degli Studi di Milano-Bicocca,
SEAM Engineering, Politecnico di Milano, Sud Seveso Servizi Spa ed Amiacque Srl, si propone di
integrare il processo di produzione di microalghe all’interno del ciclo di trattamento delle acque
reflue, sfruttando i flussi liquidi ricchi di nutrienti, già presenti in impianto, come substrato per lo
sviluppo di microalghe, che possano essere alimentate al digestore anaerobico; in questo modo sarà
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possibile un miglioramento del bilancio energetico ed ambientale dell’impianto, attraverso
un’ulteriore rimozione di nutrienti dall’effluente ed un aumento della produzione di biogas.
In particolare, il presente lavoro di tesi è composto da una parte sperimentale, finalizzata a
verificare le problematiche legate all’accrescimento della biomassa microalgale, e da una parte
progettuale, volta ad analizzare la fattibilità di tale integrazione sulla base dei risultati sperimentali
ottenuti.
1.1 LE MICROALGHE
Le microalghe sono organismi unicellulari fotosintetici caratterizzati da un’organizzazione
strutturale molto semplice e che utilizzano l’energia luminosa, l’anidride carbonica e gli ioni
disciolti in acqua per la sintesi di molecole complesse. Sono in grado di crescere molto più
rapidamente rispetto alle piante terrestri, alle colture agricole ed alle altre piante acquatiche: difatti
l’intero ciclo di crescita dura soltanto pochi giorni.
In funzione della specie a cui appartengono, le loro dimensioni variano solitamente da pochi fino a
circa 30 μm; sono caratterizzate dalla totale assenza di radici, fusti e foglie e presentano la clorofilla
a come principale pigmento fotosintetico.
Questi organismi contengono diversi pigmenti fotosintetici, la cui presenza permette di distinguere i
cianobatteri (Cyanophyta) per la presenza di ficocianina, le alghe rosse (Rhodophyta) per la
ficoeritrina, le alghe verdi (Chlorophyta) per la presenza di clorofilla a e b, le brune (Phaeophyta)
per le xantofille ed i caroteni (Figura 1.1).
Carenze nutrizionali, in particolare di substrato azotato, determinano la degradazione dei pigmenti
ficobiliproteici e clorofilliani, portando ad un maggior risalto degli altri pigmenti e ad una
colorazione verde-arancione delle colture algali.
Moltissime sono le specie in questo gruppo eterogeneo di microrganismi: esse si differenziano per
la diversa organizzazione cellulare (organismi coloniali, unicellulari e filamentosi), per la presenza
di flagelli che permettano o meno il movimento della cellula e per la specificità di habitat.
Si stima la presenza di circa 50.000 specie in ecosistemi acquatici e terrestri, di cui 30.000 sono
state studiate ed analizzate, ma tra queste solo un ristretto numero sono perfettamente conosciute e
prodotte in quantità industriali.
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Gli ambienti di elezione delle microalghe sono i corpi d’acqua, dolce, salata, salmastra o ipersalina,
dove esse costituiscono il fitoplancton; si trovano infatti nello strato superficiale della colonna
d’acqua, ad una profondità massima che dipende dal grado di penetrazione della radiazione solare.
Circa il 50% dell’attività fotosintetica globale viene attribuita agli organismi fitoplanctonici, che
sono quindi i produttori primari di biomassa negli ecosistemi acquatici e si trovano alla base della
catena trofica (Tredici, 2006).
Le microalghe comprendono organismi procarioti o eucarioti (Tabella 1.1). Le cellule procariote
(Cyanobacteria) mancano degli organelli confinati da una membrana (plastidi, mitocondri, corpi di
Golgi, flagelli) e, soprattutto, di un nucleo differenziato e sono molto più simili ai batteri che non
alle alghe. Nelle cellule eucariote, invece, sono presenti organelli confinati da membrana ed un
nucleo differenziato.
Tabella 1.1: Classificazione delle microalghe (Becker, 1994)
a) b)
Figura 1.1: Esempi di microalghe: a) alghe verdi (Chlorophyta) ; b) diatomee (Bacillariophyta)
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I primi studi sulle colture algali in laboratorio, determinanti per la comprensione dei meccanismi
alla base della fotosintesi ossigenica, risalgono agli inizi dello scorso secolo (Tredici, 2006). Da
questi studi presero spunto le prime ricerche di carattere applicativo sulle microalghe, in particolare
sulle colture massive di Chlorella e Scenedesmus, in Giappone, Germania e Stati Uniti. In Italia, gli
studi sulle colture algali massive sono iniziati nel 1956 presso l’Istituto di Microbiologia Agraria e
Tecnica dell’Università degli Studi di Firenze, diretti dal Prof. Gino Florenzano e sono stati
ufficializzati nel 1963 con l’istituzione del Centro di Studio dei Microrganismi Autotrofi del CNR,
di recente confluito nell’Istituto per lo Studio degli Ecosistemi (ISE) (Tredici, 2006).
L’obiettivo dei ricercatori era ambizioso: ottenere proteine da fonti inesauribili (acqua, sali minerali,
luce solare) ed a basso costo sfruttando la fotosintesi algale. Purtroppo la speranza di sfamare il
mondo con l’aiuto delle microalghe è sfumata; oggi si assiste ad una rinascita di interesse per questo
gruppo microbico, specialmente in relazione al suo enorme potenziale nel campo delle energie
rinnovabili, della depurazione delle acque reflue e della produzione di integratori alimentari,
mangimi e molecole per prodotti farmaceutici.
1.1.1 Campi di applicazione delle microalghe
Da un punto di vista ambientale, l’importanza delle microalghe è fondamentale per l’equilibrio
dell’ecosistema e per diminuire l’impatto che le attività umane hanno sulla natura.
Le microalghe possiedono caratteristiche e potenzialità produttive che le rendono ottime candidate
per l’utilizzo in molti campi. Possono fornire una biomassa con un alto contenuto in proteine e/o
lipidi e carboidrati; inoltre, attraverso la coltura massiva si possono ottenere ottimi prodotti di alto
valore commerciale, quali mangimi, integratori alimentari, pigmenti ed ingredienti per cosmesi
(Pulz, 2004). Altre potenziali applicazioni derivano dall’utilizzo delle microalghe come olio ricco in
acidi grassi polinsaturi, fertilizzanti, biopesticidi e come fonte di composti ad attività antimicrobica
ed antitumorale (Tredici, 2003).
Uno degli aspetti maggiormente interessanti riguarda il fatto che esse possono contenere quantità
significative di lipidi (oli e grassi), la cui composizione risulta simile a quella degli oli vegetali
tradizionali.
Ad oggi, il mercato della biomassa microalgale produce all’incirca 5.000 tonnellate di sostanza
secca all’anno, con valori di mercato che si aggirano tra i 200 e i 2.000 €/kg. Produzione e vendita
generano un ritorno economico annuale superiore ad 1 miliardo di dollari americani (Pulz, 2004).
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La quasi totalità di biomassa algale prodotta attualmente (circa il 75%), viene impiegata per la
produzione di integratori alimentari, commercializzata sotto forma di tavolette e pastiglie che
incorporata in paste, snack, gomme da masticare e bevande (Pulz, 2004). La maggior parte del
mercato è dominato da Spirulina e Chlorella (Spolaore et al., 2006; Tredici, 2003).
Altro ambito molto interessante è l’acquacoltura, che genera un volume di affari di decine di
miliardi di euro all’anno ed è in costante crescita. Le microalghe vengono utilizzate per
l’allevamento degli avannotti di specie ittiche, di microcrostacei (es. Artemia) e di zooplancton (es.
rotiferi), per l’allevamento di molluschi bivalvi e delle fasi larvali dei gamberi.
Inoltre, i pigmenti ricavabili da alcune specie di microalghe, trovano varie applicazioni. Il β-
carotene, ricavato da Dunaliella, è un colorante alimentare nonché un mangime animale e possiede
proprietà antiossidanti; l’astaxantina, che deriva da colture di Haematococcus, viene utilizzata in
acquacoltura per colorare la carne dei salmoni. Le ficobiline, prodotte anche da Arthrospira,
servono soprattutto come coloranti alimentari e reagenti fluorescenti per marcare anticorpi e
molecole biologiche (Spolaore et al., 2006; Tredici, 2003).
L’estrazione di queste molecole pure può avvenire solo se la loro concentrazione nella biomassa è
sufficientemente elevata.
Nel settore dei cosmetici le sostanze ottenibili dalle microalghe possono essere trovate nei prodotti
per la cura della pelle e del viso, ma anche in quelli per la protezione solare e per la cura dei capelli.
Tabella 1.2: Stato delle produzioni a livello mondiale (Barbato, 2009)
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1.2 UTILIZZO DELLE MICROALGHE NEL PROCESSO DI DEPURAZIONE DELLE
ACQUE REFLUE
La coltivazione di microalghe per la produzione di biocarburanti, combinata con il trattamento di
acque reflue, sembra essere un’applicazione particolarmente interessante; tale aspetto è in costante
evoluzione e numerosi studi sono in atto, tra i quali si inserisce anche il presente lavoro di tesi.
Il sistema consente nell’alimentare le microalghe utilizzando l’azoto ed il fosforo tipicamente
presenti nelle acque di scarico civili o industriali, cercando di raggiungere un duplice scopo: da una
parte si vuole favorire la produzione di biomassa algale contenendo i costi (maggiore velocità di
crescita, riduzione della quantità di nutrienti da garantire mediante fertilizzanti, incremento del
contenuto di lipidi), dall’altra di rimuovere contaminanti inorganici ed organici dalle acque di
rifiuto. I problemi maggiormente rilevanti riguardano la vasta disponibilità di spazio per quanto
riguarda i sistemi open ponds, e gli elevati costi d’investimento nel caso dei fotobioreattori.
Quando le acque di rifiuto presentano contaminanti che possono compromettere lo sviluppo delle
microalghe, in genere si opera con colture miste, ovvero in combinazione a batteri, nelle quali le
alghe degradano o rimuovono tali contaminanti e liberano l’ossigeno necessario per il metabolismo
aerobico dei batteri. Mediante l’ossigeno prodotto dalle alghe, i batteri sono in grado di degradare
composti quali idrocarburi policiclici aromatici (PAH), fenoli e solventi organici (Munoz and
Guieysse, 2006; in Brennan and Owende, 2010). Ad esempio, i cianobatteri risultano essere utili nel
trattamento di inquinanti organici presenti nelle acque di rifiuto di industrie cartacee (Kirkwood et
al., 2003; in Harun et al., 2010). In caso di eccesso di azoto ammoniacale, che potrebbe risultare
limitante per lo sviluppo microalgale, i batteri nitrificanti possono ossidarlo a nitrato utilizzando
l’ossigeno liberato dalla fotosintesi. Questo ossigeno prodotto permette di ridurre la necessità
dell’aerazione meccanica esterna e, quindi, di risparmiare sui costi d’esercizio. Lo svantaggio di
questo sistema combinato è essenzialmente legato alla differenza di velocità nella crescita tra
microalghe e batteri: le prime, infatti, si sviluppano più lentamente (Lee, 2001; in Harun et al.,
2010) limitando di conseguenza l’apporto di O
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e la crescita degli stessi batteri.
Un altro punto critico riguarda l’ispessimento della biomassa prodotta, il cui costo, secondo Molina
Grima et al. (2003), può rappresentare dal 20% al 30% dei costi totali di produzione. Nel caso
dell’estrazione del biodiesel, la somma dei costi di quest’ultimo processo sommato all’ispessimento
può superare il 50% del costo complessivo di produzione (Moheimani et al., 2005).