3
INTRODUZIONE
Che cos’è la deissi? E’ un tipo di riferimento che rimanda al contesto extralinguistico. Inoltre,
questo fenomeno permette di semplificare un discorso e di renderlo più coeso, evitando così
eccessive ripetizioni. Viene generalmente annoverato come un fenomeno pragmatico, in quanto è
legato ad una determinata situazione comunicativa e tiene in considerazione il parlante/mittente e
l’ascoltatore/destinatario di una conversazione scritta o orale. Di primo acchito potrà sembrare una
questione poco importante e alquanto tecnica, ma in realtà tutti, nella vita di tutti i giorni, facciamo
ricorso, spesso senza rendercene conto, a delle espressioni deittiche.
La tematica risulta quindi essere applicabile a diversi generi testuali, sia scritti che orali. Si è così
scelto un corpus di cinque interviste, provenienti dalla stampa, dalla radio e dalla televisione. Il
fenomeno deittico è qui però analizzato nella lingua tedesca, con dei rimandi a quello italiano, ma
senza scendere troppo nei particolari, dato che su certi aspetti le due lingue sono molto diverse tra di
loro e una maggiore spiegazione avrebbe quindi comportato una tesi troppo lunga e più complessa.
A questo proposito ho, a volte, fatto delle traduzioni di alcuni esempi, in modo da agevolare il
discorso a quelli che non hanno molta dimestichezza con la lingua tedesca.
Si è voluto ricercare qui la presenza dei deittici e il loro utilizzo, cercando di capire che funzione
svolgessero in un determinato contesto e se la loro frequenza sia legata al genere testuale, al
linguaggio dei parlanti o ad altri fattori. In particolare, sia nella parte teorica che in quella analitica,
si è dato risalto alla sua unione e similitudine con l’anafora, un altro fenomeno linguistico che
rimanda al co-testo. Sono dei fenomeni così diversi tra di loro? E’ possibile distinguerli l’uno
dall’altro? Questo è ciò a cui si è cercato di dare risposta durante tutta la tesi e che emergerà quindi
dalla lettura dei 5 capitoli che compongono questa tesi.
Il corpus è nello specifico composto da interviste provenienti dai media tedeschi, pubblicate o
trasmesse in un arco di tempo che va dal 12 marzo al 22 maggio del 2011. Tutte le interviste
ruotano intorno alla catastrofe di Fukushima, che ha riacceso il dibattito sull’utilizzo in Germania di
questa fonte di energia e ha riaperto una vecchia ferita provocata dall’esplosione della centrale
nucleare di Chernobyl 25 anni fa.
I testi scelti, come già accennato sopra, sono cinque: due da un quotidiano tedesco, uno da un
settimanale, uno dalla radio e uno dalla tv. Quindi, il corpus è prevalentemente composto da testi
scritti, ad eccezione dell’intervista televisiva di cui non è stata fatta nessuna trascrizione. Prendendo
in considerazione tre media differenti, è stato anche possibile avanzare ipotesi sull’uso dei deittici e
degli anaforici in differenti mezzi di comunicazione: il loro utilizzo varia a seconda della fonte
considerata o questo particolare è in realtà ininfluente ai fini di un’analisi linguistica?
Nel primo capitolo, è stata affrontata la deissi, delineando alcuni concetti-chiave che ne assicurano
la sua realizzazione e che sono utili per la sua interpretazione. Si è approfondita quindi la sua natura
referenziale, si sono delineate alcune classificazioni e sue caratteristiche peculiari nella lingua
tedesca, passando poi in rassegna le tre dimensioni principali: la personale, la spaziale e la
temporale. Sono state poi trattate delle dimensioni derivate, ovvero la sociale, l’oggettuale, la
modale e la testuale. Quest’ultima si configura piuttosto come un modo, un uso della deissi, che
come una dimensione vera e propria, raccogliendo in sé tutte le altre dimensioni e essendo
particolarmente legata al testo scritto. Tuttavia, per motivi pratici e di economicità della tesi, è stata
incorporata insieme alle altre dimensioni. E’ stato poi dato spazio alla possibile esistenza di altre
dimensioni deittiche, qui brevemente introdotte e non indagate ulteriormente. Indispensabili per la
scrittura di questo capitolo, tra gli altri, sono stati autori quali Levinson, Lyons, Ehrich, Bühler,
Diewald e Rauh.
Nel secondo capitolo, si è introdotto l’altro fenomeno analizzato, l’anafora, che è tuttavia stato
illustrato solo nelle linee generali e più importanti, in quanto si configura qui solo in
4
contrapposizione alla deissi, che rimane l’oggetto di indagine principale di questa tesi. Il concetto di
coesione e coerenza sono stati esplicati in vista di una maggiore comprensione dell’anafora,
risultando tuttavia utili anche al fenomeno deittico. Anche qui si è delineato come l’anafora e il
riferimento siano a stretto contatto, e come il riferimento si esplichi nel fenomeno anaforico
attraverso la coreferenza, tipica dell’anafora. Si sono individuati poi due tipi di anafora, quella
diretta e quella indiretta. Si è discussa l’eventuale esistenza di anaforici spaziali e temporali,
presenti a loro volta anche nella catafora, fenomeno speculare a quello anaforico, qui spiegato
brevemente. Autrici di riferimento fondamentali per quest’altro capitolo sono state Ehrich e
Schwarz. Quest’ultima in particolare è stata determinante nella scoperta dell’anafora indiretta e
nell’approfondimento del fenomeno anaforico in generale.
Con il terzo capitolo inizia la parte analitica della tesi, dove sono state date alcune informazioni sui
media e sulle persone intervistate, sui tipi di interviste e sulla tematica da queste affrontata. Infatti,
tutte le interviste, come accennato sopra, trattano della questione dell’energia nucleare,
particolarmente incandescente in Germania, ma che ha preso piede anche da noi dopo la catastrofe
di Fukushima e in vista del referendum popolare. I dibattiti e le proteste contro l’energia nucleare
sono stati uno dei fatti politici più rilevanti durante la mia esperienza Erasmus a Berlino, e ho
ritenuto così opportuno analizzare proprio delle interviste su questa tematica.
Nel quarto capitolo, si è proceduto quindi con l’analisi delle sole espressioni deittiche, di cui sono
stati fatti degli esempi tratti dal corpus. Le tre dimensioni principali sono quelle che hanno ricevuto
più spazio. Un breve approfondimento è stato dedicato alla deissi testuale, mentre le dimensioni
rimanenti sono state analizzate insieme in un unico paragrafo. Si è ritenuto opportuno dedicare
anche un unico paragrafo ai verbi, in quanto possono fungere sia da deittici (seppur deboli) che da
tempi anaforici, sottolineando anche qua come a volte la differenza tra i due fenomeni sia molto
sottile o inesistente.
Nel quinto e ultimo capitolo, si sono ricercate tutte le espressioni anaforiche e le eventuali
espressioni cataforiche, dedicando infine un ultimo paragrafo a dei casi al limite tra i due fenomeni.
Si è cercato di mantenere le informazioni date nella parte teorica su un piano oggettivo, mentre
l’analisi si configura maggiormente come soggettiva. Nella parte destinata all’analisi, è stato così
dato maggiore spazio ai miei ragionamenti, fatti sulla base di quanto appreso e riportato in questa
tesi sui fenomeni trattati, ma discostandomene talvolta, avendo in realtà un’altra opinione in merito.
Ovviamente, le mie sono solo supposizioni e ipotesi che non hanno alcuna pretesa di innalzarsi al
livello di studiosi che hanno ricercato e approfondito l’argomento per anni, mentre io, seppur a
conoscenza del fenomeno già dall’inizio dei miei studi universitari, ho limitato tutto il lavoro di
ricerca e di scrittura in pochi mesi.
1
1
Potrà sembrare forse un po’ ardita la mia “pretesa” di racchiudere la tematica in queste “poche” pagine. Tuttavia, ho
cercato di evidenziare le cose principali e di non dilungarmi troppo su ogni singolo aspetto, sperando comunque di
essere riuscita a delineare un buon quadro d’insieme su questo campo d’indagine.
5
Capitolo 1
DEISSI
La deissi è un fenomeno linguistico che serve ad esplicare e sintetizzare dei riferimenti al contesto o
a delle informazioni extralinguistiche. La parola deissi deriva dalla parola greca deiksis o deixis che
assume il significato di “dimostrazione, esposizione, indicazione” e proprio partendo da ciò si
intuisce una delle caratteristiche peculiari di questo fenomeno: indicare qualcosa. Il fenomeno è
stato esplorato sia da un punto di vista filosofico, da filosofi quali Russel e Peirce, ambito in cui
assume il nome di indessicalità, che da un punto di vista linguistico. In linguistica viene in genere
fatto rientrare nel campo di studio della pragmatica, anche se non viene esclusa la possibilità che
faccia parte anche della semantica. Tra gli studiosi più importanti del fenomeno vengono annoverati
linguisti quali Bühler, Lyons e Fillmore, che sono stati tra i primi a teorizzarlo. Grazie agli elementi
deittici si è in grado di rendere più scorrevole e coerente un discorso, evitando così ripetizioni e
mantenendo dei riferimenti importanti al contesto, senza i quali non sarebbe possibile una chiara ed
efficace comunicazione. Sono considerati degli esempi di deissi: i pronomi personali e gli aggettivi
possessivi, i pronomi e gli aggettivi dimostrativi, gli avverbi di luogo e di tempo, e i morfemi
grammaticali che codificano le forme verbali.
La comprensione dei deittici è strettamente legata alla situazione comunicativa, in cui sono presenti
un parlante ed un ascoltatore, nel caso di una conversazione orale, o un mittente e un destinatario,
nel caso di una comunicazione scritta. Il parlante è colui che dà inizio alla conversazione e che si
rivolge a uno o più ascoltatori, i destinatari del discorso. La figura del parlante risulta
particolarmente importante per l’identificazione dell’espressione deittica. Infatti la deissi viene
compresa in riferimento al parlante dell’enunciato, inscindibilmente legato al tempo e allo spazio
dell’enunciazione: sono questi gli elementi che costituiscono il centro deittico, ovvero “il punto
d’incontro dei tre parametri essenziali per la determinazione delle espressioni deittiche, l’ego, l’hic
e il nunc, […] il tempo e il luogo in cui il parlante produce il suo enunciato”.
1
In un discorso scritto
è invece il mittente a svolgere una funzione analoga. Nell’esempio seguente risulta chiaro come la
deissi sia ancorata alla situazione extralinguistica: sulla porta di un ufficio viene lasciato un
messaggio, ich komme in einer Stunde
2
. In questo caso un ipotetico lettore non riesce a sapere con
certezza quando la persona desiderata ritornerà, dato che l’ora in cui questo messaggio è stato
affisso risulta ignoto a chi legge. Solo se fosse stata indicata con precisione l’ora in cui il messaggio
è stato scritto, si sarebbe venuto a conoscenza con certezza quando la persona, momentaneamente
assente, sarebbe ritornata. Si consideri ora la seguente frase: Dieser Kugelschreiber ist meiner
3
; il
pronome dimostrativo dieser ci permette di capire a quale penna si stia facendo riferimento, ma solo
se ci troviamo nello stesso luogo in cui si trova il mittente dell’enunciato potremo capire a quale
penna ci si riferisce. Lo stesso vale per il pronome possessivo meiner: solo se abbiamo individuato
l’enunciante, sapremo di chi è la penna e quindi a chi si riferisce questo pronome.
Per una completa realizzazione dei deittici giocano poi un ruolo importante le conoscenze pregresse,
ipoteticamente condivise da tutti i parlanti in un discorso, il legame che intercorre tra il parlante e
l’ascoltatore, nonché l’intenzione del parlante per la produzione di un determinato enunciato. Tutti
questi parametri vanno tenuti in conto al momento della decodificazione delle espressioni deittiche.
Infine, volendo dare una definizione più precisa del fenomeno, si ci può avvalere della definizione
1
Renzi et al. (2001: 263).
2
“Ich komme in einer Stunde – torno fra un’ora” [V.L.]. Cfr. Renzi et al. (2001: 262, es. 5) e Levinson (1983: 54, es. 1).
3
“Questa penna è mia” [V.L.].
6
data dal Dizionario di linguistica, che vede la deissi come “Riferimento, interno all’enunciato, allo
spazio e al tempo in cui l’enunciato stesso viene prodotto o alle persone, in quanto emittenti e
riceventi dell’enunciato”
4
oppure basandosi sulle considerazioni di Levinson emerge che la deissi
codifica grammaticalmente gli elementi presenti nel contesto o nell’atto comunicativo, e la loro
interpretazione dipende dall’analisi del contesto situazionale, ovvero dall’analisi di tutti quegli
elementi extralinguistici presenti nell’atto comunicativo:
“Deixis concerns the ways in which languages encode or grammaticalize features of the context of
utterance or speech event, and thus also concerns ways in which the interpretation of utterances
depends on the analysis of that context of utterance”.
5
1.1. Deissi e riferimento
Con il concetto di riferimento s’intende il rapporto che intercorre tra un’espressione linguistica e ciò
che si intende designare tramite questa, appunto ciò a cui viene fatto riferimento. Tutte le
espressioni, pur essendo potenzialmente referenziali, non svolgono tuttavia sempre questa funzione
e risultano perciò tali qualora vi sia un riferimento al contesto. In particolare, nel momento
dell’enunciazione, il parlante può fare riferimento ad un determinato oggetto oppure ad una persona
conosciuta, nonché avvalersi di espressioni deittiche per far comprendere al destinatario del
messaggio il contenuto del suo discorso. Una maggiore esplicazione del termine viene data da Vater,
che considera il riferimento come “Ein Bestandteil der Bedeutung sprachlicher Ausdrücke”.
6
In
precedenza, Searle aveva stabilito come il riferimento fosse un atto comunicativo, aggiungendo che
le espressioni referenziali indicano delle cose particolari, rispondendo alle domande “Chi?” e
“Cosa?” e sono perciò riconosciute per la loro funzione:
“Referring expressions point to particular things; they answer the questions “Who?”, “What?”,
“Which?”. It is by their function, not always by their surface grammatical form or their manner of
performing their function, that referring expressions are to be known.”
7
Non bisogna però confondere erroneamente il riferimento con il significato, che ne è sì una
componente, ma non deve essere assimilato a questo: infatti, il significato è qualcosa di fisso,
stabile, mentre il riferimento risulta essere variabile. In altre parole, il significato di una parola
rimane costante, immutato, mentre il suo riferimento in un determinato contesto assume diverse
sfumature. Analogo discorso viene fatto con il concetto di denotazione: un’espressione linguistica
denota sempre lo stesso oggetto, intendendo quindi che le caratteristiche assegnate ad un oggetto
specifico non variano, neanche in presenza di un suo uso diverso in contesti differenti. A questa
terminologia può essere anche sostituita rispettivamente quella di intensione ed estensione,
intendendo con la prima tutte le proprietà che ne determinano il significato, mentre con il concetto
di estensione ci si riferisce al significato vero e proprio di un segno. Ad esempio, la parola cane si
configura come l’estensione del segno, in quanto con questa parola si designa tutta la categoria
“cane”, mentre la sua intensione consiste di tutte quelle proprietà volte a determinare le
caratteristiche di “caninità”. Di conseguenza il concetto di riferimento, non solo è strettamente
legato al contesto, ma anche a coloro che risultano coinvolti nell’atto comunicativo, chiamati
referenti, che condividono le stesse conoscenze pregresse, necessarie affinché il riferimento venga
4
Marello (2004: 212, v. Deissi).
5
Levinson (1983: 54).
6
“Una componente del significato delle espressioni linguistiche“ [V.L.]. Vater (1986: 15).
7
Searle (1969: 27).
7
capito. Sono questi gli elementi principali che determinano la sua natura e che consentono di
operare una distinzione tra i concetti affini di significato e denotazione. Inoltre, il riferimento si
configura maggiormente come un’azione pragmatica, al contrario degli altri due che ricadono nel
campo d’investigazione della semantica.
Esistono due categorie di riferimento: una definita e l’altra indefinita.
8
Il riferimento ad un oggetto
risulta “definito” nel caso in cui ci si riferisca a qualcosa di specifico, come avviene tramite
l’utilizzo di nomi propri, pronomi,ecc., il parlante dà quindi per scontato che l’ascoltatore sappia di
cosa si stia parlando, e ciò può avvenire solo se si è a conoscenza del contesto o del co-testo, il
contesto linguistico: ne “La penna scrive bene” solo chi è presente al momento dell’enunciazione
può comprendere a quale penna si faccia riferimento; invece ne “La penna che mi hai dato scrive
bene” la specificazione si realizza attraverso il richiamo al co-testo. Al concetto di “definitezza” è
strettamente legata la nozione di “determinatezza”: un riferimento risulta definito e determinato
quando sia il parlante che l’ascoltatore conoscono l’oggetto a cui si alluda, mentre se il riferimento
è noto solo all’ascoltatore, si è in presenza di un argomento indefinito, ma determinato. Risultano
indefinite espressioni quali “tutte le donne”, “un po’ d’acqua”, oltre che i pronomi indefiniti. Se
nessuno dei partecipanti alla comunicazione riesce ad individuare un oggetto specifico, il
riferimento risulterà indefinito e indeterminato, come nel caso di frasi generiche “Gli uomini amano
la libertà”.
9
Anche la deissi risulta essere un tipo di riferimento, distinguendosi però da questo per via della sua
dipendenza dal contesto. In altre parole, un enunciato è considerato deittico, se la veridicità della
frase può essere verificata solo in relazione al contesto situazionale. Il riferimento della frase
assumerà quindi un valore relativo.
10
Per loro natura i deittici assumono la forma di riferimenti
definiti, ma come Harweg
11
sostiene, è possibile anche individuarne di semidefiniti ed indefiniti.
Espressioni quali hier, da hinten, heute e in der vergangenen Woche sono normalmente considerate
definite, ma nel caso in cui non facciano riferimento ad un preciso elemento del contesto e
mantengano solo la loro definitezza per via del loro significato, si configurano invece come
semidefinite. Ad esempio
12
:
1. Hier in diesem Zimmer ist es aber warm;
13
2. Hier in Paris gibt es auch noch Reste aus der Römerzeit.
14
In (1) il riferimento è definito, dato che l’avverbio temporale serve ad esplicare e a precisare il resto
della frase, mentre in (2) il riferimento è semidefinito, visto che l’avverbio definisce un punto
preciso, ma rimane allo stesso tempo vago poiché non viene indicato un punto preciso in cui si
possono trovare dei resti dell’antica civiltà romana a Parigi. Quest’ultima frase può essere anche
oggetto d’investigazione circa la sua natura deittica. In questo caso, hier svolge una funzione
deittica o anaforica? Se chi parla si trova a Parigi, l’espressione è sia deittica che anaforica, mentre
se il parlante non si trova nel luogo di cui parla, ma sta ad esempio mostrando su una carta Parigi,
l’espressione si caratterizzerà come esclusivamente deittica.
Invece, tra i deittici indefiniti vanno annoverate espressioni quali neulich, vor einiger Zeit, vor
vielen Jahren, bald, in einigen Monaten, ecc. e anche alcuni deittici spaziali come ein paar Wagen
8
Vater (1986: 10).
9
Berruto (1977: 157).
10
Richter (1988: 198-199).
11
Harweg (1990: 259-274).
12
Harweg (1990: 261-262).
13
“Qui in questa stanza fa caldo” [V.L.].
14
“Qui a Parigi ci sono ancora resti dell’antica Roma” [V.L.].
8
weiter vorne/ weiter hintern, anderswo, woanders e pronomi personali nel caso di espressioni come
jemand anders e ein anderer. Inoltre, sempre Harweg puntualizza che anche dei tempi verbali come
il preterito e l’aspetto imperfettivo del futuro debbano essere considerati come indefiniti.
In tutti i casi di riferimento trattati finora è stata sottolineata la maggior importanza del parlante o
del mittente per la realizzazione del discorso, tuttavia anche l’ascoltatore o il destinatario svolge un
ruolo importante. Difatti, se il parlante o il mittente è quello che inizia la conversazione, sarà poi
l’ascoltatore o il destinatario che decifrerà il messaggio e che quindi legittima il discorso del suo
interlocutore. Così è bene prendere in considerazione il legame e le conoscenze condivise tra i
partecipanti ad una conversazione, che comportano una “successful reference” o una “fully
consummated reference”. Con la prima, il riferimento non viene completamente individuato
dall’ascoltatore o dal destinatario, e di conseguenza il parlante o il mittente dovrà modificare il suo
enunciato in modo da renderlo comprensibile e permettere così all’ascoltatore/destinatario di
rielaborare le informazioni ricevute e di produrre ulteriori enunciati utili al proseguimento del
discorso intrapreso. Da una “successful reference” si passa così ad una “fully consummated
reference”.
15
In conclusione, il riferimento svolge una funzione di primo piano nell’individuazione delle
espressioni deittiche, chiarite alla luce dell’identificazione del parlante o del mittente primariamente,
ma anche grazie all’ascoltatore o destinatario, che poiché il discorso vada a buon fine, deve
condividere alcune conoscenze con il suo interlocutore. Senza queste premesse la comunicazione
tra due o più individui risulterebbe impossibile o mal compresa.
1.2. Classificazioni e caratteristiche della deissi
Nell’ambito della linguistica la deissi si caratterizza come un segno linguistico. Nello specifico può
assumere sia la veste di indice che quella di simbolo. Per indice si intende un segno che stabilisce
una relazione con un determinato oggetto, che è realmente presente in una data situazione.
16
In
questo caso, la deissi sarà perciò accompagnata da un gesto, vale a dire che l’elemento a cui si fa
riferimento può essere compreso solo se ci si trova nella stessa situazione del parlante e si può
vedere ciò che indica, ciò a cui fa riferimento. Non è comunque obbligatorio che l’elemento deittico
venga accompagnato da un gesto, poiché infatti esiste anche un altro uso della deissi, a cui si fa più
frequentemente ricorso, ovvero quello simbolico. Con l’uso gestuale si mira a dare un ulteriore
effetto a ciò che si sta dicendo e l’elemento deittico assume così maggiore rilevanza. In genere, in
un deittico si possono riscontrare entrambi i due modi di utilizzo. Tuttavia ce ne sono alcuni che
fanno eccezione e che come nel caso del tedesco so svolgono solo una funzione gestuale: ciò accade
per esempio in una frase del tipo “Er war etwa so lang”
17
. Un deittico comprende di conseguenza
una componente gestuale e una simbolica o nominale.
18
Quella gestuale si configura come una
relazione legata al contesto e che quindi ha significato solo in relazione a questo
(“kontextgebundene gerichtete Relation”)
19
, mentre nel caso di quella nominale è il contrario, una
frase contenente un deittico può essere compresa anche senza alcun riferimento al contesto
(“kontextungebunden”).
20
Sulla base di questa nozione, Diewald riprende la distinzione di Bühler
21
15
Consten (2004: 53-57).
16
Greenlee (1973: 70-98).
17
“Era lungo così“ [V.L.]. Diewald (1991: 24).
18
Diewald parla rispettivamente di “zeigende oder deiktische Komponente” e di “nennende oder symbolische
Komponente” (1991: 48-50).
19
Diewald (1991: 25).
20
Diewald (1991: 58).
21
Bühler (1982: 75; 149-154).
9
tra le “Zeigwörter”
22
e le “Nennwörter”: le prime comprendono i segni deittici, in particolare i
pronomi dimostrativi e personali, che servono ad attirare l’attenzione su uno specifico oggetto; nella
seconda categoria di parole rientrano invece i simboli, che denotano il segno a cui si riferiscono.
Come già sottolineato a proposito della componente gestuale, le “Zeigwörter” rimandano al
contesto, mentre le “Nennwörter” si riferiscono al cotesto, trattando in particolare gli elementi
sintattici e lessicali a cui sono legate.
Fin qui si è parlato della struttura dei deittici, ora è possibile concentrarsi su una classificazione di
questi, ovvero la distinzione tra deittici forti e deboli (“starke und schwache Deiktika”).
23
Considerando prima la semantica di una parola, si può affermare che il significato di un lessema è
composto da una base e da un profilo, legato al precedente. La base è il nucleo, l’essenza della
parola, ciò che rimanda all’ambito di riferimento coinvolto, ad es. Kleider
24
è la base per Jacke,
Rock, ecc. Il profilo si configura invece come l’elemento denotante e caratterizzante della base.
25
Nella base dei deittici si trova un riferimento al contesto comunicativo, definito come il riferimento
riflessivo, facente parte della componente gestuale (“reflexiver Bezug”).
26
Questo riferimento è
comune ad entrambi i tipi di deittici: i deittici forti contengono inoltre il riferimento dimostrativo
nel profilo (“demonstrativer Bezug”)
27
, mentre i deittici deboli comprendono solo quello riflessivo
e devono perciò accompagnare sempre le “Nennwörter”, da soli non hanno alcun significato. Tra i
deittici deboli sono da annoverare ad esempio i morfemi grammaticali del verbo, mentre tra i
deittici forti rientrano espressioni quali hier
28
, morgen e du. Prestando maggiore attenzione ai
singoli tipi, si nota che i deittici forti, oltre che ai due tipi di riferimenti sopra elencati, vengono
marcati in relazione alla dimensione (approfondita nel par. 1.4 ) e in base alla distanza dall’origo
(par. 1.3), che ne determinano quindi la componente simbolica. Risultano inoltre essere
“denotationsfähig”, ovvero hanno di per sé significato, al contrario dei deittici deboli. Questi ultimi
mantengono le caratteristiche proprie di un deittico (coordinate spazio-temporali, origo, riferimento
riflessivo, componente simbolica) tranne che per il riferimento dimostrativo. Ciò fa si che non siano
legati al contesto e possono perciò essere compresi anche senza riferirsi ad un preciso elemento
contestuale. Tuttavia non hanno un proprio significato e devono essere usati in concomitanza con le
“Nennwörter”, come nel caso di Haus a cui si aggiunge l’articolo das.
29
I deittici deboli prendono
anche il nome di predicazioni epistemiche, distinguibili a loro volta in predicazioni epistemiche
nominali, gli articoli, e in predicazioni epistemiche verbali, i morfemi grammaticali che
determinano il modo e il tempo dei verbi.
Riassumendo: i deittici si dividono in deittici forti e in deittici deboli. I primi contengono un
riferimento riflessivo e uno dimostrativo, per via di quest’ultimo risultano legati al contesto,
“kontextgebunden”, e hanno una funzione denotativa propria. L’altro tipo invece non contiene il
riferimento dimostrativo e risulta perciò non legato al contesto, “kontextungebunden”, tuttavia non
ha significato da solo, non denota cioè alcun elemento, e si trova perciò sempre collegato alle
“Nennwörter”.
22
Rispettivamente: parole gestuali e parole nominali [V.L.].
23
Diewald (1991: 50-51).
24
In ordine di apparizione: vestiti, giacca, gonna.
25
Langacker (1990: 5)
26
Diewald (1991).
27
Ibd.
28
In ordine di apparizione: qui, domani, tu.
29
La casa. Das è l’articolo determinativo neutro.
10
1.3. Origo
Per una corretta interpretazione del fenomeno deittico occorre individuare un punto di partenza ed
un punto di arrivo ben stabiliti, che saranno collegati poi tramite la deissi. Quali sono questi punti?
Il punto di partenza è rappresentato dall’origo, ovvero dal centro deittico, dall’origine, mentre il
punto di arrivo è descritto dall’oggetto deittico, vale a dire dall’elemento contestuale a cui si fa
riferimento. L’origo, come detto in precedenza, corrisponde al parlante ed è l’elemento
indispensabile per far si che il fenomeno qui trattato si realizzi. Il primo a delineare il concetto di
origo è stato Bühler, definendolo come un “Koordinatenausgangspunkt“
30
. Recentemente
Sennholz
31
ha constatato che l’origo della deissi è il punto di partenza di una relazione deittica e che
la sua funzione è quella di ancorare questa relazione al contesto situazionale attraverso
l’esplicitazione del luogo, del tempo dell’enunciazione, oltre che all’individuazione del parlante o
mittente in una situazione comunicativa:
“Die Origo der Deixis ist der Ausgangspunkt der gerichteten Deixisrelation. Ihre Funktion ist es,
diese Relation in der Äußerungssituation zu verankern, und zwar an der durch die Situation
vorgegebenen Stelle von Äußerungsort, Äußerungszeit und Äußerungsträger“.
Inoltre, il centro deittico risulta indispensabile per lo sviluppo del riferimento riflessivo, dato che
questo si realizza tramite l’origo, necessario al processo deittico. Successivamente è il riferimento
dimostrativo che rimanda al contesto.
La deissi è un fenomeno prettamente “egocentrico”, ovvero che ha come base per la sua
realizzazione il punto di vista del parlante. Di conseguenza l’origo corrisponde all’ego
dell’emittente del messaggio. Già nei bambini è possibile riscontrare come il linguaggio sia fondato
sul proprio punto di vista, tuttavia il bambino non è sempre interessato a sapere se i suoi riferimenti
siano compresi da un altro oratore. Questo naturalmente cambia con la crescita e gli enunciati
assumono sempre più la forma di “linguaggio sociale”, quindi anche il ricevente del messaggio
viene preso in considerazione. Perciò mentre l’egocentrismo del bambino risulta maggiormente
irreversibile, quello di un adulto non lo è più; diventa piuttosto reversibile e reciproco ed è per
questo motivo che l’origo di un deittico cambierà a seconda di chi formula un enunciato. In altre
parole, i partecipanti all’atto comunicativo sono coscienti che un enunciato viene formulato
partendo da un punto di vista soggettivo, e che la prospettiva grazie alla quale il messaggio può
essere decodificato è quella del parlante. Successivamente il destinatario diventerà a sua volta
l’emittente e la sua prospettiva sarà quella cruciale per la comprensione della nuova informazione.
Secondo Lyons
32
, un enunciato è egocentrico poiché il parlante prende in considerazione solo la sua
prospettiva, trovandosi così nel punto zero delle coordinate spazio-temporali del contesto deittico:
“Die kanonische Äußerungssituation ist egozentrisch in dem Sinne, daß [sic!] der Sprecher, weil er
Sprecher ist, die Rolle des Ego mit sich selbst besetzt und alles aus dieser Perspektive sieht. Er
befindet sich am Nullpunkt der Zeit-Raum Koordinaten des, wie wir es nennen wollen, deiktischen
Kontextes“.
Secondo Bühler, l’origo è uguale per tutte le dimensioni e vi è quindi uno stesso punto di origine
per quella personale, spaziale e temporale; la tradizione anglo-americana, di cui fanno parte
linguisti come Russel e Fillmore, invece, fa dipendere l’origo dal contesto, ma ciò implicherebbe
30
“Un punto di partenza delle coordinate” [V.L.]. Bühler (1982: 102).
31
Sennholz (1985).
32
Lyons (1983: 250).
11
che rientrassero tra i deittici anche i nomi propri e gli articoli indefiniti, che non sono ritenuti tali. Si
è cominciato così a contestare l’esistenza di un solo origo e si è proposta la presenza di più
origines.
33
Di conseguenza, è possibile distinguere tra origines intradimensionali e interdimensionali.
Nelle origines intradimensionali sono individuabili due tipi di origo, uno sul piano verbale e un
altro su quello gestuale, come nel caso della deissi spaziale. Nelle origines interdimensionali
vengono attribuiti alla deissi temporale e spaziale un punto esterno immaginario che insieme alle
coordinate spazio-temporali, per la deissi temporale, e alle coordinate spaziali, per la deissi spaziale,
formano i punti di origine del fenomeno. Perciò, vi sarà sempre un origo principale che corrisponde
al parlante, ma in ciascuna dimensione vi saranno uno o più origines secondarie. Così, le coordinate
spazio temporali variano a seconda della dimensione considerata, stabilendo l’esistenza di diverse
origini.
Sempre in riferimento all’origo, è possibile stabilire la vicinanza o lontananza dell’oggetto deittico:
si parla in questo caso di deittici “origoinklusiv”
34
, quando sono vicini al parlante, e
“origoexklusiv”, quando risultano più lontani dall’origo. Questa classificazione è valida per tutte le
dimensioni, anche se non mancano i tentativi di trasformare questo sistema binario in uno ternario,
soprattutto se si tiene conto della dimensione spaziale in cui sono presenti tre differenti deittici hier,
dort e da o se si considerano i ruoli semantici presenti nella situazione comunicativa.
35
Maggiori
dettagli circa la dimensione spaziale verranno dati nel par. 1.5.2 , ma verrà utilizzato solamente il
modello binario, ritenuto comunque più efficace rispetto a quello ternario.
Infine, un’ultima considerazione va fatta in merito alla concretezza o astrattezza del concetto di
origo, dato che talvolta si è lanciata l’idea che in realtà potesse essere un concetto concreto. Tuttavia,
come sostenuto da Fricke
36
, l’origo rimane un concetto astratto, mentre ciò che lo ancora ad una
situazione può essere considerato come un elemento concreto.
1.4. Dimensione
E’ stato già affermato che vi sono diversi tipi di deissi, individuabili attraverso la loro dimensione.
Questo aspetto della deissi rientra nella componente nominale ed è indispensabile per designare e
connotare l’elemento deittico. Tre sono le dimensioni più importanti, da cui le altre sono poi
derivate: la personale, la locale e la temporale, delineate da Bühler
37
attraverso le
“Grundzeigwörter” ich, hier e jetzt
38
. Queste servono ad esplicitare rispettivamente i partecipanti, il
luogo ed il tempo di una conversazione, e pur non essendo delle caratteristiche dell’origo, si
riferiscono sempre a quest’ultimo, operando così una sorta di maggiore specificazione delle sue
coordinate. Come stabilisce anche Rauh
39
, ogni dimensione ha un suo punto di riferimento: per la
dimensione personale corrisponde al/i parlante/i (coincidendo così con l’origo), per quella locale
equivale al luogo di enunciazione, mentre per la temporale è il tempo della comunicazione. Pur
coincidendo la dimensione personale con l’origo, Diewald
40
sottolinea che è erroneo pensare che ad
esempio il pronome personale ich lo denoti: il pronome ich rappresenta solamente un deittico
personale, mentre l’origo rimane sottointeso, e mai esplicitato. L’origo e la dimensione si
configurano perciò come due concetti distinti, propri della deissi.
33
Fricke (2007: 233-244).
34
Rispettivamente: inclusi nell’origo e esclusi dall’origo [V.L.].
35
Per un approfondimento sul sistema ternario, cfr. Diewald (1991: 133-139).
36
Fricke (2007: 228-229).
37
Bühler (1982: 107).
38
“Parole gestuali primarie: io, qui e ora” [V.L.].
39
Rauh (1984: 27).
40
Diewald (1991: 31).