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Introduzione
Le comunità terapeutiche rappresentano una realtà centrale nella gestione della
tossicodipendenza, sia per il ruolo che hanno rivestito negli anni come luogo
privilegiato di riabilitazione del tossicodipendente, sia per il grande potenziale
terapeutico che detengono. A fronte delle trasformazioni che hanno interessato il
campo delle dipendenze sul versante personale e sociale, nasce la necessità di
adeguare anche le strutture comunitarie a questi cambiamenti, affinchè il
patrimonio di conoscenze ed esperienze da esse acquisito non venga perso e, al
contrario, possa continuare ad offrire un aiuto specifico a quanti lo richiedano.
Questo elaborato si propone di presentare una panoramica della tossicodipendenza
e, in particolare, di analizzare il tema relativo al trattamento di tipo residenziale.
Affinchè fosse possibile raggiungere questo obiettivo, è stato adottato come
orientamento di riferimento l’approccio bio-psico-sociale.
La trattazione parte dall’analisi del problema tossicodipendenza declinandolo nelle
sue dimensioni biologiche, psicologiche e sociali. La definizione del fenomeno e
di chi lo rappresenta, l’analisi dell’eziologia e delle principali conseguenze sulla
persona e sui sistemi con cui essa entra in contatto, prosegue nella descrizione
delle più diffuse metodologie di gestione della tossicodipendenza, dalla
prevenzione alla riduzione del danno, concentrandosi maggiormente sul ruolo
delle comunità terapeutiche, che rappresentano il tema nodale dell’elaborato.
Le strutture comunitarie sono descritte partendo dalle origine storiche, fino alle
proposte attuali: vengono analizzati gli obiettivi a breve e a lungo termine, le fasi
del percorso, le principali figure professionali al loro interno e le dinamiche
caratteristiche della vita comunitaria. La riabilitazione del tossicodipendente è
garantita dalla presenza di programmi residenziali, i quali vengono presentati nei
loro elementi basilari, per passare all’enunciazione dei più diffusi programmi di
recupero italiani.
La parte finale esplora l’aspetto valutativo, focalizzandosi sulla valutazione
dell’outcome all’interno delle comunità terapeutiche: vengono presentate le
caratteristiche generali e i principali contributi europei e italiani in questo campo.
Infine, l’ultimo paragrafo è dedicato all’applicazione dei sistemi valutativi e degli
5
strumenti che permettono di indagare, a livello quali- e quantitativo, i risultati
ottenuti all’interno delle strutture.
6
CAPITOLO I
La tossicodipendenza
1.1 Definire la tossicodipendenza
La tossicodipendenza è un problema di grande rilevanza individuale, sociale e
sanitaria: risulta perciò necessario considerarne ogni sfaccettatura. La
tossicodipendenza, infatti, nasce dalla convergenza nel singolo individuo: degli
effetti farmacologici delle sostanze d’abuso, della vulnerabilità psico-biologica
individuale e dell’influenza di molteplici fattori socio-ambientali (Manna &
Ruggiero, 2001). Tale complessità si riflette sulla difficoltà di definizione del
problema, il quale ha destato l’interesse di professionisti di discipline differenti
(medici, psicologici, sociologici, psichiatri, antropologi, giuristi) e richiede per
questo il ricorso ad un’ottica interdisciplinare. Carrieri e collaboratori (Carrieri,
Greco & Catanesi, 1989), a tale proposito, sostengono che ogni tentativo di
classificare le tossicodipendenze, non potendo essere onnicomprensivo, finisce per
trascurare alcuni aspetti, a vantaggio di altri; nonostante questo, la necessità di
trovare un linguaggio comune e il bisogno di fornire riferimenti utili, ha mosso gli
autori nella direzione di possibili classificazioni. In questo senso è possibile fare
riferimento alle definizioni proposte dai due principali sistemi classificatori
utilizzati in letteratura, l’ICD-10
1
(World Health Organization, 1994a) e il DSM-
IV TR
2
(American Psychiatric Association, 2002), i quali assolvono una duplice
funzione: da un lato permettono di far luce sul fenomeno, esponendone con
chiarezza i tratti caratteristici, dall’altro impediscono di cadere nella trappola
dell’eclettismo, inteso come pericolo costante quando si trattano problematiche
così complesse e polimorfe. Lo scopo di ogni sistema nosografico è l’offerta di
termini comuni e universalmente riconosciuti che permettano ad operatori
1
ICD-10: International Classification of Diseases, Tenth Revision.
2
DSM-IV TR: Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fourth Edition, Text
Revision.
7
provenienti da ambiti diversi di comunicare tra loro. Il rischio maggiore che si
corre affidandosi ai criteri diagnostici è quello di perdere il significato soggettivo e
profondo della sofferenza psichica in favore di elenchi di elementi oggettivamente
osservabili. L’uso delle classificazioni deve essere considerato alla stregua degli
strumenti di misura psicologici, ossia mezzi d’aiuto e supporto per lo psicologo,
piuttosto che linee guida inopinabili.
1.1.1 Le Classificazioni
La decima revisione della Classificazione Statistica Internazionale delle malattie e
dei problemi di salute correlati (ICD-10), proposta dalla World Health
Organization
3
(1994a), suddivide le malattie in ventidue capitoli, ognuno dei quali
si declina in sezioni identificate da un codice alfanumerico specifico
4
. La
tossicodipendenza rientra nella categoria dei “Disturbi mentali e del
comportamento dovuti all’uso di sostanze psicoattive” (capitolo V, sezione F10-
F19). Questo gruppo contiene una grande varietà di disturbi
5
differenziati per
gravità (da semplice intossicazione e uso dannoso, ad evidenti disturbi psicotici e
demenza), ma tutti attribuibili all’uso di una o più sostanze psicoattive.
La WHO (1994a, p. 5) definisce la sindrome da dipendenza come:
“un insieme di fenomeni fisiologici, comportamentali e cognitivi in cui l'uso di una
sostanza o una classe di sostanze assume una priorità molto più alta per un dato
individuo rispetto ad altri comportamenti che una volta avevano un valore maggiore. Una
3
World Health Organization (WHO): Organizzazione Mondiale della Sanità; è l’autorità delle
Nazioni Unite che coordina e dirige i programmi di ricerca sulla salute globale, definendo norme e
standard, fornisce supporto tecnico ai Paesi e monitora e valuta le tendenze nel campo della salute
(WHO, 2007).
4
Per ogni disturbo sono fornite una descrizione clinica, le linee guida diagnostiche e i criteri
diagnostici per la ricerca. La prima evidenzia i principali segni e sintomi del disturbo, insieme ad
altre caratteristiche importanti, ma meno specifiche; i criteri diagnostici per la ricerca, invece, sono
utilizzati da coloro che si occupano di ricerca sui specifici disturbi, allo scopo di massimizzare
l’omogeneità dei gruppi di studio, ad esempio stabilendo parametri che permettano una chiara
selezione di individui con sintomi simili.
5
Disturbi sezione F10-F19: intossicazione acuta, uso dannoso, sindrome da dipendenza, stato
di astinenza, stato di astinenza con delirium, disturbi psicotici, sindrome amnesica, disturbi
psicotici residuali e ad esordio tardivo, altri disturbi mentali e comportamentali, disturbi mentali e
comportamentali non specificati.
Il codice identificativo è formato: dalle prime due cifre dopo la F, che fanno riferimento alla
sostanza in questione, mentre le ultime due cifre si riferiscono alla condizione clinica (ad es.
F10.0= intossicazione acuta da alcol).
8
caratteristica descrittiva centrale della sindrome da dipendenza è il desiderio (spesso
forte, a volte prepotente) di assumere droghe psicoattive (che sono o non sono state
prescritte dal medico), alcol o tabacco. Ci può essere la prova che il ritorno all'uso di
sostanze dopo un periodo di astinenza porti ad un ritorno più rapido di altre
caratteristiche della sindrome rispetto a quanto si verifica con gli individui non
dipendenti.”
Nel 1964 una commissione di esperti della WHO ha introdotto la voce
“dipendenza” in sostituzione di “assuefazione”; l’assuefazione, infatti, fa
riferimento principalmente all’aspetto biologico e farmacologico, ossia alla
tolleranza
6
che deriva dall’uso della sostanza; al contrario il concetto di
dipendenza indica in generale il disturbo, coinvolgendo sia la dimensione fisica
che quella psicologica. Il termine può essere utilizzato in genere con riferimento a
tutta la gamma di psicofarmaci (tossicodipendenza, dipendenza chimica,
dipendenza da uso di sostanze), o con specifico riferimento ad un particolare
farmaco o classe di farmaci (ad esempio alcol dipendenza, dipendenza da
oppiacei). L’ICD-10, oltre a descrivere la dipendenza in termini applicabili a tutte
le classi di farmaci, evidenzia differenze nei sintomi caratteristici della dipendenza
per differenti droghe. Quando il termine “dipendenza” non è qualificato, esso si
riferisce ad elementi sia fisici che psicologici. La dipendenza psicologica o
psichica si riferisce all'esperienza di un controllo compromesso sull’assunzione
della sostanza, mentre la dipendenza fisiologica o fisica è caratterizzata da sintomi
di tolleranza e astinenza (WHO, 1994b). Sulla base delle linee guida, la diagnosi
definitiva di dipendenza può essere avanzata solo se sussistono tre o più dei
seguenti elementi, i quali devono apparire insieme per almeno un mese o, se
persistono per periodi inferiore al mese, dovrebbero essersi verificati ripetutamente
nell’anno precedente:
a) Un forte desiderio o senso di costrizione ad assumere la sostanza;
b) Difficoltà nel controllare il comportamento di consumo in termini di inizio,
cessazione e livelli di uso;
6
Tolleranza (o assuefazione): necessità di aumentare progressivamente le dosi della sostanza
per ottenere lo stesso effetto.
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c) Stato fisiologico di astinenza quando l’uso è cessato o ridotto, come dimostrato
dalla sindrome da astinenza caratteristica per la sostanza specifica; inoltre, la
sostanza può essere usata per alleviare o evitare i sintomi dell’astinenza stessa;
d) Segni di tolleranza: l’aumento della dose della sostanza psicoattiva è
necessario per ottenere gli effetti che venivano originariamente prodotti da dosi
più basse (evidenza di neuroadattamento);
e) Abbandono progressivo di piaceri alternativi o interessi a causa del consumo di
sostanze psicoattive; maggiore quantità di tempo spesa per cercare la sostanza,
assumerla e riprendersi dai suoi effetti;
f) Persistenza con l’uso di sostanze, nonostante una chiara evidenza di
conseguenze dannose (es. danni al fegato dovuti a bevute eccessive; stati
d’animo depressivi conseguenti a periodi di uso di sostanze pesanti;
compromissione del funzionamento cognitivo).
La caratteristica peculiare della sindrome è rappresentata dal desiderio di assumere
la sostanza, una compulsione consapevole che aumenta durante i tentativi di
controllare o fermare l’uso della stessa. Tale criterio permette di escludere quei
casi in cui la sostanza è stata somministrata da professionisti (es. medici) allo
scopo di sedare il dolore nel paziente: quest’ultimo potrà mostrare sintomi di
astinenza, allorquando il farmaco verrà tolto, ma non sarà presente il desiderio di
continuare ad assumerlo. La sindrome può inoltre essere presente per una sostanza
specifica (es. eroina), per una classe di sostanze (oppiacei) o per una gamma più
ampia di diverse sostanze.
Il DSM-IV-TR (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) curato
dall’American Psychiatric Association
7
(2000), prevede in Asse I la categoria dei
“Disturbi correlati a sostanze”, i quali comprendono due gruppi:
1) Disturbi da uso di sostanze: Dipendenza da sostanze e Abuso di sostanze;
7
American Psychiatric Association (APA): è un’organizzazione di psichiatri che lavorano
insieme per garantire la cura umana e un trattamento efficace dei disturbi mentali, tra cui disturbi
dello sviluppo intellettivo e disturbi da uso di sostanze; garantisce cure di alta qualità, promuove
l’educazione e la ricerca psichiatriche, rappresenta e permette l’evoluzione della psichiatria; è al
servizio dei bisogni professionali dei suoi membri (APA, 2011).
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2) Disturbi indotti da sostanze: Intossicazione da Sostanze; Astinenza da Sostanze;
Delirium indotto da Sostanze; Demenza Persistente Indotta da Sostanze; Disturbo
Amnestico Persistente indotto da Sostanze; Disturbo psicotico; Disturbo
dell'Umore; Disturbo d'Ansia; Disfunzione Sessuale; Disturbo del Sonno (APA,
2000, pp. 191-192).
Ad una prima lettura dei criteri diagnostici, la distinzione tra Dipendenza e Abuso
può apparire come un artefatto teorico teso alla semplificazione della descrizione
di un disturbo più ampio che ingloba entrambe le categorie; in realtà la possibilità
di scindere queste condizioni cliniche è un elemento di grande importanza, in
quanto permette di identificare con precisione il caso specifico. Talvolta infatti,
come sottolineato nello stesso DSM-IV, i soggetti possono soddisfare una diagnosi
di Abuso da sostanze, senza tuttavia sviluppare prove evidenti di una Dipendenza.
Queste affermazioni vengono avvalorate da una ricerca epidemiologica americana
(Hasin, Hatzenbueler, Smith & Grant, 2005) attraverso cui è stata studiata la co-
occorrenza della dipendenza da sostanze con e senza abuso, evidenziando le
differenze per le variabili sesso, età ed etnia. I risultati della ricerca sono coerenti
con la concettualizzazione biassiale dei disturbi correlati a sostanze del DSM-IV:
essi mostrano, infatti, come una parte considerevole di individui tossicodipendenti
non manifesti anche sintomi di abuso. A livello di etnia i risultati sono simili,
mentre sono state riscontrare alcune differenze per le variabili genere ed età, in
particolare donne anziane. In quest’ultima categoria la diagnosi attribuita nel corso
della vita (lifetime) evidenzia una prevalenza di diagnosi di dipendenza senza
abuso nelle donne rispetto ai maschi; inoltre, la proporzione di casi di abuso senza
dipendenza è maggiore nella diagnosi al momento dello studio (current), piuttosto
che quella lifetime.
Alla luce di queste osservazioni, è possibile definire con maggiore chiarezza le due
categorie (dipendenza e abuso).
La dipendenza viene definita come:
“un gruppo di sintomi cognitivi, comportamentali e fisici indicativi del fatto che il
soggetto continua a far uso della sostanza nonostante la presenza di problemi significativi
correlati alla sostanza” (APA, 2000, p. 197)
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La diagnosi di dipendenza può essere applicata ad ogni classe di sostanze (eccetto
la caffeina) e prevede la presenza ripetuta di almeno tre o più sintomi tra i
seguenti, per almeno dodici mesi:
- Tolleranza (Criterio 1): corrisponde al bisogno di quantità notevolmente più
elevate della sostanza per raggiungere l’intossicazione o l’effetto desiderato
(Criterio 1a), e ad un effetto notevolmente diminuito in caso di uso
continuativo della stessa quantità della sostanza (Criterio 1b). La sensibilità
allo sviluppo della tolleranza varia in base alle sostanze assunte e alle
caratteristiche individuali;
- Astinenza (Criterio 2a): modificazione patologica del comportamento,
caratterizzata da eventi fisiologici e cognitivi, che si verifica a seguito
dell’abbassamento delle concentrazioni di una sostanza nel sangue e nei tessuti
di un soggetto che ha fatto uso prolungato della stessa. In risposta a tali
sintomi, la persona tende ad assumere la sostanza per attenuarli o evitarli,
soddisfacendo in questo modo il Criterio 2b, vale a dire l’uso per alleviare i
sintomi;
- La sostanza è assunta in quantità maggiori o per periodi più prolungati rispetto
a quanto previsto dal soggetto;
- Desiderio persistente o tentativi infruttuosi di ridurre o controllare l’uso della
sostanza;
- Grande quantità di tempo spesa in attività necessarie a procurarsi la sostanza,
ad assumerla o a riprendersi dai suoi effetti;
- Interruzione o riduzione di attività sociali, lavorative, ricreative;
- Uso continuativo della sostanza nonostante la consapevolezza di avere un
problema persistente e ricorrente di natura fisica o psicologica, probabilmente
causato o incrementato dalla sostanza.
Il DSM-IV-TR sottolinea, inoltre, come i criteri 1 e 2 non siano elementi necessari
né sufficienti per la diagnosi di dipendenza: infatti alcuni soggetti, come coloro
che mostrano una dipendenza da Cannabis, manifestano uno stile compulsivo
senza che vi siano tolleranza o astinenza, o ancora pazienti sottoposti a cure
12
farmacologiche a base di oppiacei possono mostrare segni di astinenza e
tolleranza, senza alcuna dipendenza da oppiacei (APA, 2000).
I criteri per la dipendenza evidenziati dal DSM-IV e dall’ICD-10 sono molto simili
tra loro, ma l’ICD-10 pone maggiore enfasi sul desiderio compulsivo di assumere
la sostanza (eletto a sintomo principale), mentre il sistema dell’APA descrive come
criteri primari la tolleranza e l’astinenza.
Nonostante l’accento sia posto su parametri differenti, entrambe le classificazioni
si riferiscono ai concetti di “addiction” e “craving”
8
senza nominarli
esplicitamente. A tal proposito, Canali (2003a) afferma come questa apparente
incongruenza tra i sistemi diagnostici sia una chiara testimonianza dello scarso
consenso esistente su ciò che significhi realmente il termine addiction.
Quest’ultimo viene impropriamente usato in modo interscambiabile con quello di
dipendenza, alimentando la confusione, prima a livello teorico e, successivamente,
a livello pratico. La dipendenza, infatti, fa riferimento allo stato fisiologico di
neuroadattamento prodotto dalla ripetuta somministrazione della sostanza, a cui
segue la reiterazione dell’assunzione per prevenire e/o sedare una crisi d’astinenza;
l’addiction, invece, è un’entità qualificabile a livello soggettivo e
comportamentale, in quanto indica uno stato comportamentale di abuso di sostanze
caratterizzato da: coinvolgimento assoluto nell’uso di una sostanza, perdita di
controllo e gravi conseguenze sulla vita sociale dell’individuo (Serpelloni et al.,
2002). L’uso inflazionato del termine ha finito con inglobare sotto la stessa
“etichetta” diagnostica il concetto di dipendenza e quello di addiction, con la
conseguenza che la nozione di “addiction” è stata associata ad ambiti molteplici e
declassata a semplice sostantivo (es. “drogati” del sesso, del gioco d’azzardo, degli
acquisti, del lavoro, di internet, della televisione, della forma fisica ecc.), portando
ad un incremento della confusione lessicale e semantica nella spiegazione della
tossicodipendenza. La stessa osservazione viene effettuata dalla World Health
Organization (1994b) che, per evitare l’ambiguità associata a tale concetto, non lo
contempla ed evidenzia come molti professionisti ne facciano un uso
indiscriminato, rischiando di confondere il linguaggio specialistico con quello
comune.
8
Craving: letteralmente può essere tardotto con “brama, voglia, smania”; indica il forte
desiderio della sostanza.
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La seconda categoria del DSM-IV che completa i Disturbi da uso di sostanze è
rappresentata dall’abuso di sostanze descritto come:
“modalità patologica d’uso di una sostanza, dimostrata da ricorrenti e significative
conseguenze avverse correlate all’uso ripetuto della stessa” (APA, 2000, p. 199)
Per effettuare una diagnosi di abuso devono essere presenti, per almeno dodici
mesi, o in modo persistente, una o più delle seguenti condizioni:
- Uso ricorrente della sostanza, che comporta un’incapacità di adempiere ai
principali compiti connessi a lavoro, scuola, casa (ad es. assenteismo, scarse
prestazioni lavorative; assenze ingiustificate, sospensioni scolastiche;
trascuratezza nella cura dei figli o della casa) (Criterio A1);
- Uso ripetuto in situazioni rischiose: durante la guida d’auto, uso di macchinari,
attività ricreative a rischio, come per esempio scalare una montagna (Criterio
A2);
- Frequenti problemi legali correlati all’uso di sostanze: arresti per condotta
molesta, minacce, guida sotto effetto della sostanza (Criterio A3);
- Uso continuativo della sostanza nonostante le conseguenze indesiderabili sul
piano sociale e interpersonale: discussioni, liti, scontri fisici, divorzio (Criterio
A4);
- I sintomi non hanno mai soddisfatto i criteri per la Dipendenza da Sostanze di
questa classe di sostanze (Criterio B).
Così come per la diagnosi di dipendenza, anche in questo caso non è prevista
l’applicazione della categoria di abuso per l’uso di caffeina, alla quale si aggiunge
la nicotina; inoltre, a differenza della Dipendenza da sostanze, i criteri non
includono tolleranza, astinenza o craving, ma fanno riferimento principalmente
alle conseguenze nocive dell’uso reiterato. Il DSM-IV sottolinea la necessità di non
confondere il termine “abuso” con “uso pericoloso”, “uso” o “cattivo uso” (APA,
2000, p. 198); a tale proposito, anche la WHO evita di usare il concetto di abuso
per non incorrere in questa ambiguità, preferendo le nozioni di “uso dannoso” e
“uso pericoloso”, sebbene queste si riferiscano solo agli effetti sulla salute e non
alle conseguenze sociali (WHO, 1994b).