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Emergono modalità di lavoro che portano non solo cambiamenti al mondo della
scuola, ma anche dell’extrascuola, della vita quotidiana, del sistema formativo in
genere e della formazione professionale dell’università, investendo con varie
riforme vari settori del mondo educativo.
Tutte queste trasformazioni raggiungono anche la professione dell’ educatore. Con
uno scenario riformista, la figura dell’educatore trova maggiore spazio nei servizi
sociali ma chiede alla cultura professionale una notevole capacità di rinnovamento,
poiché un giovane che si avvia a lavorare nel sociale ha di fronte a sé un quadro
eterogeneo, dal momento che non gli è facile orientarsi nella varietà dei servizi e
quali competenze dovrà acquisire per affrontare il futuro.
In questo quadro, si inseriscono esigenze di riflessione e rilettura della
professionalità educativa per consolidare i punti fermi di questa professione e per
promuoverne crescita e sviluppo.
Oggi sempre più si sente forte l’esigenza di promozione del dibattito attorno a una
figura professionale che è maturata nel tempo, che ha diversificato le sue
competenze,la sua formazione, i suoi incarichi , gli ambiti di intervento , l’utenza
e i luoghi dove opera e interviene.
La presente tesi quindi, nasce dalla volontà di inserirsi in un quadro di riflessione ,
mossa dall’esigenza di comprendere come è cambiata la professione dell’educatore
e verso quali possibili orizzonti giungerà in futuro. L’ interesse che mi ha guidato
verso questo tema è stato duplice: leggere le evoluzioni che sono avvenute per
questa figura professionale e quali potenzialità e competenze dovrà ancora
assimilare.
Mi piace pensare l’educatore come un “viaggiatore”che dal lontano passato è
arrivato fino al presente, ha percorso un viaggio attraverso la storia, le
contraddizioni, le potenzialità , le percezioni, i vissuti. E’ un cammino che
condurrà sicuramente ancora verso nuovi mondi, nuove mete, e dentro il suo
bagaglio ci sarà sempre la capacità di essere agente di promozione umana,
individuale e collettiva , nonché la «la ricchezza di questo mestiere, lo
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straordinario potenziale di innovazione e di progresso» costituito dalla sua
esperienza di vita
A questa esigenza di comprensione e indagine sulla figura dell’educatore, si
collega e intreccia la mia seconda parte della tesi, che ha trattato ed esaminato il
tirocinio, nella formazione universitaria dell’educatore e la sua importanza dal
punto di vista didattico- formativo.
Mi è sembrato opportuno analizzare su vari fronti “che cosa è”e in “cosa consiste
l’esperienza di tirocinio”, dato che si qualifica come momento importante di
verifica delle informazioni e delle conoscenze , nonché di acquisizioni di
specifiche competenze viste di fronte alla complessità di situazioni e di contesti
formativi. E’ emerso che il tirocinio si caratterizza come momento formativo
centrato su una conoscenza e una esperienza”diretta” , che consente allo studente
di andare “oltre l’informazione data in aula”e di porsi di fronte a un nuovo tipo di
realtà.
Inoltre notevole importanza, nella esperienza di tirocinio, è la figura dello studente
che assistito dal Tutor , in rapporto diretto con lui, osserva, sperimenta, in prima
persona la complessità dell’azione formativa e si confronta con altri educatori , che
come lui, vivono una condizione di crescita culturale e di maturazione personale.
Ho analizzato anche i molteplici aspetti che l’esperienza di tirocinio offre, i suoi
modelli, i suoi saperi, la possibilità di fornire un significativo rapporto tra
l’Università e il territorio, la necessità di progettare questa esperienza e trarre da
essa nuove conoscenze, , nuovi metodi e nuove qualità formative.
Pertanto, il riflettere sulle pratiche educative,ha portato la mia tesi a un continuo
confronto tra teoria e prassi, constatando che non viene collocata la teoria in un
luogo e la prassi in un altro, ma nell’esperienza di tirocinio non si può disgiungere
e dividere queste due cose, ma bisogna fare in modo di coniugarle e tenerle
insieme, perché solo così si potrà avere una conoscenza appropriata , cioè capace
di affrontare il complesso “mondo educativo”.
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Per concludere, questa analisi, mi ha portato a capire e chiedermi se per
l’educatore professionale”di domani” basterà ancora l’esperienza del tirocinio, se
sarà sufficiente ad arricchire il suo bagaglio culturale, ma soprattutto se il percorso
del tirocinio porti a costruire una personalità “forte”, che lo renda capace di
inserirsi a pieno titolo nelle logiche di un sistema formativo che oggi più che mai
richiede forme raffinate di integrazione tra scuola ed extrascuola, tra
apprendimento e socializzazione , tra diritto di uguaglianza e diritto alla diversità,
ma soprattutto che la figura dell’educatore acquisisca e ottenga sempre più pari
dignità rispetto ad altre figure professionali già esistenti, costruendo la propria
professionalità attraverso nuove competenze teoriche e pratiche che gli consentano
di rinnovarsi, di specializzarsi e di conquistare il suo “ruolo” di fronte alla continua
richiesta socioeducativa.
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PARTE PRIMA
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1. 1. EVOLUZIONE DELLA FIGURA
DELL’EDUCATORE
Per quanto riguarda la figura dell’insegnante, nell’ambito pedagogico,
esistono ampie risorse, mentre è difficile individuare e descrivere le
identità, le funzioni e il ruolo sociale, l’azione e le caratteristiche che
dovrebbero connotare la figura di un “buon educatore”. Nonostante ciò, è
stato possibile delineare alcuni profili che nell’immaginario collettivo, e
individuale, la figura dell’educatore ha seguito un certo percorso.
Tornando indietro nel tempo, alla società ellenistica, il compito dello
schiavo (pedagogo) consisteva nell’accompagnare il ragazzo nel tragitto da
casa a scuola e anche in altri luoghi. Lo aiutava ad assolvere gli obblighi
scolastici, gli ripeteva la lezione; inoltre era incaricato Dell’educazione del
fanciullo standogli vicino per tutta la giornata, impartendogli buone
maniere e altre virtù, gli insegnava a comportarsi nel mondo e nella vita e
vigilava sui suoi costumi. A lui era affidata tutta “l’educazione morale”.
La tutela del pedagogo durava dai sette anni circa, quando il fanciullo
entrava in età scolare, sottraendosi alle cure della madre e della nutrice,
fino all’adolescenza. Pertanto lo schiavo era ben più importante del maestro
di scuola, il cui ruolo era quello di insegnare a leggere e a scrivere.
Dagli anni settanta a oggi, la figura dell’educatore finisce per corrispondere
a chi si occupa di emarginazione, handicap, devianza, recupero di soggetti
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in situazioni difficili. Nell’attuale società complessa la figura
dell’educatore è andata differenziandosi e specializzandosi.
L’istituzione del corso di laurea in Scienze dell’educazione per educatori
extrascolastici e professionali, ha avviato in Italia un cammino verso la
definizione dell’identità professionale e una rivalutazione di questa figura.
D’altro canto, in corrispondenza ai problemi sociali emergenti, si assiste a
un processo, non privo di ambiguità, di banalizzazione del ruolo poiché:
ξ l’educatore diviene necessario a causa della sempre più diffusa
delega e debolezza della famiglia di fronte alle sfide educative;
ξ la scuola tende a scindere la sfera dell’istruzione da quella educativa,
respingendola all’esterno;
ξ in riferimento alla crescita dei bisogni educativi aumenta la presenza
degli educatori in luoghi esterni, pubblici, nelle pieghe del sociale,
soprattutto sulla “soglia” del dentro e fuori, tra integrazione e
marginalità, anche nel sevizio pubblico la figura dell’educatore sta
acquistando un proprio spazio.
Pertanto è necessario delineare un profilo professionale distinto e originale,
respingendo connotazioni tecnicistiche, non rinunciando alla competenza,
sottolineando esso come agente di promozione umana, individuale e
collettiva, nonché la “ricchezza” di questo mestiere, lo straordinario
potenziale di innovazione e progresso costituito dalla sua esperienza di vita.
Le diversità delle situazioni che egli sperimenta, la varietà dei compiti che
ha, che affronta, gli consente di saper utilizzare i contenuti e i metodi non
del tutto definibili a priori e di saper interpretare e comprendere i diversi
contesti della realtà con capacità critica.
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L’efficacia della sua azione educativa risiede nelle capacità interpretative e
relazionali del contesto in cui opera, unendo osservazione critica,
elaborazione approfondita degli elementi in gioco, progettualità.
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1.2 L’EDUCATORE TRA LE NUOVE
PROFESSIONALITÀ
La scuola sia pubblica che privata ha momentaneamente perso la sua
posizione prioritaria nei confronti dell’educazione, ma anche
dell’insegnamento, non tanto perché non sia in grado di dare delle risposte,
ma perché non opera degli interventi con quelle occasioni che si
prospettano e si propongono in un tipo di società che è sempre più
dominata da un sistema informatico, telematico e multimediale con vari
mezzi di informazione. Pertanto bisogna cercare di capire come si possono
salvare l’integrazione tra apprendimento e crescita sana ed equilibrata della
persona. Sicuramente in questo contesto si qualificano le figure nuove, tra
cui anche quella dell’educatore, del formatore. Questi ultimi sono
importanti perché offrono vari stimoli, in quanto si fanno portatori della
loro disponibilità per interagire con il mondo che li circonda, diventano
capaci di operare anche delle scelte di comportamento. Una risposta del
cambiamento sociale è rappresentata sì dall’educatore, in particolar modo
da quello extrascolastico, poiché egli riesce a interagire con il mondo che lo
circonda, ma anche a reagire grazie alla dotazione di proprie risorse
personali. La conquista di comportamenti idonei a mantenere gli equilibri
tra gli stimoli di un universo simbolico sempre più estraneo alla cultura
umana e sempre più vicino alla mancanza di identità del mezzo
informatico, ma anche alla circolazione delle relazioni, dei mercati,
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dell’economia dei flussi migratori delle persone e delle idee, impone una
serie di adattamenti che devono per forza trovare una risposta e un modello
di convivenza tra le persone, ma anche della persona nei confronti dei
mercati delle relazioni, che solo una figura impegnata nell’agire, è in grado
di proporre. Ecco perché nel contesto delle nuove professioni si colloca la
sfera delle competenze che sono dette del “sapere, saper fare, saper essere”.
In questi tre concetti sta e si riconosce la validità di una persona, ciò che
può essere investito nell’atto operativo, ma anche dei saperi. Il mondo
dell’extrascuola, a differenza della scuola, demanda all’educatore
extrascolastico le competenze e le caratteristiche professionali atte a
rispondere a quello che è il proprio ruolo. Però non è stato sempre così
facile tutto ciò, perché spesso il ruolo dell’educatore extrascolastico è stato
quello di essere accomunato al ruolo di operatore sociale. Di fatto non è
cosi, perciò sono state chiamate in causa quelle che sono le competenze dal
sapere al saper essere al saper fare, per cui il sistema formativo–educativo
si deve concretizzare nell’azione pratica e teorica per raggiungere
l’obiettivo di reciprocità degli interventi, ma anche di rispetto di iter
formativo. Quando si parla dell’operatore è giusto pensare che esso sia
chiamato a rispondere a bisogni che si riferiscono in particolare alla sfera
del “fare”, o meglio del “saper fare”. Invece quando si parla di educatore ci
si dovrebbe riferire alla sfera del “fare, saper fare, saper essere”; tutto ciò
per spiegare che sono le competenze che li differenziano nel ruolo,
responsabilità diverse anche se indispensabili per entrambi. Pertanto c’è
una sorta di disadattamento epistemologico sia sul nome che sulle funzioni
da attribuire a entrambi, soprattutto per quel che riguarda l’ambito
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dell’extrascuola e di figure per il sociale. Invece per quanto riguarda il
caratterizzare la professionalità dell’esperto per i processi formativi,
bisogna interpretare le strategie di scoperta e di metodo, per lo sviluppo e la
corretta fruizione delle risorse umane.. Il dibattito pedagogico si interroga
su nuovi significati affidati al concetto di formazione rispetto al concetto di
educazione, di processo formativo, rispetto all’idea di processo educativo.
«La formazione in definitiva riscopre per l’individuo adulto l’antico
significato di acquisizione processuale di forma, come costruzione del sé
attraverso il medium della cultura e della società…»
1
. Pertanto si tratta di
riflettere sull’esigenza di valorizzazione del patrimonio di conoscenze
posseduto dall’uomo come risorsa di base della capacità competitiva del
sistema.
Il valore innovativo della formazione sta tutto nel concetto di persona come
espressione consapevole e dinamica del patrimonio dei saperi, che devono
essere custoditi e trasmessi nella continuità dei modelli comportamentali e
organizzativi, rispetto al valore non solo riferito al saper fare, ma intrinseco
al concetto di interattività complessa, indissolubilmente legato al bisogno
formativo di sapere, conoscere e apprendere per tutta la vita. Il pensare,
ancora oggi, secondo alcuni modelli che tendono ad accreditare un’idea in
un senso molto restrittivo, vorrebbe che essa consistesse nel trasmettere
regole comportamentali di sicuro effetto; attuare interventi operativi di
settore; addestrare e compiere precise gestualità per una comunicazione
persuasiva e confidenziale, infine mettere una persona in condizione di
rispondere adeguatamente. Per quanto riguarda il caso dell’esperto in
1
M. Santerini, C. Mazzanica, R. Sidoli, G. Vico, Formazione e progettualità nei servizi educativi,
Franco Angeli Editore, Milano 2003
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processi formativi, si tratta di avere figure professionali un po’ inedite e
all’avanguardia nella professione, perché il loro sapere e il loro intervento è
finalizzato non tanto all’atto del formare, quanto piuttosto alla qualità
intenzionale del farsi, dentro la sua crescita e la sua tensione a educarsi.
Colui che diventa un formatore, laureato in scienze dell’educazione,
diventa una figura professionale che si concentra sul rapporto tra
cognizione e sviluppo del processo formativo, che comprende vari aspetti,
come la socializzazione, l’esperienza lavorativa e professionale, l’ambiente
familiare, il tempo libero nel rispetto dei modi e dei tempi di crescita e
potenzialità soggettive. Tutto ciò ci porta a credere di avere delle figure
professionali che spesso vengono a interpretare altre figure, che solo le
competenze ci fanno notare le diversità, ma soprattutto anche gli scopi, gli
obiettivi differenti tra loro. Il pedagogista tradizionale, per esempio, è stato
una figura che ha da sempre interpretato il ruolo dell’educatore e del
formatore insieme, tanto da parlare di pedagogista-maestro, nel momento in
cui interpreta il contatto con l’altro. Se ci domandiamo chi è l’educatore,
possiamo dire che è un professionista, che elimina gli ostacoli, si muove
con competenza organizzativa, ha la cognizione del traguardo che vuole
raggiungere.