4
Il titolo della tesi prende spunto dal saggio di Dick How To Build a Universe
That Doesn’t Fall Apart Two Days Later
3
, nel quale l’autore, tra vari elementi
autobiografici, pone il suo eterno interrogativo: cosa è reale e cosa non lo è? Per
traslato, la stessa domanda può essere così riformulata: cosa appare vero e certo di ciò
che leggiamo in Do Androids Dream of Electric Sheep? e vediamo in Blade Runner?
Questi due universi narrativi sembrano sempre sul punto di collassare ogni volta
che l’apparenza di reale viene negata. Il saggio dell’autore californiano è già stato fonte
di ispirazione per un’altra tesi, poi pubblicata come libro da Bruno Mondadori
4
(e
peraltro indicato nella bibliografia); nel caso del presente lavoro si è tentato di
impostare il ragionamento sul testo originale, libro o film che fosse, piuttosto che sulle
critiche: in questo modo è stato possibile trovare molteplici “percorsi di lettura” paralleli
alla vicenda narrata, che sono stati in parte supportati dalla letteratura critica in
bibliografia, in particolare P. K. Dick: Il Sogno dei Simulacri di Viviani e Pagetti
5
, The
Shifting Realities of Philip K. Dick di Sutin
6
per il libro e Ridley Scott - Blade Runner di
Menarini
7
, The Cinematic City a cura di Clarke
8
per il film.
Con il procedere del lavoro, diventava evidente che l’analisi del testo letterario e
di quello filmico poteva essere integrata in una visione più ampia del “fenomeno Blade
Runner”, ovvero andare a ricercare in alcune pellicole, non solo di fantascienza, quali
aspetti siano stato influenzati dal film di Ridley Scott: i risultati di questo confronto (che
sembra essere senza fine, dato il numero sempre crescente di pellicole che sembrano
avere una pur minima affinità con Blade Runner) sono riassunti nelle Schede Film che
occupano una parte dell’appendice.
3
P. K. DICK, “How to Build a Universe That Doesn’t Fall Apart Two Days Later”, in L. SUTIN, The
Shifting Realities of Philip K. Dick, Vintage Books, New York 1995, p. 259-280
4
F. RISPOLI, Universi che cadono a pezzi: la fantascienza di Philip K. Dick, Bruno Mondadori, Milano
2001
5
G. VIVIANI e C. PAGETTI (a cura di), op. cit.
6
L. SUTIN, op. cit.
7
R. MENARINI, Ridley Scott - Blade Runner, Lindau, Torino 2000
8
D. B. CLARKE (ed.), The Cinematic City, Routledge, New York 1997
5
Nel tentativo di dare una visione più ampia e “contemporanea” delle opere di
Dick e Scott, è stato deciso di dedicare uno spazio considerevole al videogioco ispirato
alla versione filmica in esame, corredato da un breve cenno sulla storia dei videogiochi
e sulla loro crescente importanza anche sociale e culturale; allo scopo di rendere più
unitario e significativo il lavoro svolto, è stato deciso di utilizzare come testo da tradurre
dall’inglese all’italiano una recensione del videogioco apparsa su Internet, di tono molto
simile a quelle che si trovano sulle riviste specializzate del settore. Proprio l’analisi di
questa versione ludica mette in risalto come la fantascienza di Dick sia penetrata nei più
diversi settori della cultura popolare; lo sforzo profuso non si è limitato alla creazione di
un semplice adattamento di un film per il mercato dell’intrattenimento elettronico:
l’impressione che si prova giocando a Blade Runner è quella di una fedeltà ai canoni
visivi proposti dalla versione cinematografica, supportata da una complessità narrativa
che sarebbe piaciuta a Dick stesso, dati i numerosi punti della vicenda in cui le
apparenze vengono negate e l’universo narrativo crolla, per poi assestarsi in una nuova e
inaspettata direzione.
Il risultato di questi sforzi è una tesi non propriamente “classica”, ma che vuole
dare un’immagine nuova e più estesa del romanzo di Philip K. Dick e delle opere da
esso derivate; l’analisi minuziosa del testo per il libro e dello script per il film vogliono
sottolineare come gran parte delle loro fondamenta sia costruito sulla parola, e di come
spesso basti un “mattone difettoso”, come ad esempio un pronome neutro, per far
inceppare un meccanismo letterario in apparenza perfetto. L’aggiunta delle immagini
del film, o delle sequenze in Computer Graphics del videogioco, non fanno altro che
ampliare questa latente instabilità dei testi di partenza.
6
CAPITOLO I
7
1. Il protagonista: diritti, doveri e responsabilità di chi “fa la storia”
Nella maggioranza delle narrazioni, esiste la figura del protagonista: un personaggio
a cui accade un avvenimento e che è soggetto alle conseguenze di ciò che accade.
Questo è particolarmente evidente in un testo scritto in prima persona ma in alcuni casi,
come ad esempio “Do Androids Dream of Electric Sheep?” di Philip K. Dick, la
narrazione in terza persona è filtrata attraverso le opinioni, i pensieri e le sensazioni di
Rick Deckard. In maniera analoga, in un film come l’edizione originale di “Blade
Runner”, lo svolgersi delle scene è commentato dalla voce fuori campo del personaggio
principale: questo dona un tocco più personale, privato e quasi intimo ai fatti raccontati.
Nel Director’s Cut, che elimina il voice over, gli eventi che ci vengono presentati sullo
schermo hanno un’impronta meno personale: per riprendere il paragone con il testo
scritto, è come se ci trovassimo a leggere un romanzo in terza persona; in questo caso è
l’autore del testo che si prende l’onere di esporre la narrazione, in certi casi con una
visione oggettiva ed imparziale, in altri con una presa di posizione più o meno velata
che suggerisce al fruitore dell’opera una serie di opinioni su alcuni aspetti della trama o
su certi personaggi
1
.
Gli autori di narrazioni di ogni epoca e di ogni mezzo comunicativo atto a
raccontare storie (letteratura, cinema, televisione, fumetto, videogioco per citare i
principali) possono scegliere tra diverse modalità di protagonista: la più semplice di
queste è quella che lo presenta immediatamente come il fulcro della vicenda, tutta la
narrazione ruota intorno a lui e non abbiamo motivo di dubitare di ciò che ci viene
raccontato.
Questa impostazione, che possiamo ricondurre ad esempio alla favola per bambini, è
la stessa che probabilmente si può collegare con l’infanzia dell’umanità: le prime
1
Cfr. W. BOOTH, The Rhetoric of Fiction, University of Chicago Press, Chicago 1961, cap. 5
8
comunità di esseri umani che siano riusciti ad utilizzare la parola, dopo aver imparato a
comunicare i propri bisogni personali, avranno iniziato a raccontare avvenimenti che
riguardassero qualche compagno di caccia o di battaglia
2
. Con l’affinarsi della
padronanza del linguaggio e con lo studio della dialettica, l’uomo ha imparato a
costruire narrazioni sempre più complesse, in cui i protagonisti erano più di uno, nelle
quali l’esposizione dei fatti era volutamente ambigua, dove alla fine del racconto i
rapporti tra i personaggi erano totalmente cambiati rispetto all’inizio della vicenda
3
.
Questa capacità di inventare storie da raccontare si è arricchita con la possibilità di
attingere da molteplici aspetti della vita quotidiana, che possono essere combinati per
ottenere ibridazioni di genere: oggi è normale leggere un romanzo storico - politico con
risvolti rosa, assistere alla proiezione di un film giallo di fantascienza con viaggi nel
tempo, giocare ad un videogioco tratto da un film o da un libro, leggere un fumetto
ambientato nel medioevo con risvolti magico - mistici, guardare un telefilm ambientato
in un pronto soccorso o che parla di medicina legale e polizia scientifica, vedere uno
spot pubblicitario o un video musicale che riprendono scene da film famosi
4
. Con
l’avanzamento tecnologico dei mezzi a disposizione dell’autore si è giunti a creare
storie senza attori in carne e ossa: dai fumetti si è passati ai cartoni animati per giungere
a film in cui sono stati fatti ‘recitare’ copie digitali di attori defunti e poi infine film
interamente creati al computer, con una verosimiglianza tale da avvicinarsi molto alla
realtà.
Il racconto di una storia prevede sempre la presenza di un protagonista, la cui parte
nella vicenda occupa uno spazio ed un tempo molto rilevante: solitamente viene in
qualche modo introdotto all’inizio dell’opera, come in Do Androids Dream of Electric
Sheep?, o poco dopo, come in Blade Runner. Anche la conclusione della narrazione
2
Cfr. R. SCHOLES, The Nature of Narrative, Oxford University Press, Londra 1968
3
Cfr. N.FRYE, Anatomia della Critica, Einaudi Torino 1969, pag. 71-73
4
Cfr. I.CHAMBERS, The Metropolitan Experience , Methuen&co., Londra 1986, pag. 119.
9
spesso implica un suo coinvolgimento, se non della sua presenza e azione. Il
protagonista ha anche il “dovere” di comportarsi coerentemente con i tratti e le
caratteristiche che l’autore gli infonde: se ci viene detto che il personaggio principale
adora gli animali domestici, ci aspettiamo che in seguito non decida di vendere o fare
del male al proprio gatto, a meno che non ci vengano spiegate le ragioni di tale
cambiamento. Allo stesso modo ci aspettiamo che l’autore non ci inganni, ad esempio
facendoci giudicare il protagonista (forse più degli altri personaggi) in un certo modo e
poi smentendoci senza spiegazione subito dopo; anche i colpi di scena devono avere la
loro giustificazione, altrimenti la vicenda narrata risulta senza senso ed incomprensibile.
Tra l’assoluto rispetto di questa coerenza e la sua completa trasgressione, esistono
numerose sfumature nella maniera in cui gli autori, come ad esempio Philip K. Dick e
Ridley Scott, trattano il protagonista, i lettori o gli spettatori: si scende allora nel campo
dell’ambiguità, dove certi elementi utili per comprendere appieno la psicologia del
personaggio vengono volutamente nascosti, omessi o manipolati, proprio allo scopo di
lasciare il fruitore dell’opera nell’incertezza; questo porta alla formulazioni di ipotesi
che siano confermate o smentite alla fine della narrazione, sempre che ci sia l’intenzione
di dare una conclusione chiara ed univoca alla vicenda.
10
1.1.1. Rick Deckard in Do Androids Dream of Electric Sheep?: l’astuto distratto
Rick Deckard, il protagonista del romanzo di Philip K. Dick, è un personaggio
con una doppia valenza: nel corso della narrazione viene spesso presentato con le
caratteristiche tipicamente positive del poliziotto che tenta di ristabilire la legge;
altrettanto spesso però, appare ai nostri occhi come un novellino alle prime armi, che si
fa raggirare da nemici e superiori. Coraggio, efficienza e astuzia si alternano a paura,
indecisione ed inesperienza, modificando radicalmente il giudizio che si è fatto il
lettore.
Nel corso del racconto infatti, il Blade Runner mostra a più riprese peculiarità del
detective navigato, esperto conoscitore di tutti i trucchi del mestiere, mentre in diverse
occasioni si comporta invece in maniera goffa e assai distratta. Questo comportamento
ambiguo è uno stereotipo della letteratura e dei film polizieschi: in alcuni casi può
ricordare il Marlowe di Chandler
5
, nei quali le indubbie virtù del personaggio vengono
offuscate da gravi ingenuità, tali da metterlo in difficoltà, oppure James Bond, che ha
spesso pagato cara la sua eccessiva sicurezza, finendo per essere catturato dal suo
avversario a causa della sua passione per le belle donne o per il suo Martini
6
. Una figura
complementare può essere quella del poliziotto da tutti considerato inetto, che però alla
fine risolve in qualche modo il caso: l’ispettore Clouseau della fortunata serie della
“Pantera Rosa”
7
ne è il capostipite, imitato in molte parodie.
5
Cfr. R. CHANDLER, The Big Sleep 1939, Farewell, My Lovely 1940, The High Window 1942, The
Lady in the Lake 1943, The Little Sister 1949, The Long Goodbye 1953, Playback 1958.
6
Cfr. I. FLEMING, Casino Royale, 1953, cap. 7
7
Cfr. BLAKE EDWARDS, The Pink Panther 1964, A Shot in the Dark 1964 , Return of the Pink Panther
1975 , The Pink Panther Strikes Again 1976, Revenge of the Pink Panther 1978, Trail of the Pink Panther
1982, Curse of the Pink Panther1983, Son of the Pink Panther 1993.
11
It always surprised him to find himself awake without prior notice
8
La prima frase usata per descrivere Deckard è molto significativa: quando
dormiamo niente o nessuno ci “preavvisa” che da lì a poco ci dobbiamo svegliare;
invece Dick ci dice, non senza ironia, che il protagonista della narrazione è sempre
sorpreso di trovarsi sveglio senza che nessuno lo abbia avvertito per tempo. Nella nostra
mente ci costruiamo così l’immagine di un sonnolento e spettinato individuo, da cui
tutto ci aspettiamo tranne che faccia il poliziotto con particolare licenza di uccidere.
Riflettendo sui contenuti del romanzo, questa frase può essere interpretata come una
anticipazione di quello che accadrà: Deckard si “sveglierà” senza preavviso, capirà cioè
i suoi sentimenti verso gli androidi e gli umani in modo brusco e ne sarà colpito
profondamente.
Veniamo informati dall’autore che Rick ha una moglie, con cui i rapporti
ultimamente non sono idilliaci e assistiamo all’animata discussione tra di loro, resa più
leggera e divertente grazie al modulatore di umore Penfield, invenzione di Dick. Prima
di recarsi al lavoro, Deckard sale sul terrazzo a controllare la sua pecora elettrica e parla
col suo vicino: capiamo l’importanza di possedere un animale autentico.
Arrivato alla stazione di polizia, Rick scopre che il suo collega più bravo, Dave
Holden è rimasto ferito in uno scontro con un androide e che quindi probabilmente sarà
lui stesso a sostituirlo. Questo provoca in sé due ordini di sentimenti opposti:
depressione, tristezza e preoccupazione da una parte e felicità, ottimismo e sicurezza
dall’altra:
He felt depressed. And yet, logically, because of Dave's sudden disappearance
from the work scene, he should be at least guardedly pleased. (DAD, p.30)
8
P. K. DICK, Do Androids Dream of Electric Sheep?, Orion Books, Londra 1999, in seguito abbreviato
in DAD, p.3
12
“Maybe I'm worried, Rick Deckard conjectured, that what happened to Dave will
happen to me. An andy smart enough to laser him could probably take me, too. But
that didn't seem to be it.” (DAD, p.31)
Deckard prova senz’altro dispiacere per il collega ferito, ma capisce che ora il
lavoro più importante e redditizio sarà assegnato a lui; la piacevole sensazione di forza e
autorità che ne deriva viene però subito rimpiazzata da un sentimento di insicurezza e
paura: se i replicanti sono riusciti a ferire Dave, non potrebbero fare altrettanto con lui?
Nonostante questo, Rick vuole assolutamente ottenere l’incarico che l’ispettore Bryant
sembra affidargli quasi controvoglia e con mille raccomandazioni: il Blade Runner di
riserva può entrare in azione non perché ne venga riconosciuto il valore ma per
incapacità o sfortuna altrui:
He abruptly pointed at Rick, his face severe. “This is the first time you'll be acting
as senior bounty bunter. Dave knows a lot; he's got years of experience behind
him.”
“So have I,” Rick said tensely.
“You've handled assignments devolving to you from Dave's schedule; he's always
decided exactly which ones to turn over to you and which not to. But now you've
got six that he intended to retire himself – one of which managed to get him first.”
(DAD, p.32)
Rick deve innanzitutto controllare che l’unico strumento che ha a disposizione per
distinguere gli androidi dagli umani - il Test di Voigt-Kampff - sia efficiente anche con
l’ultima generazione di umanoidi artificiali in commercio, i Nexus-6. Per questo
motivo, Bryant gli organizza un incontro con i dirigenti della Rosen Association,
l’azienda che fabbrica i replicanti: dovranno fornirgli un campione misto, costituito da
esseri umani autentici e da androidi, che andrà analizzato col Test; essendo ignota a
Deckard la natura umana o artificiale degli esaminandi, egli potrà verificare l’efficienza
13
del suo metodo di riconoscimento. Eldon e Rachael Rosen esprimono però la loro
irrequietezza e perplessità nei riguardi del Test: se non dovesse essere in grado di
distinguere senza errori tra umani e replicanti, sarebbero costretti a ritirare tutta la
produzione dal mercato, con terribili conseguenze economiche per loro stessi, la loro
impresa e per l’intero sistema, dato che l’utilizzo di androidi per lavori pesanti e
pericolosi per gli umani è la base su cui si poggia la colonizzazione di Marte e dei
territori extraterrestri.
Rick capisce di avere una responsabilità, un potere enorme nelle sue mani e si
sente per questo motivo quasi onnipotente:
“I wouldn't worry if I were you,” Rick said as the two Rosens led him down a
highly illuminated wide corridor. He himself felt quietly content. This moment,
more than any other which he could remember, pleased him. (DAD, p.39)
La sua sicurezza viene messa in discussione quando, invece del campione misto di
umani e androidi, viene a sapere che sarà Rachael a dovere essere sottoposta al test;
nonostante qualche titubanza, Rick ingenuamente accetta ed il test può così iniziare.
Dopo alcune domande, durante le quali il Blade Runner non si fa distrarre dalle
divagazioni di Rachael, il risultato sembra essere chiaro:
The gauges remained inert, and he said to himself, An android response. Failing to
detect the major element, the dead animal pelt. Her – its – mind is concentrating on
other factors. (DAD, p.43)
Siamo quindi convinti di trovarci di fronte alla versione futuribile del detective
contemporaneo, che interroga l’indiziato di un crimine fino a farlo stancare e cadere in
contraddizione: le domande successive sembrano avvalorare l’ipotesi che Rachael sia un
androide e che quindi Deckard sia un astuto poliziotto che sa fare bene il suo mestiere.
14
Invece i due Rosen smentiscono i risultati del test: Rachael è un’umana che ha trascorso
molta parte della sua esistenza a bordo di un’astronave, ha avuto rari contatti con altre
persone e per questo motivo le sue risposte al test hanno presentato una scarsa empatia,
tali da essere molto simili a quelle di un androide. Il test ha fallito e questo significa che
Rick avrebbe ritirato un umano credendolo un replicante; egli lo sa e sente la terra
mancargli sotto i piedi:
“In other words,” Rick said with acuity, “I'm not going to be given a chance to
check out a single Nexus-6. You people dropped this schizoid girl on me
beforehand.” And my test, he realized, is wiped out. I shouldn't have gone for it, he
said to himself. However, it's too late now. (DAD, p.47)
Addirittura Deckard, che in precedenza aveva pensato di avere un potere enorme
sui Rosen, ora si sente una nullità confronto a loro, che gli appaiono quasi come degli
dei:
He could not make out, even now, how the Rosen Association had managed to
snare him, and so easily. Experts, he realized. A mammoth corporation like this – it
embodies too much experience. It possesses in fact a sort of group mind. And
Eldon and Rachael Rosen consisted of spokesmen for that corporate entity. (DAD,
p.48)
Rick si rende conto che, oltre a non avere più l’unica arma per identificare i
replicanti, è stato incastrato dai Rosen, che gli hanno fatto testare Rachael invece del
campione misto, che hanno filmato tutta la vicenda e che quindi ora possono anche
ricattarlo, comprando il suo silenzio con la loro civetta, che tanto piaceva a Deckard. Il
nostro protagonista è passato così in poche pagine da consumato esperto poliziotto a
15
sciocco pivello che si è fatto incastrare stupidamente. Tutto cambia poco oltre, quando
Rachael si scopre per quello che realmente è:
“Your owl, dear,” Rachael said. “Remember? We'll tie your home address around
its leg and have it fly down to San Francisco; it'll meet you there when you get off
work.”
It, he thought. She keeps calling the owl it. Not her. (DAD, p.50)
Rick compie in questo momento il primo vero atto da poliziotto: grazie al suo
spirito d’osservazione e al ragionamento scopre un indizio, una piccola frattura nella
vicenda che gli permette di arrivare alla realtà e di riabilitarsi ai nostri occhi. La
situazione si capovolge ancora una volta: ora sono i Rosen ad essere nelle mani del
Blade Runner:
“I want,” he said, opening his briefcase, “to ask you one more question from the
Voigt - Kampff scale. Sit down again.”
Rachael glanced at her uncle; he nodded and she grudgingly returned, seating
herself as before. “What's this for?” she demanded, her eyebrows lifted in distaste –
and wariness. He perceived her skeletal tension, noted it professionally. (DAD,
p.50-51)
Rachael è sottoposta nuovamente al test e stavolta l’ipotesi smentita in precedenza
si rivela esatta, l’intuizione che Deckard ha colto nel pronome neutro utilizzato dalla
ragazza lo ha portato alla giusta conclusione, che ridefinisce la validità del test e del
poliziotto in termini positivi:
He saw the two dial indicators gyrate frantically. But only after a pause. The
reaction had come, but too late. He knew the reaction period down to a fraction of a
second, the correct reaction period; there should have been none. “Thanks, Miss
16
Rosen,” he said, and gathered together the equipment again; he had concluded his
retesting. “That's all.” (DAD, p.51)
Rachael è un androide, un Nexus-6 che crede di essere un umano grazie ai ricordi
che le sono stati impiantanti. Il test quindi funziona, Deckard può continuare nel suo
lavoro di ricerca dei replicanti fuggitivi, anche se è stato ad un passo dal fallimento. Di
nuovo, il protagonista prova un misto di fiducia e apprensione:
The Nexus-6. He had now come up against it. Rachael, he realized; she must be a
Nexus-6. I'm seeing one of them for the first time. And they damn near did it; they
came awfully damn close to undermining the Voigt-Kampff scale, the only method
we have for detecting them. The Rosen Association does a good job - makes a
good try, anyhow – at protecting its products.
And I have to face six more of them, he reflected. Before I'm finished.
He would earn the bounty money. Every cent.
Assuming he made it through alive. (DAD, p.52)
Deckard pare confermare le sue qualità di detective esperto, evitando la trappola
tesagli da Polokov/Kadalyi e ritirando l’androide; veniamo ancora smentiti quando,
successivamente, si reca al teatro per sottoporre il test alla cantante lirica Luba Luft,
sospetta replicante. Il Blade Runner viene messo in crisi dalla capacità di ragionamento
della cantante, la quale in modo poco velato insinua che tra i due sia lui ad essere il
replicante:
“An android,” he said, “doesn't care what happens to any other android. That's one
of the indications we look for.”
“Then,” Miss Luft said, “you must be an android.”
That stopped him; he stared at her.
“Because,” she continued, “Your job is to kill them, isn't it? You're what they call –
“ She tried to remember.
17
“A bounty hunter,” Rick said. “But I'm not an android.”
“This test you want to give me.” Her voice, now, had begun to return. “Have you
taken it?”
“Yes.” He nodded. “A long, long time ago; when I first started with the
department.”
“Maybe that's a false memory. Don't androids sometimes go around with false
memories?”
Rick said, “My superiors know about the test. It's mandatory.”
“Maybe there was once a human who looked like you, and somewhere along the
line you killed him and took his place. And your superiors don't know.” She
smiled. As if inviting him to agree. (DAD, p.86-87)
Rick tenta di imporre la sua autorità ma fatica non poco a opporsi alle obiezioni
della donna:
“Let's get on with the test,” he said, getting out the sheets of questions.
“I'll take the test,” Luba Luft said, “if you'll take it first.”
Again he stared at her, stopped in his tracks.
“Wouldn't that be more fair?” she asked. “Then I could be sure of you. I don't
know; you seem so peculiar and hard and strange.” She shivered, then smiled
again. Hopefully. (DAD, p.87)
Finalmente può avere inizio, ma corre il rischio di non essere significativo, a
causa della “nebbia semantica”
9
con cui la cantante confonde le sue risposte. Deckard
fa del suo meglio per garantire la regolarità del Voigt-Kampff, Luba Luft invece fa
cadere, apparentemente in modo casuale, la ventosa dell’apparato per il test; quando
Deckard si rialza dopo averla raccolta da terra, capiamo che è stato (neanche troppo
astutamente) raggirato:
9
P. K. DICK, Do Androids Dream of Electric Sheep?, ed. cit., p. 89
18
When he stood up he found himself looking into a laser tube.
“Your questions,” Luba Luft said in a crisp, formal voice, “began to do with sex. I
thought they would finally. You're not from the police department; you're a sexual
deviant.” (DAD, p.90)
Rick è alla mercé della cantante, che in realtà è un Nexus-6 e che chiama la
polizia; è alla mercé del poliziotto che si presenta, l’Agente Crams, che nega di avere
sentito il suo nome e quello dell’ispettore Bryant: è quindi alla mercé dei replicanti, in
quanto Crams stesso è un androide e lo conduce ad una stazione di polizia mai vista
prima. La situazione si è quindi drasticamente ribaltata: Deckard, che doveva sottoporre
il test a Luba Luft e quindi ritirarla, si trova ora in trappola, circondato da androidi che
fingono di essere umani e che lo accusano di essere un replicante.
Nonostante la situazione sia molto difficile, Rick riesce a cavarsela, anche grazie
all’aiuto del “collega” Phil Resch, che uccide l’androide - ispettore Garland e lo fa
uscire dall’edificio fingendo di tenerlo prigioniero. Da questo punto in poi, scampato il
pericolo, Deckard appare più sicuro nelle sue azioni: i due si dirigono al Teatro
dell’opera per ritirare Luba Luft ma la trovano al museo lì vicino, dove si tiene
un’esposizione delle opere di Munch. L’androide, braccata dai due Blade Runner, non
ha scampo e quasi non oppone resistenza, con quella rassegnazione nel sapere che la
propria esistenza sta per finire tipica degli androidi, che tanto infastidisce Deckard.
Questa volta Rick si comporta in modo molto professionale, cercando di evitare il
coinvolgimento della folla presente nel museo: Luba Luft viene infatti uccisa
nell’ascensore da Phil Resch, irritato dalle continue e poco velate allusioni della
cantante, che a più riprese lo identifica come androide. Poco dopo Deckard sottopone
Phil Resch al Voigt-Kampff senza particolari problemi, grazie anche alla volontà del
soggetto, che vuole assolutamente conoscere la verità circa la sua natura.