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INTRODUZIONE
L‟oggetto principale di questa tesi è la procedura stabilita nella Risoluzione 377 A (V) del
1950, adottata dall‟Assemblea generale delle Nazioni Unite, soprannominata anche
“Uniting for Pace” o Risoluzione Acheson (dal nome del delegato statunitense che ne fu il
principale promotore). Tale procedura ha l‟obiettivo di permettere all‟Assemblea generale
(anche detta “Assemblea”) di subentrare in una posizione sussidiaria rispetto al Consiglio
di Sicurezza (anche detto “Consiglio”) nel processo decisionale e di raccomandazione
riguardo le questioni di mantenimento della pace e sicurezza internazionali. Insomma,
venne proposta come soluzione alternativa alle controversie internazionali ove l‟organo
esecutivo delle Nazioni Unite, ossia il Consiglio, non riesca a svolgere le sue funzioni a
causa di un mancato accordo dovuto all‟esercizio del diritto di veto da parte di almeno un
Membro Permanente dello stesso
1
.
Il 24 febbraio 2022 una notizia allarmante ha occupato le prime pagine dei quotidiani di
tutto il mondo, ovvero l‟invasione dell‟Ucraina su azione delle forze armate della
Federazione Russa, con il conseguente scoppio di un conflitto armato internazionale.
Successivamente, nel mese di marzo, chi scrive ha avuto modo di partecipare ad un
seminario inerente al conflitto, presso l‟Università degli Studi di Milano-Bicocca; è in
questa occasione che è giunta l‟ispirazione per la stesura di questo elaborato. Infatti,
durante il seminario, il Professor Maurizio Arcari è intervenuto con un‟illuminante analisi
relativa all‟intervento delle Nazioni Unite nel conflitto fra Russia e Ucraina, nella quale si
faceva riferimento anche all‟utilizzo della procedura prevista dalla Risoluzione Acheson.
Tuttavia, sebbene il Professore abbia menzionato anche i precedenti utilizzi, nella memoria
di chi scrive sovveniva solo un vago ricordo della procedura, dal corso di Diritto
Internazionale Pubblico. Per questo motivo, nel tempo è cresciuto il desiderio di
approfondire l‟argomento, giungendo al punto di elaborare la presente tesi.
L‟obiettivo principale di questo studio è dimostrare come la procedura delineata dalla
Risoluzione 377 A (V) del 1950, sebbene non prevista dal dettato della Carta, sia col tempo
entrata a far parte di una consolidata prassi giuridica dell‟Organizzazione, raggiungendo un
grado di legittimazione pari alle altre procedure decisionali sancite all‟interno della Carta
delle Nazioni Unite e nel Regolamento dell‟Assemblea generale (Rules of procedure of the
1
Stabilito dall‟Articolo 27 della Carta delle Nazioni Unite.
2
UN General Assembly). L‟obiettivo secondario, invece, è discutere l‟effettiva utilità della
procedura nel contesto della comunità internazionale ai fini del mantenimento della pace e
sicurezza internazionali.
Riguardo al materiale utilizzato in supporto, la ricerca è partita da testi generali di diritto
internazionale, e ha compreso articoli specifici riguardanti “Uniting for Peace”, sia di tipo
analitico sia di tipo critico; parallelamente, si è svolta una ricerca in ambito storico e in
particolare di storia delle relazioni internazionali attraverso testi inerenti a questa materia;
da ultimo, durante la stesura dell‟elaborato sono stati raccolti tutti i documenti delle
Nazioni Unite (e non) prodotti nei casi di applicazione della procedura ritenuti rilevanti ai
fini dello studio.
Col fine di mantenere una certa chiarezza, di seguito sarà illustrato sommariamente il
contenuto di questo studio e accanto saranno indicate le principali fonti utilizzate per i
rispettivi capitoli. Partendo dal Capitolo I, esso è posto come capitolo “introduttivo” alla
procedura oggetto d‟esame, per questo al suo inizio si trova una breve analisi dei ruoli e
delle funzioni dell‟Assemblea e del Consiglio delle Nazioni Unite. Per la scrittura di questa
sezione sono stati utilizzati manuali di diritto internazionale in italiano e in inglese. Nel
Capitolo I è anche contenuta una parte relativa all‟adozione della Risoluzione 377 A (V), il
cui studio è stato effettuato su articoli accademici dedicati all‟argomento. Inoltre, sono stati
consultati svariati documenti delle Nazioni Unite, tra cui risoluzioni, record ufficiali delle
sessioni e alcuni provvedimenti della Corte Internazionale di Giustizia. Poste le basi per
comprendere la procedura “Uniting for Peace”, nel Capitolo II si è proceduto ad esaminare
la prassi legata alla procedura tramite uno studio storico del suo utilizzo dall‟adozione fino
ai tempi più recenti. In questo capitolo, oltre alla vastissima documentazione proveniente
dalle Nazioni Unite ma anche dai singoli Stati Membri (tutta reperibile nelle note), sono
stati utilizzati anche libri di storia delle relazioni internazionali; questo, con il fine di una
visione coesa degli eventi storici che hanno portato ad attivare la procedura, della reazione
dell‟Assemblea generale e dell‟accoglienza delle raccomandazioni da parte della comunità
internazionale. Per quel che concerne il Capitolo III, esso ha un certo carattere storico,
tuttavia esso prende in considerazione due episodi ben precisi, ossia la creazione e lo
svolgimento dell‟operazione di peacekeeping UNEF I, e il parere consultivo della Corte
Internazionale di giustizia sulle conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nei
territori palestinesi occupati, entrambi attivati durante l‟impiego della procedura prevista
dalla Risoluzione 377 A (V). Per la stesura del paragrafo riguardante l‟UNEF I la fonte
3
principale consultata è stato il rapporto sull‟operazione fornito dalle Nazioni Unite stesse;
con il fine di poter esporre alcune considerazioni personali sulla vicenda raccontata in
modo oggettivo. Mentre, per la parte dedicata al parere consultivo delle Corte, ovviamente
è stato consultato il parere così come formulato, ma anche alcuni articoli a riguardo,
nonché, la Carta delle Nazioni Unite, lo Statuto della Corte e altre fonti di diritto
internazionale. Giungendo all‟ultimo capitolo, il IV , esso è totalmente dedicato
all‟approfondimento dell‟undicesima sessione speciale d‟emergenza dell‟Assemblea
Generale, ossia quella invocata per discutere circa la questione della guerra fra Russia e
Ucraina. Anche in questo caso è stato utile uno studio storico, effettuato quasi totalmente
su “Breve Storia dell’Ucraina: dal 1914 all’invasione di Putin” di Vassallo M., oltre a
questo, i fatti più recenti sono stati conosciuti tramite articoli giornalistici riguardanti la
guerra; inoltre, per quel che riguarda le attività dell‟Assemblea e della Corte sono stati
consultati i documenti ufficiali reperibili dalle loro piattaforme online.
Proprio partendo dal Capitolo IV , alla fine di questa tesi sono esposte le conclusioni
raggiunte da chi scrive circa l‟utilizzo di “Uniting for Peace” nella prassi delle Nazioni
Unite, nonché sulla sua utilità nell‟ambito del mantenimento della pace. Insieme a queste
conclusioni legate a ciò che è successo fino ai tempi recenti, è contenuto nel capitolo
conclusivo anche qualche accenno al futuro della procedura e a una sua possibile
evoluzione.
5
CAPITOLO I
Le origini della Risoluzione 377 A (V)
Al fine di garantire al lettore una panoramica completa dell‟argomento, in questo primo
capitolo è contenuta una introduzione generale riguardante sia le funzioni inerenti al
mantenimento della pace attribuite ai due principali organi delle Nazioni Unite, sia alla
nascita della risoluzione e l‟accoglienza da parte della comunità internazionale.
I. Le funzioni inerenti al mantenimento della pace: il Consiglio di Sicurezza e
l‟Assemblea Generale delle Nazioni Unite
a. Il Consiglio di sicurezza, la responsabilità principale per il mantenimento della
pace e della sicurezza internazionali e i poteri attribuiti dal Capitolo VII della
Carta delle Nazioni Unite
Il Capitolo V della Carta delle Nazioni Unite (da qui in poi “la Carta”), rubricato
“Consiglio di sicurezza”, concerne in generale le caratteristiche, le funzioni, i poteri e le
procedure attribuiti all‟organo. Quello che interessa ai fini della presente trattazione è però
l‟Articolo 24 – Funzioni e poteri, che al paragrafo 1 prevede: “In order to ensure prompt
and effective action by the United Nations, its Members confer on the Security Council
primary responsibility for the maintenance of international peace and security” e nel
paragrafo successivo stabilisce che i poteri specifici in questo ambito attribuiti al Consiglio
di sicurezza sono indicati nei capitoli VI, VII, VIII e XII.
Nello specifico, per meglio comprendere le origini della Risoluzione 377 A (V), si ritiene
necessario porre particolare attenzione ai capitoli VI e VII della Carta, dedicati
rispettivamente alla risoluzione pacifica delle controversie e all‟azione rispetto alle
minacce alla pace, alle violazioni della pace ed agli atti di aggressione.
Il capitolo VI si apre con l‟Articolo 33, il quale obbliga le parti di una controversia
suscettibile di sfociare in una situazione che metta a rischio la pace e la sicurezza
internazionali a cercare un accordo attraverso negoziati, inchiesta, mediazione,
conciliazione, arbitrato, regolamento giudiziale, ricorso ad organizzazioni od accordi
6
regionali, od altri mezzi pacifici di loro scelta; nonché, al secondo paragrafo, il potere del
Consiglio di sicurezza di invitare le parti ad adoperare tali mezzi. Naturalmente, ci si
troverebbe nel migliore dei mondi possibili se questa disposizione fosse sufficiente per
risolvere controversie e conflitti su scala internazionale, ma, siccome questo non è il caso,
le successive disposizioni del capitolo in analisi riguardano altri tre poteri del Consiglio di
sicurezza. In particolare, l‟Articolo 34 attribuisce all‟organo il potere di indagare circa le
controversie internazionali in corso; l‟Articolo 35 riguarda la prerogativa degli Stati
Membri di sottoporre le inerenti questioni all‟attenzione del Consiglio di sicurezza (e
dunque la prerogativa di quest‟ultimo ad analizzare tali questioni); mentre gli Articoli dal
36 al 38 riguardano il potere del Consiglio di fare raccomandazioni, sia volte ad
incoraggiare gli Stati ad avviare procedimenti giuridici
2
, sia mirate a raggiungere la
soluzione particolare che si ritenga più adeguata
3
. Orbene, il quadro che emerge da questo
capitolo è un insieme di poteri risultanti in atti non vincolanti per gli Stati destinatari, ma
che, essendo appunto non vincolati, sono stati nella prassi molto più utilizzati rispetto alle
misure vincolanti stabilite dal capitolo VII, poiché verosimilmente più accettabili e
comprensibili sia per gli Stati parte a una controversia o conflitto, sia per gli Stati alleati di
questi ultimi.
Proprio con l‟osservazione del capitolo VII si conclude questo breve excursus sulle
prerogative del Consiglio di sicurezza riguardo al mantenimento della pace e della
sicurezza internazionali. Infatti, è qui che sono contenute le principali misure, sia non
implicanti l‟impiego della forza armata, sia implicanti l‟uso della forza, che il Consiglio di
sicurezza può adottare nei casi di o alle minacce alla pace, alle violazioni della pace ed agli
atti di aggressione; fermo restante il potere del Consiglio di raccomandare, ribadito
all‟Articolo 39.
Inoltre, a seguito dell‟accertamento di una situazione rientrante in quelle stabilite dal già
menzionato Articolo 39, oltre a raccomandare, in base all‟Articolo 40 il Consiglio di
sicurezza può invitare gli Stati interessati ad ottemperare alle misure provvisorie o cautelari
che si ritengano necessarie; questo sia nell‟ottica di risolvere la controversia tramite mezzi
meno impegnativi (e costosi) sia nell‟auspicio di non rompere i fragili equilibri politici
all‟interno delle Nazioni Unite stesse.
Tornando alle misure definitive, le misure non implicanti l‟impiego della forza armata sono
elencate dall‟Articolo 41 ed esse comprendono: l‟interruzione totale o parziale delle
2
Carta delle Nazioni Unite, art. 36
3
Carta delle Nazioni Unite, artt. 37 e 38.
7
relazioni economiche e delle comunicazioni ferroviarie, marittime, aeree, postali,
telegrafiche, radio ed altre, e la rottura delle relazioni diplomatiche da parte degli Stati
Membri verso lo Stato colpevole del mancato rispetto del divieto di uso della forza. Di
seguito, all‟Articolo 42, si trovano le misure implicanti l‟uso della forza armata, da
utilizzarsi nel caso in cui le prime si rivelino inadeguate; queste prevedono: dimostrazioni,
blocchi ed altre operazioni mediante forze aeree, navali o terrestri di Membri delle Nazioni
Unite. Purtroppo, le misure implicanti l‟uso della forza armata sono rimaste lettera morta,
questo principalmente a causa della difficoltà mostrata dalle Nazioni Unite nel reperire le
forze armate dagli Stati membri secondo quanto stabilito negli Articoli dal 43 al 47 e 106
della Carta
4
.
Tuttavia, sebbene la Carta metta a disposizione del Consiglio una pluralità variegata di atti
e misure da adottare in caso di controversie, i problemi non si limitano al fallimento nella
creazione dell‟“esercito delle Nazioni Unite”. Infatti, è da tenersi bene a mente che il
Consiglio di sicurezza sottopone a votazione da parte dei suoi membri tutte le risoluzioni
inerenti a dette misure e il paragrafo (3) dell‟Articolo 27 stabilisce: “Decisions of the
Security Council on all other matters shall be made by an affirmative vote of seven
members including the concurring votes of the permanent members (…)”. Ciò significa
che i cinque Membri permanenti del Consiglio dispongono del diritto di veto su ogni
questione sottoposta alla sua attenzione (salvo quelle procedurali). Perciò, essendo il
Consiglio di sicurezza un organo composto da rappresentanti di Stati e non da esperti
indipendenti, è ben prevedibile che questi siano interessati -più che al mantenimento della
pace e della sicurezza internazionali- a far sì che gli interessi del proprio Stato di
appartenenza (ma anche degli Stati ad esso alleati) non siano intralciati dalle ingerenze
delle Nazioni Unite. Proprio per questa ragione si è resa necessaria una nuova procedura
che potesse “aggirare” il problema del diritto di veto, ma come fare per superare un
ostacolo rappresentato dal principale organo decisionale dell‟Organizzazione delle Nazioni
Unite? È a questo punto che interviene l‟Assemblea generale, del cui ruolo sussidiario
nell‟ambito del mantenimento della pace si parlerà nel prossimo paragrafo.
4
Cfr. Scovazzi T., Arcari M., Citroni G., Corso di Diritto Internazionale, 2. ed., Giuffrè: Milano, 2014, cap.
II, par. 7.
8
b. L‟Assemblea generale, il ruolo secondario nel mantenimento della pace e della
sicurezza internazionali e il limitato potere di raccomandare
L‟Assemblea generale, diversamente dal Consiglio di sicurezza, è un organo plenario a
competenza generale. Essa, infatti, si compone di tutti gli Stati membri delle Nazioni
Unite, può discutere qualunque questione o materia rientrante nell‟ambito della Carta e,
soprattutto, il voto di ciascun Membro ha il medesimo valore; dunque, nessun Membro
dispone del diritto di veto. Tuttavia, la differenza più rilevante ai fini della presente
trattazione riguarda il valore degli atti adottati dall‟Assemblea. L‟Articolo 10 della Carta
stabilisce, infatti, che l‟Assemblea può solo raccomandare, a seguito di una votazione
risultante in una maggioranza semplice o in una maggioranza rafforzata dei due terzi dei
Membri presenti e votanti ove si tratti di c.d. “questioni importanti”, fra le quali rientrano
anche quelle inerenti al mantenimento della pace e della sicurezza internazionali
5
. Ad ogni
modo, si deve tenere in considerazione anche l‟Articolo 11 della Carta, che sancisce la
competenza esclusiva del Consiglio di sicurezza per quel che riguarda l‟adozione di misure
coercitive, stabilendo inoltre che ove si renda necessaria un‟”azione” per il mantenimento
della pace, l‟Assemblea generale -che ricordiamo può solo raccomandare senza poteri
vincolanti- deve rinviare la questione al Consiglio di sicurezza, in quanto, come già detto
nel precedente paragrafo, è solo a questo che spetta la competenza primaria per il
mantenimento della pace e sicurezza internazionali.
Ora, già a un primo sguardo delle principali disposizioni in ambito di mantenimento della
pace non è difficile immaginare davanti a quale problema si siano trovate le Nazioni Unite
nei primi anni di vita dell‟Organizzazione. Di fatto, la questione realmente problematica si
è rivelata essere il potere di veto in capo ai cinque Membri permanenti del Consiglio di
sicurezza, che, pur dopo aver ricevuto richiesta di intervenire da Stati Membri (e non) o
dalla stessa Assemblea generale, hanno avuto la tendenza ad apporre il veto su gravi
questioni di violazioni del ricorso all‟uso della forza armata – che ricordiamo essere una
norma di ius cogens- nell‟ottica di salvaguardare i propri interessi politici. Ciononostante,
proprio l‟Assemblea generale, nello stretto perimetro dei suoi poteri, è riuscita a trovare il
modo per ritagliarsi uno spazio di intervento più ampio in caso di circostanze pericolose
per la pace e la sicurezza internazionali.
5
Carta delle Nazioni Unite, art. 18 (2)
9
II. L‟adozione della Risoluzione 377 A (V) “Uniting for Peace”
a. Il contenuto della risoluzione e le motivazioni che hanno portato alla sua
adozione
Correva l‟anno 1950 quando, a seguito di una bozza di risoluzione avanzata da Stati Uniti,
Francia, Regno Unito, Canada, Uruguay, Filippine e Turchia, il 3 novembre venne adottata
dall‟Assemblea Generale con 53 voti favorevoli, 5 voti contrari e due astensioni
6
, la
Risoluzione 377 A (V), soprannominata anche “Uniting for Peace” o Risoluzione
Acheson, dal nome del principale promotore della Risoluzione e ai tempi Ministro degli
Esteri statunitense, Dean Acheson. Come anticipato sopra, anche in questo caso le Nazioni
Unite si trovavano davanti a una situazione di stallo, poiché l‟Unione Sovietica persisteva
nel boicottare i tentativi degli Stati Uniti d‟America di fornire aiuti militari alla Corea del
Sud durante Guerra di Corea, dapprima tramite l‟assenza in Consiglio di sicurezza e
successivamente tramite la minaccia di porre il veto su ogni futura risoluzione concernente
l‟invio di aiuti militari
7
. Si tenga a mente che, prima di questa importante risoluzione,
l‟Unione Sovietica aveva ampiamente abusato del suo potere di veto, esercitandolo ben 45
volte fra il 1946 e il 1950; in particolare, l‟URSS fu di ostacolo alla soluzione delle
controversie in Libano e Siria
8
, in Spagna
9
, in Grecia
10
, nel caso del Corfu Channel
11
, in
Cecoslovacchia
12
, nel blocco di Berlino
13
e, infine, nella Guerra di Corea
14
. Insomma, la
situazione era patologica. Fu proprio per questo motivo che gli Stati occidentali accolsero e
sostennero di buon grado la risoluzione “Uniting for Peace”; sembrava che ci fosse
finalmente un modo per aggirare le proteste del blocco sovietico, anche se, con gli anni, le
posizioni hanno avuto modo di ribaltarsi più d'una volta
15
.
6
Gli Stati astenuti furono India e Argentina, mentre i contrari furono Cecoslovacchia, Polonia,
Ucraina, Unione Sovietica e Bielorussia.
7
Cfr. Sayward, A. L. The United Nations in International History; New Approaches to International History;
Bloomsbury Academic: London, 2017, pp. 127,128.
8
UN Doc. S/PV.23, 16 February 1946.
9
UN Docs. S/PV.45, 18 June 1946; S/PV.49, 26 June 1946.
10
UN Docs. S/PV.70, 20 September 1946; S/PV.170, 29 July 1947; S/PV.188, 19 August 1947; S/PV.202,
15 September 1947.
11
UN Doc. S/PV.122, 25 March 1947.
12
UN Doc. S/PV.303, 24 May 1948.
13
UN Doc. S/PV.372, 25 October 1948.
14
UN Docs. S/PV.496, 6 September 1950; S/PV.501, 12 September 1950; S/PV.530, 30 November 1950.
15
Come si vedrà più dettagliatamente nel prossimo capitolo, l‟utilizzo della Risoluzione Acheson è stato
innescato tre volte dal veto degli Stati Uniti, due volte dal veto congiunto di Francia e Regno Unito e un‟altra
volta dal veto di questi tre Stati, notoriamente appartenenti al blocco occidentale.
10
Procedendo ad un‟analisi del contenuto della Risoluzione, si può anche immaginare perché
una così vasta maggioranza si pronunciò favorevole; la procedura elaborata al suo interno
pur essendo molto semplice in definitiva permette all‟Assemblea generale di avere sempre
l‟ultima parola in caso di gravi violazioni al divieto di uso della forza. Difatti, la
condizione principale – prevista già all‟inizio del testo della Risoluzione- affinché la
procedura possa essere avviata è proprio quella situazione di stallo derivante
dall‟apposizione del veto su una questione gravemente pericolosa per la pace:
“1. Resolves that if the Security Council, because of lack of unanimity of the permanent
members, fails to exercise its primary responsibility for the maintenance of international
peace and security in any case where there appears to be a threat to the peace, breach of
the peace, or act of aggression, the General Assembly shall consider the matter
immediately with a view to making appropriate recommendations to Members for
collective measures, including in the case of a breach of the peace or act of aggression the
use of armed force when necessary, to maintain or restore international peace and
security.”
16
Ebbene, dalla lettera della Risoluzione si evince una condizione principale composta da tre
condizioni cumulative. Infatti, la condizione principale, cioè la situazione di stallo a livello
del Consiglio di sicurezza, si ha quando: manca l‟unanimità dei cinque Membri permanenti
(dunque quando viene posto il veto da almeno uno di questi), questa discordanza porti a un
fallimento del Consiglio nell‟esercizio della sua responsabilità del mantenimento della
pace e sicurezza internazionali e infine che ci si trovi di fronte a una minaccia alla pace,
violazione della pace o atto di aggressione. Alla luce di quanto detto finora, i primi due
elementi non destano particolari dubbi; al contrario, manca una norma che dia una
definizione di minaccia alla pace, violazione della pace o atto di aggressione e su questo si
è avuto un costante dibattito fin dai tempi della Società delle Nazioni
17
. Innanzitutto, è
necessario considerare l‟Articolo 39 della Carta delle Nazioni Unite, il quale stabilisce che
il Consiglio di sicurezza “shall determine the existence of any threat to the peace, breach
of the peace, or act of aggression”; per l‟appunto non si ha una definizione di questi tre
concetti ma bensì la Carta sembra lasciare al Consiglio il potere discrezionale di
determinare caso per caso di fronte a cosa ci si trova. In effetti, esattamente in questo senso
si è espresso Joseph Paul-Boncour, presidente del Comitato III/3 della Conferenza di San
16
UN Doc. A/RES/377(V)[AA], 3 November 1950, 1 lett. A, par.1.
17
Come ricordato da Conforti Benedetto e Focarelli Carlo in “The determination of a threat to the peace, a
breach of the peace, or an act of aggression”, in The Law and Practice of the United Nations, 4th rev.; Legal
Aspects of International Organization, V. 53; Martinus Nijhoff: Leiden, Netherlands, 2010, p. 220.
11
Francisco
18
; sia per far (momentaneamente) cessare il dibattito sulla questione, sia per non
vincolare il Consiglio a ipotesi troppo restrittive rispetto al perenne sviluppo delle pratiche
belliche e di aggressione. Dunque, un passaggio obbligato prima di poter giungere
all‟attivazione di “Uniting for Peace” è che il Consiglio di sicurezza si pronunci sulla
questione, classificandola come appartenente a una delle tre categorie.
Appurato il fallimento in Consiglio di sicurezza, l‟Assemblea deve attivarsi
“immediatamente” per esaminare la questione nell‟ottica di dar poi agli Stati adeguate
raccomandazioni circa le misure collettive da adottare. L‟avverbio “immediatamente”
(“immediately” nel testo originale) non si presta a interpretazioni fantasiose, questo perché
è la stessa Risoluzione a stabilire le tempistiche con cui l‟Assemblea deve agire:
“If not in session at the time, the General Assembly may meet in emergency special session
within twenty-four hours of the request therefor. Such emergency special session shall be
called if requested by the Security Council on the vote of any seven [now nine] members,
or by a majority of the Members of the United Nations.”
È evidente che sia richiesto all‟Assemblea un intervento tempestivo, non solo quando essa
si trova già in sessione, ma anche a costo di convocare una c.d. sessione speciale di
emergenza nell‟arco ristretto delle 24 ore successive alla richiesta. In effetti, questa parte
della procedura era fondamentale ai tempi in cui venne stesa la Risoluzione, poiché prima
di tre decenni fa l‟Assemblea era solita riunirsi plenariamente solo da metà settembre a
metà dicembre, mentre oggi la sessione dura praticamente tutto l‟anno e pare quasi
superfluo convocare una sessione speciale d‟emergenza. In realtà, come argomentato anche
da Larry D. Johnson
19
, oggi l‟atto di indire una sessione speciale di emergenza ha più una
valenza politica e simbolica della gravità della situazione piuttosto che un‟utilità pratica;
come si è infatti visto nelle ultime due sessioni speciali d‟emergenza ai sensi di “Uniting
for Peace”, che sono state convocate pur essendo l‟Assemblea già in sessione regolare
20
.
A questo punto, determinato come si avvia la procedura stabilita dalla Risoluzione 377 A
(V), è doveroso parlare di quali “nuovi” poteri siano stati attribuiti all‟Assemblea generale.
18
U.N.C.I.O, Doc. 881 III/3/46, vol. XII, p.505, in particolare il passaggio: “The Committee therefore
decided to adhere to the text drawn up at Dumbarton Oaks and to leave to the Council the entire decision as
to what constitutes a threat to peace, a breach of the peace, or an act of aggression.”.
19
Johnson L. D. and ASIL , “UNITING FOR PEACE”: DOES IT STILL SERVE ANY USEFUL
PURPOSE?, Cambridge University Press 2014
20
UN GA, Tenth Emergency Special Session: Illegal Israeli actions in occupied East Jerusalem and the rest
of the Occupied Palestinian Territory (aprile 1997– gennaio 2009) e UN GA, Eleventh Emergency Special
Session Letter dated 28 February 2014 from the Permanent Representative of Ukraine to the United Nations
addressed to the President of the Security Council (febbraio 2022 – in corso).