II
queste analisi trovano applicazioni pratiche in molti ambiti del
marketing, sia di prodotto, sia istituzionale (che riguarda
l’azienda): le strategie cromatiche più rilevanti riguardano i
colori del prodotto, della sua confezione, dei punti vendita, del
marchio, degli elementi dell’Immagine Coordinata aziendale e
di tutte le forme della comunicazione, dalla promozione delle
vendite alle pubbliche relazioni, dal marketing diretto alla
vendita personale e soprattutto i colori della pubblicità.
Per quanto riguarda la comunicazione pubblicitaria, il colore
è uno strumento efficace per stimolare i bisogni e i desideri dei
consumatori, in quanto si configura come un linguaggio
immediato, suggestivo e che in parte agisce a livello inconscio,
superando gli atteggiamenti di difesa che di norma le persone
hanno di fronte alla pubblicità. Verifichiamo queste
affermazioni attraverso l’analisi di quattro spot televisivi che
utilizzano strategie cromatiche diverse, finalizzate in ogni caso
alla valorizzazione dell’identità dei prodotti pubblicizzati:
esaminiamo, dal punto di vista psicologico e da quello
linguistico e simbolico, gli spot televisivi dello smacchiatore
Vanish Oxi Action Gel, del conto bancario on line Conto
Arancio, delle Mezzelune Auricchio e della linea di televisori
LCD Bravia di Sony.
In ogni caso, tutto il nostro lavoro è disseminato di case
hystories colorate, in quanto anche nella spiegazione del ruolo
che il colore assume nelle prospettive della psicologia, della
semiotica e dell’antropologia, ci siamo avvalsi di esempi
concreti, anche visivi: non ci limitiamo ad una mera
descrizione di ciò che studiosi e tecnici hanno affermato nel
corso del tempo riguardo al colore, ma ne cerchiamo
continuamente le applicazioni pratiche nelle strategie di
marketing reali, in particolare nelle strategie pubblicitarie.
9
CAPITOLO I. LA PSICOLOGIA DEL COLORE
Il colore deve essere indagato da diversi punti di vista, in
diverse direzioni e con metodi appropriati. Queste direzioni si
distribuiscono in tre settori: quello della fisica e della chimica,
quello della fisiologia e quello della psicologia.
Wassily Kandinsky
Una psicologia del colore che abbia l’obiettivo di spiegare in
maniera esaustiva gli effetti che i colori hanno sull’individuo
deve chiarire anzitutto cosa c’è a monte di un processo
psicologico; seguiremo perciò, in questo capitolo, il percorso
che va dalla visione, con cui inizia la relazione dell’uomo col
colore, all’emozione, passando per la sensazione e la
percezione del colore stesso. Questo percorso è in breve il
seguente:
- la materia illuminata riflette una parte della radiazione
ricevuta;
- l’occhio la trasforma in impulsi nervosi attraverso il processo
di visione;
- il cervello e l’organismo reagiscono a questi impulsi
mediante la sensazione;
- la psiche elabora la sensazione in significato: è la fase di
percezione, in cui nasce il concetto di colore;
- la soggettività traduce il colore in emozione.
Per una descrizione organica di questo tragitto ci serviremo
di una serie di discipline: la fisica, per spiegare la natura del
colore come luce, le neuroscienze, per descrivere il sistema
visivo e quello cerebrale, e la psicologia del colore in senso
10
stretto, per capire i significati e le emozioni derivanti dalla
sensazione del colore.
Alcune tra le esposizioni contenute nei paragrafi seguenti, in
modo particolare quelle relative alla fisica e alla visione,
potrebbero apparire fini a loro stesse; in realtà, le nozioni che
verranno presentate saranno riprese in tutto il nostro lavoro, in
quanto strumenti essenziali per una descrizione puntuale degli
effetti del colore sull’individuo. Concetti come quelli di colori
caldi e freddi, che appartengono alla fisica, assumono, come
vedremo, dei significati anche a livello simbolico. Allo stesso
modo, la descrizione del processo di visione che conduce alla
sensazione risulta utile per capire la prevalente oggettività nella
ricezione, da parte dell’uomo, del colore come stimolo: con un
esempio, uno spot televisivo progettato con determinati colori
determina un effetto specifico negli spettatori o ciò non ha
senso nel momento in cui ognuno trae da quei colori esperienze
differenti?
Alla luce di queste considerazioni il titolo del capitolo, La
psicologia del colore, fa riferimento ad una psicologia intesa in
un’accezione molto ampia, che va dalla psico-biologia alla
psicologia sociale, dall’organismo al rapporto tra l’individuo e
il suo contesto; in altre parole, è una psicologia che descrive
come il colore entra ed esce dall’individuo, il suo percorso dal
fuori (il colore come luce) al dentro (il colore-sensazione) e
nuovamente al fuori (il colore-emozione). Ci occuperemo
anche della psicologia del colore come strumento di
persuasione e delle tecniche d’indagine psicologica che
utilizzano il colore, con particolare interesse nei confronti del
test elaborato da Max Lüscher, che ha trovato applicazione nel
campo del marketing a partire dagli anni Cinquanta.
Il nostro è anche un percorso ad ostacoli, in quanto faremo
attenzione ad evitare le teorie pseudo-scientifiche e gli
orientamenti misticheggianti che fanno riferimento al colore;
11
due esempi su tutti, la cromoterapia
1
e una certa deriva della
psicanalisi jungiana: entrambe attribuiscono al colore poteri e
significati non scientificamente provabili (e probabili), perciò
le metteremo senz’altro da parte.
Quello che a noi interessa, l’obiettivo di questo capitolo, è
delineare una psicologia del colore universale, cioè che
definisca quella che Max Lüscher chiama la struttura del
colore: i significati psicologici e fisiologici che i colori
assumono universalmente e che esporremo, alla fine del
capitolo, in una classificazione tassonomica dei colori
principali.
1.1 Il colore come luce
Ogni individuo è immerso in un mare di radiazioni; ne
esistono di grandi e piccole, corte e lunghe. In base alla loro
natura e alla loro interazione con l’ambiente, il sistema visivo
estrae le informazioni dal mondo: esso forma delle immagini
attraverso la luce, che è costituita dalle onde che fanno parte
dello spettro elettromagnetico. All’interno dello spettro [figura
1], le differenti lunghezze d’onda sono percepite dall’uomo
come diversi colori: possiamo perciò affermare che alla base
della visione ci sono i colori, che i colori, in pratica, sono
l’elemento su cui si fonda l’esperienza dell’uomo, almeno per
quanto riguarda il vedere.
1
La cromoterapia ha origini antichissime, poiché le medicine tradizionali
hanno sempre attribuito grande importanza all’influenza dei colori sulla
salute: egizi, greci e romani praticavano l’elioterapia (esposizione alla luce
solare) per la cura di diversi disturbi. Oggi la cromoterapia è una medicina
integrativa che usa i colori per aiutare il corpo e la psiche a ritrovare il loro
naturale equilibrio.
12
Fig. 1 Lo spettro elettromagnetico
Consideriamo nel dettaglio le onde che compongono lo
spettro elettromagnetico; le radiazioni elettromagnetiche
differiscono tra loro per:
1. lunghezza, cioè la distanza tra due onde contigue, che si
misura in manometri (nm);
2. frequenza, ossia il numero di onde al secondo;
3. ampiezza, data dalla differenza tra un picco e un cavo
d’onda.
2
La frequenza determina la quantità d’energia di un’onda: una
radiazione emessa ad alta frequenza (lunghezze d’onda piccole)
ha maggiore quantità d’energia rispetto ad una radiazione
emessa a bassa frequenza (lunghezze d’onda grandi). Esempi
del primo tipo sono i raggi gamma e quelli X, esempi del
secondo tipo sono le onde radar e quelle radio. In ogni caso, il
nostro sistema visivo percepisce soltanto una minima parte
dell’intero spettro: la luce visibile è costituita dalle lunghezze
d’onda comprese tra i 400 e i 700 nm; al di sotto dei 400 nm
2
Bear, M. F. - Connors, B. W. - Paradiso, M. A. 2002 Neuroscienze.
Esplorando il cervello, Milano, Masson. Pag. 292.
13
c’è l’invisibile ultravioletto (detto luce nera), al di sopra dei
700 nm c’è l’infrarosso che avvertiamo sotto forma di calore.
Isaac Newton, intorno al 1660, dimostra per la prima volta,
con un esperimento in laboratorio, che la combinazione della
gamma visibile delle lunghezze d’onda emesse dal sole appare
agli esseri umani come bianco, mentre la luce di una singola
lunghezza d’onda appare come uno dei colori dell’iride: il
magenta (rosso tendente al violetto), l'arancione, il giallo, il
verde, il blu, l'indaco (azzurro tendente al violetto) e il violetto;
possiamo perciò affermare che la luce è colore.
Difficilmente, però, in natura vediamo radiazioni colorate; se
mettiamo da parte fenomeni come quello dell’arcobaleno,
solitamente vediamo superfici colorate, la cui colorazione è
dovuta ad una consonanza tra l’energia della radiazione
illuminante e quella della struttura molecolare della materia
illuminata: nel momento in cui la luce incontra un corpo opaco
dà luogo ad effetti diversi secondo la composizione molecolare
del corpo stesso. Ad esempio, se la luce viene completamente
assorbita dal corpo vediamo il nero, cioè assenza di luce
(ombra), mentre se la luce viene riflessa appare nel suo colore,
il bianco. Stando a queste considerazioni, possiamo affermare
che il bianco e il nero non sono propriamente colori, ma luce e
ombra, e che noi vediamo i colori quando il corpo opaco
assorbe in parte la luce, riflettendone un’altra parte; in assenza
di condizioni di massima luce e massima ombra, infatti, sarà
sempre presente una valenza cromatica. E' bene chiarire che,
parlando di colore, si possono intendere due cose diverse: la
luce, che è il colore vero e proprio, oppure la materia colorante,
ossia il pigmento.
Va detto, inoltre, che i colori assumono strutture differenti in
base alle cose che risultano colorate; secondo la classificazione
di David Katz [1930]
3
queste strutture sono:
3
Psicologo tedesco, appartenente alla scuola della Gestalt, autore de La
struttura del mondo dei colori [1930].
14
- superficiale, quando il colore è bidimensionale, come quello
che caratterizza la superficie della materia;
- volumetrico, se il colore è tridimensionale, come quello del
vino;
- filmico, quando il colore è privo di definite caratteristiche
spaziali, come quello del cielo.
1.1.1 Colori caldi e colori freddi
I colori dell'iride e tutte le loro sfumature nello spettro sono
colori puri, perché non contengono né il bianco né il nero; essi
si distinguono in colori caldi e colori freddi: un colore caldo
(magenta, arancione e giallo) è costituito da luce ad onde
lunghe ed ha quindi minor energia rispetto ad un colore freddo
(verde, blu, indaco e violetto). Dal punto di vista fisico, dal
rosso al violetto le radiazioni dello spettro visibile provenienti
dal sole hanno lunghezze d’onda via via sempre più piccole; in
ogni caso esse presentano tutte uguale intensità e i colori dello
spettro visibile sono tutti saturi (hanno il massimo contenuto
cromatico, la massima purezza). Tuttavia, poiché il nostro
occhio è particolarmente sensibile alle radiazioni centrali dello
spettro, queste ci appaiono più luminose, mentre quelle più
lunghe, cioè verso il rosso o meno lunghe, verso il violetto, ci
sembrano meno brillanti.
Sul piano degli effetti psicologici, come vedremo più avanti a
proposito della sensazione, l’azione dei due gruppi di colori è
profondamente differente e ciò dipende delle onde che li
compongono: i colori caldi suscitano eccitazione, gioia e
impulsività; i colori freddi suscitano invece calma, inerzia,
tristezza e riflessione.
15
1.1.2 Sintesi additiva e sintesi sottrattiva
Newton, attraverso il suo esperimento, dimostra che i colori
possono essere generati mediante la sovrapposizione di fasci di
luce: questo metodo è conosciuto come sintesi additiva.
4
I
colori fondamentali utilizzati nella sintesi additiva, detti
primari in luce, sono il rosso, il verde e il blu, generalmente
abbreviati nella sigla RGB, data dalle iniziali dei loro nomi in
inglese (red, green, blue). Dalla fusione delle tre luci colorate si
ottiene il bianco e per miscelazione possiamo ottenere altri
colori, detti secondari in luce: il rosso unito al blu produce il
magenta, unito al verde il giallo e il verde, sommato al blu,
produce il ciano [figura 2]. Anche la somma di un primario con
un secondario (ottenuto dalla somma degli altri due primari)
genera il bianco: questo primario e secondario sono tra loro
colori complementari;
5
il nero, infine, è dato dall’assenza di
luce.
4
Le prime sperimentazioni sui processi della sintesi additiva e di quella che
definiremo sintesi sottrattiva saranno effettuate da James Clerk Maxwell,
fisico scozzese, alla fine del 1800.
5
La definizione è riconducibile al periodo in cui gli impressionisti, alla fine
del XIX secolo, cominciano ad utilizzare una tecnica di pittura basata sul
principio della persistenza cromatica: se su un foglio bianco (somma
spettrografica di tutti i colori) si dipinge un cerchio rosso e poi lo si guarda
alla luce per qualche secondo, nel momento in cui si gira il foglio si vedrà la
sagoma del cerchio (ancora impressa sulla retina), ma di colore verde. Ogni
volta che guardiamo un colore a lungo, infatti, il nostro occhio vede anche il
suo complementare: se si fissa per qualche minuto un oggetto rosso, sulla
nostra retina si formano delle macchie verdi; per questo motivo i chirurghi
indossano un camice verde: durante gli interventi vedono il sangue per
molte ore e il colore dei camici aiuta a neutralizzare le macchie dello stesso
colore che si formano sulla retina.
16
Fig. 2 Miscelazione del colore nella sintesi additiva
Newton rappresenta i sette colori dello spettro distribuendoli
su un disco, suddiviso in spicchi di grandezze differenti per le
diverse lunghezze d’onda dei colori: ruotando velocemente il
disco si vede il colore bianco. Il suo è il primo diagramma
cromatico per una tassonomia dei colori [figura 3];
successivamente, altri teorici elaborano dei sistemi di colore
più completi rispetto a quello di Newton, di cui parleremo nel
prossimo capitolo.
Fig. 3 Il disco dei colori di Newton
17
La sintesi additiva è utilizzata per la realizzazione dei colori
per i monitor (televisori e computer), ma esiste un altro tipo di
sintesi che utilizza i pigmenti per la produzione dei colori su
carta, quella sottrattiva [figura 4].
Fig. 4 Miscelazione del colore nella sintesi sottrattiva
Questo modello riguarda la materia e la sua capacità di
assorbire una parte delle radiazioni luminose. Se in sintesi
additiva si parte dall’assenza di luce, cioè dal nero, per arrivare
al bianco come somma di tutti i colori, in sintesi sottrattiva si
parte dal bianco e poi, sottraendo le radiazioni cromatiche, si
giunge al nero: se sovrapponiamo due colori primari della
sintesi additiva, otteniamo un secondario che corrisponde ad un
primario in sottrattiva, e viceversa. Vediamo in cosa consiste
questo passaggio: la radiazione del rosso e quella del verde
(primari in luce), sovrapposte, danno vita ad una luce gialla; il
blu e il verde danno vita al ciano e il rosso, sommato al blu,
genera il magenta. Giallo, ciano e magenta sono i primari in
materia. Il procedimento, come accennavamo, è anche inverso:
se sommiamo due primari della sintesi sottrattiva otteniamo dei
secondari che sono anche i primari in luce. In breve: il giallo e
il ciano, sommati, generano il verde, il magenta e il giallo
18
generano il rosso e il ciano, unito al magenta, dà vita al blu. Il
nero si ottiene dalla somma di due primari, ma anche dalla
somma di un primario con il secondario ottenuto dalla
mescolanza degli altri due primari: questi primario e
secondario, tra loro, sono complementari. Il bianco non è
ottenibile per sintesi sottrattiva e per realizzarlo si utilizza un
pigmento apposito che è detto fondamentale.
1.2 La visione del colore
Il tema della visione è stato sempre centrale nella cultura
umana: il vedere, a lungo, è coinciso col conoscere, da qui il
primato della vista sui cinque sensi.
6
La visione è dunque
l’elemento fondante dell’esperienza umana. Per quanto
riguarda i colori, senza la vista non ne avremmo esperienza;
ecco allora che risulta necessario descrivere il funzionamento
dell’occhio, anche se il meccanismo secondo cui un colore è
visto e riconosciuto come tale non è ad oggi ben compreso.
L’unica certezza scientifica concerne il processo di visione in
generale, cioè il processo attraverso cui l’input-immagine
arriva al cervello come informazione.
Vediamo, in maniera estremamente sintetica, come nasce
questa informazione: la luce che proviene dallo stimolo visivo
è messa a fuoco nella parte posteriore dell’occhio, in
corrispondenza della cornea; essa deflette i raggi luminosi in
arrivo, in modo che colpiscano la retina: mentre buona parte
dell’occhio può essere considerata una sorta di macchina
fotografica, la retina è più d’una pellicola, è una parte del
cervello; in essa la luce si trasforma in informazione neurale
(segnali nervosi) che viene trasmessa al cervello. Sul
6
Luzzatto, L. - Pompas, R. 2001 Il colore persuasivo, Milano, Il Castello.
Pag. 13.
Rookes, P. - Willson, J. 2002 La percezione, Bologna, Il Mulino. Pag. 9.
19
funzionamento della retina, però, sorgono i problemi: andiamo
ad analizzare due teorie della visione dei colori che descrivono
la retina in modo differente; questo vuol dire che non abbiamo
ancora chiaro il processo attraverso cui si forma l’esperienza di
un colore, anche se questa esperienza sembra essere la stessa
per tutti gli individui.
1.2.1 La teoria tricromatica
Secondo la teoria tricromatica, avanzata dallo scienziato
inglese Thomas Young nel 1802 e raffinata dal fisiologo
tedesco Hermann von Helmholtz, nella retina ci sono due tipi
di fotorecettori, vale a dire cellule sensibili alla luce:
- i coni, deputati alla visione diurna e alla percezione dei
colori, che si distinguono in tre classi a seconda del pigmento
contenuto: sensibile alle onde lunghe, medie o corte della
luce visibile, cioè al rosso, al verde e al blu, i colori primari
in luce;
- i bastoncelli, che permettono di vedere in condizioni di luce
scarsa, ma solo in bianco e nero, perché non sensibili al
colore: essi sono responsabili della visione acromatica o
crepuscolare, che permette di definire il contorno delle cose
per mezzo del contrasto di chiaro e scuro.
Il numero di coni e di bastoncelli varia da persona a persona
e per questa ragione la percezione del colore non è mai
identica, ma solo simile tra diversi individui.
Secondo questa teoria, ogni tipo di cono reagisce tanto più
intensamente quanto maggiore è la presenza del colore
corrispondente nello stimolo visivo; se lo stimolo contiene
energia proveniente da tutte le regioni dello spettro, tutti e tre i
tipi di recettori si attivano e ne consegue la sensazione di
bianco, mentre la loro stimolazione differenziata determina la
sensazione degli altri colori: se vengono stimolati i recettori del
20
verde e del rosso, la sensazione che ne consegue è quella di
giallo. Richard L. Gregory spiega questo fatto con un esempio
che distingue il funzionamento dell’occhio rispetto a quello
dell’orecchio: mentre due suoni non possono fondersi per dare
luogo ad un terzo (dalla loro unione nasce un accordo di cui
sono riconoscibili gli elementi costitutivi), dalla mescolanza di
due colori può invece derivare un altro colore che non permette
di riconoscere i costituenti iniziali. Un limite di questa teoria è
che non riesce a spiegare alcuni difetti della vista come il
daltonismo:
7
i daltonici non distinguono il rosso dal verde, ma
vedono benissimo il giallo che, come abbiamo detto, dovrebbe
dipendere dalla mescolanza del rosso e del verde. La teoria di
Young-Helmoltz, inoltre, ha un’altra carenza, in quanto
permette di ottenere tutti i colori dello spettro, ma non tutti i
colori che vediamo, poiché mancano il marrone e i colori
metallici.
1.2.2 La teoria quadricromatica
Questa teoria della visione è proposta da Ewald Hering nel
1878, per poi essere raffinata da Leo Hurvich e Dorothea
Jameson nel 1957. Anche detta teoria delle coppie di colori
antagonisti, sostiene che la visione è legata a processi chimici
di dissimilazione (distruzione) e assimilazione (costruzione,
rigenerazione) di tre sostanze contenute nella retina, sotto
l’azione di radiazioni di diversa lunghezza d’onda: vi sarebbe
una sostanza rosso-verde, una giallo-blu e una bianco-nera.
Hering osserva che quest’ultima diventa bianca sotto
7
Le anomalie cromatiche più diffuse, oltre al daltonismo (o dicromatismo)
sono: l’acromatopsìa (cecità totale ai colori), la protonopìa (assenza o
riduzione della sensibilità dei coni relativi al rosso), la deuteronopìa
(assenza o riduzione della sensibilità dei coni relativi al verde) e la
tritonopìa (assenza o riduzione della sensibilità dei coni relativi al blu).
21
l’influenza dei colori luminosi (processo di dissimilazione) e
ricostituisce il proprio colore quando esposta ai colori scuri
(processo di assimilazione): la luce ha un effetto distruttivo,
mentre l’oscurità ha un effetto rigenerativo. Lo stesso effetto,
secondo Hering, si ha con le altre due sostanze; al processo di
dissimilazione della sostanza rosso-verde corrisponde
l’esperienza del rosso (e a quello di assimilazione l’esperienza
del verde), la scomposizione della seconda sostanza darebbe
luogo alla sensazione del giallo (e la sua ricostruzione alla
sensazione del blu). I processi di assimilazione e di
dissimilazione sono concepiti come antagonisti perché non si
fondono, ma si annullano a vicenda. Questo contrasto è
applicabile a tutti i colori, a seconda della loro luminosità e
oscurità, ed è definito fenomeno di opponenza cromatica: certi
abbinamenti non possono mai essere percepiti dato che, ad
esempio, non è possibile avere la percezione di un verde-
rossastro o di un giallo-bluastro, mentre sono percepibili il
rosso-bluastro (magenta), il giallo-rossastro (arancione) o il
verde-bluastro (viola); la luce rossa e quella verde possono
invece essere mescolate in modo che ogni traccia del rosso e
del verde scompaia e si percepisca un giallo puro. Grazie alla
teoria quadricromatica si possono spiegare, a differenza di
quanto avvenga con la teoria tricromatica, fenomeni come il
daltonismo; oltretutto la teoria delle coppie di colori antagonisti
è accreditata dai risultati ottenuti attraverso il test dei colori di
Max Lüscher (di cui parleremo più avanti).
Oltre alla teoria dell’opponenza cromatica Hering formula la
teoria del contrasto cromatico simultaneo
8
, un fenomeno che si
osserva ai margini della sagoma di un oggetto: un oggetto
grigio visto su uno sfondo rosso acquista una sfumatura di
verde, visto su uno sfondo verde, una sfumatura di rosso. In
queste condizioni, i colori delle tre coppie rosso-verde, giallo-
8
Questo fenomeno è analizzato per la prima volta da Eugene Chevreul a
metà del 1800.