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Introduzione
Nell’attuale contesto storico, l’intera società umana sta attraversando, in tutti i
settori, un periodo di enorme instabilità e incertezza, amplificata dalla portata
universale che assumono intanto problemi a causa della globalizzazione e della
rapida diffusione delle informazioni attraverso le reti mediatiche. È in questo
attuale momento storico, così confuso e instabile, che si ripresenta la secolare
questione dei rapporti tra mondo occidentale (un tempo cristiano, ma oggi ciò non
è più scontato) e mondo islamico (che al suo interno risulta essere molto più
eterogeneo di quanto risulti a noi occidentali), a causa dei recenti e tragici
avvenimenti che hanno causato il riemergere di antiche paure. L’errore più grande
che si può commettere è quello di rinchiudersi in se stessi e di far finta di niente:
questi problemi ci riguardano invece in prima persona e devono spingerci a
interrogarci.
Purtroppo, il mondo occidentale, e soprattutto il ‘Vecchio Continente’, appare
oggi stanco, immobile nel suo benessere materiale, tutto sembra scontato ma al
contempo piatto, poco entusiasmante, monotono, e le grandi domande
sull’esistenza e sul fine ultimo della nostra vita sembrano messe da parte, perché
ciò a cui si mira è la creazione di un mondo ideale (nel senso letterale del termine)
ma disincarnato, realizando un utopico paradiso terrestre. Sarebbe invece
opportuno chiederci: chi siamo? Che cosa stiamo facendo? Verso dove stiamo
andando?
Anche il mondo islamico, dal Maghreb fino all’Afghanistan e anche oltre, sta
attraversando forti tensioni: gli stati, sorti in questa enorme area geografica a
seguito del contatto con l’Occidente, sono al loro interno molto instabili e le
istituzioni politiche molto fragili e in esse il terrorismo di matrice islamica può
facilmente infiltrarsi.
Anche li, ma in maniera diversa che nel mondo occidentale, vi è una crisi di
identità che si cerca di riacquistare anche con la guerra, trovando nella civiltà
occidentale il primo capro espiatorio: ovviamente, la crisi politica, economica e
culturale dell’universo islamico ha soprattutto radici interne, perché molti paesi
islamici non sono riusciti a raccogliere le sfide della modernità e, in questa crisi e
in mancanza di uno scopo ben preciso, molti giovani diventano facili prede dei
signori della guerra.
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È opportuno favorire dunque un autentico dialogo religioso, filosofico e culturale
tra i due mondi (tenendo conto del fatto che essi non sono dei blocchi monolitici e
che sussistono caratteristiche particolari all’interno dei rispettivi universi) e
produrre la definizione, qualora sia possibile, delle rispettive identità, perché il
conflitto, che non si deve sempre evitare qualora sia fonte di crescita e di
rinnovamento, venga condotto con la parola. Piuttosto che tendere verso una
infeconda uniformazione, verso un melting pot religioso, filosofico e culturale, si
deve al contrario sottolineare ed evidenziare le differenze, perché sono le
differenze, i contorni, i limiti che rendono possibile la conoscenza e la costruzione
di ponti, ed eliminare le differenze significa annientare di fatto le identità: non è
certo eliminando le differenze che si giunge al rispetto delle differenze.
Non è la prima volta che il mondo occidentale e quello islamico si incontrano e si
scontrano e non sempre il contatto tra le due culture è stato disastroso: lo stesso
Islam, sin dalla sua nascita in seguito alla predicazione del profeta Muḥammad, è
entrato in contatto con la cultura occidentale (che si tratti della filosofia greca o
della religione cristiana), che è giunta nella penisola arabica, luogo di nascita della
religione e della cultura islamica, attraverso l’Egitto e la Siria; né va dimenticata
la presenza dell’Impero bizantino, vicino di casa del futuro “impero islamico”.
Nel Corano stesso e negli aḥadīth ( ث ي دح أ ) del profeta sono presenti molti
riferimenti al Cristianesimo, che si diffuse, grazie alla predicazione degli apostoli,
nei territori che in seguito sarebbero stati inglobati nei domini islamici: la
religione di Cristo giunse nella penisola arabica, in Siria, in Mesopotamia anche
attraverso chiese considerate eretiche da un punto di vista generale, o per meglio
dire, al tempo della prima diffusione dell’Islam, non aderenti al credo niceno-
costantinopolitano (così come è stato definito dal concilio di Nicea del 326 d.C.
che aveva condannato la posizione del vescovo Ario), come le chiese nestoriane,
ariane e monofisite. Sempre attraverso gli stessi territori, anche la filosofia greca
giunse nel futuro universo islamico: questo incontro tra Islam e filosofia greca ha
generato il faylasūf ( فوسلي ف ), colui che si confronta con il pensiero e la tradizione
filosofica greca assumendone gli schemi mentali e discutendone le problematiche:
questi autori hanno avuto la particolarità di approcciarsi al testo sacro, il Corano,
non solo da un punto di vista “teologico” o “giuridico”, ma anche attraverso la
ragione, senza dimenticare che, prima ancora che essere filosofi, questi autori
erano credenti.
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Per quanto riguarda il mondo cristiano occidentale e orientale (in seguito cattolico
e ortodosso), bisogna dire che in una prima fase il rapporto con il mondo islamico
è stato molto conflittuale: questo periodo apologetico è di lunga durata e si
estende dal VII secolo al XIV secolo e ha visto gli autori cristiani (tra cui molti
autori di lingua araba) impegnati nella difesa dei dogmi della loro fede e nella
confutazione dell’Islam, considerato per lungo tempo una «eresia cristiana», come
testimonia la catena «satana-Ario-Muḥammad-Anticristo».
Nonostante le dispute teologiche che impegnarono i cristiani (ma anche i
musulmani), non si può negare che il contatto con l’universo islamico non abbia
giovato all’Occidente: la filosofia e la letteratura occidentale medievale latino-
cristiana si sono nutrite di elementi islamici
1
e questo ha portato alla nascita della
Scolastica, corrente filosofica che ha visto il rifiorire degli studi filosofici che ha
portato alla riscoperta di Aristotele, le cui opere sono state tradotte dall’arabo al
latino.
Non si tratta allora di due universi del tutto separati e non comunicanti: nel mondo
e nel pensiero islamico (che all’apice del suo splendore ha raggiunto l’attuale
penisola iberica) sono presenti tracce del pensiero greco e cristiano e nel mondo
occidentale sono presenti tracce del pensiero islamico, che hanno contribuito allo
sviluppo della Scolastica. In alcuni momenti storici, pensatori cristiani e
musulmani hanno persino frequentato le stesse scuole e cooperato allo sviluppo
filosofico, teologico e scientifico, come nel caso della città di Bagdad nel IX
secolo, che divenne un fiorentissimo centro di studi, ma bisogna anche ricordare
la Spagna, in particolar modo la città di Cordoba (che possedeva una ricchissima
biblioteca) e la Sicilia al tempo dei Normanni e di Federico II.
Per meglio comprendere la storia delle relazioni tra l’occidente cristiano e il
mondo islamico, è impossibile non fare riferimento al concetto di Dio nella
1
È interessante, a tal proposito, lo studio condotto da Miguel Asìn Palacios, sacerdote, storico e
arabista spagnolo: in La Escatologia Musulmana en la Divina Comedia (1919), Asìn Palacios
sostiene che il capolavoro di Dante sia stato influenzato da alcuni scritti provenienti da ambiente
islamico, i quali sono giunti in Europa attraverso la Spagna, centro della cultura islamica nel
Vecchio Continente. Questi scritti, conosciuti come Liber Scalae Machometi (“scala” ha il senso di
scalata al cielo), narrano del viaggio del profeta dell’Islam (cui si accenna alcune sure del Corano)
nei regni dell’al di là effettuato con il Burāq, animale leggendario, e potrebbero avere influenzato
la struttura dell’aldilà dantesco.
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teologia e nella filosofia islamica e cristiana: le differenze tra il concetto di
Unicità e quello di Trinità sono considerevoli e la stessa visione del mondo, della
salvezza e della relazione con Dio cambiano enormemente a seconda che si
assuma un punto di vista o l’altro: è importante capire come i rispettivi mondi, a
partire dalle proprie concezioni teologiche, si percepiscano l’un l’altro e, a partire
da questa relazione, percepiscano se stessi. Le due diverse concezioni della
divinità (un Dio unico per l’Islam, un Dio uno e trino per la maggior parte delle
confessioni cristiane) hanno generato, nel corso dei secoli, numerose
incomprensioni tra cristiani e musulmani e feroci attacchi da una parte e dall’altra,
che hanno prodotto numerosi pregiudizi tutt’ora esistenti.
È proprio questo il filo rosso che voglio seguire, quello della reciproca percezione
del mondo occidentale e del mondo islamico nel corso dei secoli tenendo conto
dei concetti fondamentali della fede cristiana, la Trinità e l’Incarnazione del
Verbo, e della fede islamica, l’Unicità di Dio e la sua assoluta trascendenza:
intendo dunque soffermarmi non soltanto sui punti di contatto, ma anche sulle
differenze, perché oggi, a causa di una superficialità dilagante e di una errata
interpretazione del dialogo inter-religioso, che sembra più che altro una
confusione inter-religiosa, non si riesce spesso a distinguere una religione da
un’altra. Oltre ai concetti di Unicità e Trinità, intendo anche sottolineare la diversa
concezione della rivelazione, della profezia, della storia della salvezza e del testo
sacro nelle due religioni, ma sempre tenendo conto dei loro rispettivi pilastri, a
partire da quali si costruisce tutto l’impianto teologico.
Lo smarrimento dell’uomo contemporaneo, disperso in un oceano d’informazione,
ha causato anche, in certi casi, la perdita della propria identità religiosa: essendo
“tutto uguale”, una scelta vale l’altra ed essere cristiano, musulmano, buddhista,
shintoista è, secondo molte persone, la stessa cosa, perché “l’amore è alla base di
ogni religione” e, anche se Dio viene chiamato in diversi modi, in fondo tutte
tendono allo stesso fine, mentre invece i problemi sono molto più grandi e vanno
affrontati con cognizione di causa e non con superficialità.
Il dialogo islamo-cristiano è dunque ancora oggi molto importante e attuale e
risale al VII secolo d.C.: il nucleo della mia trattazione sono i concetti di «unicità»
e «trinità», a partire dai quali intendo sviluppare la mia argomentazione, che mira
a sottolineare i problemi del dialogo inter-religioso, perché è chiaro che credere in
un Dio uno e unico, assolutamente trascendente, o in un Dio uno e trino che
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assume la natura umana per redimere l’uomo non è affatto la stessa cosa. È
necessario il rispetto, ma lo è anche la chiarezza dottrinale: in un mondo che tende
sempre più all’omologazione, è bene invece soffermarsi anche su ciò che
distingue una cosa da un’altra. Le due religioni contengono numerose e importanti
differenze che devono essere sottolineate per una reale comprensione del
Cristianesimo e dell’Islam e, conseguentemente, dei loro rapporti nel passato e nel
presente. Senza questi presupposti, non vi può essere un autentico dialogo: in
un’epoca travagliata come la nostra, attraversata da numerosi conflitti (sociali,
economici, politici, religiosi), è opportuno interrogarsi profondamente sulla
propria identità, perché eliminando le differenze non si risolvono i problemi ma si
costruisce una calma piatta.
Nella prima parte, tutta incentrata sull’Islam, tratterò dettagliatamente del concetto
di tawḥīd, termine arabo utilizzato per designare l’unicità di Dio, e dei diversi
tentativi di spiegare questo concetto attraverso la «teologia» (in arabo ملاكل أ م لع ,ʿilm
al-kalām, letteralmente «scienza della parola» o «scienza del discorso») nelle sue
varianti muʿtazilita e ašʿarita. Mi soffermerò anche sul Corano, testo sacro
dell’Islam, al quale tutti nel mondo islamico fanno riferimento, intellettuali e non,
e che per il credente è un libro vivo, in quanto Parola di Dio. Non è secondario
comprendere il rapporto che lega un musulmano al suo testo sacro, perché il Libro
svolge nell’Islam il ruolo di intermediazione che nel Cristianesimo svolge Cristo,
Verbo incarnato e unico mediatore tra Dio e l’uomo. Per quanto riguarda il punto
di vista islamico sul Cristianesimo nel Medioevo, farò riferimento a due opere: la
prima è Una brillante confutazione della divinità di Gesù sulla base del testo del
Vangelo, attribuita (non con certezza assoluta) al grande riformatore dell’Islam al-
Ghazzālī, il quale vi utilizza numerose citazioni tratte dal Corano, dal Vangelo
(soprattutto di Giovanni) e da altri passi della Bibbia e ricorre anche, per dar forza
alle sue argomentazioni, ad espressioni ebraiche, copte ed aramaiche per
ricondurre la figura di Gesù alla sua umanità, spogliandola della sua divinità, in
quanto nell’Islam Gesù non è considerato il Figlio di Dio ma un semplice profeta,
seppur il più grande prima di Muḥammad.
La seconda è Il giardino della purezza (in arabo Rawzat al-Safā, ءاف سلأ ةزو ر) di
Mirkhond, scrittore persiano vissuto nel XV secolo: in questa opera, l’autore
traccia una storia universale in sette volumi partendo dalla creazione del mondo e
si sofferma su molti passi dell’Antico e del Nuovo Testamento. Per questo motivo,
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nella traduzione italiana a partire dalla versione in francese dell’opera (tenendo
conto anche della versione inglese), è presente il sottotitolo che orienta la lettura
La Bibbia vista dall’Islam.
Al termine della prima parte, mi soffermerò sulla contemporaneità dell’Islam e
sulle attuali sfide che la modernità impone attraverso il testo Les musulmans –
Consultation islamo-chrétienne, una discussione tra l’abate Youakim Moubarac e
alcuni intellettuali musulmani contemporanei quali Muhammad Arkoun, Hasan
Askari, Muhammad Hamidullah, Hassan Hanafi, Muhammad Kamel Hussein,
Ibrahim Madkour e Seyyed Hossen Nasr: il discorso verte sui problemi del
dialogo islamo-cristiano e sulle tematiche discusse nel corso dei secoli, ancora
attuali e irrisolte.
La seconda parte sarà invece dedicata interamente al Cristianesimo: illustrerò
dapprima i tentativi degli apologeti arabi-cristiani di rispondere alla nuova
religione e le difficoltà che essi incontrarono per parlare della Trinità e
dell’Incarnazione, del tutto inconcepibili per la rivelazione coranica e difficili da
rendere in lingua araba. I credenti musulmani, infatti, con cui si rapportarono i
cristiani arabi, ritenevano l’arabo lingua sacra con la quale Dio stesso aveva
dettato il Corano al profeta Muhammad in stato di estasi e per questo i termini già
carichi di significato non potevano essere utilizzati con altri significati. In seguito
mi soffermerò su alcuni autori che ebbero, nel corso dei secoli, contatti con
l’Islam, come il filosofo arabo-cristiano al-Kindī, che scrisse l’Apologia del
Cristianesimo, l’abate di Cluny Pietro il Venerabile, che commissionò la prima
traduzione in latino del Corano, e l’imperatore bizantino Michele II Paleologo,
che verso la fine del XIV secolo ebbe una serie di dialoghi con un maestro
persiano ad Ankara sulla visione di Dio nel Corano e nella Bibbia, raccolti in
un’opera che, appunto, si intitola Dialoghi con un musulmano. Giungerò alla
contemporaneità, quando si sono aperte, in seguito al Concilio Vaticano II, nuove
prospettive nei rapporti islamo-cristiani e nuove interpretazioni del Corano e del
suo messaggio religioso (ovviamente da un punto di vista cattolico) che hanno
portato alla rivalutazione del profeta Muḥammad, per secoli considerato
strumento del diavolo. Lo farò attraverso l’opera di Giulio Basetti-Sani intitolata
Maria e Gesù figlio di Maria nel Corano: il frate francescano, che ha dedicato la
sua vita al dialogo islamo-cristiano, legge il Corano alla luce di Cristo e vede
l’opera del profeta dell’Islam come un catecumenato al Cristianesimo. Infine,
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intendo soffermarmi sui problemi del dialogo inter-religioso in un’Appendice,
nella quale tratterò della Dominus Iesus, importante documento della
Congregazione per la Dottrina della Fede, che ribadisce l’universalità e l’unicità
della missione salvifica di Gesù Cristo. Tale missiva influenza i rapporti con le
altre esperienze religiose, che secondo questa concezione acquistano il loro
significato soltanto in riferimento all’incarnazione, morte e risurrezione di Gesù
Cristo. Si tratta dunque di una visione dell’ecumenismo ben diversa da quella a
cui siamo abituati e che spesso è anche disposta a rinunciare ad alcuni elementi
fondamentali della dottrina che la Chiesa trasmette da secoli. In questo documento
si percepisce la schiettezza e la chiarezza dottrinale dell’allora presidente della
Congregazione per la Dottrina della Fede Joseph Ratzinger, che mette sempre in
guardia i fedeli da quel ‘supermarket’ delle religioni dal quale ognuno prende ciò
che gli conviene e da un ecumenismo che si raggiunge sacrificando ciò che invece
costituisce il fondamento stesso della fede della Chiesa.
Certamente un corretto dialogo non vuol dire soltanto prendere atto delle possibili
convergenze tra Islam e Cristianesimo e pensare che questo sia sufficiente per una
reciproca comprensione: la condizione preliminare è rendersi conto dei motivi che
oppongono le due religioni e delle differenze, che non sono certo di poco conto,
per non cadere in un facile quanto sterile abbraccio universale. Le due religioni si
oppongono proprio su due figure chiave, Gesù Cristo per i cristiani e Muḥammad
per i musulmani: il primo è per i cristiani il Figlio di Dio e il salvatore del mondo,
mentre per i musulmani è un profeta, seppur nobilissimo; il secondo è per i
musulmani l’ultimo dei profeti, mentre per un cristiano riconoscere Muḥammad
come profeta, addirittura come sigillo dei profeti, equivarrebbe a convertirsi
all’Islam
2
.
È chiaro dunque che le difficoltà non mancano: innanzitutto è di ordine teologico
quella che concerne il monoteismo, concetto che in un dogma trinitario si sviluppa
diversamente rispetto ad una religione che professa l’assoluta unicità e
trascendenza di Dio. Vi sono anche difficoltà di carattere linguistico, perché
termini come «fede», «rivelazione», «ispirazione», «parola divina», «profeta»
assumono nella lingua araba e nell’interpretazione islamica significati
2
L’apostolo Paolo dice, nella Lettera ai Galati: “Ma se anche noi stessi, oppure un angelo dal cielo
vi annunciasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anàtema!” (Galati 1,
8).
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e sfumature differenti, per cui il teologo o qualunque studioso che si occupa
dell’Islam deve avere un’ esatta conoscenza di un altro linguaggio: sebbene le
parole siano le stesse, queste si rivolgono a realtà e a concetti che non sempre
coincidono. Oltre questo, vi è anche una differente concezione cosmologica,
antropologica e della «congregazione comunitaria», in quanto la umma ( ة م أ)
islamica non coincide con l’ἐκκλησία cristiana. Da queste divergenze si
sviluppano differenti visioni dei problemi della vita e della storia,
conseguentemente legate al diverso modo di concepire il monoteismo: di tutto
questo non si può non tener conto se si vuole affrontare seriamente la questione.
Numerosi sono i particolari di importanza decisiva che separano le visioni
dottrinali e rendono difficile trovare i punti di conciliazione, che dipendono in
gran parte dal contrasto tra Trinità e Unicità, Incarnazione e Trascendenza, cioè
concetti che influenzano il rapporto che si instaura tra Dio e l’uomo e dell’uomo
con il mondo. In sintesi, le questioni principali che sono state discusse dai cristiani
in riferimento all’Islam sono: il profeta Muḥammad e la sua missione, il Corano e
il suo significato religioso, il Dio dell’Islam e la fede islamica, la morale islamica
e la salvezza nell’Islam; mentre le opinioni tradizionali dei musulmani sul
Cristianesimo riguardano le Scritture cristiane e la loro autenticità, la fede
cristiana (monoteismo e trinità), la natura di Gesù e la questione della sua
crocifissione, la salvezza cristiana nell’altro mondo e lo statuto dei cristiani
all’interno del mondo musulmano (dhimma, ة م ذ)
3
.
Entrando nei particolari, nell’Islam la nozione di peccato è in larga parte esteriore
e legale e dipende dal rispetto delle prescrizioni della Legge (sharīʿa, ة ع ي رس,
letteralmente «via diritta») stabilite da Dio, mentre nel Cristianesimo vi è una
tensione tra la legge della grazia e quella del peccato che lottano all’interno del
cuore dell’uomo
4
, cosicché il problema viene interiorizzato e all’uomo tocca
lottare con l’aiuto della grazia contro il peccato per purificare il suo interno:
3
Cfr. Y. Moubarac, Les musulmans – Consultation islamo-chrétienne (entre M. Arkoun, H. Askari,
M. Hamidullah, H. Hanafi, M. K. Hussein, I. Madkour, S. H. Nasr), in Verse et controverse 14,
Beauchesne, Parigi 1971, pp. 39 e 49.
4
per es. cfr. Romani 7, 21-3: “Dunque io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il
male è accanto a me. Infatti nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, ma nelle mie membra
vedo un’altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge
del peccato, che è nelle mie membra”.
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l’ascetismo cristiano è motivato da questa necessità della lotta per conseguire la
salvezza e il Regno di Dio.
Anche se non tutti sono d’accordo, molti studiosi occidentali pensano che l’Islam,
dopo la tensione escatologica delle origini e le intense aspirazioni spirituali del
profeta, ha favorito alcuni compromessi tra fede e necessità sociali a causa del
debolezza dei primi musulmani, mentre per quanto riguarda la grazia essa dipende
dalla benevola trascendenza di Dio e da una sua scelta: ignorando le conseguenze
del peccato originale, il credente musulmano non si apre alle iniziative della
grazia per sconfiggere le passioni della carne e superare la natura umana e la
perfezione consiste nel restare all’interno dei limiti della Legge di Dio. Per questo
l’Islam non vede di buon occhio l’ascetismo, che può essere avvertito come una
forma di presunzione, tanto che è diffuso il detto lā rahbāniyya fi-l-islām ( ة ي ن ابهر لا
ملاسلا أ ي ف ), «nessun monachesimo nell’Islam».
Anche per quanto riguarda la fede vi sono delle divergenze: nell’Islam, la
posizione dottrinale più diffusa è che essa basti da sola per ottenere la salvezza,
perché è la professione di fede che rende musulmani, mentre nel Cristianesimo la
fede, essere efficace, deve essere accompagnata dalle opere (tenendo però sempre
conto che è solo a partire dal sacrificio di Cristo che l’uomo può salvarsi e che le
opere manifestano la piena accoglienza della sua redenzione: non si tratta dunque
di salvarsi con le proprie forze).
Bisogna prendere atto di queste differenze, che non sono di poco conto: quando si
assume una determinata dottrina, i propri ragionamenti sono necessariamente
legati all’orizzonte di fede in cui si è immersi, e questo influisce sicuramente
anche sul modo di intendere il dialogo inter-religioso, perché si riconduce l’altra
religione alle categorie mentali della propria e attraverso di esse la si interpreta
Deve dunque essere sempre presente la seguente domanda: è davvero possibile, o
ancora meglio, è davvero necessario un punto di incontro? Perché in molti casi
significherebbe, da una parte o dall’altra, smettere di essere cristiano o
musulmano. Cristianesimo e Islam: questo dialogo è possibile?