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quindi tutti i numeri trascendenti sono irrazionali, mentre non valgono le
proposizioni inverse; di conseguenza, l’insieme dei numeri reali è così
rappresentabile:
È da osservare che questo grafico non restituisce a livello visivo una
caratteristica importante dei trascendenti, ossia che essi sono la maggioranza
dei reali, anzi ne costituiscono la quasi totalità, come vedremo più avanti.
Da un punto di vista storico, la nascita e l’evoluzione del
concetto di numero trascendente hanno seguito pressappoco quelle di tutta
l’analisi, e i risultati veramente rilevanti sono giunti solo in tempi alquanto
recenti. Come abbiamo visto, la definizione di numero trascendente
presuppone quella di numero reale, quindi la sua comprensione è proceduta
scontando gli stessi equivoci, che nascevano dal fatto che si usavano
indifferentemente numeri intesi come lunghezze di segmenti e numeri intesi
come allineamenti di cifre, perlopiù derivanti da operazioni su naturali. Per
noi oggi è chiaro che si stavano usando due sistemi diversi e con origini
separate, uno nella geometria e l’altro nell’algebra, l’associazione tra i quali è
così intuitiva che era difficile discernerli. Il riconoscimento che i numeri
ottenuti dai naturali con successive estensioni algebriche non sono
sufficienti a trattare le grandezze geometriche, è coinciso in buona parte con
il riconoscimento della diversa natura dei due tipi di numeri, e ha chiuso il
lungo cammino dell’integrazione tra geometria e algebra. Tutt’oggi, i
trascendenti possono essere considerati come quelli che “completano” il
sistema numerico in modo da renderlo in grado di descrivere le grandezze
geometriche.
5
Nel presente scritto andremo a ripercorrere le tappe
fondamentali dell’evoluzione storica del concetto di numero trascendente,
dedicando ampio spazio soprattutto ad alcune di loro che, oltre che
d'indubbio rilievo storico, sono state ritenute utili, in chiave attuale, ad una
comprensione più approfondita del concetto stesso. La storia della
matematica ha, infatti, il pregio di riportare alla luce gli aspetti non formali
d'ogni teoria, le ragioni delle scelte che l’hanno portata ad assumere la forma
attuale, e i suoi rapporti con altri problemi e questioni, non sempre e non
solo di carattere matematico.
Questa caratteristica potrebbe essere particolarmente utile, a
mio parere, a livello didattico. I manuali si limitano spesso a presentare
concetti e teoremi come entità assolute e immutabili calate nel nostro
mondo da alcuni pensatori sublimi, senza riferire del contesto storico ed
umano, anche individuale, nel quale le idee hanno avuto origine. Mi
domando quanta responsabilità abbia quest'impostazione nel fatto che molti
studenti finiscono con lo sviluppare quel senso di rifiuto verso la matematica
che è l’ostacolo più grosso, nonché la frustrazione peggiore, per ogni
insegnante di questa materia. E mi domando anche se non sarebbe possibile
e opportuno, dopo aver opportunamente rifornito di formule e teoremi gli
studenti, illustrare loro la genesi storica di quanto hanno appena appreso in
modo da fornire una chiave d'accesso al senso profondo di quanto proposto
(o imposto) nonché la possibilità di capire che non si tratta d’altro che di
pensieri, per quanto raffinati, di esseri umani come loro.
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Capitolo 1
ORIGINE DEL CONCETTO E PRIME SCOPERTE
Il concetto di numero trascendente non è molto antico, nella
storia della matematica. Se le prime avvisaglie della sua nascita si possono far
risalire al diciassettesimo secolo, esso vide la luce solo nel diciottesimo, e le
prime scoperte rilevanti risalgono al diciannovesimo. Non esiste quindi, a
rigore, una storia dei numeri trascendenti anteriore al 1600, ma in questo
capitolo andremo a tracciare un quadro dello sviluppo dei vari filoni di
studio che condussero ai traguardi di nostro più diretto interesse.
Iniziamo con il rimarcare che l’età classica, e forse la stessa
preistoria, conoscevano già un numero trascendente, forse il più importante
di tutti: il pi greco. Le prime testimonianze scritte su di esso risalgono al
XVII secolo avanti Cristo, e compaiono in documenti egizi e babilonesi in
cui si assume già, evidentemente, che il rapporto tra circonferenza e
diametro sia una costante e di questa costante si dà una stima all’interno di
alcuni calcoli. Prevedibilmente, tali stime sono inesatte, ma, considerando la
cultura matematica di quei popoli, essenzialmente un corpo di regole
pratiche per risolvere problemi, appare chiaro che questo non faceva una
gran differenza. Il concetto di valore irrazionale esatto era lungi da venire, e,
d’altronde, anche in epoche più recenti alcune culture si sono addirittura
sbrigativamente accontentate di approssimare Σ con l’intero 3
3
.
Egiziani e Babilonesi hanno un ruolo importante all’interno
della nostra storia anche per un altro motivo, e cioè perché con essi nasce e
muove i primi passi l’algebra. Sarà nell’ambito di questa branca della
matematica che nasceranno nuovi numeri quali i negativi, gli irrazionali o i
complessi, e dal punto in cui la sua capacità di estendere il sistema numerico
si esaurisce nascerà anche la categoria dei trascendenti, termine dovuto
3
Tale valutazione sopravvive tutt’oggi; interpellando un anziano artigiano, che si accingeva a costruire
un fusto cilindrico di lamiera, su quanta ne avrebbe tagliata per la superficie laterale, mi sono
sentito rispondere:- Circa tre volte [il diametro della base]-.
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proprio alla loro caratteristica di “trascendere” le possibilità dell’algebra.
Anche in questo settore, però, nonostante secoli e secoli di attività, le due
civiltà non si spinsero molto lontano.
Con i greci, le cose cominciarono a cambiare, e per quanto
riguarda le conoscenze su Σ, un primo grosso cambiamento fu proprio a
livello concettuale. Infatti, il forte senso del rigore logico che caratterizzò la
matematica greca richiedeva che le quantità considerate fossero sempre
intese come esatte, e di conseguenza i Greci svilupparono una teoria delle
grandezze rigorosa, basata principalmente sulla geometria, che fece anche da
anticipatrice del concetto di numero reale. Nel loro pensiero matematico
così preciso, il rapporto di lunghezze di segmenti doveva comunque essere
una quantità esatta, anche se non nota, e i Greci furono così i primi a
rendersi conto che tutti i valori forniti fino ad allora per Σ, in quanto
ottenuti con metodi empirici o costruzioni approssimate, non erano quello
“vero”. Essi si posero allora il problema di determinare questo valore vero, e
lo affrontarono nel modo a loro più congeniale, ossia in ambito prettamente
geometrico.
La geometria greca, com’è noto, rappresenta un’astrazione delle
costruzioni grafiche ottenibili su un foglio usando riga e compasso, e non si
spinse mai molto oltre i limiti insiti in tale origine; curve particolari, non
costruibili con riga e compasso se non per punti, furono scoperte e
utilizzate, ma, escluse le coniche, con ben scarsi sviluppi. In un quadro di
conoscenze così strutturato, i matematici di scuola greca formularono il
problema di determinare Σ in questi termini: trovare una costruzione
geometrica unicamente basata sull’uso di linee rette e circonferenze
(equivalenti astratti dell’uso di riga e compasso) che, a partire da un cerchio
dato, produca un quadrato di uguale area; è facile verificare che questo
problema è equivalente a quello di determinare, con le stesse regole, un
segmento lungo pi greco volte uno assegnato. Tale ipotetica costruzione
prese il nome di quadratura del cerchio, e la sua ricerca finì col raccogliere gli
sforzi di migliaia di studiosi nei secoli successivi, divenendo così famosa da
entrare nel parlare comune come sinonimo di problema astruso e
probabilmente irresolubile. Paradossalmente, il problema della quadratura
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del cerchio, nato dal desiderio di determinare in senso geometrico il valore
di Σ, col passare degli anni iniziò a vivere una vita autonoma, perché di Σ si
era comunque giunti a produrre un’approssimazione numerica più che
sufficiente per tutti i fini pratici. Il problema continuava ad interessare di per
sé, soprattutto perché antico ed irrisolto, e questo spinse molti ad indagare il
problema del rapporto tra circonferenza e diametro da un punto di vista
teorico, per capire come e perché si potevano mettere in relazione queste
due grandezze. In una sorta di contrappasso storico, dunque, il problema
della quadratura del cerchio finì col diventare uno dei più importanti tra gli
stimoli ad indagare sulla natura di Σ, e fu risolto in senso negativo, cioè
dimostrandone l’impossibilità di risoluzione, proprio nell’ambito di questi
studi.
Il problema della quadratura del cerchio ebbe un’influenza solo
indiretta, anche se rilevante, sugli studi intorno a Σ e sullo sviluppo del
concetto di trascendenza; ma i Greci portarono un contributo decisivo
anche nel merito di questi studi, impostando con rigore la ricerca di un
valore numerico approssimato di Σ. Mentre infatti in precedenza ci si era
basati su misurazioni fisiche o approssimazioni empiriche, essi furono in
grado di fornire un metodo di calcolo che poteva produrre dei valori di Σ
vicini a quello vero quanto si volesse, o, meglio, tanto più vicini ad esso
quanto più tempo si poteva dedicare ai conteggi.
Tale metodo fu un po’ un sottoprodotto della raffinata
geometria “esatta” greca, perché consisté in un adattamento del cosiddetto
metodo di esaustione. Quest’ultimo, dovuto ad Eudosso, era stato
sviluppato dai Greci per poter trattare figure geometriche complesse, come
cerchio e piramide, ad esempio, e consisteva nell’approssimare queste figure,
secondo certi criteri, con una successione di figure geometriche più semplici.
Riuscendo a dimostrare che la differenza tra le misure della figura di
partenza e quelle delle figure approssimanti poteva essere ridotta sotto ogni
valore prefissato, si poteva arrivare, di solito con un po’ di ingegno e
9
procedendo per assurdo, a dimostrare alcune proprietà della figura di
partenza facendo uso delle proprietà di quelle approssimanti
4
.
Archimede fu tra quelli che fecero ampio uso di questo metodo,
e nel trattato La misura del cerchio, egli lo adattò al calcolo di Σ. Dapprima, con
una applicazione tutto sommato tipica, approssimò la circonferenza con una
successione di poligoni regolari che ad ogni passo raddoppiavano i lati e
dimostrò che il rapporto tra perimetro dei poligoni e diametro poteva
avvicinare quanto si voleva il rapporto tra circonferenza e diametro. Poi
introdusse la vera novità: stabilì un legame aritmetico tra i valori ottenuti in
due iterazioni successive, in modo da poter procedere autonomamente da
ogni interpretazione geometrica e in maniera pressoché automatica da un
passo all’altro. Infine effettuò i calcoli numerici fino al passo corrispondente
ad un poligono di 96 lati, trovando che 3
10
71
3
1
7
Σ , e fissando così,
in pratica, le famose prime tre cifre di Σ: tre e quattordici. Ovviamente, il
procedimento rimaneva aperto, e niente vietava di incrementare il numero
dei lati del poligono approssimante (e infatti altri lo fecero) quindi possiamo
individuare nel metodo di Archimede il primo algoritmo di calcolo per valori
di Σ approssimati ma “tendenti” a quello esatto. Un aspetto peculiare di Σ e
degli altri numeri irrazionali faceva così la sua comparsa: il loro valore è il
risultato di procedimenti infiniti, e, normalmente, può solo essere ottenuto
come approssimato. Ricordiamo infine che Archimede fu il primo ad
asserire che la circonferenza e il diametro di un cerchio sono grandezze
incommensurabili.
5
Abbiamo detto che la geometria greca confinò la sua attenzione
alle figure ottenibili a partire dalla retta e dal cerchio. In effetti, curve diverse
furono individuate e studiate, ad esempio la quadratrice di Ippia, la concoide
di Nicomede e la cissoide di Diocle. I Greci chiamavano piane le curve
costruibili con riga e compasso, solide quelle ottenute da sezioni coniche e
lineari le altre; queste ultime rimasero sempre ai margini della “grande”
4
Si veda, ad esempio, Kline, Storia del pensiero matematico, pag. 97 e seg., pag. 123 e seg.
5
R. Remmert, What is Σ?, in Numbers, Springer ed.
10
geometria e vennero anche chiamate meccaniche, con un certo valore
spregiativo del termine, perché per disegnarle occorreva un qualche
meccanismo. Ebbene, in questa distinzione possiamo rintracciare il primo
abbozzo di una distinzione tra quantità algebriche e trascendenti che, più
sviluppata, ritroveremo nella classificazione delle curve operata da Cartesio.
Per quanto riguarda l’algebra, la matematica greca alessandrina
assorbì quanto creato dalle civiltà egiziana e babilonese, e vi apportò nuovi
significativi sviluppi, tra i quali decisamente importante è l’uso di simboli
letterali e di quantità irrazionali da parte di Diofanto. Questi rimase però una
figura abbastanza isolata, e la scuola greca non riuscì a sviluppare una teoria
algebrica che potesse competere con gli eccezionali risultati ottenuti in
campo geometrico; di questo sbilanciamento fece le spese la matematica
posteriore almeno fino al 1400.
Ci fu infine un’altra occasione in cui i Greci arrivarono a
sfiorare i numeri trascendenti, anche stavolta nel periodo alessandrino, e
questo accadde con la nascita e il primo sviluppo della trigonometria. Infatti,
le funzioni trigonometriche sono trascendenti, vale a dire che in generale il
loro valore è un numero trascendente, e i Greci furono i primi a compilare
tabelle di valori approssimati di tali funzioni, ossia elenchi di valori
approssimati di numeri trascendenti.
Come su tutto il resto della matematica europea, anche su questi
studi, soffocata la fiaccola greca, calò l’oscurità. Intanto, anche nel resto del
mondo, passando più o meno per le stesse fasi già viste per le civiltà a noi
più prossime, si era giunti a qualche risultato interessante. In Cina, nel 264
d.C. venne ricavato per Σ un valore con una precisione analoga a quella
ottenuta da Archimede, e nel quinto secolo d.C. Tsu Chung Chi e suo figlio
migliorarono questa approssimazione spingendola fino a sette cifre decimali
esatte. In America, è ragionevole supporre che i Maya avessero fatto un
buon lavoro, vista la raffinatezza delle loro conoscenze astronomiche, ma
non ci sono rimasti documenti a conforto di questa ipotesi.