4
“Apprendere la lingua significa poter disporre di fonti educative
formali o informali e di mezzi per ricercare e accedere alle fonti stesse”
2
.
In questo contesto, la priorità della scuola diventa quella di saper
gestire l’integrazione di questi allievi, tenendo presente il fatto che uno
dei primi, se non il primo fattore di integrazione è la lingua, è il
possedere lo stesso strumento di comunicazione usato nell’ambiente nel
quale si vive
3
.
Il problema della didattica dell’italiano per gli stranieri è un
problema molto spinoso sul quale occorre lavorare parecchio ed
elaborare dei modelli che tengano presenti i risultati delle ricerche
sull’apprendimento
4
. Responsabilità, delega, negazione o, viceversa,
drammatizzazione del problema, sono alcuni degli atteggiamenti diffusi
nei confronti di un evento che richiede competenze professionali nuove e
attenzioni pedagogiche e relazionali da affinare. Sempre di più gli
insegnanti chiedono che su questo tema ci siano alcune indicazioni
comuni, un “modello” al quale riferirsi per definire i modi
dell’inserimento, gli aspetti organizzativi, i tempi e i bisogni linguistici, i
percorsi didattici da seguire e i criteri per la valutazione.
2
Favaro G., Nuove parole per dire e per studiare, Centro COME, Milano, 2002, p. 109.
3
Cfr. Balboni P., Luise M.C., Interdisciplinarità e continuità…, op. cit., 1994, p. 7.
4
Cfr. Sensini R., Insegnamento e apprendimento dell’italiano come seconda lingua,
Marietti, Genova, 1991; p. 26.
5
Emerge, quindi, la necessità di rendere “normale” ciò che in realtà
presenta un carattere emergenziale “da ridurre a norma”, quando la
norma è invece sempre di più il fatto di imparare e di insegnare in una
classe che è una “piccola comunità colorata che raccoglie lingue, storie,
radici e volti differenti”
5
.
Questa nuova conformazione della classe “mette sempre più in
crisi il modello monoculturale e monolinguistico che propone la scuola
italiana”
6
. Dinanzi a questa urgenza, bisogna sperimentare un percorso di
apprendimento/insegnamento che si discosti sia dalla proposta
dell’italiano considerato lingua materna di tutti gli alunni, sia dai
percorsi didattici propri di una lingua straniera, un percorso che adotti
una modalità di organizzazione flessibile in grado di sostenere il
cammino di apprendimento dei bambini e dei ragazzi neoarrivati non
italofoni.
A partire da queste considerazioni si sono voluti esplorare i temi
salienti del percorso di insegnamento/apprendimento dell’italiano L2.
5
Bettinelli E., Favaro G., L’italiano per... incontrarsi, lavorare, vivere, Ed. Guerrini,
Milano, 1990, P. 11.
6
Zorzi D., Babylonia2: dalla competenza comunicativa alla competenza comunicativa
interculturale, Milano, 1996, P. 51.
6
Nel primo capitolo vengono presentate le caratteristiche principali
degli alunni stranieri non italofoni, che non sono una tabula rasa, ma
entrano in classe con le loro storie, le differenti biografie linguistiche, i
saperi e le competenze acquisite in L1. In questo contesto, la scuola
rappresenta, dunque, per i bambini e i ragazzi migranti il luogo
privilegiato di confronto con le differenze, di ridefinizione della propria
storia e di costruzione di un progetto di vita
7
.
I bambini e i ragazzi stranieri che apprendono l’italiano come
seconda lingua attraversano tappe e stadi evolutivi che presentano tra
loro molte affinità e alcune differenze. Qualunque sia la lingua d’origine,
nel momento in cui gli apprendenti iniziano a parlare in L2 compaiono
nelle loro produzioni linguistiche elementi simili, forme ricorrenti, che
indicano uno sviluppo della L2 che procede secondo un ordine più o
meno simile in tutti coloro che apprendono. Si possono rilevare, per
esempio, molti elementi relativi ai bisogni comunicativi iniziali, dato che
precocemente troviamo nelle produzioni degli alunni stranieri parole e
formule per entrare in relazione, partecipare alle attività comuni,
diventare parte di un gioco e di un gruppo, riuscendo così ad individuare
che cosa si apprende per primo e che cosa viene colto solo in un secondo
7
Cfr. Favaro G. (a cura di), Alfabeti interculturali, Ed. Guerini e Associati, Milano, 2000; P.
48.
7
tempo. Tutto ciò viene analizzato nel secondo capitolo, nel quale
vengono ripercorse le diverse tappe che i bambini stranieri attraversano
durante il loro viaggio dentro l’italiano. Tappe che si mostrano
importanti per impostare una programmazione che tenga conto delle
strategie di acquisizione, delle caratteristiche proprie di ciascuno stadio
di interlingua, per accompagnare e sostenere i percorsi individuali e per
sviluppare la nuova lingua per comunicare e per studiare.
Nell’ultimo capitolo, si entra nel merito delle questioni didattiche
e ci si interroga su quale approccio metodologico, o meglio, quale
composizione e integrazione di metodi, si rivela più efficace per
l’apprendimento dell’italiano L2. Inoltre, si cerca di analizzare il ruolo e
il compito dell’insegnante, inteso come “compagno di viaggio, più
informato e consapevole, che propone mete raggiungibili di lì a poco e
anticipa la tappa appena successiva”
8
; un insegnante che si propone
come accompagnatore di chi dà il via a “questo viaggio iniziatico di
nuova appartenenza”
9
.
8
Favaro G., Insegnare l’italiano agli alunni stranieri, Ed. La Nuova Italia, Milano, 2002, p.
118.
9
Ibidem, p. 260.
CAPITOLO I
8
CAPITOLO I:
I BAMBINI DELL’IMMIGRAZIONE A SCUOLA
CAPITOLO I
9
1.1 STRANIERI IN CITTÀ…
Chi sono i bambini e i ragazzi venuti da lontano che entrano nella
scuola italiana? La semplice definizione di “alunno straniero” non
considera le differenti storie, i viaggi e gli eventi che hanno portato
questi bambini fin qui, né tanto meno la diversità dei progetti e delle loro
condizioni di vita
1
.
“Nella fotografia di gruppo degli alunni che vengono da lontano
possiamo distinguere ritratti diversi”
2
. Vi sono coloro che ritornano a
vivere nelle loro famiglie di origine dopo anni di distacco, ritrovandosi
così a contatto con il padre o con la madre divenuti, nel frattempo, quasi
degli estranei, poiché per lungo tempo è stata interrotta la comunicazione
e la condivisione di tutto ciò che appartiene alla vita quotidiana. Ci sono
i piccoli che arrivano in Italia da paesi asiatici, latino-americani e
soprattutto dall’Europa dell’Est per giungere in famiglie che hanno fatto
richiesta di adozione internazionale e che, non avendo più contatti diretti
con i propri connazionali, sono fortemente spinti verso l’assimilazione e
per questo quasi costretti a dimenticare le parole, i suoni e i ricordi legati
alla propria infanzia, inutilizzabili nel nuovo paese. Vi sono poi, i figli
1
Cfr. Favaro G. (a cura di), Accogliere chi, accogliere come, Vademecum per insegnanti
della scuola dell’obbligo, Centro Documentazione Città di Arezzo, 2000, pp. 65-66.
2
Ibidem, p. 56.
CAPITOLO I
10
delle coppie miste che si trovano spesso a svolgere una funzione ponte
tra i riferimenti e le culture proprie dei genitori, provenienti da paesi
diversi. Troviamo, infine, i piccoli Rom e Sinti, appartenenti alle
comunità zingare di nazionalità italiana o straniera, ma che, in generale,
sono considerati i più “lontani e distanti”, perché vittime di pregiudizi e
di atteggiamenti di esclusione e chiusura da parte dei pari
3
.
Ciò che accomuna questi bambini, con storie e viaggi così diversi,
è l’esperienza della migrazione, intesa non solo come spostamento da un
luogo di vita ad un altro, ma anche come cambiamento profondo che
coinvolge l’identità e i progetti di ognuno. La migrazione può diventare
chance e risorsa per la propria identità e per il proprio futuro, ma genera
sempre in colui che emigra una fatica aggiuntiva al fine di ritrovare il
proprio posto nel mondo, partendo da situazioni di provvisorietà ed
incertezza
4
. Il bambino è così sottoposto a cambiamenti continui,
caratterizzati da sentimenti di perdita e di separazione e che influenzano
notevolmente la personalità dello stesso.
Il cambiamento più evidente, a cui il minore deve far fronte, è
quello relativo allo spazio geografico nel quale si trova a vivere; egli
vive un’esperienza di «sradicamento», di perdita dei legami con le figure
3
Cfr. Favaro G. (a cura di), Accogliere chi, accogliere…, op. cit., pp. 67-70.
4
Ibid pp. 101-102.
CAPITOLO I
11
parentali di riferimento e di adattamento forzato a oggetti, ambienti e
luoghi differenti. “I riferimenti costanti ad un «altrove» (che acquista
spesso nei ricordi una connotazione di paradiso perduto), ad un «prima»
mitizzato e a un «dopo» distante (il ritorno), mettono il bambino in una
condizione di provvisorietà spaziale e temporale, nella quale il presente
assume le caratteristiche della parentesi e dell’attesa”
5
.
II secondo, importante, cambiamento avviene nello «spazio del
corpo» e nella percezione fisica che il bambino ha di sé, cambiamento
dovuto al fatto che ogni cultura ha un diverso modo di considerare il
contatto tra le persone, i modi e i tempi della vicinanza e della
lontananza. Al di fuori della propria casa, il bambino incontra altre
modalità di espressione corporea che gli possono comunicare
impressioni di estraneità o di aggressione.
Un altro spazio, modificato dalla migrazione, è quello della lingua,
che comprende sia la dimensione culturale sia i sistemi di comunicazione
non-verbali. Le differenze linguistiche sono tra i più evidenti ostacoli per
giungere all’integrazione nel Paese ospitante e ritenute responsabili di
numerosi insuccessi scolastici
6
. Per questo, si può dire che, oltre
5
Favaro G., Bambine e bambini di qui e d’altrove, Ed. Guerini e Associati, Milano, 2000, p.
59.
6
Cfr. Demetrio D., Favaro G., Immigrazione e pedagogia interculturale, Ed. La Nuova
Italia, Firenze, 1992, pp. 58-60.
CAPITOLO I
12
l’esperienza del viaggio e della migrazione, ciò che accomuna gli alunni
neo-arrivati è la loro non conoscenza dell’italiano.
Tuttavia, le situazioni individuali sono segnate da importanti
differenze ed eterogeneità che devono essere conosciute ed esplorate.
Spesso il bambino straniero non si riconosce più nella sua storia poiché
nessuno la conosce e nessuno lo riconosce nella sua lingua, identità,
paure e desideri. Questo può far sorgere situazioni di disagio e di
sofferenza nel trovare il proprio posto e nel far fronte alle aspettative
della scuola e della famiglia. Il bambino può mettere in atto
atteggiamenti di apatia, chiusura, autoesclusione, silenzio (non il silenzio
“di attesa” mentre si sta imparando la nuova lingua, ma il silenzio
“vuoto” di progetto e di aspettative). Altre volte le reazioni sono di
aggressività, insofferenza, rifiuto delle regole e del contesto di
accoglienza. Questi sono segnali ai quali bisogna prestare grande
attenzione nel momento in cui ci si interroga sull’accoglienza e sulla
qualità delle relazioni in classe
7
.
Ciò che è importante considerare, è che i bambini stranieri hanno,
oltre a queste molteplici problematiche, anche bisogni uguali rispetto ai
compagni di banco autoctoni. Sono bambini che presentano ritmi,
desideri e timori di tutti i bambini, ma che nello stesso tempo devono
7
Cfr. Demetrio D., Favaro G., Didattica …, Op. cit., pp. 182-183.
CAPITOLO I
13
affrontare delle sfide quali l’urgenza di apprendere la nuova lingua, la
necessità di ri-orientarsi rispetto allo spazio, al tempo e alle regole del
nuovo ambiente, oltre che crescere in un territorio e in una cultura
diversa dalla propria
8
. Tutto ciò fa sì che i minori immigrati presentino
una personalità ben più complessa rispetto ai loro coetanei italiani, una
personalità che si avvicina molto di più alla rigidità e alle durezze di
un’età più adulta. Le difficili condizioni di esistenza li portano a
«crescere» prima, ad affrontare scelte e situazioni spesso inimmaginabili
per ciascuno di noi. Tutte queste caratteristiche non vanno trascurate,
poiché incidono notevolmente nell’esperienza individuale, e, quindi,
anche nei processi di apprendimento
9
.
Tuttavia, “con il tempo, le sue capacità di adattamento e le sue
risorse, sorreggono il bambino nel sostenere e vincere le sfide
quotidiane: apprendere, comprendere le regole esplicite e implicite,
entrare nel gruppo dei pari, essere accettato dai compagni e trovare il
proprio posto senza negare radici e memoria”
10
. Le difficoltà sono spesso
superate grazie al desiderio che molti studenti immigrati hanno di
inserirsi nella nuova scuola e nell’ambiente di accoglienza, di
comunicare e interagire con i pari e con gli adulti in situazioni diverse, di
8
Cfr. Favaro G. (a cura di), Accogliere chi, accogliere…, op. cit., p. 100.
9
Cfr. Sensini R., Insegnamento e apprendimento…, pp. 144-145.
10
Demetrio D., Favaro G., Didattica…, op. cit., p. 183.
CAPITOLO I
14
studiare e di apprendere i contenuti del curricolo comune per inserirsi
positivamente nella classe
11
. Questo, indubbiamente, favorisce
un’accelerazione di qualsiasi processo di apprendimento, poiché porta il
bambino ad una frequenza assidua e ad un impegno intenso nello
studio
12
.
La scuola, quindi, rappresenta per i bambini e i ragazzi migranti il
“luogo privilegiato di confronto con le differenze, di ridefinizione della
propria storia e di costruzione di un progetto di vita, che richiede di
passare dal vivere tra due culture, al vivere con due culture (e due
lingue)”
13
.
11
Cfr. Favaro G., Insegnare l’italiano…,op. cit., p. 34.
12
Cfr. Sensini R., Insegnamento e apprendimento…, op. cit., pp. 144-145.
13
Favaro G. (a cura di), Alfabeti interculturali…, op. cit., pp. 46-50.