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Capitolo 1: Migrazioni e seconde generazioni
Lo studio che propongo parte da un‟analisi delle cause che
spingono gli attori sociali ad abbandonare il proprio paese d‟origine per
spostarsi verso luoghi che promettono maggiori prospettive di lavoro e di
benessere economico.
Tenterò poi di dare una definizione di “seconda generazione”
identificando una categoria sociale ancora sfuggente e complessa,
importante in quanto rappresenta il segnale più evidente di un passaggio
da migrazioni provvisorie a sedentarie.
La terza parte del capitolo sarà invece dedicata ai problemi relativi
alla definizione dell‟identità culturale e alle strategie scelte dagli attori, in
bilico tra appartenenza ed estraneità.
1.1 Fattori di migrazione
Il primo argomento di studio riguarda la questione delle cause che
producono i fenomeni migratori. Nel tentativo di individuare una
spiegazione soddisfacente, Ambrosini (2005) fa riferimento a teorie
macro-sociologiche (o strutturaliste) e teorie micro-sociologiche (o
individualiste).
Negli ultimi vent‟anni si sono sviluppate interpretazioni intermedie (teorie
di livello meso) che si pongono a collegamento tra le teorie strutturaliste e
individualiste.
Spiegazioni macrosociologiche: i fattori di pull e di push
Il fenomeno migratorio è troppo esteso e complesso per poter
essere spiegato con una sola teoria. Si fa riferimento, quindi, a visioni
parziali.
La visione più comune connette le migrazioni con cause di tipo
strutturale che operano nei paesi di provenienza. Variabili come la
povertà, la mancanza di lavoro, la sovrappopolazione, le guerre o i disastri
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ambientali, possono indurre gli individui a cercare di raggiungere
l‟occidente.
Questa visione è stata teorizzata distinguendo i fattori di spinta
(push factors) dai fattori di attrazione (pull factors):.
Si può sinteticamente affermare che mentre nel dopoguerra prevalevano i
fattori di attrazione, oggi paiono prevalere i fattori di spinta.
Esporrò ora sinteticamente le principali teorie di push e pull:
Fattori di push:
teoria della dipendenza: si tratta di una visione neomarxista
secondo cui le migrazioni per lavoro dipenderebbero da
disuguaglianze di tipo geografico indotte dall‟esperienza coloniale.
Le aree periferiche rimangono più povere rispetto alle centrali da
cui dipendono e che le sfruttano in rapporti di scambio ineguali.
I soggetti più istruiti abbandonano il paese di origine causando un
drenaggio di forza lavoro qualificata (brain drain).
teoria del sistema-mondo: L‟esponente più noto di questa teoria è
Wallerstein (1982), il quale classificò gli Stati in base alla loro
dipendenza dal capitalismo occidentale in paesi di centro, periferia
e semiperiferia.
Secondo questa teoria vi è una divisione fondamentale tra il lavoro
del “centro” e quello della “periferia”: mentre il primo gode di un alto
livello di sviluppo, il secondo fornisce materie prime e manodopera
a basso costo. Allo stesso tempo, la periferia è costretta a
comprare il prodotto lavorato dal centro, che lo fornisce a costi
elevati.
Gli stati del centro si trovano quindi ad avere grandi mercati e posti
di lavoro meglio retribuiti, mentre la periferia si trova subordinata.
Le produzioni fondate sull‟innovazione tecnologica sorgono nei
paesi industriali avanzati e vi permangono finché, una volta
standardizzati i processi, sono esportate nei paesi meno
industrializzati.
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L‟ampia disponibilità di manodopera straniera poco qualificata
riduce, però, l‟esigenza di decentrare le produzioni più
standardizzate, causando un incremento dei flussi migratori
Fattori di pull:
teoria dualistica del mercato del lavoro: il più illustre sostenitore di
questa teoria è Piore (1979), il quale ha collegato il fabbisogno di
manodopera immigrata al funzionamento del sistema economico
occidentale. Vi è una divergenza fra la richiesta di un lavoro stabile,
ben retribuito e con buone condizioni, e occupazioni caratterizzate
da bassa considerazione sociale, instabilità e scarsa redditività
(lavoro stagionale agricolo, edilizia, assistenza a persone non auto-
sufficienti). Questi lavori non si possono però eliminare nelle società
occidentali.
L‟esigenza di porre al riparo dalle fluttuazioni dell‟economia una
parte della popolazione occupata impone l‟esigenza di scaricare i
rischi su un‟altra parte di popolazione. Si crea quindi una
suddivisione del mercato del lavoro in due segmenti: il segmento
primario e il segmento secondario.
Il primo è composto da lavori sicuri, tutelati dai sindacati e ben
retribuiti, mentre il secondo offre invece lavori mal pagati e precari.
È proprio in questo secondo segmento che confluiscono i lavoratori
più deboli, come gli immigrati, che in assenza di alternativa non
badano alle condizioni sfavorevoli di queste mansioni.
Le società riceventi hanno continuamente bisogno di manodopera a
basso costo perché con il tempo essi tendono ad avere una visione
del lavoro più simile a quella degli italiani. Di conseguenza la
domanda si rivolge verso altri bacini di reclutamento (Ambrosini
ibid.)
teoria delle città globali: esponente di questa visione è Sassen
(1997).
Le metropoli sono nodi strategici dell‟economia, dove operano i
centri direzionali della grandi imprese e dove si concentrano i
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servizi di alta qualità affiancati da servizi di media e bassa qualità.
Si crea quindi una polarizzazione della popolazione urbana. Da un
lato, crescono le componenti ad alto reddito, e dall‟altro cresce il
lavoro manuale, finalizzato in particolare alla manutenzione delle
strutture direzionali (pulizie, riparazioni ecc.) e ai servizi alle
persone. Questi posti sono occupati dai migranti, che sono attratti
dalla domanda di manodopera.
Queste letture del fenomeno sono state sottoposte a critica: le
migrazioni sono sì legate a differenze economiche tra aree di partenza e
aree di destinazione, ma questo fattore non spiega perché i migranti non
arrivino dagli strati più poveri in assoluto e perché solo quote circoscritte
scelgano la partenza.
Lo schema push-pull dipinge il migrante come un soggetto passivo
sottoposti a forze su cui non ha controllo, inoltre non tiene conto né della
dimensione politico-istituzionale, né delle regolamentazioni delle politiche
di ammissione.
Alla luce di queste spiegazioni, non si comprende perché certi
soggetti rimangano ingabbiati nelle occupazioni di basso livello mentre
altri riescano a promuovere una mobilità ascendente.
Spiegazioni micro sociologiche: scelte individuali e strategie familiari
Secondo l‟approccio dell‟economia neoclassica le migrazioni sono il
risultato di scelte individuali degli attori sociali. La destinazione viene
selezionata sulla base di alcuni criteri, come la possibilità di migliorare le
proprie condizioni economiche e sociali o il confronto tra costi (tangibili ed
intangibili) del viaggio e i vantaggi ottenibili (Ambrosini ibid.)
In contrasto con le visioni strutturali, le spiegazioni micro-sociologiche si
soffermano sulle scelte dell‟individuo, basate su calcoli razionali. Il
presupposto da cui si parte è che l‟attore sia in grado di compiere scelte
sulla base della massimizzazione del guadagno atteso (Arango 2000).
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A queste visioni individualiste è stato obiettato che le differenze di
reddito e di occupazione non sono una ragione sufficiente per determinare
una migrazione: occorre infatti che l‟individuo percepisca le proprie
condizioni non solo come inferiori, bensì come insopportabili.
La nuova economia delle migrazioni (new economics of
migrations), ha cercato di ricostruire uno scenario più complesso e di
affrontare alcuni punti deboli della spiegazione neoclassica: le scelte
migratorie sono qui considerate come opzioni familiari, orientate alla
massimizzazione dei redditi e alla diversificazione dei rischi. Inviare un
componente della famiglia all‟estero può comportare l‟avvio di attività
economiche in patria, oppure migliorare le condizioni dei parenti rimasti
nel paese di origine.
In quest‟ottica, un miglioramento della situazione economica nel
paese di provenienza non produce un rallentamento del flusso migratorio,
in quanto aumentano le aspettative e le risorse utilizzabili per
l‟emigrazione.
Anche questa visione è però stata criticata: sostituendo il concetto
di individuo razionale con quello di famiglia razionale non si tiene conto
delle differenze di status e di potere all‟interno di essa, dei conflitti di
interesse tra i componenti e del possibile sfruttamento dei familiari migranti
(Stark 1991).
La scelta migratoria può, inoltre, derivare da motivazioni personali, quali il
desiderio di avventura o di emancipazione.
Spiegazioni di livello meso: reti sociali e istituzioni migratorie
Le spiegazioni di livello micro appaiono insoddisfacenti in quanto
semplificano uno scenario che non è riducibile alla scelta individuale e in
cui matura la decisione di migrare proponendo una conoscenza atomistica
di attore.
Nel tentativo di superare le critiche alle teorie tradizionali, gli studi
sulle migrazioni hanno proposto alcune spiegazioni che si collocano ad un
livello intermedio tra macro e micro (Ambrosini ibid.).
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teoria dei network: le migrazioni vengono viste come effetto
dell‟azione delle reti di relazioni interpersonali tra immigrati e
potenziali migranti. Già Ravenstein, a fine „800 aveva individuato lo
sviluppo delle catene migratorie.
I network migratori sono definiti come complessi sistemi di legami
interpersonali che collegano migranti e futuri migranti tra le aree di
origine e destinazione attraverso vincoli di amicizia, parentela e
solidarietà.
Grazie alle reti, i processi migratori possono proseguire anche in
condizioni di mercato sfavorevoli e si indirizzano verso quei paesi in
cui esiste già una rete di riferimento.
La rete crea un collegamento tra le condizioni socio-economiche
del livello macro e i comportamenti effettivi dei migranti.
teoria del transnazionalismo: combina la riflessione sul ruolo delle
reti di relazione interpersonale con gli spunti che derivano dalle
teorie sistemiche. L‟accento viene posto sui processi mediante i
quali i migranti costruiscono le relazioni sociali che connettono le
società di origine e di insediamento.
Al centro dell‟indagine sono poste le figure sociali dei transmigranti i
quali promuovono progetti per il miglioramento delle condizioni di
vita nella società di partenza, creando imprese a cui assicurano
sbocchi commerciali nella società di arrivo; essi inoltre sostengono
le associazioni operanti nelle società di origine incoraggiandone i
cambiamenti politici.
Secondo l‟interpretazione di Shiller, Bash e Blanc-Sanzton (1992), i
transmigranti presentano identità culturali fluide: si tratta di un
migrante inteso come attore sociale dinamico, ricco di iniziativa e in
grado di promuovere mutamenti economici, culturali e sociali.
Grazie a questa figura gli attori possono usufruire dei legami e dei
canali di comunicazione già aperti, rendendo meno costoso il
trasferimento.
Anche questa visione ha subito critiche, in quanto il grosso
dell‟immigrazione punta ad una assimilazione nella nuova società
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ricevente e si è notato che i ritorni e le migrazioni pendolari oggi
sono meno frequenti.
Un altro limite riscontrato è quello del funzionalismo implicito: le
teorie del network tendono ad enfatizzare il ruolo positivo delle reti,
trascurando il fatto che possano rivelarsi delle “trappole” che
possono ingabbiare in lavori marginali o addirittura in attività
devianti.
teoria delle istituzioni migratorie: esistono diverse strutture che
mediano tra le aspirazioni individuali e la possibilità concreta di
trasferirsi all‟estero.
Le istituzioni migratorie possono comprendere imprese che
reclutano lavoratori all‟estero, associazioni, sistemi di parentela,
agenzie governative, specialisti del trasferimento (legale ed
illegale). Si costituiscono così dei processi di strutturazione delle
migrazioni, in cui le azioni dell‟individuo si incontrano con le risorse
fornite dall‟istituzione contribuendo a modificarla o a farne nascere
di nuove. Un ruolo importante hanno anche le istituzioni
solidaristiche e umanitarie presenti nei paesi ospitanti: esse
assumono il ruolo di advocacy coalition e si occupano di favorire la
soluzione dei problemi di integrazione e di tutelare i migranti.
Data la complessità del fenomeno, sembra quindi difficile giungere ad una
risoluzione soddisfacente, in quanto nessuna delle teorie riesce a proporre
una spiegazione esaustiva. Le migrazioni hanno assunto la forma di
insediamenti durevoli, sulla base dei quali sono iniziati i ricongiungimenti
familiari, in seguito ai quali gli adulti migrati per lavoro si sono fatti
raggiungere dai figli. Questi soggetti vengono chiamati “seconda
generazione” e proprio a loro è dedicato il secondo paragrafo.
1.2 Seconde generazioni: problemi di definizione
Il passaggio delle migrazioni da temporanee a insediamenti durevoli
e spesso definitivi, ha portato alla formazione di una nuova generazione,