regolava la vita della colonia: di fronte alla immensa quantità di
derrate coloniali, la produzione di beni alimentari per il consumo
interno non era sufficiente per i bisogni della colonia, che doveva
importare tutto dalla metropoli, o dalle colonie straniere vicine, di
contrabbando. Nessuno voleva rinunciare alle piantagioni di canna e ai
profitti dello zucchero, cui tutto veniva sacrificato. Circa 30.000
coloni bianchi costituivano il vertice di un universo gerarchico e
chiuso, nel quale l'aristocrazia della pelle formava il limite invalicabile
di un sistema razzista che rifiutava per sempre la dignità di essere
umano ai discendenti degli schiavi.
Un Codice Nero (Code Noir) , promulgato già nel 1685 ,
riconfermato nel 1724, e aggiornato sistematicamente da una
magistratura locale più vicina ai coloni bianchi che non alla metropoli,
imponeva una lunga serie di restrizioni razziali, che davano sanzione
legale ad un regime assai distante dal modello illuminato dello stato
aristocratico del XVIII secolo.3 A titolo di esempio, tale Codice
vietava agli uomini di colore liberi il raggiungimento di gradi di
responsabilità nell'amministrazione e nella milizia, nonché l'esercizio
di professioni come quella di orefice, medico, farmacista, avvocato,
sacerdote. Progressivamente, si aggiungeranno il divieto di recarsi in
Francia, di portare la spada, la sciabola e il machete, che pure era lo
strumento di lavoro principale per raccogliere le canne da zucchero. E'
inoltre vietato sposare dei bianchi,4 circolare dopo le nove di sera,
portare armi da fuoco, acquistare e detenere munizioni senza una
autorizzazione speciale, riunirsi, sotto pretesto alcuno, praticare giochi
europei, farsi chiamare monsieur e madame, ecc. Due sole cose sono
permesse alla gente di colore: prestare denaro ai bianchi e prostituirsi:
tanto che nel 1789, su circa 7.000 mulatte libere, 5.000 risultano
prostitute nei bordelli o mantenute personali di un bianco. 5
3 Paradossalmente, questo Codice garantisce, almeno sulla carta, ai liberi di colore i
diritti civili. Cfr. P.Pluchon: Histoire de la colonisation française, Voll. 2, I, Paris,
Fayard, 1991, pp. 770-900.
4 Un editto del 1778 vietava i matrimoni misti, ma in Francia, non sull'isola. Cfr J.
Thibau Le temps de Saint-Domingue: l'esclavage et la Révolution française , Paris,
Lattès, 1989, p. 58.
5 Bonzi, Fabio e Della Pietà Cesare,: Haiti: schiavi e imperatori, Conegliano,
Quadragono libri, 1977, p. 18.
3
La popolazione della colonia era nettamente divisa in tre
classi. La prima, intoccabile, era quella dei bianchi: al suo interno tutti
gli uomini erano uguali, perché tutti potevano accedere alla carriera
pubblica e acquistare proprietà e privilegi. Di questa casta di
privilegiati e nobili di epidermide scrisse, tra gli altri, un tenente degli
ussari della cavalleria britannica, Thomas Phipps Howard, nel suo
diario degli anni 1796-1798, durante i quali, come vedremo, un corpo
di spedizione di Sua Maestà cercò di reprimere il regime degli ex
schiavi neri e al tempo stesso di sottrarre il controllo dell'isola ai
francesi. Sono osservazioni spesso caustiche e amare, ma scritte da un
ufficiale che vide morire la stragrande maggioranza dei propri
commilitoni. Egli scrisse:
The people of this island may be divided into six different classes. First the
great land-holders, who have received their possessions from their
ancestors & have been brought-up mostly in France; of these not
much is to be said except that pertaking [sic] of the inflammatory
constitution of this country, which tends to excess in the gratification of
every vicious passion ... man is capable of receiving, we generally meet
with them profuse, devoid of all religious ideas, passionate, proud &
particularly zealous in what is called the point of honour. [...] These men
almost always make bad masters to their slaves & dependants from this
principle: that if is from their labour they must acquire their former degree
of splendour, & as every year that is accomplishing is a year lost in the
calculation of their happiness. The poor slaves belonging to their estates
have no respite from work, no indulgence which leads them to a certain kind
apathy & neglect, which ill agreeing with the desires of their repacious
[sic] masters as to introduce punishments & vexations unheard &
unknown of in Europe.6
Fra i bianchi, si distingueva una prima sottoclasse, secondo
il nostro testimone, composta da: “Military, the most part of whom are
cadets of good families who have been guilty of follies in France which induced
their parents to get them out to the colony”.7
C'era poi una seconda sottospecie di coloni bianchi: “The
third class are what the French call a “ramasse” of every discription [sic] , in
which you find disgraced gamblers, broken down tradesmen, young men of
family who have committed crimes for which they have made themselves
6 Th. Ph. Howard: The Haitian journal, 1796-1798 , ed. by R. Buckley, University of
Tennessee Press, 1985, p. 100.
7 ibidem.
4
amenable to the laws of their country, but that their families may not be disgraced
by public punishment, are sent here, never to be more heard of, by lettres de
cachet “.8 Insomma, stando al nostro ufficiale britannico, la feccia
della Francia si riversava tutta in questa lontana colonia.
C'era poi la categoria dei mulatti9: spesso liberi da
generazioni, costituivano una sorta di Terzo Stato nella gerarchia
coloniale. Erano spesso intraprendenti e dinamici, possedevano
piantagioni e schiavi neri, ma non era loro permesso accedere alle
cariche pubbliche, né condividere la vita sociale con i bianchi. Infatti,
le leggi della colonia imponevano loro un abbigliamento modesto e un
nome africano, affinché nessuno ne dimenticasse l'origine; in chiesa, a
teatro, in municipio occupavano posti separati a distanza dalla
comunità bianca. Eppure, i sanguemisti erano tenuti ad una notevole
quantità di servizi: alla maggiore età, erano raffermati per tre anni
nella maréchaussée, un corpo di cavalleria con funzioni di polizia, a
cui era affidata soprattutto la repressione del fenomeno del
marronage, cioè la fuga di schiavi dalle piantagioni; si trattava di
compiti pericolosi che contribuivano ad acuire il contrasto tra schiavi
e liberi di colore. D'altra parte, se la spina dorsale della maréchaussée
era composta da uomini di colore, dipendeva soprattutto dal fatto che
ai soli bianchi era concesso di comprare un'esenzione.10 E' importante
ricordare che per molti liberi di colore questo servizio veniva vissuto
come la ratifica della loro libertà. Al proprio interno, la classe dei
mulâtres si suddivideva a sua volta in base ad una gerarchia genetica
che distingueva gli individui in base alla vicinanza o alla lontananza
rispetto alla stirpe bianca o a quella nera. Esistevano tanti termini, in
genere spregiativi, quanti erano i vari gradi di separazione tra le due
stirpi “pure”: quarterone, meticcio, mamelucco, quarteronato,
sanguemisto, marabù, griffo, sacatrà.11
Leggiamo cosa disse di essi l'ufficiale inglese: “A Mulatto is
8 ibidem. p. 101.
9 Il termine “mulatto” non è politicamente corretto, in quanto fa riferimento al mulo.
Più spesso i testi dell'epoca parlano di “gente di colore” o “uomini di colore”. Cfr.
per tutti: C. Bonzi e F. Della Pietà, Haiti, cit. p. 17.
10 Cfr. L. Dubois, Avengers of the New World Cambridge and London, The Belknap
Press of Harvard University Press, 2004. , p. 66.
11 Cfr.: C. Bonzi e F. Della Pietà, Haiti, cit. p. 18.
5
capable of anything but honour, virtue & humanity. Nothing has shewn them
more in their true point of view than the unfortunate revolution of this country, in
which they have committed every kind of atrocity that the most fertile imagination
could invent. [...] Sanguinary, proud, disdainful, ignorant, except in low cunning
& deceit, they appear to me to be a race of evil beings, rather than men”.12
All'ultima classe appartenevano gli schiavi, neri e mulatti,
questi ultimi essendo spesso domestici e servitori personali dei coloni
bianchi. Una linea invisibile separava definitivamente la prima dalle
altre due classi e, per quanto un mulatto potesse essere consanguineo
di un bianco, non avrebbe mai potuto essere considerato tale. Un
simile pregiudizio, era indispensabile alla stabilità sociale della
colonia, in quanto era alla base della superiorità dei bianchi sui neri e
giustificava la schiavitù di questi ultimi.
Gli stessi contemporanei non erano ciechi di fronte a tale
stato delle cose, anzi erano quasi tutti concordi nel descrivere la fissità
naturale della composizione demografica dell'isola e delle altre
Antille Francesi (Guadalupe, la Martinica, la Tortuga, Sainte-Lucie
dal 1763 e Tobago dal 1783), ma anche dell 'Isola di Francia, ora
della Riunione, e dell'isola Borbone, ora nota sotto il nome di
Mauritius, nell'oceano Indiano.
Ad esempio, un certo barone di Wimpffen notava che:
ici c'est la couleur de la peau qui, dans toutes ses nuances du blanc
aunoir, marque la distinction du rang, de la naissance, des honneurs, et voire de la
fortune; de cette façon, quoiqu'un Nègreprouvasse-t-il sa propre déscendance du
Roi Nègre qui vint adorer Jésus-Christ dans son berceau; quoiqu'il ajoutasse au
génie d'une intelligence célestiale tout l'or caché dans les entrailles de la terre, il
ne sera jamais, aux yeux du plus faible, du plus pauvre, du plus sot, du dernier des
Blancs, que le dernier des hommes, qu'un vile esclave, qu'un Noir. 13
Questo codice sociale, fondato sulla razza, non faceva parte
di una abitudine automatica, bensì era fondato sulla osservazione e
sulla analisi. Nel suo Manuale degli abitanti di Saint-Domingue un
colono, tal Ducoeurjoly, faceva una costatazione: “Le Nègre réconnait
dans le Blanc un génie supérieur dont la force le dompte”.14
Un testimone, che ha scelto l'anonimato, forniva una
12 Ph. Howard, Haityan Journal cit. p. 105.
13 P. Pluchon, Toussaint Louverture : un révolutionnaire noir d'Ancien
Régime. Paris, Fayard, 1989, p. 18.
14 ibidem, p. 19
6
spiegazione: “Les Blancs, grossiers et ignorants, régardèrent de bonne foix les
Noirs comme des êtres d'une espèce particulière et inférieure à la leur”. 15
Lentamente, si scivolava nel razzismo scientifico. Moreau de Saint-
Méry, membro del Consiglio superiore del Capo-Francese e militante
della filantropia, usava la propria Descrizione dell'isola di Saint-
Domingue per parlare in nome delle Lumières : “Le fait reste que le Nègre
se trouve dans un état de dégénération réelle par rapport à l'Européen civilisé”. 16
Gli abitanti di Saint-Domingue non potevano cedere
all'incitamento “poli-genetista” formulato da Voltaire nel suo Saggio
sui costumi: “Il n'est pas impossible que dans les pays chauds des singes aient
subjugué des filles”.17
Tal Page, piccolo piantatore, brillante economista e futuro
commissario all'Assemblea coloniale di Saint-Domingue presso la
Convenzione, compieva un passo avanti, ma si guardava bene dal
lasciarsi andare del tutto: “L'homme noir est sans aucun doute le moins
intelligent de tous: il végète plus qu'il ne vit [...] je n'assimile pas le Nègre au
singe, je ne l'assimile pas à l'homme d'Europe, mais je le considère un être
intermédiaire entre ces deux espèces”.18
Un magistrato del Capo, il consigliere de Beauvois,
concludeva con rudezza dicendo che: “ni les métis ni les nègres, non plus
que les ourangs-outangs, ne peuvent pas prétendre les mêmes droits que tout
homme tient de la nature”.19
Se i coloni non osavano proclamare che il Nero non
apparteneva all'umanità, lo presentavano pur sempre come un abbozzo
o un residuo umano, ponendolo all'ultimo grado di una gerarchia delle
razze di cui i Bianchi formavano la cima. Traevano dai filosofi l'idea
che gli Africani non provavano alcun desiderio, simili agli uomini
primordiali, sottoposti ai voleri della Natura. Uno di questi coloni, che
aveva idee abbastanza temerarie da tacere la propria identità,
esprimeva in poche parole la percezione antropologica che gli Europei
si facevano degli individui dalla pelle scura, dai capelli crespi e dal
sangue caldo: “le Noir, laissé à soi-même, ne peut être qu'un sauvage
15 ibidem, p. 21.
16 ibidem, p. 22.
17 ibidem, p. 24.
18 Cfr. Y. Bénot: La Révolution française et la fin des colonies, 1789/1794, Paris, La
Découverte, 2004, p.144.
19 ibidem.
7
abandonné à son instinct purement animal”.20
Una indelebile infamia segnava sulla fronte i figli
dell'Africa: la schiavitù offriva loro il solo stato conveniente, in cui
potevano rendersi utili alla società e alla civiltà. Tuttavia, la macchia
originale sussisterà sempre, anche attraverso i meticciati più chiari, a
ricordare che il colore aveva per destino la servitù. Questo assioma,
questo luogo comune, certo Hilliard d'Auberteuil, avvocato al
Consiglio superiore del Capo-Francese, lo estrapolava dalla ricca
astrazione delle teorie per inciderlo nella realtà degli usi e costumi
coloniali, che condannava in segreto: “A Saint-Domingue, l'intérêt et la
sûreté veulent que nous accablions la race des Noirs avec un mépris tel que,
quiquonque en déscend jusqu'à la sixième génération, soit couvert d'une tache
ineffaçable”. 21
Questo era lo stato d'animo del padrone, proprietario o
gerente, nelle proprie relazioni con gli schiavi e gli individui che il
“sangue nero” segnava con discredito. Al massimo, si accettava di
riconoscere che i creoli, neri e mulatti nati in colonia, presentavano
meno difetti dei bossales , gli schiavi appena sbarcati dalla Guinea, gli
Africani.
Lo status giuridico degli schiavi tendeva a farne dei beni
mobili. In realtà, si lasciava correre in alcuni casi. Sicché i neri
godevano di alcune frange di libertà: si dedicavano alla coltivazione di
piante e al piccolo allevamento di cui vendevano una larga parte e con
cui accumulavano dei tesoretti che spendevano in abiti per fare
migliore figura nelle feste, o che investivano nel piccolo commercio.
Non di meno, ancora Hilliard d'Auberteuil può osservare con
riprovazione: “A Saint-Domingue, n'importe quel blanc maltraite les Noirs
impunément. Leur situation est telle qu'ils sont esclaves de leurs maîtres et du
public”. 22
Il mondo servile offriva l'aspetto di una struttura gerarchica:
in fondo, i nègres de place, uomini e donne che dall'alba al tramonto
compivano i lavori dei campi. Al di sopra, i capisquadra, gli chefs
d'atelier i quali, appena lasciati i campi conducevano una vita più
dignitosa della massa. Altra categoria era quella degli schiavi
20 ibidem
21 ibidem.
22 ibidem
8
artigiani: addetti allo zucchero, bottai, carpentieri, manovali, sellai.
Infine, il gruppo dei domestici, composto da cuoche, cameriere,
cocchieri, valletti, parrucchieri, il cui novero testimoniava più della
vanità del colono che del peso dei compiti da eseguire. Gli artigiani e
soprattutto i domestici, vivendo a contatto quotidiano con i padroni,
traevano beneficio più degli altri dalla loro solerzia: le manomissioni
erano infatti più frequenti, le condizioni lavorative erano meno dure e
l'alimentazione più ricca.
Al contrario, i nègres de place , sfiniti dal lavoro sfiancante
e dal clima torrido, malnutriti, vestiti con pochi stracci, alloggiati alla
rinfusa in capanne collettive, in genere ignorati dal clero locale,
aspettavano il giorno in cui sarebbero stati troppo anziani o infermi
per lavorare e solo allora avrebbero conosciuto il riposo in funzioni
tranquille, come quella di guardiano.
Eppure, non tutti gli osservatori stranieri dell'epoca
concordavano circa lo stato di miseria, fisica e morale, in cui gli
schiavi si trovavano. Il nostro ufficiale inglese, per esempio, registrava
nel proprio diario che:
The existence of these slaves under a humane master, of which there
are some, is by no means so wretched as has been represented in Europe. They
have for the climate a good house over their heads, in the interior of which they
are no means disturbed; & a certain quantity of ground is laid down by law in
every plantation, to be cropped regularly with sweet potatoes, yams, etc, etc in
order to supply them with provisions. 23
E proseguiva:
Contrast, then, the situation of these people with that of our English
peasantry, & let me ask: which of the two leads the most comfortable life, or who
works the hardest? I that have seen both will maintain the European was a slave
ever seen in the West Indies to carry a load equal to what our porters in great
cities stagger under daily? No, their master would be afraid of the injury his slave
might receive to think of such a thing.24
E ancora:
When I first came into this country, I had the most horrid idea of the
treatment the slaves received from their masters that could possible be formed;
every time I heard the lash sound over the back of a negro my very blood boiled &
I was ready to take away the whip & lash the master. Since that time I do not
23 Ph. Howard, Haitian Journal cit. p. 107.
24 ibidem.
9
think, nay I am persuaded my heart is not grown harder than it was, yet I see the
business in a very different light.25
Poiché a tutto ci si abitua, il nostro testimone finiva con lo
scrivere che, in fondo in fondo:
That laws and regulations might be enacted & adopted for the greater
security of the slaves from personal injury I do not wish to deny, & make no
doubt but ere long that will be the case, when instead of looking down on their
situations with pity, I shall, on the contrary, consider them as infinitely better off
than any day-labouring set of men in Europe: [ for they are ] less worked, better
fed, cloathed, [sic] taken care of & housed.26
In altre parole, emerge un quadro pressoché invidiabile della
schiavitù. Tuttavia, almeno un tratto comportamentale positivo degli
uomini di colore, in senso lato, viene fuori ed è il rispetto, il senso del
dovere e l'affetto che essi nutrono nei confronti dei genitori:
There is one trait in the characters of the people of colour which
certainly does them very great honour & reflects infinite disgrace on many of the
white creation: that is respect, duty & love they shew their parents, which is, in
some very abandoned creatures, indee, truly exemplerary [sic], & well worthy of
the highest commendation.27
Insomma, un atteggiamento, da parte di questo ufficiale, che
oscilla tra il buonismo e l'accettazione disincantata di un dato di fatto
considerato come immutabile e naturale, piuttosto che come un
prodotto di circostanze storiche ben precise. Si noti come, in
particolare, le effettive condizioni di vita e di lavoro degli schiavi
vengano descritte in toni quasi idilliaci, e comunque tali da non
suscitare uno speciale scandalo se paragonate con quelle dei lavoratori
europei liberi. Evidentemente, sfugge a questa analisi il nodo di fondo:
la pietra dello scandalo non era il fatto che i neri fossero costretti a
lavorare come bestie da soma, bensì il fatto che la schiavitù in quanto
tale fosse ormai una vergogna indifendibile di fronte alla nuova
coscienza morale rappresentata dalla Dichiarazione dei Diritti
dell'Uomo e del Cittadino, diritti sbeffeggiati come visto da Howard, e
, soprattutto, il fatto che la rivoluzione industriale, inaugurata proprio
in Inghilterra, rendesse ormai un relitto del passato il lavoro servile.
25 ibidem. p. 109.
26 ibidem
27 ibidem. p. 110.
10
2. Lo “scandalo” dello schiavismo.
Lungi da noi l'idea di riscrivere una storia della schiavitù e
della tratta occidentale in età moderna, ma di certo il lettore di oggi
può chiedersi con orrore perché, presso Paesi e popoli civili e cristiani,
si potesse tollerare un simile traffico. La risposta più semplice è che i
“pezzi d'ebano” erano una merce come tutte le altre, il cui passaggio
forzato da un continente all'altro non suscitava riprovazione né
imbarazzo se non in alcune anime belle, le quali formarono gruppi di
pressione solo nel tardo secolo XVIII: ad esempio la Société des Amis
des Noirs , che giocherà un ruolo fondamentale nella vicenda haitiana,
venne fondata non prima del febbraio del 1788 e dopo la società-
madre britannica, costituita l'anno prima.28
La Société chiedeva l'abolizione della tratta (atlantica) e
della schiavitù presso le colonie francesi, nella speranza che, se la
patria di Voltaire avesse dato l'esempio, le altri nazioni civili non
avrebbero potuto tirarsi indietro. In realtà, non tutti i filantropi
reclamavano la fine dei due fenomeni: alcuni si battevano solo per
l'abolizione della tratta, convinti che, mancando il “carburante” dello
schiavismo, esso si sarebbe estinto da sé con gradualità, evitando così
bagni di sangue a danno dei coloni creoli e il crollo di un genere
commerciale assai proficuo; in questo modo, si voleva dare tempo e
modo ai piantatori di riconvertire i terreni ad altri usi o addirittura di
dedicarsi ad altre attività. Se si fosse invece intrapreso il cammino
inverso, cioè dopo aver prima abolito lo schiavismo e poi la tratta
(atlantica) non si sarebbe giunti al medesimo risultato. Ufficialmente,
infatti, la Gran Bretagna abolì il lavoro servile nel 1807, il Brasile nel
1836, la Francia nel 184829, l'Argentina nel 1853 e gli Stati Uniti
d'America nel 1865.30 Purtuttavia, carichi di schiavi sbarcavano ancora
28 Cfr C. Biondi, “Ces esclaves sont des hommes”, Pisa, Goliardica, 1979, p. 56.
29 Si tratta in effetti di una seconda e definitiva abolizione, dopo quella, fugace, del 4
febbraio 1794. cfr P. Pluchon, Histoire de la colonisation frasnçaise, Paris, Fayard,
1989.
30 Michèle Duchet: Les réactions face au problème de la traite négrière: analyse
historique et idéologique in La traite negrière du 15. au 19. siècle: documents de
travail et compte rendu de la réunion d’experts organisée par l’Unesco à Port-au –
11
nel 1862 nelle colonie olandesi e fino al 1887 in Brasile e sappiamo
dal noto esploratore italo-francese Savorgnan di Brazzà (1852-1905) e
da altri testimoni oculari alla fine dell'Ottocento che numerose
transazioni riguardanti vite umane avevano luogo nella regione dello
Ubangi nello stesso periodo.
A rischio di sembrare orribilmente cinici, bisogna capire che
l'arrivo di schiavi africani poneva pochi scrupoli morali presso gli
Europei, in quanto si trattava di gente già ridotta in schiavitù secondo
le leggi del proprio paese. Nel 1836, il vescovo di Le Mans,
Monsignor Bouvier, dichiarava la tratta permessa, al solo patto che i
Negri fossero privati della libertà senza inganno, che venissero trattati
con umanità e che non vi fosse frode nel traffico.31 Ciò posto, gli
schiavi dovevano essere istruiti dei precetti della vera religione, cosa
assai più difficile se fossero rimasti liberi nel loro paese. Infatti, per i
teologi il diritto all'evangelizzazione era prioritario: la legittimità dello
schiavismo veniva ammessa se essa favoriva la cristianizzazione.
In più, Protestanti e Cattolici condividevano lo stesso ideale
evangelico e l'immagine del buon servitore, sottomesso alla legge
divina e all'autorità di un padrone benevolo, era per le coscienze
cristiane piuttosto rassicurante. Restava soltanto il problema della
violenza fatta all'individuo in Africa, a bordo delle navi negriere, sui
mercati di schiavi, in breve nel quadro stesso del sistema della tratta.
La finzione, sostenuta con cura, voleva che gli uomini (e le donne)
venivano ridotti in schiavitù e poi venduti ai mercanti dagli Africani
stessi; che il sedicente interesse dei negrieri era quello di prendersi
cura del carico; tutto ciò veniva messo in dubbio a partire solo
dall'ultimo stadio del traffico: il mercato di schiavi che, questo sì, non
poteva nascondere i propri vizi.
Il resto si apprendeva tramite missionari e viaggiatori e, nel
1571, un teologo dell'Università di Salamanca, Tomàs de Mercado,
mostrava fino a che punto la tratta era contraria alle giuste regole del
commercio e ai principi umani. Pur accettando l'esistenza dello
schiavismo e la vendita di schiavi africani da parte degli Africani
stessi, egli si scagliava infatti contro la prassi dei mercanti, che
Prince, Haiti, 31 janvier-4 février 1978, Paris, Unesco, 1979. p. 2
31 ibidem., p.3
12
spingevano gli Africani a farsi la guerra per procurarsi prigionieri;
descriveva le condizioni di vita a bordo delle navi negriere e
denunciava la mortalità spaventosa tra gli schiavi. Per questo, il
mercante la cui coscienza non fosse in pace si vedeva invitato dal
Mercado a rivolgersi al proprio confessore.32
I Protestanti erano eredi della stessa tradizione “dualista”:
anch'essi, come i Cattolici, ammettevano la schiavitù, ma non il fatto
di ridurre un uomo in schiavitù tramite ingiustizia e violenza. Più dei
cattolici consideravano che, in un mondo in stato di peccato, lo
schiavismo fosse un mezzo di riscatto per coloro che Dio aveva voluto
sottomettere a tale condizione. Si proponevano a loro volta
l'evangelizzazione delle masse servili, ma la loro dottrina assai più
rigorosa dettava loro altre vie: riponevano tutte le loro cure a
perfezionare i rapporti tra schiavi e padroni, predicando agli uni la
carità e la moderazione, agli altri la sottomissione e il rispetto.
Infatti è proprio nell'ambiente riformato che prese avvio il
movimento antischiavista, ma non nelle Chiese ufficiali, bensì nelle
sette marginali e dissenzienti. Secondo alcuni storici, non è nella
tradizione religiosa, infatti, che va ricercato il fermento della lotta
contro la tratta e lo schiavismo, ma appunto nella nascita di una nuova
concezione, che rifiutava di considerare l'ordine stabilito come un
compromesso con il peccato e che dava a Dio e ai suoi fedeli il potere
di trasformare il mondo.33 Proprio questa filosofia darà alle varie sette
il desiderio e la forza di metter fine a ciò che, per loro, era la peggiore
delle ingiustizie e mai una via di salvezza per i Neri pagani. Inoltre,
sette come quella dei Fratelli Moravi e quella dei Quaccheri avevano
conosciuto l'esilio e la persecuzione, il che le rendeva particolarmente
sensibili alla sorte degli schiavi africani. Però non si dimentichi, se
non altro per mostrare il peso del sistema e la forza dell'abitudine, che
i Quaccheri cominciarono come gli altri a comprare schiavi: si può
quasi dire che la prosperità delle loro comunità nel Nuovo Mondo si
fondava anche sul lavoro servile, e lo stesso vale per un gran numero
di mercanti inglesi convertiti al quaccherismo. William Penn stesso
32 ibidem.
33 Cfr. M. Duchet, Les réactions cit. p. 5.
13
possedeva schiavi e ancora nel 1730 si trafficavano neri a Philadelfia.
Le argomentazioni dei teologi “ortodossi” colpivano il
cuore stesso della dottrina quacchera e il loro ideale di una vista
semplice e giusta: si trovavano essi stessi messi in discussione. Eppure
bisognò aspettare il 1769 per che gli avversari dello schiavismo
vincessero e ne ottenessero l'abolizione in Pennsylvania. La loro
azione generosa fu annunciata sulle Ephémérides du citoyen dai
Fisiocratici francesi e vantata nella Histoire des deux Indes dell'abate
Raynal, come un' azione di “settari umani”, di “cristiani che cercano
nel Vangelo le virtù, non i dogmi”.34
Fra le sette e le associazioni moderne, bisogna citare la
Society for the Propagation of the Gospel , fondata nel 1701, che si
riprometteva di aiutare e istruire i Neri d'America, la quale avrà un
ruolo importante nella Georgia. Nel 1710, il colonnello Christopher
Codrington intraprendeva la fondazione di due piantagioni modello
alle Barbados, le Antille Britanniche. La sua idea era di mostrare in
che modo una maniera umana di trattare gli schiavi, di incoraggiare i
matrimoni e le nascite, di ridurre la mortalità tramite un lavoro
moderato e l'assenza di punizioni, potesse fare aumentare il
rendimento delle piantagioni, nonché, soprattutto, permettere una
economia a “circuito chiuso”, senza bisogno di tratta. I risultati non
furono affatto convincenti, ma si inaugurava una via verso la
soppressione della tratta e, idealmente, il modello avrà grande
influenza, offrendo una alternativa agli orrori della tratta, sui quali non
si riusciva a fare breccia.
La condanna assoluta dello schiavismo veniva soprattutto da
parte dei Puritani: la loro fede nella salvezza individuale tramite una
vita giusta e una morale rigida mostrava loro nella schiavitù la fonte di
tutti i vizi. All'interno stesso della teologia protestante, nel ramo
puritano, una corrente “primitivista” e generosa aveva cominciato a
mettere l'accento sulla bontà dei Neri e sulla depravazione dei padroni
che vivevano del loro lavoro; in quest'ottica la loro corruttela e il loro
“materialismo” erano colpevoli come il “commercio contro natura”
dei negrieri.35
34 ibidem, p. 6.
35 ibidem, p. 7.
14
Questi temi si ritrovavano in molti sermoni del XVIII secolo
e anche nella letteratura profana, per esempio in Daniel Defoe e nelle
Stagioni del poeta scozzese James Thomson (1700-1748), autore del
l'inno Rule Britannia, a cui si ispirò l'enciclopedista Saint-Lambert.36
Tuttavia, l'influenza della filosofia morale scozzese,
rappresentata da Hutcheson prima e poi da Adam Smith, non si basava
solo sulla emozione virtuosa di cui si armava contro l'insensibilità dei
cattivi padroni, bensì si faceva forza anche di argomentazioni
utilitaristiche. Sicché Hutcheson mostrava che lo schiavismo e il
lavoro servile, apparentemente conformi all'interesse dei padroni, non
lo erano affatto sul lungo periodo ed erano inoltre contrari all'ideale
stesso di felicità e di progresso umano. Il suo discepolo Adam Smith
si spingeva ancora oltre: secondo lui lo schiavismo altro non era se
non una parte di un sistema produttivo difettoso, in quanto metteva in
contrasto l'interesse personale e il pubblico bene.
La sorte dello schiavo gli impediva di lavorare e lo
schiavismo stesso era la forma di lavoro più costosa e meno
produttiva. In effetti, era l'insieme del rapporto fra lavoro libero e
lavoro forzato nell'economia occidentale in piena mutazione a
rappresentare l'oggetto delle riflessioni di Smith e tali riflessioni non
erano affatto incoraggianti per la mano d'opera nera. Ma in un mondo
retto dalla legge del profitto, l'argomento economico aveva un gran
peso, dando manforte alle considerazioni umanitarie e offrendo alla
“compassione” una ricompensa tutta terrena: un miglior rendimento.
In Francia, il realismo dei fisiocratici era anch'esso
ambiguo: era soprattutto una risposta alla stessa crisi del sistema
schiavista, di cui gli amministratori coloniali si lamentavano. Alcuni
fra essi erano riformisti, altri erano su posizioni del tutto simili a
quelle di Smith, altri ancora pensavano ad un affrancamento
progressivo che trasformasse nell'arco di venti anni la massa servile in
lavoratori liberi.
L' Histoire des deux Indes dell'abate Raynal si faceva
promotrice, nel 1780, di questo progetto di Bessner, governatore della
Guyana francese. Ma il testo di Raynal dava più voce alle idee
economicistiche, espresse fra il 1765 e il 1775 nelle Ephémérides:
36 Cfr M. Duchet, Les réactions, cit. p. 6.
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