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INTRODUZIONE
La crescente globalizzazione dei mercati finanziari e la delocalizzazione delle
attività produttive verso le economie emergenti hanno portato una profonda
trasformazione del contesto operativo internazionale, ponendo nuove sfide per
gli operatori di mercato (investitori, banche e assicuratori) in termini di
valutazione e gestione dei rischi connessi con le attività economiche. Di
conseguenza, anche l’analisi del Rischio Paese risente di queste
trasformazioni. Lo studio del Rischio Paese è una disciplina relativamente
giovane, che si è sviluppata a partire dagli anni ’70 e ha gradualmente
guadagnato l’attenzione di economisti e operatori finanziari, in seguito ai
profondi mutamenti dello scenario economico mondiale e alla crescente
integrazione dei mercati legata al processo di globalizzazione.
Questo lavoro vuole rappresentare una traccia ed un primo approccio allo
studio del tema del rischio Paese. L’obiettivo è quello di delineare le linee
guida unite ad una raccolta bibliografica essenziale sull’argomento.
Il presente lavoro sviluppa l’analisi del Rischio Paese attraverso le seguenti
fasi:
Nel primo capitolo viene presa in esame la definizione di Rischio Paese
attraverso un’analisi del concetto assunto nel corso del tempo sia negli
studi accademici, sia dagli operatori specializzati in questo campo.
Nel secondo capitolo si affronta come il Rischio Paese venga studiato
da operatori economici, istituzioni, istituti di ricerca, banche d’affari, e
delle principali Agenzie di Rating al fine di sviluppare il concetto di
Sovereign rating. Vengono inoltre analizzate le principali fonti di
informazione in campo internazionale e le metodologie utilizzate.
Il terzo capitolo presenta una rassegna bibliografica dei modelli che
sono stati proposti nel corso del tempo.
Nel quarto capitolo, attraverso un approccio operativo, viene proposta
una nuova metodologia per il calcolo del Rischio Paese (Factorial
Country Risk Index FCRI), applicandola ai Paese dell’Europa e ai
Paese del sud del Mediterraneo.
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1. Il concetto di Rischio Paese
La letteratura sul tema del Rischio Paese è molto ampia ed abbraccia aree di
analisi talvolta molto differenti tra loro. Il denominatore comune di molti studi
è dato dall’obiettivo che il ricercatore si è posto nell’affrontare tale
problematica (Bernè et al. (2004)). Accademici ed operatori sono concordi su
un punto fondamentale: non c’è un generale consenso sull’area di indagine. La
difficoltà di ricercare una definizione univoca di “Rischio Paese” diviene
ulteriormente complicata dall’utilizzo di una varietà di termini. In letteratura
quando si affronta il tema del rischio di un investimento estero, i due termini
più di frequente utilizzati sono: “country risk” e “political risk”. Meno di
frequente si trovano i termini “cross-border risk o sovereign risk”.
Il più datato termine in uso è quello di “political risk” che appare in molti
articoli in campo accademico. Il termine “country risk” ha iniziato ad essere
largamente utilizzato a partire dagli anni settanta, soprattutto con una
connotazione professionale (in particolare nell’ambito bancario). La letteratura
sul tema comincia ad avere un forte sviluppo a seguito delle crisi debitorie
internazionali degli anni 1980. “Gli analisti degli istituti di credito
internazionali preferiscono utilizzare il termine di “country risk” o “sovereign
risk” in contrapposizione al “political risk” (Bernè et al. (2004)). Parlare di
“country risk” infatti significa ricomprendere ogni tipologia di rischio di uno
specifico Paese, mentre il “political risk” è ristretto esclusivamente ai rischi di
natura politica.
1.1 Che cosa significa “Rischio Paese”
Tra le varie definizioni di Rischio Paese la più esaustiva sembra essere fornita
da Meldrun:
“Per Rischio Paese s’intende l’insieme dei rischi che non si sostengono
se si effettuano delle transizioni nel mercato domestico ma che emergono nel
momento in cui si effettua un investimento in un Paese estero. Detti rischi
sono imputabili alle differenze di tipo politico, economico e sociali esistenti
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tra il Paese originario dell’investitore ed il Paese in cui viene effettuato
l’investimento” (Meldrun 2000).
Questa definizione presenta dei connotati molto ampi adattandosi alle diverse
modalità di investimento e ricomprendendo tutte quelle aree di rischio che si
manifestano nel momento in cui si effettua un investimento al di fuori dal
proprio Paese.
È bene sottolineare come tutti oggi siano concordi che non esistono Paese
privi di rischio, in quanto economicamente più avanzati evidenziano un
proprio livello di rischiosità. Dopo l’11 settembre 2001 ci si è resi conto che il
quadro dei Paese a rischio deve essere modificato, e che vi devono essere
inclusi Paese un tempo considerati luogo d’investimento sicuro: oggi, dal un
punto di vista di Country risk manager, anche i Paese considerati
economicamente e socialmente più avanzati possono essere temporaneamente
bloccati da eventi paralizzanti. Tra i fattori locali di rischio per un singolo
Stato, ma anche per l’area geografica del Paese in cui si trova, si dovranno
allora includere ad esempio, oltre alla stabilità del regime di governo, allo
sviluppo economico, alla distribuzione del reddito , all’ammontare del debito
estero, all’apertura dei mercati finanziari ecc, anche i rischi di rivendicazione
sociali interne e quelli legati alla politica estera di una Nazione, che può
impattare sul rischio di attentati di natura politico - religiosa.
1.2 Quali fonti di rischio?
Un secondo punto di vista considerato in letteratura riguarda le differenti fonti
di rischio afferenti al processo di analisi del Rischio Paese. Per alcuni Autori,
(Zenoff (1967), Feils and Sabac (2000)) il Rischio Paese si identifica
interamente con il rischio politico ( Stevens 1997) in quanto esso trae origine
da discutibili politiche assunte dalle Istituzioni governative. Lo studio del
Rischio Paese nasce infatti come disciplina diretta a valutare e misurare il
rischio politico, tanto che per diversi anni i termini Rischio Paese e Rischio
Politico erano considerati come perfetti sostituti. Solamente a partire dagli
studi di Robock (Robock 1971), il concetto di Rischio Paese ha iniziato ad
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assumere un suo significato proprio, ove il rischio politico rappresentasse una
porzione, sebbene significativa, di detto rischio. In questa seconda visione del
Rischio Paese aderiscono, oltre al sopraccitato Robock, anche studiosi come
Root (Root 1972). La concezione più ampia di Rischio Paese è inoltre in linea
con i più recenti contributi teorici, anche alla luce degli ultimi eventi
internazionali che hanno messo in luce come anche fatti non attinenti alle
decisioni politiche possono compromettere il livello di rischio di un Paese
(Bernè et al. (2004)).
Un esaustivo studio relativo all’analisi delle fonti che afferiscono al Rischio
Paese nell’analisi più globale è attribuibile a Meldrum, che Meldrum
suddivide i possibili eventi rischiosi in sei differenti famiglie (Meldrum 2000):
� Rischi economici
� Rischi di trasferimento
� Rischio derivante dalla fluttuazione del tasso di cambio
� Rischio di localizzazione geografica
� Rischio derivante dal merito creditizio governativo
� Rischio politico
Rischio economico
La famiglia dei rischi economici può essere scomposta in due sottogruppi a
seconda che il rischio coinvolga l’intero Paese nella sua generalità (rischi
macroeconomici) ovvero influenzi esclusivamente l’investimento compiuto
(rischi microeconomici).
I rischi macroeconomici hanno origine da variazioni in sede di determinazione
della politica economica (aumento della pressione fiscale, tagli nella spesa
pubblica, allungamento dell’età pensionabile) o da eventi congiunturali
(crescita del tasso di inflazione o di disoccupazione, ecc.). Allo scopo di
valutare gli effetti di variazioni congiunturali sul Rischio Paese si è soliti
analizzare il livello degli investimenti statali (investimenti espressi in
percentuale sul PIL), la politica fiscale (aliquote fiscali applicate, modalità di
tassazione) ed il livello di indebitamento del Paese (deficit/PIL, debito
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pubblico/PIL e fonti di finanziamento pubbliche). Oltre alla leva fiscale si
deve tenere inoltre conto della politica monetaria e della crescita economica, il
grado di apertura agli investimenti esteri e la regolamentazione vigente che
può influire sullo sviluppo economico (eventuali limitazioni alla proprietà
privata, grado di regolamentazione delle attività private e dimensione del
mercato nero). I rischi microeconomici sono rappresentati da tutti quegli
eventi che non emergono a livello nazionale ma che colpiscono la singola
impresa o il singolo investimento.
Rischio di trasferimento
Trattasi del rischio che il Governo del Paese in cui si vuole effettuare un
investimento estero decida di approvare una legge che sancisca la restrizione
dei movimenti di capitale. La restrizione dei capitali può comportare delle
grosse difficoltà nel ripartire i profitti, nella forma di dividendi o di interessi,
maturati sul capitale investito in un Paese estero. Inoltre, poiché il Governo
può modificare la legge sulla restrizione dei capitali in qualsiasi momento,
detto rischio è associabile a qualsiasi tipo di investimento. Il livello di rischio
di trasferimento viene di norma misurato in base alla possibilità di convertire
la propria valuta nella valuta del Paese in analisi: tanto più è difficile
convertire la valuta, tanto più è probabile che sussistano alcune forme di
restrizione alla libera circolazione dei capitali.
Rischio derivante dalla fluttuazione del tasso di cambio
Il rischio di fluttuazione del tasso di cambio misura la probabilità che si
manifesti una variazione sul tasso di cambio sfavorevole all’investitore. Detta
tipologia di rischio può rappresentare due differenti eventi: una variazione
inattesa sfavorevole del tasso di cambio in un Paese in cui è presente il regime
di tassi di cambio variabili ed il passaggio dal regime di cambi fissi (in cui il
rapporto di cambio è fissato per legge e non è pertanto soggetto a variazioni)
ad un regime di cambi variabili. La fluttuazione del tasso di cambio deve
essere misurata tenendo conto dell’orizzonte temporale dell’investimento: nel
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breve e brevissimo periodo (intraday) i tassi di cambio sono soggetti a
continue variazioni per effetto delle operazioni condotte dai currency traders,
mentre nel medio – lungo periodo il trend del rapporto di cambio è guidato dai
fondamentali del Paese. Tale rischio può essere in molti casi neutralizzato
attivando delle apposite operazioni di hedging che permettono di definire il
prezzo a termine della valuta e di conseguenza anche l’eventuale perdita o
utile su cambi maturata come differenza tra il prezzo a termine della valuta ed
il tasso di cambio della valuta alla data della costituzione dell’investimento, al
netto degli oneri sostenuti per la stipulazione dell’operazione di hedging.
Rischio di localizzazione geografica
Il rischio di localizzazione geografica considera la particolare ubicazione del
Paese. Un Paese che non presenta particolari sintomi di rischiosità interna può
evidenziare dei caratteri di pericolosità se analizzato alla luce della sua
particolare posizione geografica. E’ il caso di quei Paese che sono confinanti
con aree a rischio e che pertanto risentono dell’instabilità dell’area di
appartenenza. Il rischio può derivare da tensione più o meno latenti con i
Paese confinanti. Il livello di rischio di localizzazione geografica è inoltre
influenzato dall’appartenenza o meno del Paese ad un’istituzione
sopranazionale, come l’Organizzazione delle Nazioni Unite o l’Unione
Europea. L’appartenenza ad una particolare istituzione impone solitamente il
perseguimento di alcuni fini comuni e la salvaguardia di alcuni diritti
inviolabili, mitigando in tal modo il livello di rischio complessivo. Nel caso di
istituzioni sopranazionali con preminenti fini economici, l’appartenenza del
Paese è vincolata al rispetto di alcuni parametri di bilancio, che ne
garantiscono la maggiore stabilità economica (si pensi al caso dei Paese
dell’Unione Europea aderenti all’area euro che debbono sottostare ai parametri
di Maastricht che impongono un rigido controllo della spesa pubblica allo
scopo di preservare un sostanziale equilibrio tra le economie dei diversi
Paese).
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Rischio di merito creditizio
Un’ulteriore importante fonte che caratterizza il Rischio Paese è quella relativa
al grado di solvibilità dello Stato sovrano. Tale tipologia di rischio è
particolarmente percepita dagli investitori istituzionali che investono nelle
emissione obbligazionarie governative. Sono sorte negli anni numerose
agenzie che si propongono di definire il livello di rischio dello Stato sovrano
attraverso l’emissione del cosiddetto “Sovereign Rating”. Al giudizio di rating
assegnato dall’Agenzia indipendente è associato un determinato livello di
probabilità di default. Tanto maggiore è la probabilità di default associata
all’emissione governativa, tanto più elevato sarà lo spread applicato al tasso di
interesse.
Rischio politico
La categoria del rischio politico riguarda tutte quelle decisioni assunte dal
legislatore che possono compromettere il buon esito dell’investimento. Nella
classe del rischio politico rientra anche il rischio bellico.
1.3 Differenziazione del rischio sulla base della natura dell’investimento
Dalla descrizione sopra riportata, emergono una vastità di fonti di rischio da
considerare. L’impostazione più coerente che sembra più utile per partire nello
studio del Rischio Paese è l’indagine della natura e tipologia
dell’investimento.
Secondo Meldrum gli investimenti esteri possono essere suddivisi in quattro
categorie (Meldrum 2000):
a) investimenti stranieri diretti;
b) finanziamenti a privati a breve termine,
c) finanziamenti allo Stato a breve termine
d) finanziamenti allo Stato a medio - lungo termine.
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Il contributo apportato da Meldrum è stato quello di indicare la sensibilità per
ciascuna modalità di investimento alle diverse fonti di rischio descritte in
precedenza.
A tale proposito si consideri quanto riportato in Tabella 1:.
Tabella 1: Fonti di rischio per natura di investimento
Fonte di
rischio
Investimento
diretto
Finanziamento
ad imprese a
BT
Finanziamento
allo Stato a BT
Finanziamento
allo Stato a
MLT
Economico Elevato Basso Basso Basso
Trasferimento Moderato Elevato Elevato Moderato
Tasso di
cambio
Elevato Variabile Variabile Elevato
Locazione Elevato Moderato Basso Moderato
Merito
creditizio
Basso Basso Elevato Elevato
Politico Elevato Basso Moderato Elevato
Fonte: DH Meldrum; "Country Risk and Foreign Direct Investment", 2000
Gli investimenti caratterizzati da orizzonti temporali più lunghi presentino
un’elevata sensibilità ad un maggior numero di fonti di rischio in quanto al
protrarsi dell’investimento aumenta la probabilità che si verifichi uno degli
eventi di rischio sopraccitati.
1.4 Il contesto storico
Il tema del Rischio Paese può essere analizzato da una prospettiva storica.
Negli ultimi quaranta anni, gli studi sul Rischio Paese hanno avuto quale base
di partenza le crisi che si sono manifestate in campo internazionale (Bernè et
al. (2004)):
a) gli anni 1960 e 1970 sono stati dominati dagli studi sulle società
multinazionali e la loro esposizione al rischio politico
b) gli anni 1980 sono stati caratterizzati dalle crisi debitorie (debt crisis) dei
c.d. Paese emergenti: in questa fase gran parte della letteratura (Bekaert et al.
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(1998, Estrada 2000)) affronta il tema della valutazione della solvibilità
(rischio di default) del Paese
c) successivamente in seguito alla crisi del Messico del 1994, dei Paese
asiatici nel 1997 fino ad arrivare ai primi anni del 2000 alla crisi che ha
toccato Argentina, ha avvio una terza fase denominata “fase delle crisi
finanziarie” (financial crises). Le crisi finanziarie di tipo tradizionale sono
caratterizzate dal default sul debito estero da parte dello stato sovrano. I
soggetti coinvolti sono generalmente pubblici: da un lato il Paese debitore
insolvente, dall’altro i cosiddetti creditori ufficiali, i governi dei Paese
industrializzati e le Istituzioni Finanziarie Internazionali (IFI) (Balducci and
Chiampo (2007)). Un esempio sono le crisi debitorie dei Paese latinoamericani
degli anni ’80 e dei Paese africani. La previsione di questo tipo di crisi si basa
sulla ricerca di squilibri macroeconomici, che sono evidenziati da indicatori
familiari agli economisti quali il disavanzo delle partite correnti, il livello del
debito estero e delle riserve, l’entità del servizio del debito. In questo contesto
giocano un ruolo determinante le IFI, che svolgono un’importante azione
mediante l’erogazione di finanziamenti finalizzati alla stabilizzazione
macroeconomica. Nelle crisi finanziarie di “nuova generazione” l’elemento
principale non è legato all’insolvenza, ma alla mancanza di liquidità e a
squilibri (di durate o di valute) tra attività e passività. In quest’ottica le
variabili tradizionali hanno un ruolo minore, ma risulta più efficace il
cosiddetto “balance sheet approach”, che si basa sull’analisi delle variabili
che compongono lo stato patrimoniale dei diversi attori dell’economia di un
Paese: il settore pubblico, il sistema bancario e il settore privato (aziende e
famiglie) (Allen et. al (2002)). Anche in presenza di indicatori
macroeconomici relativamente solidi, il rialzo dei tassi di interesse può
mettere a rischio la capacità del Paese di far fronte alle proprie obbligazioni in
caso di disallineamento tra indebitamento a breve e risorse correnti. Allo
stesso modo, un elevato indebitamento in valuta estera esporrà il Paese a un
rischio di insolvenza in caso di svalutazione del tasso di cambio.