3
Capitolo I. Palermo nei primi decenni dei Seicento.
Economia e Società.
I.1. La situazione economica in Sicilia e a Palermo e il ruolo dei mercanti
genovesi nel XVII secolo.
L‟economia siciliana nel XVII secolo si basava essenzialmente su
agricoltura, industria a commercio e a livello agricolo principalmente sulla
coltivazione del frumento e della canna da zucchero. Nonostante la
coltivazione della canna da zucchero fosse destinata a scomparire per
ragioni climatiche, questa tipologia di coltura durò per tutto il secolo e solo
verso la sua fine le piantagioni furono sostituite quasi dappertutto da
vigneti e agrumeti.
L‟industria e il commercio dell‟isola traevano invece non poca ricchezza
dalla lavorazione della seta, dalla pesca dei tonni e dall‟estrazione del sale
1
.
Nella città di Palermo il fenomeno più vasto e radicato era l‟attività
mercantile, nella quale ebbero un ruolo determinante i mercanti genovesi.
I rapporti tra Genova e Palermo affondano le loro radici in un tempo molto
lontano, ma tra Cinquecento e Seicento si intensificarono particolarmente.
La straordinaria potenza dei genovesi era dovuta soprattutto a tre fattori
fondamentali: mobilità, accumulazione e versatilità
2
.
Nel primo quarto del Seicento Genova visse una straordinaria crescita
economica legata alle attività finanziarie, cioè commerciali e di credito,
condotta da buona parte di esponenti del ceto di governo cittadino,
1
Correnti 1980, pp.82-94.
2
Trasselli 1980, pp. 27-29.
4
soprattutto nei confronti della monarchia spagnola e dei suoi domini
(Spagna, Fiandre, Milano, Napoli e Sicilia)
3
.
Nell‟isola i genovesi intrattennero affari per quasi tutti i tipi di attività.
Importavano da essa ciò che offriva in abbondanza: frumento, seta, tonno,
formaggio, zucchero, sale, seta grezza, per poi rivenderli; i genovesi si
occuparono di fornire le galere alla regia flotta di Sicilia, si dedicarono alla
gestione delle gabelle e agli incarichi dell‟amministrazione degli stati
feudali della più alta nobiltà siciliana, acquisirono il quasi totale monopolio
delle assicurazioni marittime (un‟ attività molto redditizia, se si pensa che
che nel XVII secolo il Mediterraneo era molto frequentato dalle grandi navi
europee, francesi, inglesi e olandesi). Merci e uomini attraversavano quasi
continuamente le rotte che collegavano Palermo e Messina a Venezia,
Malta, Napoli, Livorno e Genova.
Ai genovesi non mancò nemmeno lo spirito di investimento, dal momento
che si prodigarono a soccorrere le finanze regie durante la forte crisi che le
colpì dalla reggenza di Carlo V a quella di Filippo II.
La gestione di tutte queste attività permise loro di accumulare ricchezze e
poter acquistare in Sicilia terre e feudi, acquisendo così gli annessi titoli
nobiliari, anche per mezzo di acute politiche matrimoniali o scalate nelle
carriere ecclesiastiche.
Tra le personalità genovesi presenti a Palermo nel Seicento se ne segnalano
due in particolare: il cardinale Giannettino Doria, che fu Arcivescovo di
Palermo, Presidente del Regno e Viceré tra il 1624 e il 1626, ed Orazio
Lomellini, figura leader dei genovesi a Palermo. Figlio naturale di Niccolò
Lomellini, legato dunque a quella illustre famiglia di mercanti e banchieri
ben radicata a Genova, fu mercante e andò per mare tra Genova e Palermo
sino al 1615, quando decise di risiedere stabilmente nella città siciliana con
3
Boccardo 2004, pag. 63.
5
la moglie Sofonisba Anguissola e qui rivestì più volte la carica di Console
della Nazione Genovese. Dopo la peste del 1624 e in occasione dei Trionfi
di Santa Rosalia, proprio in qualità di Console gli spettò la gestione delle
commissioni artistiche per conto della Nazione genovese in occasione delle
celebrazioni della santa. Nel 1631 comparve tra i Senatori della città fautori
della realizzazione dell‟arca argentea di Santa Rosalia.
La Nazione Genovese a Palermo fu sempre molto attenta agli equilibri
politici esistenti fra la Sicilia e la Spagna dominatrice. La Nazione infatti
finanziò l‟attività edilizia inaugurata dalle famiglie aristocratiche siciliane
che celebravano la loro stessa ascesa
4
. Questi lavori che diedero vita ai
Quattro Canti e aprirono la nuova strada Maqueda, determinando la
quadripartizione della città nei quartieri Kalsa, Albergheria, Seralkadi e
Loggia, quest‟ultimo quartiere comprendente le logge mercantili italiane ed
estere, quindi „base‟ commerciale dei Genovesi nella città
5
.
Oltre alla consolidata Nazione Genovese, a Palermo nel XVII secolo
crebbero la Nazione Fiorentina e la Nazione «Alemanorum et
Flamingorum» con diramazione a Trapani.
I contatti tra le Nazioni e i cittadini palermitani presto iniziarono a
coinvolgere le famiglie, moltissimi furono i matrimoni che legavano realtà
culturali diverse ma integrate, unitesi nella maggior parte dei casi per
questioni di affari
6
Questo mescolamento di uomini di diversa nazionalità e cultura nel „porto
di mare‟ palermitano determinò la formazione di una complessa rete di
scambi di natura commerciale e culturale, che avvennero anche nelle
modalità della collaborazione e dell‟assistenza.
4
Cabibbo 2004, pp. 76-77.
5
Patricolo 1980, pag.71.
6
Abbate 1999
1
, pp. 38-82.
6
I.2. La peste a Palermo e il ritrovamento dei resti di Santa Rosalia al
Monte Pellegrino.
L‟importanza della vicenda del ritrovamento delle ossa di Santa Rosalia al
Monte Pellegrino, avvenuta il 15 Luglio del 1624, è centrale perchè la
formazione e il consolidamento del culto della santa coinvolsero
personaggi che assunsero un ruolo chiave nella gestione della cultura e
delle opere d‟arte che circolavano da Palermo a Genova e a Roma, sino alle
Fiandre
7
.
Secondo le narrazioni degli storici del periodo o di poco successivi agli
eventi, nel Giugno 1624 una nave proveniente da Tunisi sbarcò nel porto di
Trapani; trasportava merci ed ex prigionieri. Alcuni di essi avevano
contratto una strana malattia. Il fenomeno non suscitò grande allarme (agli
occupanti della nave che manifestavano i sintomi del male non venne
nemmeno imposta la quarantena), dunque non vennero prese le corrette
misure preventive che il caso imponeva . Quando il male iniziò a circolare
tra il basso popolo le autorità sottovalutarono il fenomeno confondendolo
con uno dei tanti casi di epidemie molto diffuse tra gli strati più bassi della
popolazione. Quando però il morbo iniziò a diffondersi anche fra le classi
alte le autorità lanciarono i primi allarmi. Nel mese di Agosto morì di peste
l‟allora viceré della città, il principe Emanuele Filiberto di Savoia. Gli
succedette nella carica l‟arcivescovo di Palermo Giannettino Doria. Nei
giorni seguenti le autorità decisero di iniziare una campagna di scavo tra le
rocce impervie del Monte Pellegrino, ove secoli prima era deceduta la
Santa eremita Rosalia. La decisione fu presa dopo che alcuni testimoni del
7
Cabibbo 2004, pag.77.
7
popolo denunciarono quanto la stessa santa diceva loro in sogno: per fare
cessare la peste occorreva ritrovare le sue ossa dov‟erano sepolte. Il 15
Luglio 1624 all‟interno di una spelonca vennero ritrovati i resti che
vennero poi attribuiti a Santa Rosalia. Secondo la leggenda Rosalia nacque
nel 1128 dalla madre Maria Guiscardi imparentata con la corte normanna,
e dal padre Conte Sinibaldo Signore della Quisquina e del Monte delle
Rose, la cui famiglia faceva discendere da Carlo Magno; in vita Rosalia fu
amata dama di compagnia della regina Margherita di Navarra, moglie del
re normanno Guglielmo il Malo
8
. A corte però espresse l‟esigenza di
ritirarsi ad una vita monastico- eremitica. La sua prima esperienza del
genere la fece nel Bosco di Adriano. In seguito la ragazza si spostò alla
montagna sacra del Monte Pellegrino, che la regina le aveva dato in dote
come piccolo feudo, qui Rosalia morì il 4 Settembre 1170 all‟interno di una
spelonca
9
.
Subito dopo il ritrovamento delle ossa Giannettino Doria avocò a se la
facoltà decisionale sui provvedimenti da prendere. Fece portare le ossa
rinvenute nel proprio palazzo e convocò medici e fisiatri che le
controllassero.
Nel frattempo in città si diffondevano le voci che attribuivano ai frammenti
rocciosi e all‟acqua della spelonca teatro del ritrovamento, poteri di
guarigione.
Il 4 e l‟8 Settembre dello stesso anno vennero organizzate due processioni
che chiusero la fase di riconoscimento delle ossa della romita e
dell‟approvazione del nuovo culto. Il 4 Settembre fu il giorno prescelto per
i festeggiamenti. Durante la seconda celebrazione, quella dell‟8 Settembre
per l‟Immacolata Concezione, l‟arcivescovo Doria informò la popolazione
palermitana che nel Giugno dell‟anno seguente una grande e magnifica
8
Bonaccorso 1991, pag. 78.
9
Collura 1991, pp. 33-46.
8
processione avrebbe reso gli onori a colei che aveva liberato Palermo dalla
peste.
L‟attività religiosa e istituzionale del Cardinale Giannettino Doria ebbe un
forte peso sulla fisionomia che il culto di Santa Rosalia acquisì a partire dal
1624, anno del supposto ritrovamento dei suoi resti, sino al 1630, quando
fu inserita nella nuova edizione del Martirologio Romano.
Giannettino Doria (Fig. 1) era stato nominato cardinale nel 1604 sotto il
pontificato di Clemente VII; un brillante cursus honorum gli aveva
consentito di essere nominato arcivescovo di Tessalonica e poi di Palermo
nel 1609.
La politica spagnola, a partire dalla reggenza di Filippo IV negli anni ‟20,
aveva imposto una politica economica di risparmio, dovuta ai costi di
un‟ambiziosa campagna militare. Le nuove norme colpivano
particolarmente i titolari di rendite
10
dell‟isola, molti dei quali erano
genovesi. Tale situazione portò al deterioramento dei rapporti tra Genova e
la Spagna, e quindi alla tendenza della Nazione Genovese a spostare il
proprio campo d‟azione altrove, specialmente a Roma. Per tutto il Seicento
la città di Roma dovette molto a Genova per il sostegno della propria
economia, e sapevano benissimo ciò un buon numero di cardinali genovesi
che circondavano Urbano VIII Barberini.
Tra questi vi era anche Giannettino Doria, che a partire dagli anni ‟10 del
secolo ebbe contatti molto stretti con la famiglia Barberini, come
dimostrano le lettere che egli inviò a Maffeo prima e dopo la sua elezione a
pontefice.
Il Doria era legato alla famiglia Barberini anzitutto da vincoli e obblighi
familiari di natura economica. Al suo protettore Giannettino indirizzava le
10
Cabibbo 2004, pag. 39.
9
sue richieste, osservazioni e informazioni mantenendo vivo un rapporto di
patronage essenziale per entrambi.
Ci fu un fitto scambio epistolare tra il Doria e quello che fu non solo il suo
protettore, ma anche un amico e consigliere
11
.
Durante gli anni del suo pontificato, anche Urbano VIII Barberini si era
trovato in una posizione di scontro con la corona spagnola per via delle
tendenze filo-francesi della sua politica, situazione che certamente saldò
ancora di più i rapporti tra Genova, Palermo e Roma.
Il „ritrovamento‟ delle ossa di Santa Rosalia al Monte Pellegrino coronava
il sogno di Giannettino Doria di dare una svolta all‟amministrazione del
potere civile e religioso della sua diocesi e della città di Palermo,
promuovendo una dilatazione del culto della nuova santa che seguiva un
preciso disegno politico. Nella promozione di questo l‟arcivescovo seguì
alla lettera i principi regolamentari della santità codificati definitivamente
in seguito dai decreti urbaniani apparsi nel 1625, che si facevano portatori
di una politica di bilanciamento tra la potestà pontificia e il populus fidelis.
La nuova agiografia post tridentina, in risposta alle condanne della Chiesa
riformata riguardo al problema della „verità del miracolo‟, considerava
fondamentale l‟importanza della „storia‟ rispetto ai „segni‟; per questo
motivo Doria si preoccupò in prima istanza di fare studiare i resti della
santa da un équipe di medici e fisici, e di promuovere la ricerca di un
apparato documentale che fornisse le prove storiche dell‟identità di Rosalia
e dell‟ esistenza del suo culto ab immemorabili. Tutto ciò per arrivare
infine alla approvazione del culto cittadino.
Nel frattempo la peste continuò a infuriare in città anche in autunno, come
dimostra una missiva inviata il 24 Novembre 1624 dal conte Giovanni
Cortesi, ambasciatore del duca di Modena Alfonso d‟Este recatosi in via
11
Ibidem.
10
eccezionale a Palermo per curare gli affari della moglie del duca Isabella di
Savoia, che era stata designata erede universale dal fratello deceduto
Emanuele Filiberto. Il conte descrive la tremenda situazione della città con
queste parole: «..chi entra in Palermo non habbia più alcun modo di potervi
uscire […] ..nilla ripa […] concorse genti in grandissimo numero parendo
loro miracolo il vedere quello che nilla conditione di questi mi serissimi
tempi rari volti si vede, cioè che vengano persone in quella città dalla quale
per fuggiri i suoi pericoli tanto volentieri si ni partissero»
12
.
Ci furono molte vittime anche durante l‟inverno e nell‟anno 1625, sino alla
primavera.
Il 22 Febbraio 1625 la consulta dei medici e teologi fatta riunire dal Doria
si pronunciò definitivamente sul riconoscimento ufficiale dei resti
13
.
Le celebrazioni del Giugno di quell‟anno festeggiarono la fine dell‟orribile
morbo e una nuova „primavera‟ per la città. A Palermo furono introdotti dal
Doria nuovi rituali che riflettevano i modelli di disciplinamento messi in
atto dalla Chiesa post-tridentina che cercavano di sostituirsi alle vecchie
consuetudini cultuali e rituali ancora in vita prima della peste; fu data
quindi centralità al valore simbolico dei cerimoniali e alla promozione di
forme di visibilità del potere individuale, sperimentando anche a Palermo
un nuovo modello di rapporto tra pubblico e privato che si espresse
nell‟erezione e nella decorazione interna di chiese, palazzi ed edifici
pubblici, e che diede alla città un volto e una vita nuovi
14
.
12
Abbate 2004, pag.73.
13
Abbate 2004, pag.77.
14
Ibidem.
11
I.3. Il primo Festino di Santa Rosalia.
Le celebrazioni che Giannettino Doria aveva proclamato al popolo
palermitano nel Settembre del 1624 ebbero luogo a ridosso del Corpus
domini che nel 1625 cadeva il 6 di Giugno; esse iniziarono con le
cerimonie della vigilia, proseguirono con la processione del 9 Giugno e si
conclusero la sera del 10 con la pomposa cavalcata dell‟arcivescovo per le
strade di Palermo. Nei giorni seguenti altri cortei sfilarono in
corrispondenza dell‟invio di alcuni frammenti di reliquie della santa presso
illustri devoti o in occasione dell‟arrivo in città di alti personaggi
intenzionati a visitare il luogo sacro del ritrovamento e le reliquie.
Un resoconto dettagliato di come si svolsero i festeggiamenti e di chi ne fu
protagonista diretto o indiretto, ci proviene dalla Relazione delle feste fatte
in Palermo nel 1625 per lo trionfo delle gloriose reliquie di Santa Rosalia
Vergine, scritto da Filippo Paruta in contemporanea coi fatti avvenuti, in
seguito dato alle stampe dal figlio Onofrio negli anni ‟50 del secolo.
Il Paruta racconta che in meno di un anno si riuscì ad organizzare una
festività complessa, che richiedeva l‟approntamento di arredi, abiti,
decorazioni e pitture.
L‟allestimento degli apparati effimeri fu assegnato a Pietro Alvino e
Vincenzo La Barbera. I due collaborarono strettamente per le pitture
dell‟arco trionfale allestito dalla Nazione Genovese e per quello allestito
dal Senato di Palermo e innalzato ai Quattro Canti, progettato dall‟abate
Vincenzo Sitajolo
15
.
Le pareti della Cattedrale vennero decorate e parate con quelli che erano
stati gli averi del deceduto principe Emanuele Filiberto, acquistati all‟asta
15
Mendola 1999, pag.62.
12
dopo la sua morte: gioie, argenti, vetri, vestiti, quadri, cortinaggi e tessuti
ricamati in oro
16
.
Il corteo e le strade cittadine furono invase da un‟enorme quantità, persino
eccessiva, di immagini della santa: negli archi trionfali delle Nazioni
Catalana, Genovese e Fiorentina, nelle edicole agli angoli delle strade,
negli altari innalzati nelle chiese e nei palazzi nobiliari.
Tra le prime immagini portate in processione, secondo Collura, fu il
dipinto commissionato a Vincenzo La Barbera il 27 Luglio 1624 dal Senato
di Palermo
17
, raffigurante Santa Rosalia che intercede per la fine della
peste (Fig. 2).
Le celebrazioni si chiusero ufficialmente con la cavalcata per le vie della
città del Doria, cerimonia che gli conferì grande visibilità individuale, del
resto in linea con la sua condotta politica e religiosa.
Qualche giorno dopo i festeggiamenti fu dichiarata la fine della quarantena
e fu concesso alle donne di qualsiasi ceto a recarsi in cattedrale a pregare
sulle reliquie della santa. A partire da questo momento iniziarono le
ricerche sulla vita di Rosalia e la promozione del suo culto
18
.
I.4. La formazione del profilo agiografico di Santa Rosalia. Basi per un‟
iconografia.
Il primo agiografo di Santa Rosalia fu il gesuita Giordano Cascini,
incaricato dallo stesso Giannettino Doria di intraprendere le ricerche sulla
16
Abbate 1999
2
, pag. 107.
17
Collura 1977, pag. 96.
18
Cabibbo 2004., pp. 124-125.
13
vita della romita e sulla storia del suo culto. Il suo De Vita et invenzione S.
Rosaliae venne pubblicato nel 1631 e dedicato al Doria
19
.
Le ricerche del Cascini partirono dai monumenta direttamente riguardanti
la santa. Il primo di questi venne rinvenuto a «quarantamila passi» da
Palermo; si trattava di un‟iscrizione della stessa Rosalia che segnava la
bocca della grotta della Quisquina, in cui al di sotto di una croce erano
segnate le seguenti parole:
Ego Rosalia Sinibaldi Quisquinae Ac Rosarum Domini Filia Amore Dnimei
Jesu Christi in hoc antro habitari decrevi.
L‟iscrizione soddisfaceva pienamente le domande circa la genealogia della
santa, che definiva se stessa figlia di Sinibaldo. Il monumento provava che
prima di trasferirsi al Monte Pellegrino Rosalia trascorse in questa grotta
parte del suo eremitaggio
20
.
Degne di nota furono le modalità in cui il gesuita Cascini condusse le sue
indagini: egli stilò un „questionario del culto di Rosalia‟ composto da una
serie di domande rivolte a quanti fossero stati in grado di fornire
informazioni circa le immagini della santa sia dentro che fuori Palermo. Lo
scopo principale era quello di fornire un dossier figurativo completo che
avrebbe consentito l‟approvazione del culto da parte della Curia romana;
fondamentale erano anche l‟accertamento dell‟esistenza della devozione a
tempore immemorabili e l‟accertamento riguardo all‟istituzione religiosa
cui poteva appartenere Rosalia. Per risalire a quest‟ultima si procedette ad
analizzare iconograficamente le vesti portate dalla santa nelle immagini che
la raffiguravano. Quindi venne intrapresa una vera e propria indagine
riguardo all‟appartenenza delle iconografie più antiche a quella o a
19
Ibidem, pp. 126-127.
20
Ibidem, pp. 164-167.
14
quell‟altra confraternita. I risultati della ricerca vennero poi registrati in
tabulae pictae da inviare a Roma perché fossero incise diciassette lastre di
rame che avrebbero riprodotto i tratti della santa, attestanti l‟antichità della
devozione, per ottenere infine l‟inserimento della romita nel Martirologio
Romano.
Tra le diciassette immagini inviate a Roma vi era anche quella
dell‟iscrizione rinvenuta nella grotta della Quisquina.
Le ricerche del Cascini alimentarono un fervido dibattito intellettuale
soprattutto tra le Accademie, e particolarmente all‟interno della Accademia
dei Riaccesi.
Tutte le categorie della popolazione palermitana si sentirono coinvolte
profondamente nel culto della santa, e tale fervore a Palermo aveva trovato
terreno particolarmente fertile. Nel Seicento avevano iniziato ad assumere
grande vitalità i culti per i santi che si erano distinti per la rinuncia ai beni
terreni per una vita eremitica e contemplativa( fra questi San Francesco,
Sant‟Onofrio, San Casimiro, San Paolo Eremita, Santa Maria Egiziaca e
Santa Maria Maddalena
21
, tutti santi prediletti dalla comunità francescana).
Il concetto di privazione e di rinuncia ai beni terreni ebbe inoltre un
corrispettivo laico nell‟ambito dell‟ambiente dotto e intellettuale
palermitano, soprattutto all‟interno dell‟Accademia dei Riaccesi, che tra i
temi d‟indagine e di speculazione privilegiati contava anche le figure di
filosofi che avevano scelto una vita di stenti per amore della verità:
Seneca
22
, Catone e Muzio Scevola erano laici rappresentanti di virtù
eroiche, tra cui il desiderio di libertà contro il tiranno, che nella mente di
molti intellettuali palermitani era desiderio di libertà e autonomia dell‟isola
dall‟occupazione spagnola
23
.
21
Abbate 1991, pag. 91.
22
Ibidem.
23
Abbate 1987, pp. 293-314.
15
I.5. L‟Accademia dei Riaccesi di Palermo e il ruolo di leader di Carlo
Maria Ventimiglia.
Nel Seicento le Accademie in Sicilia passarono dalle undici del secolo
precedente a cinquantuno. A Palermo se ne contavano 15. Tra 1620 e 1650
la più rinomata di esse era l‟Accademia dei Riaccesi, nata nel 1622 da una
scissione interna alla precedente Accademia degli Accesi, che era stata
fondata in precedenza da Don Francesco Ferdinando d‟Avalos.
Promotore della rinascita dell‟Accademia fu Emanuele Filiberto di Savoia,
che si premurò di „migliorare‟ l‟istituzione e di darle una sede prestigiosa a
Palazzo Reale, chiamandovi come „Principe‟ Carlo Maria Ventimiglia (Fig.
3). Uomo colto e raffinato, Emanuele Filiberto, figlio terzogenito di Carlo
Emanuele duca di Savoia e dell‟infanta di Spagna Caterina Micaela
(secondogenita di Filippo II e della sua terza moglie Isabella di Valois),
ebbe un ruolo di primo piano nel dare un nuovo impulso alla cultura e alla
vita intellettuale di Palermo. In tal senso l‟inaugurazione dell‟Accademia fu
il passo più importante da lui compiuto
24
. Molto azzeccata fu la scelta di
porre a capo dell‟Accademia una personalità quale quella di Carlo Maria
Ventimiglia (1576-1662). Mente eccezionale capace di spaziare in ogni
ambito
(matematica, astronomia, architettura, fisiologia), Carlo Maria venne
investito della carica di Deputato al Contagio durante la peste in città, fu
autore assieme Francesco Negro di triangolazioni topografiche per
disegnare un‟esatta carta della Sicilia e scrisse opere di pregio rimaste in
maggior parte manoscritte. Il Ventimiglia possedeva una imponente
24
Abbate 1999
2
, pag.107.