2
pertanto, che sono innanzitutto “curiosi” tutti i primi collezionisti, ma
anche tutti gli scienziati pre-illuministi impegnati ad indagare la natura
nelle sue più insolite manifestazioni. Altro termine altrettanto
frequentemente utilizzato è “rarità”. Museo di rarità è la dicitura
ampiamente riconosciuta per definire la collezione domestica del medico
chirurgo Frederich Ruysch, il quale dota anche di un catalogo l’insieme
dei reperti anatomici umani da lui raccolto.
Alla “curiosità” segue la “meraviglia”. Dalla fine del Quattrocento si
ebbe in Europa un grande incremento di “mirabilia”. Tutte le “stranezze”
provenienti dal Nuovo Mondo provocano una sorta eccitata attesa in
coloro che si accingono a contemplarle. L’interesse per lo straordinario è
costante e largamente documentato già nell’antichità e nel Medioevo. “I
tesori dei templi greci, le raccolte di oggetti nelle tombe egizie e le grandi
biblioteche-museo di Alessandria e Pergamo sono modelli anche per il
mondo romano che alimenta a sua volta, con le antichità greche ed
egizie, le collezioni archeologiche e numismatiche dell’età moderna”
2
.
E’ interessante considerare, oltre alle prevedibili coincidenze degli
oggetti raccolti, anche un’identità di motivazioni. Quelle più ricorrenti
sono relative al prestigio di cui sono investiti i reperti, allo studio di cui
possono essere oggetto, alla possibilità di farsi, attraverso di loro, uno
status symbol
3
. Un motivo altrettanto valido anche se meno nobile è la
tesaurizzazione.
2
A.LUGLI, Naturalia et Mirabilia, Mazzotta, Milano, 1983, p.11.
3
Cfr. P.EUDEL, Collections et collectionneurs, Leroux, Paris, 1885.
3
Dalla storia del collezionismo
4
emerge poi un’altra costante: lo
spaesamento dell’oggetto che si estrae dal suo contesto, perdendo così il
suo connaturato valore, e s’impregna di altri che gli erano estranei.
E’ ciò che è accaduto alle sculture greche quando, trasportate a
Roma, si sono svuotate della loro sacralità degradandosi a semplice,
seppur sublime, ornamento di palazzi pubblici e privati. La religiosità
che dovevano ispirare cede il passo ad una fruizione solo estetica. Da
simulacri di una religione quali erano, diventano opere d’arte e sono
ammirate e amorevolmente protette proprio da quei trafugatori che
dimenticano che comunque si tratta di un bottino di guerra.
Caso analogo in epoca diversa: il collezionismo medioevale di chiese,
in cui sono in bella mostra oggetti preziosi di oreficeria, paramenti sacri
a cui non ci si fa scrupolo di affiancare reliquie e reperti giunti in
Occidente attraverso le Crociate. Spesso il lontano Oriente è defraudato
di quei reperti la cui qualità preminente è quella di meravigliare o
turbare: ossa di balena, coccodrilli imbalsamati, oggetti appartenuti a
personaggi biblici, come lo specchio della Regina di Saba del Tesoro di
Saint Denis. L’oreficeria fa poi il resto impreziosendo quelle rarità,
imitando la funzione delle cornici per i dipinti. E’ grazie all’oro che gli
oggetti più svariati sono legittimati a rientrare nei “tesori” delle chiese.
Quando non sono preziosi, come i coccodrilli, occupano una posizione
alta nelle chiese, quasi ad invocare l’ultraterreno caricandosi di
sacralità e di miracolo ed esercitando una forte attrattiva sui fedeli in
un luogo già fortemente investito di misticismo. E’ proprio dalla
4
L.SALERNO (a cura di), Musei e collezioni, in Enciclopedia Universale dell’Arte,
Istituto per la Collaborazione Culturale, Venezia-Roma, vol. V, 1958-1967.
4
presenza o meno di questi oggetti e di reliquie che deriva il prestigio dei
santuari medievali.
Alla reliquia si attribuivano grandi virtù taumaturgiche. Si credeva
che alla sola vicinanza o al contatto con essa si potevano avere effetti
miracolosi. E’ per questo che ebbe subito inizio una corsa
all’accaparramento di tali reperti che incrementò, tra l’altro, il mercato
del falso, poiché più luoghi si attribuivano il pregio di possedere, ad
esempio, una scaglia di granito che spacciavano per una reliquia della
colonna della flagellazione di Cristo. Sono oggetti “normali” sui quali si
opera una trasformazione eidetica, proiettandoli forzatamente in una
situazione immaginaria. Privandoli della loro anonimia si attribuisce
loro densità simbolica supportandoli anche con scritte esplicative tratte
da fonti autorevoli e forgiando contenitori monumentali che ne
enfatizzino il valore. La storia della Chiesa fornisce numerosi esempi di
“storicizzazioni” atte a sottrarre un oggetto alla quotidianità per
ispessirne il significato. Raccogliendo questi materiali la chiesa risponde
all’esigenza di rendere realistici i grandi misteri religiosi.
I tesori delle chiese e dei santuari sembrano anticipare le collezioni di
meraviglie perché entrambe tendono alla totalità. Da questo punto di
vista possono essere considerati musei ante litteram: si ritrova tutto ciò
che merita considerazione, anche se non ha carattere esclusivamente
religioso
5
.
Il parallelo che si è azzardato tra i tesori delle chiese e quelli delle
Wunderkammern si fonda sull’identica attenzione rivolta ai reperti
5
Cfr. J.VON SCHLOSSER, Raccolte d’arte e di meraviglie del tardo Rinascimento,
Sansoni, Firenze, 1974.
5
antichi e provenienti da aree geografiche completamente estranee a
quelle in cui si ritrovano. La diversa destinazione dell’oggetto può
liberare la chiesa dall’imbarazzo di possedere cose a volte blasfeme. Con
gesto quasi esorcistico si applica al reperto un segno di possesso che lo
rende meno “discutibile”. E’ in base a questa consuetudine che il
bassorilievo di un console diventava quello di un santo, previa
l’aggiunta di qualche emblema cristiano.
Ad un certo punto le reliquie, però, assumono una destinazione
anche pubblica oltre che privata, essendo mostrate ai fedeli in occasione
di qualche festività. Dalle cripte venivano, così, trasferite, in tutto lo
sfarzo dei loro rivestimenti d’oro e di pietre preziose, nel coro
sopraelevato delle chiese gotiche, ovvero nel punto più visibile della
navata centrale, dove la luce è più intensa
6
.
Rientrano nella logica del collezionismo anche i tanti reperti
naturalistici presenti nelle chiese, poiché di essi non si può dare
un’interpretazione simbolica. Si cerca di conservare ogni oggetto
“strano” e “curioso” e di renderlo fruibile a tutti esponendolo e, quindi,
museificandolo.
Questi pezzi vengono scelti per la loro rarità o mostruosità derivanti
dalle proporzioni inusuali, come l’osso della balena della cattedrale di
Modena, collocato nel matroneo sopra la Porta Regia (dove, tra l’altro, è
scolpita una scena che raffigura il rapimento di Ginevra e il tentativo di
Artù e dei suoi cavalieri di salvarla: ancora un esempio di come, proprio
6
Cfr. M.BUR, L’abate Sugero, statista e architetto della luce, Jaca Book, Milano , 1995,
soprattutto pp. 200-209.
6
nell’epoca del trionfo del teocentrismo, sacro e profano convivessero
7
). Si
tenta di spiegare la presenza dell’osso di balena con un astuto
riferimento all’episodio di Giona, che ricondurrebbe il tutto nuovamente
in ambito biblico.
La trattatistica medievale è ricca di testimonianze di creature dalle
dimensioni mostruose, ma l’obiettivo è quello di riportare ogni cosa
entro i confini della creazione perfetta, adducendo a motivo il fatto che
monstra, portenta, prodigia, pur non avendo una morfologia consueta,
non sono errori. Si tenta di convincere tutti del fatto che tutto ciò che
esiste al mondo è sorprendente. Il diverso non si allontana da Dio ma
solo, magari, dall’epoca e dal luogo in cui si vive. E’ così che acquista
fortuna l’idea di un diverso-lontano, che implica l’accettazione della
teoria che esiste una parte remota del mondo abitata da esseri favolosi.
Isidoro di Siviglia è ancor più ardimentoso proponendo, con le
Etimologie, un bestiario tassonomico dei mostri della terra che egli situa
in luoghi lontani dall’Europa occidentale, dal Mediterraneo, da
Costantinopoli e dai luoghi santi, cioè da tutte le terre conosciute.
E’ tuttavia l’Oriente il fornitore maggiore di mirabilia nella specie di
oggetti esotici e, ancora, di coccodrilli, presenza quasi d’obbligo nelle
chiese, sospesi sulla navata. Non ci si dimentica mai, però, di ribadire
che anche essi rientrano nell’ordine armonico della creazione, fugando
ogni dubbio sull’errore divino. Il monstrum, la letteratura medievale ne è
piena, non è un capriccio del Creatore: si deve considerare la parola
7
Cfr. A.VARVARO, Apparizioni fantastiche, Il Mulino, Bologna, 1994, soprattutto pp.
7-11.
7
rifacendosi al suo significato etimologico di segno, ammonimento,
attraverso il quale bisogna decodificare un messaggio divino.
In questa tensione tutta teocentrica e riverente di ricondurre ogni
cosa a Dio, si notano però i primi segni di cambiamento quando la
brama di appropriarsi dei portenti del mondo naturale diventerà il
motivo propulsore del collezionismo moderno. Si desidera ciò che riesce
a stupire in quanto “nuovo”. E’ l’anomalia la principale causa
scatenante della curiosità, che spinge i viaggiatori in Oriente o nel
Nuovo mondo, a volte incentivati dalla stessa chiesa che avverte il
bisogno di accogliere nel suo tesoro tutto ciò che la comunità ritiene
importante, poco importa se non si tratti di reperti religiosi.
Analogamente i sovrani conservano, accanto alle insegne del potere,
una vasta mole di suppellettile sacra, per cui risulta arduo cercare di
definire in modo netto i confini del sacro e del profano.
Si sta avviando a conclusione il tempo in cui la Chiesa si ispirava
all’inopia dei primi cristiani, per cui, lungi ormai dal fare del
pauperismo una virtù, arricchisce la suppellettile religiosa di materiali
preziosi che accrescano l’importanza delle cose esposte e apprezzate
anche solo per motivi estetici. Si cominciano a muovere i primi passi
che condurranno al collezionismo di meraviglie del ‘500 e del ‘600, in
cui è ormai totale la privazione di significati simbolici degli oggetti
religiosi
8
. Anche la reliquia è sconsacrata e diventa addirittura merce di
scambio tra sovrani. L’uso privato della reliquia non si può certo
spiegare adducendo motivi sacri, ma immaginando una curiosità
8
Cfr. F.H.TAYLOR, Artisti, principi e mercanti, Einaudi, Torino, 1954.
8
suscitata dal reperto in sé in quanto oggetto di rarità. E’ lo stesso
movente del collezionismo di reliquie che depone a favore di una
mentalità tutta laica in materia di reperti.
Il rovescio della medaglia è che, se è vero che da un lato si tende a
laicizzare la reliquia, è anche vero che si trasformano oggetti preziosi in
contenitori sacri, nella specie di reliquiari ed ostensori.
Ancora un’ulteriore analogia sostiene il nostro parallelo tra i tesori di
chiese e le Schatzkammern dei palazzi signorili
9
: la disposizione interna
degli oggetti è la medesima, ed inoltre, in entrambi i casi, sono associati
all’ambiente che conserva il tesoro, un archivio ed una biblioteca. Non
dimentichiamo che siamo nel Medioevo, quando ancora Gutenberg era
un lontano miraggio, per cui anche i codici miniati ed i documenti erano
preziosi alla stregua dell’oro e trovavano la loro naturale dimora accanto
alle camere del tesoro.
Il primo passo verso il collezionismo moderno è stato dunque fatto,
raccogliendo ed esponendo, in modo tutto sommato ordinato, gli oggetti.
Il secondo non tardò a venire: si ritenne necessaria una visualizzazione
per sintesi da fornire all’osservatore. Di ciò si fece carico l’illustratore di
quell’opera atta a surrogare la visione diretta del visitatore. Rispondeva
a questa esigenza il catalogo, l’inventario degli oggetti.
Le illustrazioni dei cataloghi di reliquie hanno anche un preciso
intento didattico spiegando l’origine dei singoli pezzi e prevedendo una
loro classificazione gerarchica: il reperto più importante si colloca al
centro del foglio, tutti gli altri intorno.
9
Cfr. AA.VV, Schatzkammern Europas, Bruckmann, München, 1969.
9
Anche dall’analisi dei cataloghi si nota l’affinità tra tesori di chiese e
Schatzkammern: per rendere degna la collezione bisogna avere
atteggiamenti totalizzanti, affiancando oggetti che apparentemente non
hanno nulla in comune. Inoltre le camere del tesoro si somigliano
perché la collezione coincide perfettamente con l’area espositiva in modo
da non lasciare nessuno spazio vuoto. Così le “camerae sanctae” delle
chiese gotiche si accingono a diventare il prototipo dei musei moderni.
Abbiamo già detto dell’attenzione per la reliquia mostrata non solo dalla
chiesa ma anche dai signori feudali; esaminiamone ora le cause.
Per i re e per gli imperatori era fondamentale possedere oggetti
carismatici su cui fondare la teoria di essere la nuova incarnazione o la
manifestazione della divinità. Si identificavano nella figura di Cristo che,
come loro era sì umano, ma inviato sulla terra da Dio. Cristo
rappresentava la divinità materializzata, per cui tutto ciò che riguardava
la sua vicenda terrena andava recuperato. Questa aspirazione fu
costante sin dall’800, da quando Carlomagno, facendosi definire “l’unto
del Signore” durante la sua incoronazione romana, creò il precedente
affinché anche in seguito l’aureola del miracolo fosse poggiata sul capo
dei sovrani.
Da allora la monarchia occidentale si sforzò di accumulare reliquie su
reliquie, in quel fitto intreccio di religiosità e potere che si concretizzò
nell’agglomerazione di insegne sacre e profane.
E’ facile immaginare che questa corsa al reperto ebbe il suo corollario
nei furti e nelle falsificazioni d’ogni genere.
10
Il culto delle reliquie celebra la sua apoteosi nel castello di Karlstein,
fatto costruire nei pressi di Praga da Carlo IV di Boemia.
Tutto il castello è strutturato in modo da essere l’ideale contenitore del
tesoro della corona, dell’archivio di stato e della biblioteca.
Gli oggetti sono ordinati seguendo un principio classificatore che può
essere inteso come un primo intento museografico: si separano gli
oggetti religiosi da quelli a carattere più propriamente dinastico.
La grande novità del castello è che le pareti della cappella reale sono
interamente ricoperte da tavolette dipinte che rappresentano i santi. I
ritratti sono inquadrati in una cornice di legno nella quale è incastonata
anche la reliquia, protetta da una custodia trasparente in cristallo di
rocca.
Karlstein si distingue per la devozione cristiana e lo scrupolo
classificatore di Carlo.
Il castello anticipa, poi, le regole del collezionismo laico seguente, per la
presenza dei ritratti che chiaramente si associa al culto tutto
umanistico del simulacro-immagine degli uomini illustri.
Un altro elemento d’avanguardia è il rispetto di criteri museografici,
visibile nella preoccupazione di affiancare alla reliquia il suo
contrassegno visivo di appartenenza.
Il moderno collezionismo nascerà quando la commistione di sacro e
profano sarà tale che l’oggetto verrà apprezzato per le sue valenze
estetiche piuttosto che per quelle simboliche. Dietro tale motivazione la
suppellettile chiesastica sarà accolta negli studioli rinascimentali, se
11
opportunamente supportata da ori e gemme, svelata, quindi, di ogni
presunta componente miracolistica.
Nel Tardo-medioevo e nel Rinascimento le collezioni laiche erano
conservate nel luogo più riposto della casa che prende il nome di
studiolo
10
. E’ un luogo di studio e di contemplazione ma anche un luogo
del tutto nuovo che avvia alla proliferazione del moderno museo.
Federico da Montefeltro ne realizzerà un modello perfetto nel suo
Palazzo di Urbino ed un clone in quello di Gubbio.
Gli studioli riprendono le caratteristiche delle Wunderkammern, delle
collezioni d’arte e scienza, dove lo spazio dell’ambiente e quello della
raccolta sono perfettamente coincidenti.
Gli studioli creati nel corso del Quattrocento a Firenze, Urbino,
Ferrara e Mantova hanno però una peculiarità che li contraddistingue:
il legame strettamente personale che si instaura tra il luogo ed il
fruitore-collezionista. E’ lo stesso rapporto che si stabilirà più tardi tra i
collezionisti ed i loro musei domestici. In entrambi i casi ci sono raccolte
ordinate sia per puro piacere collezionistico che per studio, e collocate
nella parte più segreta della casa.
Gli studioli di Federico sono un unicum in questo genere per la loro
straordinaria decorazione a tarsie lignee. Esse rappresentano tutti gli
oggetti di cui consta la raccolta e che danno l’impressione di essere
conservati negli armadi semiaperti. L’intera collezione è rappresentata
in sintesi sulla superficie lignea, per cui il suo scopo è di permettere al
signore di aver tutto a portata di mano, di poterlo abbracciare con un
10
Cfr. L.BERTI, Il principe dello studiolo. Francesco I de’ Medici e la fine del
rinascimento fiorentino, Edam, Firenze, 1967.
12
sol colpo d’occhio
11
. Come dalle Wunderkammern, anche dagli studioli
emerge la preoccupazione di universalità, la volontà di racchiudere
l’universo in una stanza. Lo studiolo di Urbino è esemplare anche per la
decorazione pittorica. Abbiamo già accennato ai ritratti presenti nella
cappella del castello di Karlstein; si trattava però, pursempre di ritratti
di santi. La novità dello studiolo federiciano è il suo carattere
completamente laico. Laici saranno anche il programmi seguiti da
Lionello d’Este, che porrà il suo studiolo sotto la protezione delle Muse,
e da Isabella, che si regalerà una splendida “grotta”, rievocatrice ancora
del mondo classico
12
.
L’intento universalistico e laico delle collezioni quattrocentesche è
evidente in quelle dei Medici nel Palazzo di Firenze
13
, dove, assieme ai
dipinti, ai vasi, alle sculture antiche e moderne, cioè agli oggetti d’arte,
sono conservati i mirabilia della natura. Se di questo collezionismo
eclettico
14
è difficile scorgere le novità, poiché la sua entità è la stessa
delle esposizioni di meraviglie delle chiese medievali, tuttavia esse pur ci
sono e vanno ricercate nella distinzione tra naturalia e artificialia che
sarà basilare nella storia del collezionismo futuro.
Il sincretismo delle raccolte italiane non può però competere con
l’enciclopedismo degli estudes francesi anche se la prevalenza delle
antichità è la stessa. Negli studioli italiani vanno per la maggiore i
reperti classici, per l’acceso fervore culturale che si abbina alla
11
W.LIEBENWEIN, Studiolo, Panini, Modena, 1988.
12
Cfr. AA.VV., La scienza a corte; collezionismo eclettico, natura e immagine a Mantova
fra Rinascimento e Manierismo, Bulzoni, Roma, 1979.
13
AA.VV., Palazzo Vecchio: committenza e collezionismo mediceo, Centro Di, Firenze-
Milano, 1980.
14
Cfr. E.MUNTZ, Le collections des Médicis au XV siècle, Leroux, Paris, 1888.
13
riscoperta dei testi letterari antichi. I pezzi antichi suscitano
ammirazione perché provengono da un passato lontano di cui non si
hanno i contorni definiti. Anche questi possono essere considerati
meraviglie. La distanza temporale produce gli stessi effetti della distanza
geografica, per cui, come per gli oggetti provenienti dall’Oriente e dal
Nuovo Mondo, anche per quelli rinvenuti dalla Grecia antica o dall’Urbe,
si può parlare di “esotismo”.
A parte il contenuto degli studioli, torniamo alle considerazioni
relative al parallelismo tra studiolo e museo. Entrambi sono posti sotto
il patrocinio delle Muse, le divinità dello spirito e quando s’imporrà
l’idea di “museo” nell’accezione di luogo adibito alla raccolta della
collezione, si manterrà comunque il riferimento all’egida delle Muse.
Allo studiolo di Urbino saranno affiancati due luoghi dedicati,
rispettivamente, alle Muse, e al dio cristiano: si tratta di un sacellum
pagano e di una piccola cappella. Erano posti in corrispondenza dello
studiolo, ma al piano sottostante. L’aspetto dei due tempietti è più che
ortodosso, in quanto anche la religiosità ispirata alle Muse non ha nulla
di sacrilego ma si pone come un recupero dell’antica cultura, alla
stregua di quello relativo ai testi classici. La fede raddoppia perché oltre
a quella cattolica si celebrano le protettrici delle arti e delle scienze.
Federico si fa protagonista di un cammino ascensionale
fondamentalmente mistico, che passa per la religione tradizionale, ma
comporta anche l’applicazione di un alto magistero intellettuale. Le due
cappelle costituiscono le prime tappe di un percorso iniziatico: chi
accederà al primo otterrà la catarsi dalle sue colpe mondane e potrà
14
finalmente presentarsi al cospetto della luce che si irradia dal tempietto
delle Muse.
Le collezioni finora considerate, siano esse conservate nelle chiese
medievali o negli studioli, rappresentano il terminus ante quem per le
raccolte enciclopediche cinquecentesche, in virtù degli interessi non
specialistici ma abbraccianti tutto ciò che il collezionista ritiene degno
di essere conservato.
Questa plurivocità della raccolta, il suo carattere totalizzante, emerge
chiaramente dagli inventari, che oltre a rispondere alle esigenze
pratiche, amministrative e testamentarie del proprietario si pongono
anche come “altra” immagine della collezione. Ai cataloghi è affidato il
compito di estendere la conoscenza della raccolta oltre la fisicità del
museo, di travalicarne i confini spaziali che ne limitano la fruizione e di
permetterne anche ai posteri il godimento, superando anche le barriere
temporali.
Prima di arrivare alle suddivisioni sistematiche delle raccolte, a partire
dal Cinquecento, quando si ubbidirà ai primi criteri museografici, si
contraddistingue dalle altre la collezione di Jean de Berry. Oltre che per
la considerazione del valore estetico dell’oggetto e per la grande
passione antiquaria, essa è esemplare per la classificazione dei pezzi in
due categorie: ciò che appartiene al duca e ciò che appartiene ai luoghi.
Non c’è ancora la separazione tra naturalia ed artificialia (verrà col
Rinascimento), ma sono già precisamente indicati tutti i dettagli relativi
ad ogni oggetto, dai materiali costituenti, alla provenienza…
15
Jean de Berry non è mosso da preoccupazioni enciclopediche
universali, ma la “corsa al pezzo” è dettata ancora dalla curiosità e dalla
volontà di suscitare meraviglia.
In questo, dunque, niente di nuovo. Il dato rivoluzionario sta invece
nella vastità programmatica che, pur essendo ben lontana dall’ordinata
collectio creaturarum, si propone di scegliere il meglio del mondo e di
riunirlo in una summa di mirabilia d’arte e di natura
15
. Si giunge, con
gli estudes del Duca de Berry, al culmine del collezionismo pre-
umanistico. Le raccolte successive allargheranno il loro spettro fino ai
confini dell’inverosimile, fino a racchiudere la totalità del mondo la cui
sintesi sarà affidata al catalogo, che costituirà il documento di questa
reductio ad unum della realtà.
Se il collezionismo riflette i tempi, nel Rinascimento il gusto
antiquario e la prevalenza dei reperti antichi nelle raccolte possono
essere letti alla stregua della passione filologica che porta alla luce i
testi classici. Un esempio di come le collezioni siano l’espressione del
pensiero contemporaneo è fornita anche dalla duplice valenza di esse,
che abbracciano i due ambiti della natura e dell’arte. In questo si scorge
la convivenza della doppia teoria teocentrica ed antropocentrica, tipica
del Cinquecento, che, pur rivalutando l’uomo, non aveva ancora
rinnegato Dio e i “miracoli”, in nome della scienza e del lume della
ragione.
Nelle raccolte c’è la stessa contemporanea presenza di natura – l’arte
di Dio – ed arte – creazione dell’uomo. Col Rinascimento l’uomo,
15
Cfr. J.GUIFFERY, Inventaires de Jean de Berry (1401-1416), Leroux, Paris, 1894.