VI
Nel primo capitolo della trattazione si andranno ad approfondire,
storicamente e strutturalmente, l‟evoluzione e le caratteristiche
fondamentali della figura manageriale; si passeranno in rassegna gli
autori più rilevanti nella storia del management che si sono occupati
della definizione del profilo professionale dell‟executive e si
esamineranno analiticamente le qualità indispensabili per lo
svolgimento dell‟attività, ovvero la managerialità, l‟imprenditorialità e la
leadership.
La metodologia utilizzata per lo svolgimento del tema è quella di trovare
innanzitutto delle connessioni logiche plausibili per mettere in relazione
il singolo peccato capitale con la realtà quotidiana del manager,
analizzando dunque l‟aspetto negativo che si rileva nei comportamenti o
negli atteggiamenti di tale soggetto. Lo sforzo maggiore che si sosterrà
sarà però quello di trovare delle forme di espressione positiva di ogni
vizio, che in via generale per tutti si basa sulla giusta dose di emozioni
(che nel loro eccesso portano invece a commettere peccato).
All‟interno del secondo capitolo si andranno a sviscerare, paragrafo per
paragrafo, alcuni degli aspetti più rilevanti che avvicinano la vita
quotidiana di un manager alla commissione del singolo peccato
capitale. La metodologia con la quale si va ad affrontare la tematica è, in
primo luogo, la definizione storica e sociologica di ogni vizio, seguita
dalla rilevazione dei comportamenti manageriali nell‟ottica di chi
commette il peccato, per poi descrivere l‟espressione in positivo dello
stesso, ovvero il caso in cui esso possa arrivare ad essere considerato
come una virtù più che come vizio.
Per avere un feedback sulla teorizzazione del secondo capitolo si è
deciso, nel terzo, di sottoporre a quattro manager un questionario,
creato allo scopo di rivelare quale vizio fosse più frequentemente da essi
commesso.
Si è scelto di rappresentare la carriera lavorativa di quattro executive
come in un‟ideale parabola, in tre fasi ben precise, ovvero di quella
iniziale, di quella all‟apice del successo e di quella al termine della
VII
carriera. Inoltre, si è deciso di delineare il profilo manageriale di una
donna, che nel caso specifico risulta essere l‟unica nel proprio contesto
aziendale e per questo ancora più rappresentativa della categoria a cui
appartiene.
I risultati del questionario si andranno a relazionare con quelli di un
sondaggio commissionato dalla rivista Economy a ManagerItalia,
l‟associazione dei dirigenti del terziario, che ha rilevato quali fossero i
vizi più frequentemente commessi da parte dei manager e quali fossero
ritenuti addirittura come virtù.
Il campione scelto non dà sicuramente adito ad una ricerca di tipo
empirico, ma ha comunque rilevato delle concordanze con i risultati
delle ricerche scientifiche condotte precedentemente sul tema e ha
sicuramente permesso di accertare una certa coerenza tra la
teorizzazione ad oggetto della trattazione e la realtà aziendale che si è
andata ad indagare.
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CAPITOLO 1
RITRATTO DI MANAGER
1.1. Premessa
Il management, nell‟accezione di management science, si può
generalmente definire come quell‟attività consistente nell‟assicurare che
un certo numero di mansioni diverse vengano eseguite in modi e tempi
tali da permettere il conseguimento di obiettivi prefissati4.
Tale termine è infatti riferibile a due alternative connotazioni utilizzate
per intendere “la funzione e l‟attività di guida di un‟organizzazione” in
un caso e “l‟insieme delle persone che ai vari livelli hanno il compito, il
potere e la responsabilità di esercitare tale funzione (top, middle e first
line management)5” nell‟altro.
Management deriva etimologicamente dal verbo to manage, che significa
letteralmente gestire, coordinare. In particolare, al collegato sostantivo
manager si attribuisce la lontana provenienza italiana (da maneggiare),
che dal primitivo significato di “maneggiare i cavalli” (1561) ha allargato
notevolmente il suo campo semantico6.
La teoria del management si è trasformata nel tempo nel tentativo di
scorgere nuove angolazioni per osservare problematiche già trattate nel
passato. Una delle caratteristiche di questa disciplina è senza dubbio
4 COSTA GIOVANNI, NACCAMULLI RAOUL C.D., Strutture, cultura e comportamenti-
Materiali di organizzazione aziendale, UTET Libreria, Torino, 2002.
5 BACCARANI CLAUDIO, BRUNETTI FEDERICO, Dalla penombra alla luce. Un saggio
sul cinema per lo sviluppo manageriale. Giappichelli, Torino, 2003, pag.29.
6 CORTELAZZO MANLIO, ZOLLI PAOLO, DELI- Dizionario Etimologico della Lingua
Italiana, seconda edizione, Zanichelli Editore Spa, Bologna, 1999. Secondo la
definizione offerta dal Dizionario Etimologico management significa ”amministrazione,
direzione, gestione d‟una azienda” (1965. G. Cassieri).
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l‟incessante sforzo per trovare nuovi approcci nel tentativo di rispondere
ai quesiti irrisolti.
All‟interno del mondo accademico, in confronto alla maggioranza delle
altre discipline, quella del management ha recentemente compiuto il
proprio ingresso in scena, ma nonostante sia stata e continui ad essere
un‟attività fondamentale nel corso della storia, il suo riconoscimento e
lo studio in quanto disciplina e professione è un fenomeno
inequivocabilmente moderno. Solo nell‟arco del Ventesimo secolo essa
ha infatti acquisito rispettabilità e credito.
Gli autori in seguito trattati nel paragrafo 1.2. fanno parte della
produzione dei primi cinquant‟anni del Novecento.
Il periodo compreso tra il 1950 e il 1982 è segnato da un progressivo
aumento delle pubblicazioni, che includono in particolare i contributi
offerti da Douglas Mc Gregor e la prolifica attività di Henry Mintzberg
sulla descrizione dell‟attività manageriale.
Il fil rouge che collega idealmente il pensiero degli studiosi della
panoramica di seguito proposta è la figura del manager, dalla prima
apparizione in qualità di semplice supervisore teorizzata da Taylor alla
complessa analisi condotta da Mintzberg, che si tratterà in modo
approfondito nel paragrafo 1.3.
1.2. Le origini del management
Gli Autori di seguito esaminati sono stati scelti per il loro significativo
contributo al delineamento progressivo della figura manageriale, che si
è man mano evoluta in tutta la sua complessità nella direzione di quella
attuale.
La panoramica proposta è stata organizzata secondo un ordine logico
che prescinde dal peso dell‟intero contributo di ognuno di essi
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nell‟evoluzione delle teorie manageriali. Il focus è stato funzionalmente
posto su coloro i quali hanno preso in considerazione più o meno
esplicitamente e consapevolmente la professionalità di alcuni soggetti
da sempre presenti nell‟ambito aziendale.
Tra gli Autori considerati verranno presentati, in ordine cronologico:
Henry Fayol, Frederick Taylor, Chester Barnard, Rensis Likert, Peter
Drucker, Douglas Mc Gregor e Warren Bennis.
Henry Fayol (1841-1925) è considerato il primo studioso a condurre
un‟analisi dell‟attività manageriale, avendo proposto una teoria in tema
di management.
L‟apporto più interessante di Fayol all‟analisi della figura manageriale
consiste nell‟individuazione di sei funzioni essenziali all‟interno delle
imprese industriali, che hanno caratterizzato la gestione delle aziende
del Ventesimo secolo: le attività tecniche, commerciali, finanziarie,
quelle riguardanti la sicurezza, le attività contabili e, nettamente
distinte e separate dalle cinque precedenti, le attività manageriali.
L‟ingegnere e manager francese si ricorda anche per aver elaborato una
definizione del ruolo del management, che consiste nel gestire, ovvero
nel prevedere e pianificare, organizzare, dare ordini, coordinare e
controllare, affermando implicitamente che i manager possono e
debbono essere addestrati in ognuna di queste attività7. Egli ritiene
inoltre che per una migliore performance della forza lavoro un manager
debba essere in possesso di qualità di leadership, debba conoscere
l‟azienda e i dipendenti e debba saper infondere il senso della mission
aziendale.
Il più noto studioso di temi aziendali è sicuramente Frederick Taylor
(1865-1915), autore della Teoria dell’Organizzazione Scientifica del
Lavoro, con la quale, nella sua essenza, introduce una vera e propria
7 Fayol concorda in questo aspetto con Bennis, di cui si tratterà in seguito.
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rivoluzione mentale e culturale in tema di organizzazione del lavoro sia
per i dirigenti sia per i dipendenti.
Secondo la letteratura8, a livello caratteriale l‟ingegnere americano era
un amante dell‟ordine e dell‟efficienza, caratteristica che si riversò
prepotentemente nella formulazione di un sistema di organizzazione
basato sull‟attribuzione di compiti prefissati e ben definiti; identificando
ogni singolo movimento e azione degli operai, Taylor riuscì addirittura a
determinare il tempo ottimale richiesto per completare un‟attività.
La Teoria dell‟Organizzazione Scientifica del Lavoro (OSL) si fonda su
due principi cardine, ovvero il focalizzare l‟attenzione verso l‟aumento
del surplus (realizzando una coincidenza tra gli interessi tra direzione e
lavoratori), e il conoscere scientificamente i tempi e metodi di lavoro al
fine di aumentare la produzione e il rendimento di uomini e impianti.
Nulla era dunque lasciato al caso, se in qualche modo lo si poteva
evitare. Alla base dell‟OSL vi è, quindi, il principio generale per il quale
esiste sempre un metodo unico e migliore per risolvere i problemi e
compiere azioni di qualsiasi genere (one best way).
Taylor era ossessionato dal mantenere il controllo sull‟ambiente che lo
circondava, caratteristica che condizionava pesantemente l‟approccio
alle situazioni che si trovava ad affrontare e riscontrabile nelle sue
produzioni teoriche; egli analizzò non tanto la figura del manager come
concepita nell‟accezione attuale, bensì nella veste di supervisore addetto
al cronometraggio dei movimenti degli operai, per il quale l‟informazione
sul tempo ottimale di produzione era l‟unica fonte da prendere in
considerazione nella valutazione.
Taylor fu uno tra i primi a riconoscere esplicitamente l‟importanza della
presenza di qualcuno che avesse la funzione di controllo, non andando
a specificarne le caratteristiche personali e professionali.
8 CRAINER STUART, DEARLOVE DES, Il grande libro dei guru. I pensatori che hanno
fatto il management, op. cit.
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Chester Barnard9 (1886-1961) fu uno dei primi, sulla scia della
formulazione teorica di Fayol, ad operare alcune riflessioni sulla figura
del manager, oltre all‟essere riuscito a dare anche un‟impronta etica al
mondo del lavoro. Secondo l‟Autore, il CEO non doveva essere una
figura di impronta dittatoriale orientata unicamente ai risultati di breve
periodo; al contrario, una delle sue incombenze era bene che fosse
quella di coltivare giorno dopo giorno i valori e gli obiettivi
dell‟organizzazione. Ciò che distingue la responsabilità dell‟alto dirigente
dalle altre mansioni aziendali consiste nel non imporre la semplice
conformità alle norme di un codice di regole etiche, ma nel dedicarsi alla
creazione di un codice etico che sia riconosciuto e condiviso dagli altri.
Nell‟affermare l‟esistenza di un sistema di regole di tipo morale da
declinare sull‟intera categoria del management, il pensiero di Barnard si
ricorda per una parte importante nell‟ampliamento del ruolo
manageriale in quello che era il contesto storico del tempo: si passa
dalla funzione del dirigente preposta esclusivamente alla misurazione
delle prestazioni di impronta tayloristica, al controllo e alla
supervisione, a quel delicato incarico consistente nel riuscire a porre
l‟attenzione anche su concetti più vaghi e astratti, come i valori, tema
su cui in seguito si è sviluppata una grande parte della letteratura
manageriale.
Peter Drucker (1905-2005) ha apportato il maggiore contributo
all‟evoluzione del management dell‟ultimo secolo. Durante la propria
attività ha investigato tutto ciò che manager e dirigenti fanno, pensano
o devono affrontare nell‟esercizio del loro ruolo, lasciando quasi nulla di
inesplorato10.
Come lo stesso Drucker ha dichiarato, “Il management è costituito da
compiti; il management è disciplina. Ma il management è anche
9 Cfr. CRAINER STUART, DEARLOVE DES, Il grande libro dei guru. I pensatori che
hanno fatto il management, op. cit.
10 Due dei libri di Drucker lo hanno consacrato come padre del management: The
Practice of Management (1954) e Management: Tasks. Responsibilities, Practices (1973).
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persone. Ogni conquista del management è la conquista di un manager;
ogni suo fallimento è il fallimento di un manager. Sono le persone a
gestire, non le forze o i fatti. Sono la vision, la dedizione e l‟integrità dei
manager a determinare se c‟è un buono o un cattivo management11”.
Drucker stabilisce cinque elementi che fanno da pilastro alla
professionalità del manager:
1. fissare gli obiettivi,
2. organizzare,
3. motivare e comunicare,
4. misurare le performance,
5. sviluppare le risorse umane.
L‟Autore afferma che il maggior apporto all‟organizzazione che ci si
aspetta da un buon dirigente è che sappia trasmettere agli altri la
propria vision e che dimostri la capacità di realizzarla. Questi sono i
tratti che delineano la figura del manager in modo netto da considerare
insieme alla responsabilità morale, la quale si rispecchia nelle cinque
aree sopra enunciate. I manager vengono valutati sulla base della
performance economica che raggiungono, che non necessariamente
coincide con il massimo profitto, ma piuttosto con quello sufficiente a
coprire i rischi intrapresi onde evitare una perdita per l‟impresa.
Una delle importanti innovazioni contenute in The Practice of
Management è quella conosciuta come MBO, ovvero il Management By
Objective (la gestione per obiettivi), una procedura sistematica che
coinvolge tutti i responsabili aziendali di funzione nello studio e nella
definizione a livello generale di una gerarchia di obiettivi, definiti nel
dettaglio, e nell‟individuazione dei mezzi opportuni al loro
conseguimento. Per ogni funzione aziendale vengono quindi delineati i
risultati-chiave e le performance aziendali e i traguardi di efficienza,
11 Cfr. CRAINER STUART, DEARLOVE DES, Il grande libro dei guru. I pensatori che
hanno fatto il management, op. cit., pag. 49.