35
CAPITOLO II
Il caso mafioso
2.1 Oltre l’aula di tribunale: le vere necessità della vittima e dell’autore
La gravità di un reato, come sottolinea Guido Bertagna
42
, è un qualcosa che va
elaborato: non si può stabilire un metro di misura universale solo in base ad una
definizione di legge. Possiamo concordare però, che i reati di stampo mafioso e
delle malavita organizzata, implichino sempre una certa gravità, sia che si tratti di
un omicidio, sia che ci si riferisca alla minaccia. Quest’ultima infatti, è un modus
operandi ampiamente e frequentemente utilizzato da tale tipo di criminali e non
differisce molto dall’uccisione: in entrambi i casi la vita ti viene sottratta, in uno
letteralmente, nell’altro attraverso l’utilizzo della paura. Quando vieni minacciato
non riesci più a vivere serenamente, temi per te stesso e per la tua famiglia, non ti
senti sicuro in nessun luogo.
La GR e in particolare i Victim-offender mediation program, nascono per essere
adoperati in situazioni meno complicate, nell’ambito della giustizia minorile, ma il
loro potenziale si rende ben presto noto. Bertagna afferma, infatti, che il cammino
della Giustizia Riparativa può dare frutti addirittura migliori e inaspettati proprio in
quei casi in cui la riparazione non sembra possibile.
43
L’incontro diventa una risorsa
potente, un’occasione per lavorare sulle relazioni in quei luoghi dove tali tipi di
reati gravi costituiscono il tessuto culturale e sociale di una terra. L’attenzione alle
relazioni è un sistema sia per cercare di intervenire sulle conseguenze di male che
l’illecito ha comportato, sia per scardinare o almeno indebolire i meccanismi di
potere che la malavita esercita nei ‘suoi’ territori.
42
Guido Bertagna è padre gesuita, da una decina di anni accompagna come mediatore il percorso di
riavvicinamento di un gruppo composto da vittime e protagonisti della lotta armata, come si racconta
nel Libro dell’incontro che egli ha scritto insieme a Adolfo Ceretti e Claudia Mazzucato. Inoltre, è
uno dei promotori dell’apertura del Centro di Giustizia Riparativa di Padova, attivo da pochi mesi.
Nel corso della stesura della tesi ho avuto modo di intervistarlo rispetto alla sua esperienza di
mediatore; la trascrizione della conversazione si trova in Allegato 1 di questo elaborato pp. 58-69.
43
Cfr. Allegato 1, p. 66.
36
Come già trattato nel capitolo precedente, anche e specialmente per questo tipo di
reati, il processo penale all’interno dell’aula di tribunale non basta per dare risposte
alle vittime e per aiutarle ad affrontare il loro lutto. Così recita la testimonianza di
una delle vittime della lotta armata, Maria Campione, partecipante al gruppo di
mediazione tenuto da Guido Bertagna:
«Restituire violenza alla violenza la moltiplica, anche quando la si crede
giusta. Aggiunge solo una profonda oscurità in una notte già nera»
44
.
È vero che, in un primo momento, il desiderio e le energie di chi viene colpito da
un fatto tale, si concentrano nella ricerca della verità, nell’assegnazione di un volto
e di un nome al colpevole, nella richiesta di una giusta condanna. Tuttavia, superata
questa fase, superato anche il processo, la vittima si accorge di non riuscire ancora
a far pace con quel dolore che la tormenta, quel dolore che l’assenza della persona
cara le provoca. Ciò, ugualmente, può accadere all’offensore, che, dopo aver
scontato la sua punizione, può sentire ancora un forte senso di responsabilità per
non aver in realtà riparato al male commesso; sempre che sia stato in grado di
utilizzare realmente la sua pena carceraria per ragionare e seguire un percorso di
rieducazione. Alcuni autori di reato, infatti, ricevendo una sanzione senza essere
realmente consapevoli di ciò che hanno fatto, rischiano di non capirne il senso e di
sentirsi puniti ingiustamente, maturando rancore e desiderio di vendetta.
Carmelo I., un partecipante al Gruppo della trasgressione
45
all’interno del carcere
di Bollate, racconta:
«Prima di conoscere il carcere come Bollate ne ho fatti dieci, anzi undici
prima, in carceri che non mi hanno quasi significato niente, mi sono reso
conto che ho sprecato gli anni buttati così, nelle celle, dove ho continuato a
non sentirmi partecipe di questa società. Quindi, la cosa che mi ha più
44
G. Bertagna, A. Ceretti, C. Mazzucato, Il libro dell’incontro. Vittime e responsabili della lotta
armata a confronto, Il Saggiatore, 2015, p. 128.
45
Il Gruppo della Trasgressione è un associazione che opera all’interno delle carceri, guidata dallo
psicologo e psicoterapeuta Angelo Aparo. L’obiettivo di questi gruppi, formati da detenuti, ma anche
da volontari, è quello di ragionare su tematiche che siano in grado di mettere in luce emotività e
debolezze dei partecipanti, in modo da poter rifletter su se stessi e sul proprio passato.
37
amareggiato è proprio il fatto di non riconoscere un significato a questa
pena, un significato valido e costruttivo sia per me che per questa società»
46
.
La giustizia classica, con i suoi processi e le sue sanzioni, mostra così il suo limite
più vistoso: Guido Bertagna, riferendosi ai dati statistici di alcuni anni fa, evidenzia
che la recidiva dei detenuti nelle carceri è di circa il 70%, ciò significa che se il
carcere fosse un’azienda, sarebbe fallimentare
47
. Inoltre, se si ragiona solo in
termini di processo penale, di innocenza o colpevolezza, se l’imputato per il reato
non viene trovato o viene assolto, questo significa che il reato stesso cessa di
esistere. Quello che, invece, non scompare e non può scomparire è il dolore delle
vittima.
2.1.1 Alcune considerazioni di vittime e offensori
Rispetto all’inefficacia dell’attuale sistema penale del nostro paese nell’aiutare, da
una lato le vittime a guarire la loro ferita, e dall’altro gli autori di reato a riflettere
sulle loro azioni in vista di una rieducazione; alcuni soggetti coinvolti in percorsi
alternativi di giustizia hanno espresso diverse considerazioni, maturate nel corso
delle loro esperienze.
Manlio Milani, marito di una vittima dell’attentato a Piazza della Loggia del 1974,
dice in occasione di un’intervista:
«Questi avvenimenti ti segnano creando una divaricazione tra il prima e il
dopo e trovi nel tempo la necessità di riconciliare questi due momenti […]
Senti il peso di un’assenza che ti è stata violentemente portata via, di una
rottura nella tua affettività e anche nei tuoi progetti di vita, ciò che allora
pensavamo insieme di costruire non è più stato possibile, il dopo ha
annullato anche questo e annullare questo aspetto significa perdere anche
un’idea di futuro. Non soltanto, quindi, rischi di non avere più il passato, ma
nemmeno di avere il futuro»
48
46
CARMELO I. è un detenuto del Gruppo della Trasgressione. Testimonianza presa dai Materiali
di approfondimento – www.lostrappo.net, ultima consultazione 22 giugno 2019.
47
Cfr. Allegato 1, p. 64.
48
Intervista a Manlio Milani – Lettura annuale 2017 (CESGREM), Università degli studi
dell’Insubria.
38
Margerita Asta, familiare di tre vittime di mafia (Pizzolungo, 2 aprile 1985) e
referente per il Nord Italia del coordinamento familiari-LIBERA, sostiene:
«Sinceramente, secondo me, noi familiari ne potremmo fare pure a meno
del risarcimento economico; quanto piuttosto ristabilire la verità, la verità
che poi ti consente di ricostruire anche quella storia e ti permette, quindi
anche, poi, di porre fine al problema»
49
Carmelo I. riflettendo sul lavoro fatto all’interno del Gruppo di trasgressione, dice:
«Come si fa a cambiare crescendo? Io me lo son posto e ho trovato anche il
riferimento nei discorsi che si fanno in gruppi come questo della
trasgressione, dove c’è il confronto con studenti, con giornalisti, con
detenuti, addirittura i civili. Questi sono i punti di crescita che danno da
riflettere. Io non ho trovato in vita mia un modo migliore per attuare la mia
crescita, per esperienza che ho personale delle carceri o anche della vita
stessa. Non c’è crescita se non c’è un punto nel quale riflettere. E i punti sui
quali riflettere li puoi trovare in officine, laboratori, palestre come questo
gruppo che io spero che in Italia, nelle carceri, anche non solo nelle carceri
ma nella società stessa, spero che vadano a crescere sempre di più, come
numero, perché la crescita sta appunto nel confronto e nella riflessione.
Questo ho imparato nella vita»
50
Infine, G.C., un altro detenuto che partecipa al Gruppo della Trasgressione della
Casa di Reclusione di Bollate, ragionando sulla sua esperienza e sul futuro dichiara:
«Ha fatto del male a una persona, ok…. quindi ormai il danno è stato fatto,
non si può più tornare indietro. Mi stai dando una condanna esemplare
perché ho sbagliato? Ma dammi la possibilità di tornare a essere una persona
…. perché sennò dopo dieci anni mi ributti in mezzo alla strada, sì perché
prima o poi la condanna finisce, e io torno a fare quello che facevo prima»
51
49
Testimonianza presa da Materiali di approfondimento – www.lostrappo.net, ultima consultazione
22 giugno 2019
50
Ivi
51
Ivi
39
2.2 Il grande potenziale della Giustizia Riparativa come risorsa nelle terre di
mafia
“Le aule giudiziarie in certi casi hanno già dato tutto quello che potevano dare.
E allora noi abbiamo una missione. La società non sa, forse non vuole sapere.
Ma noi abbiamo bisogno della parola di tutti. Abbiamo bisogno
di una storia che smetta di scriversi con le stesse parole. È difficile,
ma dobbiamo dimostrare di essere stati in grado di dialogare con l’altro.
Dobbiamo custodire una memoria viva per andare oltre
l’incubo dei mostri e ritrovare le persone.”
52
Guido Bertagna riferisce che, nel Gruppo tenuto da lui e dagli altri suoi colleghi
mediatori, sono andate formandosi nel tempo alcune relazioni davvero significative
tra persone che prima di quell’esperienza si ritenevano “nemiche”. La condivisione
della propria storia, il confronto, l’alzare lo sguardo sull’offensore e comprendere
che esso è sì una parte del reato, ma non è totalmente e integralmente il reato: tutto
ciò porta alla creazione di legami davvero forti. Questi legami potrebbero avere
un’importanza senza eguali nella lotta alla criminalità mafiosa, poiché se si
creassero relazioni del genere fra vittime e colpevoli, se gli autori di reato
partecipassero in maniera seria a questi cammini di GR, difficilmente una volta
usciti dal carcere sarebbero disposti a entrare di nuovo nei vecchi schemi, a
dimenticare la vittima. In linea teorica tali tipi di relazione avrebbero la stessa
intensità dei legami familistici dei clan e questo potrebbe diventare un elemento
molto destabilizzante per la malavita organizzata.
53
2.3 Difficoltà che si possono incontrare nell’intraprendere un percorso di
Giustizia Riparativa
Come si può evincere dal primo capitolo di questo elaborato ‒ nel quale viene
presentata la pratica della Giustizia Riparativa ed in particolare della mediazione ‒
l’utilizzo dei programmi di Restorative Justice richiede conoscenze, impegno ed
attenzione. Per questo motivo, congiuntamente al fatto che si tratta di una materia
poco conosciuta e quindi potenzialmente soggetta ad impressioni superficiali, è
52
G. Bertagna, A. Ceretti, C. Mazzucato, Il libro dell’incontro. Vittime e responsabili della lotta
armata a confronto, p. 58.
53
Cfr. Allegato 1, pp. 66-67.
40
necessario porre attenzione a quelle difficoltà che si possono incontrare nel pensare
di intraprendere tale tipo di percorso.
2.3.1 Visione della Giustizia Riparativa da parte della società
La Giustizia Riparativa, secondo Bertagna, incontra due principali ostacoli
nell’accettazione da parte della società: l’essere ritenuta una giustizia “buonista” e
il non essere considerata un percorso che può soddisfare le esigenze della vittima.
Giustizia buonista perché, in modo molto superficiale, viene vista come la giustizia
delle strette di mano e delle pacche sulle spalle, come una via semplice per
scampare alla condanna. Abbiamo visto, invece, come sia tutt’altro che facile ed
immediato partecipare ad un percorso riparativo, che se fatto seriamente richiede
impegno, volontarietà e consapevolezza.
Collegato al fatto di essere vista come una giustizia più semplice, si solleva anche
l’opinione che tale percorso non sia in grado di soddisfare a pieno la vittima,
pensando che il modo migliore per fare giustizia sia solo quello di condannare,
punire e rinchiudere il colpevole. Questo pensiero è probabilmente influenzato
dall’informazioni pubblica, la quale in occasione della fine dei processi, insegue le
vittime per chiedere se sono soddisfatte della sentenza, rendendo così normale
ritenere che la soddisfazione possa arrivare solo a seguito di quel momento.
Questi ostacoli derivano anche dal fatto che alla società cosiddetta civile, non viene
chiesto di prendere consapevolezza di una violenza che in realtà ci appartiene, di
comprendere che «la linea che separa la violenza dalla non violenza passa dentro di
noi, non fuori di noi»
54
.
2.3.2 Incertezze
Sia dalla parte delle vittime che da quella degli autori di reato vi possono essere
alcune perplessità rispetto all’intraprendere un percorso riparativo.
Per quanto riguarda le vittime, l’incertezza più grande che tende a frenarle è il
timore che l’offensore non dimostri realmente una piena consapevolezza del male
commesso, il timore che, quindi, non abbia detto la piena verità sul fatto. La vittima
54
Allegato 1, p. 62.