INTRODUZIONE
Questo studio ha lo scopo di contribuire a fare luce su un periodo ancora
poco studiato in Ascoli Piceno e quindi nelle Marche: il Barocco.
La mia ricerca si è incentrata su una produzione architettonica
commissionata nel Seicento da un ordine religioso, i Carmelitani, grazie ai quali
oggi possiamo ammirare la chiesa di S. Maria del Carmine ad Ascoli Piceno.
Giuseppe Fabiani è stato il primo che abbia affrontato e studiato in maniera
scientifica e documentata il periodo in questione, ed è proprio dal suo libro
“Artisti del sei-settecento in Ascoli” (1961) che parte il mio studio sulla chiesa
ascolana dei Carmelitani. Seguendo le sue indicazioni, ricche di citazioni
documentarie archivistiche, la mia ricerca si è allargata sia alla bibliografia che
lo ha preceduto e seguito – conservata prevalentemente nella Biblioteca
Comunale di Ascoli – sia alle fonti archivistiche, attinte prevalentemente
dall’Archivio di Stato di Ascoli Piceno, e non dall’Archivio Vescovile
Diocesano, in quanto gli Ordini religiosi rispondevano direttamente al Papa.
Il nome di un grande architetto romano è in correlazione, poi, con la
chiesa del Carmine, ed in particolare con la sua facciata: Carlo Rainaldi.
Paolo Portoghesi, attraverso il suo libro “Roma Barocca” (1966-1998
8
), mi ha
fornito le basi per affrontare in modo completo ed esauriente lo studio sul
Rainaldi, grazie anche alla sua sempre aggiornata appendice contenente la
bibliografia e le attribuzioni più recenti di tutti gli architetti.
Ho affrontato lo studio delle vicende storico-politiche, religiose e
architettoniche di Ascoli Piceno nel Seicento, e sono quindi passato ad
approfondire la storia dell’Ordine dei Carmelitani, ed in particolare il loro
rapporto con la città di Ascoli. Utilissimo si è rivelato il recente libro di Joachim
Smet: “I Carmelitani. Storia dell’Ordine del Carmelo” (1996), reperito a Roma
presso la Provincia Italiana dei Carmelitani.
Alla storia della chiesa e del convento di S. Maria del Carmine, ho fatto
quindi seguire uno studio tipologico sulla facciata, seguendo le preziose
deduzioni di Nathan Whitman (1970) sulla cosiddetta «facciata a edicola», al cui
tipo la chiesa di Ascoli appartiene.
Ho cercato di chiarire, infine, in quale entità fossero presenti nella fabbrica della
chiesa del Carmine le tre figure di architetti ad essa legate: Carlo Rainaldi,
Giuseppe Giosafatti, Celso Saccoccia.
1
1. ASCOLI PICENO NEL SEICENTO
1.1. Le vicende storico-politiche.
Ascoli entra nel XVII secolo sotto la guida dello Stato Pontificio. Non era
una novità. La città era passata per la prima volta alla Chiesa nella seconda metà
dell’VIII secolo; ritornò stabilmente sotto il controllo del Papato dopo il
dominio di Federico II di Svevia, che le aveva dato libere istituzioni e privilegi
(1242-1250). Le autonomie comunali, ottenute dalla cittadinanza nel XIII
secolo, funzionarono, con alterna efficacia, fino ai primi anni del 1500, quando,
dopo un ventennio di rinascita favorita dalla Libertas Ecclesiastica accordata da
Sisto IV nel 1482, “si chiuse la triste parabola discendente delle libertà
cittadine”
1
.
Ormai gli Ascolani sembrano prediligere la sicurezza rispetto all’autonomia del
periodo comunale, e lo Stato Pontificio, dopo aver sedato l’ultima rivolta del
1535, guidata da alcune casate nobili che rivendicavano la propria indipendenza,
rafforzò la propria presenza nella città aggiungendo “all’organismo cittadino
soprattutto le opere militari per la difesa esterna e il controllo interno”
2
. Furono
eseguiti, a partire dal 1540, il restauro del Forte Malatesta all’imboccatura
dell’antico Ponte di Cecco, che Paolo III Farnese affidò ad Antonio da Sangallo
il Giovane, e la costruzione della nuova fortezza sul colle dell’Annunziata fatta
1
AA. VV., Marche. Guida d’Italia del Touring Club Italiano, Milano 1979, p. 620; L. BENEVOLO, Ascoli
Piceno, Milano 1957; V. BORZACCHINI, Dall’apice del Quattrocento alla crisi del Cinquecento. Il Rinascimento
ascolano (XV-XVI secolo), in AA.VV., «Ascoli e il suo territorio. Struttura urbana e insediamenti dalle origini a
oggi», Milano 1984, p.128.
2
L. BENEVOLO, La città italiana nel Rinascimento, Milano 1969, p. 47.
2
erigere da Pio IV Medici nel 1564
3
.
In Ascoli, quindi, come pure in tutta la Marca, dalla fine del Cinquecento
in poi si consolidò il potere temporale nella figura del vescovo e decadde
definitivamente ogni autonomia di governo dell’antica struttura pubblica.
Tutta una serie di vicende, politiche e non, come l’autoritarismo dei governatori
pontifici, la Controriforma, le scorrerie turche sulla costa, le carestie, la peste, le
guerre, contribuirono in maniera determinante, in tutta la provincia picena, a
disgregare il tessuto connettivo sociale che sino ad ora aveva retto nonostante la
crisi economica e il decadere dei sistemi produttivi rinascimentali
4
.
Inoltre la repressione pontificia, producendo un elevato numero di perseguitati
politici, causò la nascita del banditismo.
Conferma significativa della profonda crisi in cui cadde la città di Ascoli è il
numero dei suoi abitanti che dalle 16.000 unità nella prima metà del 1500, passò
a 7.600 nel 1656, un livello così basso da non essere mai stato raggiunto prima
di allora.
La perdita dell’autonomia cittadina aveva portato al crollo del sistema
produttivo, con la quasi completa scomparsa della classe sociale intermedia, e
con la trasformazione del proletariato artigianale urbano in sottoproletariato.
L’unica strada che si prospettò per poter uscire da questa profonda crisi socio-
economica, fu quella della sicura e antica fonte di reddito del Piceno:
l’agricoltura.
L’antica nobiltà terriera, forte dei suoi possedimenti, ed utilizzando la
manodopera di buona parte del sottoproletariato e delle classi popolari, fu
fautrice della formazione di un’apparente ricchezza urbana, che si manifestò
nella riorganizzazione delle produzioni artigianali artistiche e di quelle dei
settori legati all’edilizia, che nonostante la crisi, manteneva costante una certa
3
id., Ascoli, cit..
4
V. BORZACCHINI, Dalla crisi alle trasformazioni barocche, al Neoclassico (XVII-XIX secolo), in AA.VV.,
«Ascoli e il suo territorio, cit.», p.142.
3
produzione legata alla committenza religiosa e ai ceti della nobiltà terriera.
Questo benessere di facciata, però, nascondeva delle contraddizioni sociali e dei
pesanti squilibri economici: praticamente fu decretata la fine della borghesia, e
l’inizio di un bipolarismo sociale ed economico che vedeva schierati, da una
parte la nobiltà terriera e il clero sempre più ricchi, e dall’altra una classe
popolare, urbana e contadina, che, vedendo aumentare le restrizioni e i soprusi a
loro carico, era costretta a sopravvivere in uno stato di servitù pressoché
completa.
1.2. Gli interventi architettonici e urbanistici.
Emidio Ferretti (†1667)
5
, nella sua veduta prospettica di Ascoli del 1646
(figg. 1-2), “fotografa” in modo esemplare la situazione urbanistico-
architettonica della città. Da questa pianta ben si capisce quanto le vicende
storiche non abbiano affatto modificato il circuito difensivo, che già allora
racchiudeva tante città in una sola: la rinascimentale si era sovrapposta alla
medievale, che a sua volta era cresciuta sulla città romana.
Ascoli Piceno (fig. 3), grazie alle sue caratteristiche oroidrografiche,
apparve subito ai suoi primi abitatori come un luogo ottimale per impiantarci
una città. I Romani interpretarono in modo magistrale i dati offerti dal sito,
costruendo una città di cui ancor oggi si legge la struttura da loro creata. Infatti,
in primo luogo era una pianura fluviale facilmente difendibile, protetta su tre lati
dalle rive scoscese del Tronto e del Castellano, e sul quarto da una ripida altura:
in base a queste caratteristiche costruirono le mura che seguono le sponde
5
G. FABIANI, Artisti del sei-settecento in Ascoli, Ascoli Piceno 1961, pp. 217-218. “Nato in Ascoli sullo scorcio
del secolo XVI, fu architetto (rimodernò l’interno della chiesa di S. Venanzio) e soprattutto incisore in rame. E’
sua la pianta di Macerata […] e quella assai minuta e precisa – e oggi assai preziosa – della nostra città, che
misura cm. 75x55, copiata poi da P. Mortier […] nel 1704”.
4
irregolari dei due fiumi e contornano la collina dell’Annunziata
6
. In secondo
luogo costituiva il passaggio obbligato lungo la via Salaria, una direttrice di
collegamento Tirreno-Adriatico tra le più importanti: è, infatti, proprio questa
strada Consolare che orienta l’organismo urbano secondo la direttrice della valle
del Tronto, ed entra nell’abitato assumendo la funzione di decumanus
7
.
Nel 1600 nella forma urbana cittadina permasero gli indirizzi evolutivi del
Rinascimento, che aveva modificato quanto era possibile strade, piazze, chiese e
grandi edifici laici e religiosi. Quindi al tempo di Ferretti l’unica evoluzione
possibile nella città era a livello del singolo organismo edilizio. Edifici pubblici,
conventi e grandi dimore con orti e giardini, continuarono a sovrapporsi alle
strutture tardo-medievali o primo-rinascimentali.
L’antico decumanus maximus (“n.19, Via Cursus”
8
, TAV. 14), l’odierno
Corso Mazzini, continuò a ripartire la città in quartieri e sestieri, diventando
sempre più l’arteria col maggior numero di edifici importanti.
Dal punto di vista urbanistico, fu operato l’assetto definitivo della rete
stradale urbana, recuperando alcune zone del tessuto urbano da tempo in stato di
abbandono e decadenza, ma non mancarono costruzioni di nuovi edifici nei lotti
di terreno ancora liberi. Da un’idea nata nel ‘500, fu creata la “Via
Nova”(“n.18”, fig. 4)
9
, odierno corso Vittorio Emanuele, per collegare il ponte
Maggiore con piazza dell’Arengo.
Dal punto di vista architettonico si attuarono ampliamenti e modifiche di
chiese, conventi ed altri edifici religiosi, la ricostruzione del Palazzo Anzianale e
la costruzione di un considerevole numero di residenze private. Le tipologie
adottate, ricalcando prevalentemente schemi rinascimentali già collaudati
formalmente e funzionalmente, si arricchirono di nuovi valori estetici sostenuti
dalla nascente cultura ufficiale barocca.
6
L. BENEVOLO, Ascoli, cit..
7
id., La città italiana, cit., p. 45.
8
E. FERRETTI, Pianta di Ascoli Piceno, incisione su rame, Ascoli Piceno 1646.
9
ibidem.