null 3
Premessa
Carpe diem (letteralmente “cogli il giorno”, leggi invece “cogli l’attimo”) è una
delle locuzioni tratte dalle Odi del poeta latino e mediterraneo Orazio
1
. Diventata nel
corso dei secoli paradigma per molti, regola principe di un’ars vivendi spesso
erroneamente identificata e male interpretata con un gretto opportunismo o con il più
gaudente edonismo, il suo punto di focalizzazione verte piuttosto sulla razionale
considerazione che all'uomo non è dato di conoscere il futuro, né tantomeno di
determinarlo. Solo sul presente l'uomo può intervenire e solo sul presente, quindi, deve
concentrarsi il suo agire, che, in ogni sua manifestazione, deve sempre cercare di
cogliere le occasioni, le opportunità, le gioie che si presentano oggi, senza alcun
condizionamento derivante da ipotetiche speranze o ansiosi timori per il futuro.
Tutto ciò ha un nesso con una tesi che si pone di raccontare e riflettere sulla rassegna
Mediterraneo, promossa dalla Biennale Teatro nel biennio 2008/2009.
Una speranza, una volontà, quasi un azzardo, ma anche un’opportunità hanno
mosso il direttore-regista Maurizio Scaparro
2
: siamo in un periodo storico, artistico,
culturale in cui noi europei del Mediterraneo sentiamo il bisogno, che fa parte delle
nostre tradizioni culturali, di guardare nei secoli all’Oriente per arrivare a nuove
conoscenze, nuove tolleranze, nuove sorprese, nuove illusioni.
Risultato: l’allestimento di un laboratorio, un “cantiere” teatrale dove, per una
volta tanto, Oriente e Occidente non sono nominati per i conflitti violenti di interessi e
religioni, ma per quel senso utopico di convivenza felice e sofferta che “l’esercizio
illimitato della fantasia” (come non chiamare in causa Le Mille e una notte) suggerisce e
consente. Non scontro ma incontro, non monologo ma dialogo (vero e proprio leitmotiv
che ritornerà spesso in questo lavoro) e viaggio disseminato di laboratori, spettacoli,
incontri e riflessioni pubbliche visti con l’occhio di un’Europa che non può non
dimenticare che parte del suo patrimonio artistico e culturale, e quindi della sua stessa
civiltà, nasce dalla contaminazione e confluenza della cultura araba, cristiana ed
ebraica.
E Venezia, il salotto del mondo, attrazione indiscussa per turisti di tutto il
mondo e di tutti gusti e culture, è diventata per l’occasione centro catalizzatore
nullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnull null 1
Cfr. Orazio, Odi (1,11,8), <http://www.latinovivo.com/autori/Orazio.htm#11> (attivo).
2
Una biografia esauriente è disponibile on-line al seguente indirizzo
<http://delteatro.it/dizionario_dello_spettacolo_del_900/s/scaparro.php> (attivo).
null 4
dell’“ondata mediterranea” portatrice di cultura, liberandosi della patina un po’ kitsch
rivestita da ormai troppo tempo. Del resto, come non si può non svolgere una simile
rassegna in questa città, laddove per secoli i rapporti con l’Oriente sono stati così
prolifici da procurargli non pochi nemici nella stessa penisola italiana. Nel suo stesso
nome, cioè Veni etiam – vieni ancora, frase ben augurante che i residenti nell’isola
erano soliti pronunciare con tutti coloro i quali avevano a che fare, soprattutto mercanti
stranieri – Venezia ha nel suo dna l’idea di accoglienza e dialogo.
Insomma una guida delle varie fasi che hanno contraddistinto la prima parte
della rassegna Mediterraneo, la fase “cantieristica”, del fare teatro tramite l’efficace
mezzo dei laboratori e degli incontri col pubblico, momenti di confronto e dialogo tra le
parti, ovvero tra pubblico interessato e attori/curatori/registi/relatori e studiosi sulle
dinamiche mediterranee. Oltre a questo bisogna segnalare la presenza di alcuni
spettacoli e film intesi come prodotto finito realizzato – eventi collaterali si direbbe in
alcuni casi – che si sono perfettamente inseriti nei meccanismi della rassegna non solo
perché parlano del mare, ma soprattutto perché fanno emergere gli aspetti che ho
anticipato poco prima: la necessità di dialogo tra le parti del Mediterraneo, la scoperta
delle varie culture disseminate tra le sue sponde e l’armonia di queste “diversità”
culturali, quest’ultimo aspetto indispensabile per trovare una pacifica convivenza e una
soluzione alla crisi.
Un’analisi che ho mantenuto il più possibile oggettiva e “distaccata” senza
dimenticare qualche aneddoto personale, dal momento che ho vissuto l’esperienza con i
miei occhi. A mio sostegno non posso non menzionare la rassegna stampa, gentilmente
fornita dall’Ufficio Stampa DMT (Danza Musica e Teatro)
3
de La Biennale di Venezia,
il Giornale di Bordo cioè la raccolta di tutto il materiale – commenti, foto e video –
realizzato dai laboratori di documentazione e disponibile on-line, presentazioni e
cataloghi prodotti dalla stessa Biennale e vari testi utili per comprendere meglio il mare
Mediterraneo dal punto di vista storico, culturale, politico ed economico.
nullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnull null 3
L’Ufficio Stampa DMT, collocato nella sede storica di Ca’ Giustinian (San Marco 1364/A 30124
Venezia), è rintracciabile attraverso l’indirizzo mail [email protected] o il numero di telefono 041
5218 886.
null 5
Capitolo 1
Il tuffatore di…Venezia: testimonianze di un
meticciato mediterraneo
C’è un’immagine che ricorre continuamente – nel periodo che va dal 27 ottobre
al 29 novembre 2008 – per le strade, nei pontili degli imbarcaderi e in tutte le sedi
ufficiali e non della Biennale: l’immagine simbolo del Laboratorio Internazionale del
Teatro Mediterraneo, vale a dire il particolare più conosciuto della Tomba del Tuffatore
di Paestum
4
.
Immagine emblematica nel senso letterale del termine e carica di significati
mistici e simbolici, colpisce subito per la sua efficacia ed imponenza, come pure per la
semplicità nella sua composizione: si presenta ai nostri occhi un giovane nudo, sospeso
per sempre nell'istante del tuffo solitario in uno specchio d'acqua.
Siamo davanti ad un convivio funebre. Un'interpretazione simbolica, quale
emblema di un trapasso ultraterreno, si presta bene a denotare la scena del tuffo. La
piattaforma da cui si slancia il tuffatore allude forse alle pulai, le mitiche colonne poste
da Ercole a segnare il confine del mondo, assurte a simbolo del limite della conoscenza
umana. Lo specchio d'acqua, secondo la stessa opinione dello scopritore, Mario Napoli,
con il suo orizzonte curvo e ondulato, rappresenterebbe quindi il mare aperto e ondoso.
La posa atletica, così ravvicinata al piedistallo da far sembrare il tuffo un sorvolo,
simboleggerebbe il transito verso un mondo di conoscenza; un orizzonte diverso da
quella della conoscenza terrena cui un giovane greco accede secondo le convenzioni e le
esperienze esemplificate nelle pratiche simposiali: l'abbandono al vino, all'eros, all'arte,
sia essa musica, canto o poesia.
Si può dire quasi una scelta “obbligata” per il regista e direttore Maurizio
Scaparro, per la sua forte valenza mediterranea (scelta peraltro adottata anche in
numerose pubblicazioni tra cui il famoso libro di Fernand Braudel Memorie del
Mediterraneo): non tanto per il suo essere un manufatto dell’arte funeraria della Magna
Grecia, quanto piuttosto per la figura rappresentata. Il tuffatore di Paestum ha pelle
scura.
«Quando dovevo trovare l’immagine per il Laboratorio – afferma – mi sono reso conto
che il tuffatore di Paestum, datato il 480 a.C., ha la pelle scura. Era esattamente
nullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnull null 4
Datata tra il 480 e il 470 a.C., attualmente si trova nel Museo Archeologico Nazionale di Paestum
(Salerno).
null 6
l’immagine che volevo dare del Mediterraneo»
5
: con queste parole chiarifica l’intento di
“richiamare alle origini”, che abitano più a sud rispetto al baricentro che oggi
percepiamo come identità, e mostrare che quelle origini sono meticcie. «La nostra
civiltà – continua – che chiamiamo occidentale, affonda le sue origini in una cultura
mista, che per secoli si è nutrita di contaminazioni, di promiscuità. Il meticciato, oggi
parola alla moda, in realtà è una condizione originaria che anticipa il nostro futuro»
6
.
Oggi parlare di Mediterraneo è quindi l’assunzione di responsabilità di tornare
indietro, di ripercorrere la geografia di quel bacino dove sono riaffiorate o sono passate
e si sono stratificate le culture del mondo allora conosciuto, e di esplorarne tutte le
sponde, alla ricerca di un’identità più completa e più promettente.
Fa riflettere infine la somiglianza del tuffatore con una figura attuale: «Alcuni amici
americani hanno detto che sembra Barack Obama mentre si tuffa nei nostri mari»
7
sono
parole di Scaparro pronunciate col sorriso sulle labbra. Un sorriso vero, sincero, una
chiara testimonianza che anche il più importante rappresentante vivente della società
occidentale, qui intesa nelle sue accezioni politiche ed economiche, porta con sé i
germogli dell’appartenenza al Mediterraneo, qui inteso come cultura nel senso più
ampio del termine.
E riguardo alle attività promosse dal Laboratorio, sono emerse in generale queste
esigenze per raggiungere il fine ultimo: la formazione dei giovani – provenienti da ogni
angolo dell’area mediterranea, comprese terre “calde” come il Libano e i territori
palestinesi – attraverso il dialogo.
nullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnull null 5
Cfr. Alessandra Lionello, Meticciato Mediterraneo, «Il Mattino di Padova», 30 novembre 2008, p.57.
6
Ibidem.
7
Cfr. Roberto Barbolini, Arriva l’antiBroadway, «Panorama», 11 novembre 2008, pp.277-278.
null 7
null Particolare della locandina di Mediterraneo Festival Internazionale del Teatro (differisce dalla locandina
del Laboratorio solo per la scritta Laboratorio Internazionale del Teatro 27 ottobre – 29 novembre 2008).
Il Tuffatore di Paestum (Museo Archeologico Nazionale di Paestum)
null 9
Capitolo 2
Discutere sul Mediterraneo per parlare di
Mediterraneo
Il mare Mediterraneo è da sempre oggetto di analisi, riflessioni, discussioni,
scontri e incontri. Lo stesso aggettivo-sostantivo che contraddistingue questo mare,
mediterraneo, ha una storia tutta sua: «Il Mediterraneo riceve diversi nomi, a seconda
delle terre fino a cui arriva», annota con semplicità Mercatore nella prefazione del suo
Atlante (Amsterdam 1609)
8
.
Denominazioni che dipendono dalla sua posizione, dal rapporto con le terre che bagna e
dai legami con i popoli che vivono sulle sue sponde. Mare Magnum, mare che sta
dietro, mare dei Filistei sono alcuni dei nomi più comuni, rintracciabili pure nella
Bibbia, ma è l’attenzione sul termine mediterraneo, mediterraneus in latino, il centro del
nostro discorso.
In origine, questo aggettivo non doveva essere corretto: diversi grammatici
avevano consigliato di sostituirlo con mediterreus, ma evidentemente tali
raccomandazioni non sono state accolte soprattutto nel momento in cui comincia ad
avere un largo uso, cioè nell’epoca in cui Roma diventa una potenza marinara.
Mediterraneus significa “in mezzo alle terre”, intendendo così già fin dal nome che il
mare non è dove finisce una terra ma dove ne comincia un’altra, un “medium” tra
diversi piuttosto che un confine o una barriera. Per i Romani assume lo stesso valore
anche Mare Nostrum – del resto era ovvio, si trattava di un lago interno al loro
sterminato Impero – e Mare Magnum perché in confronto ad esso gli altri mari sono
piccoli. L’Impero è crollato, altri imperi, invasioni, guerre e varie vicende storiche sono
seguite, ma il Mediterraneo è ancora lì, in tutta la sua bellezza geografica e naturale, che
bagna la terra circostante fino a Oriente, abbracciando contemporaneamente Europa,
Africa ed Asia
9
.
Superato lo “scoglio” del significato etimologico, rimane da affrontare la
questione più importante, vale a dire la definizione del Mediterraneo: è un puro spazio
geografico, una regione della storia delle civiltà, un sub-sistema della politica
internazionale oppure, più genericamente un mare che separa (e unisce) altre regioni?
nullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnull null 8
Cfr. Predrag Matvejevinull , Il Mediterraneo e l’Europa, Garzanti (Collana “Elefanti”), 1998, p. 13.
9
Ivi, p. 14.
null 10
A tal proposito, numerosissime sono le risposte date: studiosi di ogni genere,
politici di ogni paese, appassionati turisti o inguaribili “scopritori” hanno da sempre
provato (e lo fanno tuttora) a dare una definizione del Mediterraneo, nella maggior parte
con esiti tanto personali quanto eterogenei, talvolta contrastanti e talvolta concilianti.
Tutto questo per farci riflettere su una cosa molto importante: forse non esiste “la”
definizione, quindi una risposta oggettiva, univoca e quindi riconosciuta da tutti. E
forse è un bene che la situazione sia questa.
«È difficile conoscere l’intero Mediterraneo» scrive nelle prime pagine del
celeberrimo Breviario Mediterraneo
10
P redrag Matvejevinull, professore, studioso e
scrittore che non ha certo bisogno di presentazioni. Una frase, detta in questi termini,
schietta a tal punto da sembrare un pretesto per non addentrarsi e scavare nelle
“profondità” della conoscenza del mare, ma non è così. Sono infatti le parole di una
persona che lo conosce bene grazie al suo personalissimo percorso attraverso luoghi,
popoli e mestieri, una conoscenza derivata dalla navigazione per mare, via terra tra le
sue sponde e nell’immediato entroterra.
Una conoscenza che lo ha portato a confrontarsi con popoli e popolazioni
differenti, usi e costumi multiformi, dotati ciascuno delle proprie peculiarità ma uniti
dall’”abbraccio” mediterraneo, un abbraccio che a detta dello stesso Matvejevinull, si
intuisce e percepisce negli odori e profumi, negli sguardi delle persone e, persino, nelle
imprecazioni. Una conoscenza che ha anche il sapore della consapevolezza che «il
Mediterraneo è a un tempo simile e in altro diverso a se stesso»: diversità geografiche,
con alternanza di paesaggi montuosi e zone costiere; diversità climatiche, che sfatano il
mito del clima mediterraneo univoco – per intenderci, quello che viene scritto sui libri
di geografia per le scuole; diversità storiche, per le innumerevoli civiltà che si sono
succedute nei secoli e tutte le derivazioni del caso, quindi diversità economiche,
politiche e culturali.
Dello stesso parere è Fernand Braudel, le cui opere costituiscono tuttora una
pietra miliare per qualsiasi studioso. Apprezzato storico e appassionato scopritore delle
civiltà che hanno messo piede nei secoli addietro nell’area mediterranea, non nega che
la prima operazione per (ri)conoscere il suo immenso passato sia quella di «vedere e
rivedere il mare», ribadito nel suo Memorie del Mediterraneo
11
. Più di tante carte
geografiche, libri più o meno antichi, reperti antichi oppure opere d’arte, individua nel
nullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnull null 10
Cfr. Predrag Matvejevinull , Breviario Mediterraneo, Milano, Nuova Biblioteca Garzanti, 2008, p. 17 e ss.
11
Cfr. Fernand Braudel, Memorie del Mediterraneo 3 ed., Bompiani, 1999, p. 19 e ss.
null 11
“vedere” la priorità: un vedere che ha tante similitudini con l’historìa erodotiana –
l’indagine condotta “con i propri occhi” – grazie al quale l’osservazione di un solo
paesaggio ci restituisce così tante cose del mondo passato che possono, al tempo stesso,
svelarci le dinamiche attuali che si realizzano in queste terre, pardon , mare.
Si potrebbe parlare di queste cose all’infinito, di spunti e riferimenti bibliografici
ce ne sono tanti ma, quanto detto finora, è sufficiente per non deviare dal discorso di
partenza: che cos’è il Mediterraneo e, soprattutto, come lo intendiamo oggi?
Riepilogando, oggi si fa un gran parlare di dieta mediterranea, di clima
mediterraneo, di popoli e di temperamento mediterranei; ma più che all’equivalenza
qualificativa, e inevitabilmente semplificatrice, sarebbe meglio riferirsi alla pluralità
originaria del nome e alla sua irriducibilità ad un unicum.
Mediterraneo è (o dovrebbe essere) innanzitutto uno spazio culturale e antropologico
dove i diversi convergono e si incontrano, si parlano, dialogano, mettono in comune le
loro ricchezze.
Tesori immensi, se solo si pensa ai linguaggi e alle letterature, all’arte, alla filosofia,
alla cucina, agli usi e ai costumi, alla produzione e al commercio, alla navigazione e ai
viaggi, per non parlare degli ambienti naturali, costieri e sottomarini, dei paesaggi, delle
isole, della flora e della fauna.
Conoscere, riscoprire e amare il Mare nostrum – “nostro” da intendersi, però, di tutti i
popoli e culture che vi si affacciano – significa difenderne la straordinaria ricchezza e
farlo diventare un simbolo imperituro di pace e di dialogo tra quei popoli e quelle
culture, tra gli umani in genere e le specie viventi tutte
12
.
Pace e dialogo tra i popoli e coinvolgimento dei giovani: questi sono, in breve, i
presupposti della rassegna Mediterraneo.
Rassegna che ha certamente dato un «rinnovato impulso all’esperienza laboratoriale de
La Biennale di Venezia»
13
, secondo le parole del presidente Baratta, per la sua
caratteristica di essere un “cantiere d’arte” e privilegiare il “farsi” del teatro, ovvero un
teatro in divenire, in costruzione e di formazione. Rassegna che, per la prima volta nella
nullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnull null 12
Cfr. Rodolfo Ragionieri & Ottavia Schmidt di Friedberg (a cura di), Culture e conflitti nel
Mediterraneo, Trieste, Aterios, 2003, pp. 11-37.
13
Cfr. Mediterraneo (catalogo ufficiale delle rassegna della Biennale teatro 2008-2009), Venezia,
Marsilio, 2009, p. 10.
null 12
storia de La Biennale, si è sviluppata nell’arco di due anni dividendo appunto la fase
laboratoriale, di work in progress (nel 2008) dalla fase festivaliera propriamente detta,
quella degli spettacoli teatrali e che ha visto buona parte dei laboratori precedenti
concretizzarsi in tale forma (nel 2009).
Questo lavoro getta le sue basi nell’analisi della prima fase, il Laboratorio
Internazionale del Teatro propriamente detto, per due semplici motivi: il primo per la
sua conduzione “dietro le quinte”, il secondo perché risulta assai più suggestivo
discutere di un qualcosa che si costruisce giorno per giorno, fase per fase, piuttosto che
parlare di un prodotto finito, bell’e pronto così com’è.
E il suo costante divenire ha fatto sì che si realizzasse – nel mese di novembre
del 2008 – quella «sintesi di gesti e parole comune un tempo alle genti che si
affacciavano sul Mediterraneo» tanto ricercata dal direttore Scaparro. «Un luogo di
incontro nel quale far confluire storie e culture, riti e tradizioni, miti e riscoperte, per
capire il mondo e i suoi intrecci»
14
prosegue. Questo è stato possibile soprattutto perché
ha deciso di coinvolgere e puntare su artisti delle più svariate nazionalità e delle
discipline più diverse: per fare qualche nome, dal grande poeta Adonis – da anni
proposto per il Nobel – alla giornalista e drammaturga slava Biljana Srbljanovic, dal
regista torinese Gabriele Vacis affiancato da giovani attori palestinesi al poeta e attore
libanese – si aggiunga pure Leone d’Oro per il Teatro – Roger Assaf. Tutti profili
evidentemente differenti, per nazionalità, stili di vita e anche correnti di pensiero, ma è
proprio su questo che il Laboratorio va a parare: superare le diversità attraverso il
dialogo, l’incontro e il confronto.
In tutto questo la questione della lingua e del meticciato linguistico riveste un
ruolo di primo piano: «Durante la Biennale ognuno parlerà la sua lingua» è l’esordio del
Direttore nella presentazione del Laboratorio, durante il forum di apertura (trattato con
attenzione più avanti). Una volontà precisa, motivata dal rispetto delle singole realtà
culturali coinvolte, un’occasione unica per rendere familiari la moltitudine di suoni
linguistici come secoli addietro era buona norma sentire nell’area mediterranea e,
soprattutto, a Venezia, centro gravitazionale di affari commerciali dove confluivano le
civiltà più disparate.
nullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnull null 14
Cfr. Enrico Veronese, Il successo dei laboratori e lo sguardo al festival, «Il Mestre», 29 novembre
2008, p. 33.
null 13
Oggi la situazione è inevitabilmente cambiata, ma Venezia, in questo periodo
indicato, sembra aver riscoperto le peculiarità di un tempo grazie all’iniziativa de La
Biennale. Francese, arabo, lingue franche, italiano e dialetti vari si sono alternati in tutta
la città, nelle sedi dove si è svolto Mediterraneo. Nonostante le difficoltà di
comprensione, tutte le persone coinvolte – pubblico, attori, registi e tecnici – si sono
ritrovate a collaborare in sintonia, forse perché legate da quel sottile filo rosso che è la
matrice comune, l’appartenenza al mondo mediterraneo. E il fare teatro con laboratori,
attraverso l’uso attivo del corpo con la parola e i gesti, coadiuvato da incontri aperti al
pubblico, si è rivelata la soluzione migliore per raggiungere lo scopo.
Un percorso, quello del Laboratorio Internazionale Mediterraneo, che si è aperto
con un convegno presso l’Auditorium santa Margherita di Ca’Foscari a Venezia,
occasione in cui hanno parlato nomi luminosi della cultura contemporanea a proposito
del mare nostrum secondo varie sfumature e competenze. Occasione anche per
presentare i cinque macrotemi attraverso cui si è snodato il Laboratorio: Il mare di
Shakespeare, I miti ritrovati, C’era una volta, Le lingue franche nei porti del
Mediterraneo e San Sapiers.
Il mare di Shakespeare – il primo segmento del Laboratorio – inteso come
geografia di naufragi e migrazioni: Scaparro ha invitato gli attori del Teatro Nazionale
Palestinese di Gerusalemme Est al laboratorio guidato da Gabriele Vacis, Il teatro come
strumento di pace, vero e proprio work in progress per lo spettacolo Amleto, messo in
scena nel novembre del 2009. Un’anteprima è stata offerta mediante un interessante
incontro col pubblico il 6 novembre 2008. Walter Le Moli e Luca Fontana, invece
hanno proposto il laboratorio di analisi linguistica, drammaturgica e di regia, Il Sogno:
musica di parole e commedia per musica, impostato su una nuova traduzione del
celeberrimo testo di Shakespeare Il sogno di una notte di mezza estate, sicuramente tra i
testi che più hanno generato altri testi teatrali. L’obiettivo dichiarato quello di indagare
il rapporto che le diverse occasioni di teatro stringono con il contemporaneo Zeitgeist
sonoro, il tutto presentato al pubblico il 1 novembre 2008.
Miti ritrovati – il secondo segmento: ecco quindi Elyssa/Didone: la regina
errante, laboratorio condotto da Renato Nicolini, l’assessore alla Cultura promotore
delle famose Estati Romane, e Marilù Prati, attraverso la lettura dell’omonimo testo di
Fawzi Mellah, autore sensibile ai problemi del post colonialismo, ma anche ai miti e
alle leggende della propria terra. Un lavoro all’insegna della messa in scena teatrale il