6
discipline che incontrano il favore della gente senza distinzione di cultura, di casta, di censo
2
”. Candido
Cannavò è sulla stessa lunghezza d’onda quando afferma che “la «Gazzetta» ha interpretato bene il
discorso del giornalismo popolare, un termine che in Italia è stato sempre frainteso. Lo si è confuso con
tutto ciò che è scandalistico e pettegolo. No, il nostro giornalismo popolare è un giornalismo chiaro che
parla direttamente alla gente e non agli addetti ai lavori. Con un linguaggio che ha il dovere di spiegare
tutto
3
”.
In opposizione a questa centralità quantitativa e qualitativa della stampa sportiva, scarseggiano
le ricerche storiche sul fenomeno sportivo, e più specificatamente su quello del giornalismo sportivo.
I testi ed i contributi specifici più completi sono rappresentati dalle opere di Carlo Bascetta (Il
linguaggio sportivo contemporaneo, Firenze, 1962), Paolo Facchinetti (La stampa sportiva in Italia, Bologna,
1966) e Aldo Biscardi (Da Bruno Roghi a Gianni Brera. Storia del giornalismo sportivo, Firenze, 1973),
nonché dai saggi di Antonio Ghirelli (La stampa sportiva in La stampa italiana del neocapitalismo, a cura di
Valerio Castronovo e Nicola Tranfaglia, Bari, 1976) e Gian Paolo Ormezzano (La stampa sportiva in La
stampa italiana nell'età della TV, 1975-1994, a cura di Castronovo e Tranfaglia, Bari, 1994).
Tutte queste opere, oltre ad essere di difficile reperibilità, presentano sensibili discordanze tra
loro, nonché lacune ed errori riscontrabili empiricamente. Durante il lavoro di ricerca ho infatti potuto
appurare diversi errori nella trascrizione dei nomi di giornalisti e personaggi anche importanti nello
sviluppo della Gazzetta dello Sport: Tullo Morgagni, ideatore tra l’altro del Giro di Lombardia, della
Milano – Sanremo e del Giro d’Italia, è stato chiamato alternativamente Tullio Morgavi, Tullo Morandi,
… .
Inoltre, anche riguardo alle date ci sono diversi errori, alcuni dei quali abbastanza evidenti. Tra
questi, il più lampante e importante ai fini della mia ricerca, riguarda il passaggio della Gazzetta dello
Sport all’uscita quotidiana (che risale a venerdì 16 maggio 1919), che viene spesso confuso con il primo
periodo di uscita giornaliera, durato un mese, in occasione del Giro d’Italia del 1913.
Oltretutto, a parte l’ultimo saggio di Ormezzano, da tutti gli altri scritti sono passati più di
venticinque anni, nei quali sono avvenuti troppi cambiamenti che inevitabilmente portano a
considerare quei volumi "vecchi" o, quantomeno, superati. Curiosamente, infine, si nota soprattutto che
da quando è cominciato il boom della stampa sportiva (a partire dal Mundial di Spagna 1982), si è in
pratica esaurito il già scarso filone di studi sulla stampa sportiva.
Chiaramente, questo disinteresse generale si acuisce se andiamo a vedere cosa è stato fatto
riguardo ai singoli quotidiani sportivi, ossia niente. Non ci sono studi specifici sulla Gazzetta dello Sport,
né tantomeno sui suoi concorrenti: solo in occasione di ricorrenze speciali (che per la Gazzetta sono
rappresentate dai compleanni per gli 80, i 90 e i 100 anni), escono dei numeri celebrativi che però
rappresentano soprattutto delle carrellate sui grandi personaggi dello sport del ventesimo secolo.
2
Franco Arturi, Addio a Piero Dardanello campione di giornalismo, “La Gazzetta dello Sport”, 19 gennaio 2001.
3
Pina Debbi, “Innovazione e spirito di denuncia”, in Marco Sappino (a cura di), Dizionario del calcio italiano, Baldini &
Castoldi, Milano 2000, p. 1952.
7
Il mio interesse nei riguardi della Gazzetta dello Sport nasce, oltre che da una “frequentazione”
che dura ormai da oltre quindici anni, da una passione per il giornalismo sportivo che ho coltivato
anche in ambito accademico e in campo “professionale”.
Per quel che riguarda l’ambito accademico, il mio interesse si è concretizzato spesso nella
produzione di elaborati scritti riguardanti l’argomento: in particolare, ho analizzato il rapporto tra
televisione e mondiali di calcio in occasione dei campionati di Francia ‘98, oppure, ho individuato le
differenze nel trattamento della notizia sportiva nelle edizioni on line dei quotidiani inglesi The Sun e
The Times, nell’ambito degli Europei di calcio del 2000.
Per quanto concerne invece quello che ho definito l’ambito “professionale”, ho collaborato per
oltre sei mesi con la redazione sportiva del Corriere di Firenze, nel ruolo di corrispondente sportivo dai
campi della provincia di Firenze e di Siena.
Nella prospettiva della tesi di laurea quindi, vicende professionali, esperienze accademiche e
passione personale, mi hanno portato a concentrare l’attenzione sull’argomento “giornalismo
sportivo”.
La decisione di dirigermi in particolare sullo studio della Gazzetta dello Sport nasce invece da
alcune riflessioni: innanzitutto, ho ritenuto più vicino alle mie possibilità ed alle mie capacità, l’andare a
ricostruire il percorso storico di un singolo quotidiano (pur tenendo conto delle relazioni con gli altri),
che il confrontarmi con una storia più generale del giornalismo sportivo in Italia. In secondo luogo,
dalla constatazione che il quotidiano milanese, oltre ad essere il più vecchio quotidiano sportivo
tutt’ora in circolazione è anche il più prestigioso (assieme forse al francese l’Equipe), il più autorevole,
dinamico e carico di motivi di interesse.
In base alle considerazioni fatte in precedenza, la carenza di fonti bibliografiche riguardanti il
giornalismo sportivo in generale, e la Gazzetta dello Sport in particolare, mi ha portato in una direzione
ben precisa, quella dell’analisi “sul campo” del quotidiano.
In pratica, per poter avere una visione generale e completa del percorso effettuato dalla Gazzetta
dello Sport dal 3 aprile 1896 ai giorni nostri, ho deciso di analizzare completamente tutti i numeri usciti
da quel giorno fino ad oggi, lungo l’arco dei 105 anni di vita del giornale.
E’ in questo senso che va vista la forte presenza di stralci di articoli, titoli, editoriali,
riproduzioni delle prime pagine più significative: in un ambito in cui la ricerca è pressoché inesistente,
ho cercato, quando possibile, di “far parlare il giornale”, di ricostruirne la storia facendola svelare
direttamente dai giornalisti, che la hanno costruita giorno dopo giorno.
La tesi va a costituire, in questo senso, un luogo di raccolta per articoli, brani, frasi di alcune
delle firme più prestigiose del giornalismo sportivo italiano: si passa dalla prosa battagliera del
fondatore Eugenio Costamagna a quella enfatica di Emilio Colombo, da quella immaginifica di Bruno
Roghi a quella più vicina al pubblico sportivo che caratterizza Emilio De Martino. E poi si passa dal
8
Gianni Brera prima maniera alla “politica sportiva” di Gualtiero Zanetti, per arrivare a Gino Palumbo e
Candido Cannavò.
Inoltre, scrittori e letterati apporranno le loro firme sulle colonne del foglio rosa: da Filippo
Tommaso Marinetti a Edmondo De Amicis, per arrivare ai tempi più recenti, in cui personaggi del
calibro di Enzo Biagi, Giorgio Bocca ed Indro Montanelli renderanno omaggio alle pagine del
quotidiano milanese.
Per quanto riguarda l’analisi, pur studiando il giornale nella sua totalità, dalla prima all’ultima
pagina, devo premettere che l’attenzione si è concentrata in particolare sulle prime pagine, sulla loro
composizione generale e sulla loro titolazione, poiché “la prima pagina è la facciata del quotidiano e ne
dà l’immagine
4
”, e “la titolatura di un pezzo costituisce un insieme autonomo, nel senso che essa
presenta e riassume l’articolo senza che, come si è detto, sia necessario leggerlo per esteso
5
”.
E’ stato soprattutto tramite l’analisi approfondita delle prime pagine, che ho provato ad
evidenziare, ai fini della ricostruzione di un percorso storico, “tutta quella parte del quotidiano che
colpisce a prima vista l’attenzione del lettore che viene preparata con cura non dai vari giornalisti
autori dei singoli pezzi, ma dalla redazione del quotidiano, che, per mezzo di varie tecniche di
evidenziazione della notizia, guida l’attenzione del lettore verso certi argomenti, oppure suggerisce
particolari interpretazioni delle informazioni, senza ricorrere a commenti espliciti
6
”.
In questo modo, ho cercato di fare un po’ di luce in un ambito, quello del giornalismo sportivo,
che contrariamente al suo apporto qualitativo- quantitativo apportato nei confronti della stampa
italiana, ha ricevuto (e sta ricevendo) scarsissime attenzioni nel campo della ricerca.
Ho tentato di rendermi conto in prima persona dei grandi cambiamenti che hanno attraversato
la Gazzetta dello Sport, di metterli in relazione con la società circostante, ed elaborare una
periodizzazione plausibile, una chiave di lettura di 105 anni di storia di quello che è ritenuto (e non solo
da me) uno dei quotidiani più importanti nel panorama editoriale italiano.
4
Paolo Murialdi, Come si legge un giornale, Laterza, Bari, p. 33.
5
Paola Ricci, Il linguaggio della stampa quotidiana, Giunti/Marzocco, Firenze 1979, p. 18.
6
Paola Ricci, op. cit., p. 21.
9
I. SPORT E STAMPA SPORTIVA NELL’ITALIA DI FINE OTTOCENTO
I. I Rodolfo Obermann e il mito della nazione armata
Siamo nell’anno 1833 quando il Regno di Sardegna chiama a Torino il ginnasiarca svizzero
Rodolfo Obermann, conferendogli l’incarico di impartire ad alcuni reparti dell’esercito sabaudo i primi
rudimentali insegnamenti di istruzione ginnica. In questo modo, il Regno dei Savoia, non fa altro che
andare ad inserirsi sulla scia di una serie di movimenti che, diffusi in tutta l’Europa dalle armate
rivoluzionarie francesi e dagli eserciti napoleonici, portano avanti i miti della “Nazione – armata” e del
“cittadino – soldato
7
”.
E’ con questo evento che comunemente si indica la comparsa ufficiale dello sport in Italia, anche
se, più che la comparsa dello sport nell’accezione che noi conosciamo, quella a cui si assiste è
l’introduzione di un modello metodologico di educazione fisica che sta dominando la scena in tutta
Europa. Il movimento popolare di Jahn in Germania, che si basa su una serie di esercizi fisici quasi
acrobatici, aventi lo scopo di addestrare la gioventù germanica all’elasticità e insieme all’ardimento
militaresco, la pedagogia militarista dell’Amoros in Francia e dei Sokols cechi, sono gli apparati teorici
da cui si irradia questo modello, che assegna all’educazione fisica un ruolo centrale nella preparazione
premilitare, come presupposto per la creazione di forti eserciti nazionali: “l’attività sportiva per la sua
mescolanza di disciplina e aggressività aperta, presenta una tradizione come momento preparatorio
dell’attività militare
8
”. Leggermente diverso è il caso della pedagogia sportiva dell’Arnold, fondata in
Inghilterra da Thomas Arnold (1795-1842), un pastore anglicano che impressionato dalla enorme
presenza dell’alcool e dei giuochi d’azzardo nella gioventù inglese, propose e attuò nelle scuole
l’insegnamento e la pratica delle discipline agonistiche come mezzo di distrazione da questi vizi.
Tornando a Rodolfo Obermann, è sua la creazione, nel 1844, della prima società di ginnastica in
Italia, la Società Ginnastica Torinese, alla quale iniziano a guardare le prime eterogenee forme
associazionistiche che compaiono nella penisola, le quali, divengono spesso veri e propri focolai di
cospirazione che contribuiscono fattivamente alla causa della riunificazione nazionale. In alcuni casi
infatti, queste società, con il pretesto della ginnastica organizzavano veri e propri nuclei di rivolta,
mantenevano vivo lo spirito di patria ed “addestravano i corpi alle future battaglie. Il loro scopo era
quello di mantenere vivo lo spirito di patria, e a tale meta gli esercizi ginnici risultavano
completamente subalterni
9
”. E’ stato infatti notato come in tutto il Risorgimento l’educazione fisica
fosse spesso chiamata al servizio della causa dell’indipendenza nazionale: la palestra, i campi di gara,
7
Felice Fabrizio, Storia dello sport in Italia: Dalle società ginnastiche all’associazionismo di massa, Guaraldi, Rimini –
Firenze 1977, p. 19.
8
Gerhard Vinnai, Il calcio come ideologia: sport e alienazione nel mondo capitalista, Guaraldi, Bologna 1971, p. 126.
9
Remo Bassetti, Storia e storie dello sport in Italia: dall’Unità ad oggi, Marsilio, Venezia 1999, p. 39.
10
erano in molti casi diventati luoghi idonei all’espressione di ideali nazionalistici, soprattutto nelle terre
friulane e trentine
10
.
Assieme a questi movimenti, l’estensione a tutto il Regno d’Italia dei principi liberali sanciti dallo
Statuto albertino (26 marzo 1848) sulla stampa (abolizione del regime di privilegio, della censura
preventiva e dell’imposta di bollo sulla carta da stampa), alimenta la fioritura di giornali, tutti
accomunati dalla forte connotazione politica che ne caratterizza nascita e sviluppo. Inoltre, il basso
tasso di alfabetizzazione (con conseguente mancanza di un elevato potenziale di lettori), gli scarsi
introiti pubblicitari e gli alti costi produttivi, fanno sì che il rapporto fra stampa e politica si faccia
sempre più stretto e strumentale.
I. II Torino centro politico e sportivo del Regno
In ogni modo, la città di Torino, che in questo momento è il centro socio- politico della penisola,
diviene anche il punto focale dello sviluppo sportivo: l’entrata in vigore della riforma Casati (1859), la
presenza dei primi corsi di ginnastica, la creazione del club di Tiro a Segno (1861), quella del Club
Alpino Nazionale (1863, fondato da Quintino Sella), non fanno altro che rafforzare questa posizione di
città guida all’interno di una nazione assolutamente depressa. Come infatti sottolineerà anche Giuseppe
Ambrosini (direttore della Gazzetta dello Sport dal 1950 al 1961) in occasione dell’Esposizione
Internazionale dello Sport e delle Universiadi che, nel 1959, si svolgono contemporaneamente a Torino,
“Si direbbe che Esposizione e Universiadi vogliono essere il punto di collegamento fra il passato e il
futuro, attraverso il presente, del nostro sport, una pietra miliare del suo sviluppo nel campo che più gli
è connaturale, quello della gioventù studentesca. Che questo punto fosse fissato e questa pietra
collocata a Torino, era diritto che a questa competeva per storia e tradizione. Non solo per la sua
posizione geografica, più prossima alle sorgenti dello sport moderno, ma anche per le qualità
assimilatrici e costruttrici della sua gente e per il ruolo che allora il momento politico gli attribuiva, il
Piemonte è stato la prima nostra terra nella quale è stato gettato e ha germogliato e fruttificato il buon
seme dello sport e sono sorte le prime costruzioni organizzative nelle quali esso avrebbe dovuto vivere
e operare
11
”.
Non è quindi un caso che la prima pubblicazione (si badi bene non il primo giornale) sportiva
italiana, veda la luce proprio a Torino. E’ infatti il gennaio 1865 quando “in una piccola tipografia di
Torino, sormontata dall’insegna «G. Cassone & C.» e situata al numero sei di via S. Francesco da Paola,
vede la luce la prima copia del Bollettino Trimestrale del Club Alpino di Torino
12
”. Come si vede anche
10
Non è infatti un caso che i sodalizi delle terre irredente eseguissero melodie verdiane nel corso delle feste sociali, che le
divise fossero confezionate sul modello delle camicie rosse garibaldine e che il tricolore costituisse elemento costante negli
stemmi, nei fuochi d’artificio e nei festoni delle cerimonie.
11
Giuseppe Ambrosini, Pietra miliare, “La Gazzetta dello Sport”, 26 agosto 1959.
12
Paolo Facchinetti, La stampa sportiva in Italia, Alfa, Bologna 1966, p. 15.
11
dalla dicitura della testata, si tratta di un bollettino, ossia di un messaggio individuato e diretto ad un
gruppo ben preciso di persone e non di un giornale sportivo inteso in senso moderno. Ma quella del
Club Alpino Italiano di Torino, può essere considerata la prima pubblicazione sportiva italiana in
quanto costituisce il primo esempio di giornale periodico che tratta un argomento sportivo.
Un anno dopo, nel gennaio 1866, esce a Livorno il primo numero di La Ginnastica, edito da
Costantino Reyer: è un bollettino dal sottotitolo Giornale di Educazione Fisica che contiene resoconti dei
convegni, regolamenti delle varie gare e lettere di simpatizzanti (dopo undici numeri sospenderà le
pubblicazioni, per riprenderle poi nel 1868 a Venezia, poi, dopo una seconda interruzione, nel 1869
come giornale della Federazione Ginnastica Italiana ed infine nel 1888 diverrà Il Ginnasta).
Anche in Italia quindi, come è accaduto in altri paesi, l’attività ginnica si conferma come la
matrice da cui prendono sviluppo altre discipline sportive: è infatti grazie all’opera di propulsione delle
società di ginnastica che scaturiscono altre iniziative, come la fondazione dei primi clubs di canottaggio,
delle prime società di vela, dei clubs ciclistici.
Bisogna in ogni caso arrivare attorno al 1870, per giungere alla situazione in cui, lo sport (visto
all’inizio come il diletto di “appassionati che la gente seria considerava poco meno che pazzi
13
”), inizia
lentamente ad affrancarsi dalla diffidenza iniziale. Scrive Benedetto Croce: “Nell’Europa dopo il 1870
era scemata la meditazione attiva delle cose morali e politiche” a cui era corrisposta “un’infaticabile
attività di imprese industriali e commerciali, di scoperte tecniche e di macchine sempre più potenti, di
esplorazioni geografiche, di colonizzamenti e sfruttamenti economici; nella tendenza a conferire il
primato agli studi scientifici e pratici; nell’avviamento e nell’ampliamento conferito alle stesse
ricreazioni e giuochi sociali, a quel che si chiamò lo sport, dalle biciclette alle automobili, dai canotti e
dai yacht alle aeronavi, dalla boxe al foot-ball e allo sky che tutti in vario modo cospiravano a dare
larga parte nel costume e nell’interessamento al rigoglio fisico e alla destrezza corporale… Molte cose si
scrissero contro il correre diventato per sé una passione… contro lo sport che distruggeva ogni cultura.
Ma il vento soffiava per quel verso”
14
.
Si pensi che, addirittura, in Inghilterra a partire dalla metà degli anni ’70 dell’Ottocento, o al più
tardi degli anni ’80, il calcio possedeva tutte le caratteristiche istituzionali e rituali che oggi gli
riconosciamo: il professionismo, la Lega, la finale di coppa.
Scrive Hobsbawm: “Gli ultimi tre decenni dell’Ottocento segnano una trasformazione decisiva
quanto alla diffusione degli sport più antichi, all’invenzione di altri nuovi, e all’istituzionalizzazione di
quasi tutti gli sport su scala nazionale o persino internazionale
15
”. Questo discorso vale soprattutto per
l’Inghilterra, dove l’istituzionalizzazione fornì allo sport un palcoscenico pubblico ed insieme, un
meccanismo che consentiva di estendere ad altri le attività sino ad allora riservate all’aristocrazia e alla
borghesia ricca, assimilando al loro stile di vita settori sempre più ampi dei ceti medi. Per quel che
13
Paolo Facchinetti, op. cit., p. 16.
14
Benedetto Croce, Storia d’Europa del Secolo XIX, Laterza, Bari, p. 350.
15
Eric J. Hobsbawm e Terence Ranger, L’invenzione della tradizione, Einaudi, Torino 1987, p. 287.
12
riguarda il resto dell’Europa, “lo sport nella sua forma moderna fu una consapevole importazione di
valori sociali e modi di vita della Gran Bretagna, ad opera soprattutto di persone influenzate dal
sistema inglese
16
”.
In Italia, nel 1870, si era ancora lontani anni luce da una situazione di espansione della pratica
sportiva paragonabile (per sia a livello quantitativo che qualitativo) a quella inglese, ma qualcosa, si
stava movendo.
I. III Le istituzioni si accorgono dello sport
Con il progressivo (anche se lento) interessamento del pubblico verso lo sport, aumenta anche
l’interesse delle istituzioni ed aumentano le iniziative tese ad incrementarne (e controllarne) lo
sviluppo.
Mentre viene introdotto l’obbligo scolastico (1877), il Ministro della Pubblica Istruzione
Francesco De Santis, introduce anche l’obbligo della ginnastica nelle scuole elementari, secondarie,
normali e magistrali (luglio 1878). Lo sforzo dei legislatori è teso verso “la trasposizione del modello
scolastico sabaudo di istruzione premilitare sul piano nazionale” che “diviene un obiettivo prioritario,
soprattutto in seguito all’adozione del principio dell’esercito-numero, autorevolmente incarnato dalla
Prussia…
17
”.
Con la legge De Santis, le classi dirigenziali pensano di aver risolto il problema nelle sue linee
fondamentali: nei programmi uniformati ed unificati di tutte le scuole del Regno, vengono inserite
nozioni razionali di educazione fisica direttamente collegate, se non proprie tese, alle esigenze della
preparazione militare.
Ma i propositi si rivelano presto costruiti sulle basi di un sistema in realtà inadeguato:
inadeguati sono i fondi stanziati per l’attuazione della legge, inadeguate si rivelano le attrezzature
tecniche a disposizione, inadeguate si manifestano le metodologie legate alla questione della
preparazione e della qualificazione professionale degli insegnanti. La ginnastica nelle scuole viene
introdotta solo nominalmente: spesso non viene fatta, e quando si fa, si risolve di solito in un pigro
stiracchiamento tra i banchi e in qualche flessione.
Nel frattempo comunque, l’editoria sportiva entra lentamente in moto, e vengono alla luce altre
pubblicazioni, che testimoniano una certa vivacità editoriale che va di pari passo con l’aumentata
vitalità sportiva: nel 1870 nasce a Genova Lo Sport, organo ufficiale della prima società italiana di vela, il
Regio Yacht Club d’Italia mentre a Livorno, esce nel 1875 La Rivista degli Scacchi, fondata da Emilio
16
Eric J. Hobsbawm e Terence Ranger, op. cit., p. 288.
17
Felice Fabrizio, Storia dello sport in Italia: Dalle società ginnastiche all’associazionismo di massa, Guaraldi, Rimini –
Firenze 1977, p. 21.
13
Orsini, contenente per la maggior parte problemi, soluzioni, relazioni di partite giocate in Italia e
all’estero.
Sono comunque delle pubblicazioni dirette ad una cerchia ristretta, uni- specialistica, che fanno
capo a singole associazioni nate sotto il segno della passione per uno sport specifico. Rimangono isolate
all’interno del loro ristretto ambito, limitandosi alla trattazione di argomenti strettamente inerenti a
sport come la scherma, la ginnastica, il tiro a segno. Il ciclismo su pista, che già sta affermandosi in
Francia, è ancora lontano dal ricoprire un ruolo importante nel panorama sportivo italiano: la stampa
sportiva va ad assomigliare a quel giornalismo italiano che “ha alle spalle una tradizione risorgimentale
che lo definisce in termini di missione educativa e politica, escludendo a priori ogni visione della
stampa come impresa remunerativa e come consumo di notizie
18
”. Non esiste una cultura della notizia,
non esiste un giornalismo popolare: la stampa italiana è una stampa paternalistica che deve «formare» e
non «informare».
All’esiguo numero delle testate italiane, al loro contenuto monotematico e alla loro scarsa
diffusione, si contrappongono in Inghilterra e Francia delle pubblicazioni sportive che, favorite da
discipline e associazioni sportive già rigogliose e parzialmente organizzate, sono già al di sopra dello
stadio- bollettino e cominciano ad influenzare i contenuti dei quotidiani di informazione: si pensi che
già il 17 settembre 1854 esce a Parigi il primo numero di Le Sport, journal de gens du monde, e che nel 1856
Le Figaro pubblica la prima rubrica sportiva.
E’ soprattutto la Francia che finisce per avere un ascendente maggiore sullo sviluppo della
stampa sportiva in Italia: è vero che gli sport provengono soprattutto dall’Inghilterra ma, è altrettanto
fuori discussione che per lingua, per cultura, per tradizioni, per geografia, per storia, per rapporti, sarà
la Francia a fornire l’abc del giornalismo sportivo.
Se andiamo ad analizzare più dettagliatamente la partenza ad handicap italiana nell’ambito
della stampa sportiva, possiamo individuare almeno due grandi limiti dal punto di vista sportivo: la
bassa diffusione delle pratiche sportive e lo scarso sviluppo delle associazioni sportive.
Per quel che riguarda la stentata diffusione delle pratiche sportive, è chiaro che elementi come
la bassa urbanizzazione, la scarsa industrializzazione, l’essere un paese prevalentemente agricolo,
influenzano in negativo la diffusione dello sport. Come infatti osserva Gerhard Vinnai nel suo libro “Il
calcio come ideologia”, il processo di democratizzazione dello sport segue parallelamente il processo di
industrializzazione, ed è in Inghilterra, madre del capitalismo industriale, che questo processo si
compie.
Oltretutto, in Inghilterra, in aggiunta al grande processo di industrializzazione, esistevano
anche alcune condizioni sociali che la rendevano terreno fertile per questa democratizzazione.
18
Giovanni Gozzini, Storia del giornalismo, Bruno Mondadori, Milano 2000, p. 188.
14
Innanzitutto, la mobilità sociale di una collettività che cominciava ad assegnare le posizioni ai
suoi membri in ragione dei meriti anziché delle prerogative ereditarie. Ne derivava l’ammissibilità del
confronto: colui che conta è chi, attraverso il confronto, dimostra di avere più meriti degli altri.
Altra condizione fu la libertà di associazione: in Inghilterra ci si poteva riunire in libere
associazioni e in club, per cui, l’impulso fornito allo sport era evidente. Per organizzare una partita, non
basta incontrarsi sporadicamente. E’ necessaria una frequentazione costante, che crei la comunanza e
l’embrione organizzativo: i club, interagendo, regolamentavano in maniera uniforme i passatempi,
sottraendoli alle frammentazioni localistiche e all’estro dei singoli partecipanti.
E’ proprio in Inghilterra ad esempio, che con la creazione della Football Association nel 1863,
vengono creati i presupposti organizzativi di una democratizzazione del gioco del football, fino allora
privilegio della gioventù feudale e borghese. “Nato come sport dilettantesco e educativo della
borghesia delle public schools, col 1885 il calcio si era ormai proletarizzato, divenendo un’attività
professionale
19
”.
In Italia invece, sulla base delle caratteristiche viste in precedenza, viene fuori una
configurazione di sport come privilegio di una classe particolare, aristocratica e borghese. Questa
borghesia oltretutto, vista la sua scarsa consistenza e la sua debole omogeneità, non era in grado di
introdurre modelli innovativi di comportamento, alla maniera delle élites inglesi. Gli sportivi italiani
sono schermidori, canottieri, tiratori, inseriti all’interno di una cerchia ristretta che, associata a quelle
caratteristiche paternalistico – pedagogiche endemiche nella stampa italiana, va a specchiarsi in uno
scarso sviluppo quantitativo e qualitativo della stampa sportiva.
Se andiamo poi ad analizzare lo scarso sviluppo delle associazioni sportive, ci troviamo di
fronte a quel processo iniziato con la legge De Santis del 1878, teso all’insegnamento della ginnastica
come pre- preparazione militare, che oltre ad essersi scontrato con problematiche che lo hanno reso
inattuabile, ha rallentato anche lo sviluppo di un associazionismo sportivo già di per sé frenato dalle
condizioni socio- economiche del paese.
Accortesi progressivamente del fallimento dei loro propositi, le classi dirigenziali italiane
decidono di ripiegare su un progetto diverso, che avrà nei suoi sviluppi almeno il pregio di funzionare
come meccanismo di propulsione per lo sviluppo delle associazioni sportive e di conseguenza, per
l’aumento della pratica e per l’avvio di un felice periodo della stampa sportiva.
La direzione che viene intrapresa è quella di una promozione accentratrice e pedagogica
dell’associazionismo sportivo, che sia in grado di impartire ai giovani una forma rudimentale di
istruzione para- militare, incoraggiando e sostenendo l’iniziativa privata, per manovrarla poi a
sostegno di quelli che venivano definiti i supremi interessi della patria. Per il governo, chiamare le
società e le associazioni a collaborare ad un programma educativo nazionale, significa dover prevedere
da un lato la concessione di sussidi strategici e dall’altro quella del patrocinio delle autorità locali;
19
Eric J. Hobsbawm e Terence Ranger, op. cit., p. 278.
15
significa in definitiva predisporre su tutto il territorio nazionale una rete di istituzioni affidabili,
perfettamente allineate sulle posizioni ideologiche ufficiali.
Programmaticamente neutrale infatti, il nuovo modello di associazione sarà in effetti
impregnato dei sacri principi della monarchia, laici e liberali sui quali si fonda la vite sociale del paese;
come modello esemplare per la costituzione delle singole associazioni, ne verrà scelto uno burocratico,
verticistico e gerarchico, in cui i dirigenti saranno i notabili del luogo, alti ufficiali, funzionari
amministrativi, professionisti di grido; le loro attività si svilupperanno oltre che nell’addestramento
atletico, in una serie di sfilate, cortei, manifestazioni patriottiche, all’ombra del tricolore. Ogni statuto di
società sportiva o di federazione si deve proporre di generalizzare quegli esercizi ginnici che possano
rendere i giovani agili e forti, e perciò più utili a loro e alla Patria.
Ciò che però le classi dirigenziali non riescono a capire, è la limitatezza culturale con cui viene
applicato questo procedimento. Il modello che veniva attuato seguiva quello tedesco, ma in Germania
la ginnastica doveva servire a creare una forte comunione spirituale tra gli atleti, attraverso la quale
farli sentire uniti una stessa sorte di patrioti, e a conclusione di ciò farne militari pronti al sacrificio. In
Italia invece, l’equazione era molto più semplice, e si riassumeva in sportivo uguale soldato. Ogni
visione pedagogica e civica di ampio respiro era assente: le riunioni sportive non erano mai vere gare in
cui temprare gli sportivi, bensì parate militari nelle quali una ritualità ampollosa surclassava totalmente
l’aspetto agonistico.
E’ comunque in direzione del controllo di questo nascente movimento sportivo, che tanto sta a
cuore alla dirigenza politica del paese, che possono essere viste le precocissime nascite di alcune
importanti federazioni: oltre alla Federazione Ginnastica nata nel 1869, vedono la luce la Federazione
italiana vela (1879), la Federazione italiana tiro a segno (1882), Federazione Velocipedistica Italiana
(1885), la Federazione italiana canottaggio (1888), la Federazione italiana nuoto (1891), la Federazione
Podistica (1899) e la Federazione Calcistica (1898).
Se non altro comunque, le associazioni sportive (prettamente di ginnastica, tiro a segno e
scherma) iniziano a formarsi con una certa continuità (saranno 206 nel 1896) e, assieme ad esse,
fioriscono nuove pubblicazioni: nel 1881 nasce a Milano L’Eco dello Sport (nel quale vengono trattate,
almeno nei propositi, più discipline); nello stesso anno esce ancora a Milano Lo Sport Illustrato; nel 1883
esce a Torino la Rivista Velocipedistica mentre nel 1885 esce a Milano Il Tiro a Segno Nazionale.
Inoltre, le condizioni politiche e sociali in mutamento, inducono la stampa a rinnovare la
propria struttura, mentre alcune nuove invenzioni impongono al giornale trasformazioni basilari,
prima fra tutte, quella dell’introduzione della linotype
20
(che porta ad una strepitosa diminuzione dei
costi della manodopera, del costo del giornale, e all’aumento della tiratura). Il numero dei quotidiani in
Italia sale dai 55 del 1873 ai 145 del 1887: si diffondono le edicole, cresce il mercato pubblicitario, le
20
La prima linotype italiana viene montata a Roma da La Tribuna
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redazioni dei giornali cominciano ad ingrandirsi e compare la figura del caporedattore, incaricato di
vagliare i dispacci di agenzia, di passare i pezzi ai collaboratori e di fare i titoli.
Non a caso, è in questa congiuntura che la stampa di informazione italiana vive il suo periodo
d’oro: alla lotta fra Il Secolo (1866) e il Corriere della Sera (1876), che sarà in un certo senso funzionale
anche alla nascita della Gazzetta dello Sport, alla Gazzetta Piemontese (nata nel 1867 e diventata La Stampa
nel 1895), si aggiunge un insieme di “nuovi giornali intenzionati a servire l’accresciuto pubblico nel
migliore dei modi e a soddisfarne le esigenze
21
”. I più importanti possono essere considerati il Corriere
di Sicilia (1880), Il Piccolo di Trieste (1881), il Resto del Carlino a Bologna (1885), Il Gazzettino di Venezia
(1887), La Gazzetta del Mezzogiorno (1887), Il Mattino a Napoli (1892).
Il periodo d’oro della stampa quotidiana italiana, coincide con l’inizio di quello di uno sport che
sta per diventare il grande protagonista del panorama nazionale, uno sport che in Inghilterra e
soprattutto in Francia, è ormai una passione consolidata: la bicicletta. E’ una disciplina lontana da
quelle classiche, alimentate dallo stato e consolidatesi nelle associazioni sportive di tiro a segno,
canottaggio e ginnastica.
La prima gara europea a grande partecipazione è quella disputata nel 1865: il Gran Premio di
Amiens su circuito. Gli anni che seguono sono densi di gare un po' ovunque. Nel 1869 viene fondata la
prima società ciclistica della storia, il Velo Club Parisien che batte sul tempo quello londinese; nello
stesso anno, le due società organizzano molte altre gare, ma tre in particolare, riscuotono una grande
partecipazione di tifosi perché si svolgono su strada. In Francia si corre la Parigi - Rouen, mentre in
Inghilterra la Londra - Brighton. Pochi mesi dopo organizzata dal Club parigino, si corre la Tolosa -
Caraman - Tolosa.
In Italia, a partire dal 1885 (anno di fondazione anche della Federazione ciclistica), lo sport del
pedale raccoglie attorno a sé estimatori e pubblicazioni editoriali: si corre, si scommette sui corridori al
velodromo Umberto I di Torino, sulla terra battuta di Alessandria, al Trotter di Milano. Ogni settimana,
da aprile a settembre, sono in programma corse e gran premi: riunioni che arrivano ad avere anche 20
mila spettatori e che richiamano anche i campioni stranieri.
Per quel che riguarda le pubblicazioni, basta scorrere l’elenco delle testate che iniziano ad uscire
attorno al 1890 per capire l’importanza che la bicicletta sta iniziando a ricoprire anche dal punto di vista
editoriale: La Bicicletta, l’Illustrazione Ciclistica e l’Italia Ciclistica a Milano, Il Ciclo giornale di sport a
Brescia, Il Ciclista Veneto a Verona, La Gazzetta Ciclistica a Firenze, la Rivista Velocipedistica a Torino, … .
Alla fine del 1880, la situazione sportivo-editoriale in Italia, è più o meno questa: c’è un potere
politico che tende al controllo dell’attività sportiva tramite l’accentramento dell’associazionismo
sportivo nell’ottica di servire gli interessi del Paese; c’è uno sviluppo economico-tecnologico verificatosi
all’interno della stampa politica, che ha messo in circolazione nuovi metodi e strumenti di produzione e
di diffusione dell’informazione; c’è una rapida evoluzione della bicicletta, che inizia a raccogliere
21
Paolo Facchinetti, op. cit., p. 20.
17
attorno a sé attenzioni ed estimatori, soprattutto in quelle persone che fanno parte di quegli strati di
popolazione che non possono permettersi di fare sport e quindi, ne diventano pubblico.
Questo stato di cose, da un lato dà l’avvio a tutta una serie di fenomeni che favoriscono un
deciso incremento dello sport (che se non accresce in maniera netta il numero dei praticanti, inizia ad
aumentare sensibilmente la propria popolarità), dall’altro favorisce uno “sviluppo che si ripercuote
immediatamente sul piano della stampa sportiva
22
”.
I. IV La nascita della Gazzetta dello Sport
Le competizioni sportive iniziano a moltiplicarsi e l’entusiasmo con cui queste vengono accolte
dal pubblico induce i quotidiani ad un più attivo interesse verso questo mondo finora ignorato; gli
editori fiutano l’affare ed affidano ai primi giornalisti specializzati la promozione delle manifestazioni
agonistiche.
Il Resto del Carlino di Bologna presenta uno dei notiziari sportivi più completi e brillanti a partire
dal 1890; il Corriere della Sera organizza nel 1892 una Torino - Milano ciclistica, inaugurando una
tradizione che sarà fatta propria soprattutto dalla Gazzetta dello Sport nella promozione di tutta una
serie di eventi fra cui, i più importanti, si riveleranno la Milano – Sanremo, il Giro di Lombardia e
naturalmente il Giro d’Italia ciclistico che parte nel 1909.
Ed è proprio per merito della grande stampa quotidiana che attorno al 1890 nascono i primi
fogli sportivi degni di questo nome e che, come è stato anticipato in precedenza, vengono poste le basi
per la nascita della Gazzetta dello Sport. Nell’ultimo decennio del XIX secolo, Milano ha già un
attrezzatura editoriale all’avanguardia, la più grande ed efficiente di tutta Italia, in grado di produrre
220 testate contro le 155 di Roma e le 142 di Torino. Dei 31 fogli sportivi diffusi in Italia nel 1896 poi,
ben 10 sono pubblicati a Milano, 5 a Torino, 4 a Roma, 3 a Napoli e Bologna, 2 a Firenze ed 1 a Pisa,
Udine, Verona e Venezia.
E’ in questo contesto editoriale che il Corriere della Sera e Il Secolo si contendono aspramente la
leadership: entrambi cercano di strapparsi lettori e di conquistarne di nuovi con iniziative brillanti.
Anton Giulio Bianchi, redattore sportivo del Corriere della Sera, lancia per primo l’idea di creare
un settimanale sportivo nel 1892, e poiché in quel periodo lo sport più popolare inizia ad essere il
ciclismo, la nuova pubblicazione viene chiamata Il Ciclo. La sua uscita è settimanale, su 4 pagine
stampate su carta rosa e venduto al prezzo di 5 centesimi.
Chiaramente Il Secolo non può stare a guardare e dà l’incarico all’avvocato Eliseo Rivera di
ideare un foglio concorrente. Così, pochi mesi dopo l’uscita del settimanale del Corriere, esce Il Ciclista,
settimanale illustrato che viene edito dalla casa editrice Sonzogno.
22
Aldo Biscardi, Da Bruno Roghi a Gianni Brera: storia del giornalismo sportivo, Guaraldi, Rimini 1973, p. 57.
18
Quasi in contemporanea esce a Torino un terzo settimanale sportivo, La Tripletta, fondato dallo
studente di lettere Eugenio Camillo Costamagna, stampato su carta verde, in cui il fondatore “profonde
vivo mordente polemico e soprattutto una forte carica di idealismo
23
”.
Nel 1896 Costamagna si trasferisce a Milano e si accorda con Eliseo Rivera per fondere assieme i
loro due tentativi giornalistici: è il 3 aprile 1896 (la vigilia delle prime Olimpiadi dell’era moderna),
quando esce il primo numero de La Gazzetta dello Sport (fig. 1). La genesi del foglio sportivo (la cui
redazione è ospitata nei locali dell’editore Sonzogno in via Pasquirolo 14 a Milano) appare evidente nel
sottotitolo, in cui sono riportati i nomi delle vecchie testate di Rivera e Costamagna (Il Ciclista e La
Tripletta), i quali, assumeranno anche la con direzione della loro nuova creatura. Ha una cadenza
bisettimanale (lunedì e venerdì), viene stampato in formato quotidiano su quattro pagine, la carta
utilizzata è di colore verde chiaro e costa 5 centesimi.
La Gazzetta dello Sport dichiara di essere il primo giornale in Europa a trattare tutti i rami dello
sport, ad uscire realmente da quella tendenza uni- specialistica che tanto ha caratterizzato la stampa
sportiva italiana lungo i suoi primi passi. In realtà, la sua grande intuizione, sarà quella di inserirsi
appieno in quel contesto in cui le gare in bicicletta stanno diventando sempre più popolari, e forniscono
la base per lo sviluppo di un giornale in cui sono ancora ben presenti tutti gli sport di «emanazione
risorgimentale», come la ginnastica, la scherma, il tiro a volo, il canottaggio, ….
Scrivono Camillo Costamagna ed Eliseo Rivera nell’editoriale del secondo numero del giornale
(7 aprile 1896): “… siamo grati ai nostri vecchi amici, i ciclisti, e ne siamo del pari grati ai nostri nuovi
lettori, i cultori dei diversi rami dello sport… le modificazioni apportate, le innovazioni, il grande
formato, il servizio estesissimo di corrispondenti e telegrammi e soprattutto le nuove rubriche di
ippologia (galoppo e trotto), di alpinismo, di caccia, di canottaggio e di tutti gli altri rami dello sport,
costituiscono, nel loro complesso, un giornale nuovo che giustifica il titolo Gazzetta dello Sport”.
Come quasi tutti i fogli sportivi, anche la Gazzetta adotta la carta colorata, in quella che è una
tradizione ormai acquisita, in Italia e all’estero
24
. In Italia, prima del massiccio intervento dei quotidiani
sportivi, si hanno pochi esempi di fogli stampati su carta colorata (il più illustre è Il Conciliatore): con il
loro avvento si ha invece una vera e propria esplosione del colore.
Come abbiamo visto, Il Ciclo (1892) esce su carta rosa e, quando cambierà il nome della testata in
La Bicicletta (1894), la carta diventerà verde; La Tripletta (1892) viene stampata su carta verde; la carta de
La Gazzetta dello Sport (1896) è inizialmente verde, poi diventerà gialla ma, dal 1898 in poi, sarà rosa; nel
1902 il settimanale napoletano Tribuna Sport viene impresso su carta gialla; nel 1903 Verde e Azzurro,
sottolinea già nella testata il bizzarro accostamento di colori che ne battezza la nascita (il verde e
l’azzurro sono infatti i colori della carta e dell’inchiostro); ….
23
Antonio Ghirelli, La stampa sportiva, in Nicola Tranfaglia e Valerio Castronovo, La stampa italiana del neocapitalismo,
Laterza, Bari 1976, p. 321.
24
Ad esempio, a Parigi, nel 1892 escono due quotidiani, Le Vélo e il Paris-Vélo, il primo in carta verde, il secondo in carta
rosa.
19
Nessuno sa spiegare con esattezza il motivo di questa esplosione: possiamo azzardare che, visto
che lo sport viene inizialmente considerato niente meno che un’attività da squilibrati, “…pochi sono gli
appassionati e quindi pochi i lettori dei fogli sportivi, che devono compiere acrobazie per contenere il
bilancio passivo entro misure dignitose
25
”. Una di queste acrobazie è quella di stampare su carte vivaci
e colorate, al fine di attirare i lettori, di evidenziarsi fra la massa dei giornali e stimolare la fantasia del
pubblico.
Questo espediente della carta colorata funzionerà talmente bene che, anche nel momento in cui
sport e stampa sportiva si saranno completamente consolidati, l’uso del colore continuerà in maniera
massiccia, nel rispetto, da parte degli editori, di un rapporto che ormai il lettore ha cementato con il
foglio sportivo colorato. Il colore, nel giornale, diverrà via via sinonimo di sport tanto è, che anche nei
quotidiani di informazione, i supplementi o gli inserti sportivi, verranno spesso stampati su carta
colorata.
II. LA GAZZETTA DELLO SPORT NEI SUOI PRIMI VENTI ANNI
II. I I primi passi: la conquista del pubblico, dal dominio del ciclismo all’esplosione dell’automobile
Il 3 aprile 1896 è il punto di partenza di un viaggio che porterà la Gazzetta dello Sport ad
attraversare senza interruzioni tutto il Novecento, secolo che inizia in un’atmosfera ricca di entusiasmi
per le nuove scoperte, che fanno intravedere la possibilità di un’era di progresso e di benessere.
Da questa atmosfera, lo sport trae vantaggi e spinte, e soprattutto ne esce con una nuova
definizione, che non è più quella di diporto, divertimento, sollazzo definita dai linguisti di fine
Ottocento, ma come scrive Costamagna nel suo editoriale d’apertura (firmato con lo pseudonimo che lo
renderà celebre, e cioè Magno): “…presso di noi moderni, invece lo sport ha più significati. Per alcuni,
esso riveste il puro carattere di divertimento, per altri forma oggetto di studio, per i più diventa una
quistione di lucro. L’attività febbrile, la quale caratterizza questa fine di secolo, finì col corrompere le
intenzioni purissime dello sport. Quello che prima non tendeva se non a migliorare la fibra umana,
portando il fisico a quella ideal bellezza, la quale forma il sogno dell’artista, ora divenne un mezzo per
arrivare ad un fine determinato. Quello che materialmente il nostro fisico poteva dare, non bastava più.
Le velocità ottenute in corsa, i lunghi percorsi fatti a piedi, erano insufficienti alla febbre crescente di
soverchiarsi e nacquero le macchine. Alla forza s’unì l’ingegno, ed ecco quindi lo sport a prendere una
via di nuovissima applicazione. Di pari passo coi nuovi mezzi, segnò pure un crescendo l’umana
curiosità. Se prima la vittoria di una atleta, era appena notata, più tardi divenne oggetto di commento,
ed ora si cerca con crescente curiosità di conoscerne l’esito in precedenza degli altri.
25
Paolo Facchinetti, op. cit, p. 120.