II
Una politica così aggressiva necessitava di ingenti risorse, sia in termini
di competenze e conoscenze manageriali sia, soprattutto, economiche, dato
che la proprietà si è dimostrata ampiamente contraria, nel tempo, a
sostenere l’attività con risorse proprie (dalla quotazione ad ieri, 2 soli
aumenti di capitale, in cui Tanzi & Co. ha sempre apportato quote
societarie, mai soldi freschi).
Mentre le redini del comando erano ben salde nelle mani della famiglia
Tanzi, attorniata da una cerchia di “parenti ed amici”, immutata fino al
crack, la Parmalat diveniva un enorme collettore di capitale di debito,
attraverso un rete di scatole societarie che avevano questo preciso compito.
Negli stessi anni i mercati finanziari vivono una fase di notevole
cambiamento, sotto la spinta della globalizzazione e dell’innovazione
finanziaria. In particolare in Italia, si assiste alla crescita del mercato
obbligazionario, tradizionalmente “povero”, con importanti conseguenze
sulle abitudini d’investimento delle famiglie e sulla struttura del passivo di
molte imprese italiane.
La prassi seguita per i corporate bond prevede l’emissione su un mercato
soggetto a mera autoregolamentazione e organizzato dai grandi gruppi
bancari internazionali. Le obbligazioni così emesse vengono quotate alla
Borsa del Lussemburgo e destinate, nella forma, ad investitori istituzionali.
Nessuna di queste emissioni è formalmente indirizzata a sollecitare il
pubblico
v
, evitando per questa via le norme cui quest’attività deve
sottostare. L’unico tipo di controllo a cui sono sottoposte le emissioni
indirizzate (in prima battuta) agli investitori istituzionali è quello della
Banca d’Italia, ex art. 129 TUB
vi
.
Nella sostanza, si è invece riscontrato che questi titoli hanno formato il
canale che ha collegato direttamente i risparmi al finanziamento delle
v
Artt. 94 ss. TUF.
vi
Cfr. BRESCIA MORRA C., Come si controlla un’emissione, 2004, in www.lavoce.info
III
imprese, cosicché la maggior parte del peso del default dichiarato per i
bond Parmalat grava sulle tasche di migliaia di piccoli risparmiatori.
Alla luce dei particolari che emergono dal chiarirsi dei fatti, sempre più
dettagliati, sorprende come una truffa certamente non sofisticata sia potuta
passare indenne l’intera catena di controlli, compresi quelli discendenti
dallo status di società quotata della capogruppo Parmalat Finanziaria.
Se non ci può essere dubbio sulla primaria e imprescindibile
responsabilità degli amministratori e della proprietà, si rendono necessarie
concrete valutazioni su “chi poteva fare” e “cosa poteva fare”, in ossequio
alle disposizioni del T.U. bancario
vii
e del T.U. Finanza
viii
, che impone una
lunga serie di poteri, doveri e responsabilità agli organi di controllo interni
(collegio sindacale) ed esterni (società di revisione), nell’ambito di
un’attività di vigilanza (informativa, ispettiva, regolamentare) della Consob
nei confronti di quegli stessi soggetti. La Commissione è dotata di specifici
poteri finalizzati ad assicurare la trasparenza delle società quotate e la
correttezza dell’informazione al pubblico degli investitori.
E’ dal concreto utilizzo di questi poteri che dipende l’effettiva tutela dei
risparmiatori, così come la responsabilità della Consob in caso di danni
subiti dagli investitori, come di recente affermato.
ix
In episodi della gravità di Parmalat è a rischio la fiducia dei risparmiatori
verso l’intero mercato finanziario: si sono evidenziati cali netti
nell’emissione di corporate bond italiani (- 5,5 mld€
x
), è aumentato il
premio al rischio per investire in azioni (piuttosto che in titoli di stato), in
un contesto in cui, invece, nell’area Euro il trend è opposto
xi
.
vii
Art. 129 TUB.
viii
Artt. 113 ss. TUF.
ix
Cass. Sez. UU., sent. 7/3/2001 n. 3272.
x
Vedi FIMMANO’ F., I gap di informazione e controllo, cit., p. 402.
xi
Nell’area Euro il premio al rischio è sceso dal 3,3% al 2,9%, in Italia salito dal 3% al 3,4%. Fonte:
Osservatorio REF, in www.ref.it .
IV
E’ a rischio il rapporto tra banche e risparmiatori, che non hanno fatto
nemmeno in tempo a digerire vicende recenti, visto che le banche sono
finite sul banco degli imputati, subito dopo l’imprenditore
xii
, e che la
fiducia nei loro confronti è a minimi, quasi mai registrati
xiii
.
Il modello di banca universale, che caratterizza il sistema bancario
europeo, evidenzia una serie di possibili situazioni di conflitto, derivante
dall’ampiezza con cui gli intermediari del mercato finanziario offrono, alle
imprese quanto ai risparmiatori, servizi d’investimento sempre più
complessi e sofisticati.
L’importanza del compito degli intermediari deriva dall’intrinseca
caratteristica dei mercati finanziari, date le asimmetrie informative, dove
l’elaborazione di informazioni richiede capacità, conoscenze, risorse e
forza contrattuale di cui solo gli intermediari dispongono.
La distribuzione imperfetta dell’informazione e la professionalità
richiesta hanno convinto il legislatore della necessità di una disciplina che
fosse rivolta non solo al singolo risparmiatore, ma che imponesse agli
intermediari comportamenti corretti e trasparenti, una gestione sana e
prudente, perseguendo per questa via la tutela degli investitori, la stabilità,
la competitività ed il buon funzionamento del sistema finanziario
xiv
.
Il fulcro della disciplina dello svolgimento dei servizi d’investimento è
dato dagli artt. 21-25 TUF e dalla normativa regolamentare, dove si
stabiliscono i principi (di comportamento, d’organizzazione,
d’informazione) che devono ispirare l’attività, affidando agli intermediari
stessi al cura dell’interesse del cliente. Devono esserci informazione
adeguata e operazioni adeguate al singolo investitore.
xii
Indagine conoscitiva, Audizione dei rappresentanti di Unicredito Italiano Spa, Roma, 20 Febbraio
2004, Resoconto stenografico, p. 5.
xiii
Il 61% degli intervistati (Fonte Itlex) ritiene che le banche non curino sempre gli interessi dei propri
clienti, mentre il 56% ritiene inefficaci i sistemi di controllo sulle banche da parte delle Istituzioni.
xiv
Art. 5 TUF.
VParticolare importanza è dedicata alla tutela dell’investitore nei casi di
conflitti d’interessi, in cui la presenza di criteri puramente formalisti non
supera la prova necessaria, che fa capo all’intermediario, di aver agito
nell’interesse del cliente, assicurandogli quell’equo trattamento che la
norma impone. La valutazione sull’operato dell’intermediario passa per
un’attenta ricostruzione ex post dei fatti, in grado di colpire comportamenti
che, nella sostanza, si dimostrino censurabili.
Nei confronti della Parmalat, le banche coinvolte erano, da una parte,
creditrici, dall’altra, attive nell’emissione e nella vendita successiva dei
titoli, attività diverse che, però, si basano entrambe sulle informazioni
riservate sull’impresa. In sostanza, il bilancio da analizzare era lo stesso.
Il bilancio della Parmalat era falso, ma questo non vieta di notare come
sia mancato l’interesse delle banche creditrici, come delle investment bank,
a far risultare, correttamente, l’ammontare dei bond realmente emesso, con
le relative garanzie (fornite sempre dalla società operativa eppure assenti
dal consolidato) oppure a far separare questa voce dal debito bancario.
Senza considerare, poi, la governance della Parmalat, che, ad un occhio
critico, sarebbe senz’altro risultata perlomeno inaffidabile. Si è venuto
meno a quella serie di regole di comportamento (imposte dalle norme e
dalla teoria) che devono informare l’agire della banca, commerciale e
mobiliare.
Quando si scopre che, in un gran numero di operazioni, Parmalat ha
pagato tassi d’interesse superiori a quelli dichiarati, che ha concesso
covenant segreti sui bond, legati al suo andamento finanziario, che ha
ottenuto credito solo versando contanti a garanzia, si capisce lo sconcerto
di chi ha acquistato quei titoli quando non trova banche o investitori
istituzionali tra di essi.
La tesi delle banche non convince, innanzitutto per il numero di
risparmiatori coinvolti, per il danno subito; è fortemente improbabile che
VI
ben 130mila risparmiatori abbiano chiesto quei titoli di propria iniziativa,
senza alcuna attività propositiva; ciò anche in ragione della pratica bancaria
e della prassi dell’emissione sull’Euromercato, che spingono nello stesso
senso. E’ vero che gli analisti finanziari erano unanimi (tranne 1, dal 2002)
nel consigliare l’acquisto di titoli Parmalat, ma la loro indipendenza è
discutibile, specie in Italia.
In ogni caso, il sistema è in grado di reagire ai comportamenti scorretti
attraverso i principi che regolano lo svolgimento dei servizi d’investimento,
in cui si pone l’accento su una ricostruzione ex post dell’intenzione
dell’intermediario di curare o meno il suo interesse.
Il caso Parmalat evidenzia la necessità di correzioni nel complessivo
assetto di vigilanza sui mercati finanziari, già palesatasi in precedenza ed
ora non più rinviabile. L’Indagine conoscitiva
xv
avviata alle Camere dopo i
fatti noti ha concluso i suoi lavori, licenziando un testo che si propone
innanzitutto di ristabilire la fiducia nei mercati finanziari (analizzato nelle
conclusioni).
Migliorare le norme di governance e di revisione, razionalizzare il
sistema di vigilanza per finalità, dotare le Autorità di nuovi poteri e nuovi
mezzi (economici), prevedere limiti e cautele al passaggio diretto di titoli
dagli investitori istituzionali ai risparmiatori, sono tutto obiettivi che non
devono, però, far dimenticare che sono le regole già esistenti quelle che il
caso Parmalat ha visto infrante
xvi
.
La fiducia dei risparmiatori si nutre di trasparenza, ed “essere”
trasparenti, a volte non è sufficiente: bisogna anche “apparire” trasparenti:
“il fatto è che la maggior parte dei clienti delle banche non riescono a
xv
Commissioni riunite VI e X della Camera e 6^ e 10^ del Senato, Indagine conoscitiva su “I rapporti tra
il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio”.
xvi
SCARPA C., Cani da guardia per decreto, 2004, in www.lavoce.info.it
VII
scrollarsi di dosso la fastidiosa sensazione di essere sempre una parte
“debole”. Si tratta di una sensazione tutt’altro che infondata”
xvii
.
xvii
MOSCA G., La trasparenza non basta…, in Summa, n. 201/ Maggio 2004, p. 10
1Capitolo 1
La vicenda Parmalat: la nascita, la sviluppo, il crack.
1.1 : La nascita e lo sviluppo del gruppo; 1.2 : Dalla quotazione ai primi sintomi di
crisi; 1.3 : Il 2003 “nero” di Parmalat.
1.1: La nascita e lo sviluppo del gruppo. Per definire cosa è oggi, o
meglio, cosa è stata fino ad oggi la Parmalat, si può prendere certamente
spunto dall’audizione parlamentare del Presidente CONSOB Lamberto
Cardia
1
: “Parmalat Finanziaria Spa è una multinazionale con una struttura
geografica complessa, presente in cinque continenti. Attraverso un sistema
di 250 controllate il gruppo opera in trenta paesi diversi. L’attività
produttiva si articola su 139 stabilimenti, in cui lavorano oltre 36000
dipendenti sparsi in tutto il mondo”. Il quadro che ne risulta è quello di un
colosso alimentare cresciuto attorno al suo core business, il latte, uno dei
prodotti più poveri, a più basso valore aggiunto e che in seguito si è
allargata a settori più o meno strategici: prodotti da forno, yogurt, ma anche
turismo e comunicazione. Una società che in quanto a numeri si mostrava
in grado di competere sui mercati internazionali con i suoi prodotti.
Come ha fatto questa azienda ad arrivare ad un ruolo così importante?
Il padre di Calisto Tanzi ereditò l’azienda dal padre e la gestì insieme al
fratello Luigi. L’attività iniziale era concentrata su salumi e conserve che
trovavano sbocco nei mercati emiliani, liguri e toscani. Alla morte del
padre, Calisto subentrò nell’azienda affiancando lo zio in un “matrimonio”
che durò poco e che, da lì a poco, avrebbe visto la divisione delle attività:
allo zio andò il ramo conserve, a Calisto il ramo salumi.
Il salto nel settore del latte avvenne grazie alle frequenti richieste dei
clienti di Calisto, che svelava al Sole 24 ore del 28/06/2000 che spesso gli
2dicevano: “Visto che a Parma avete il miglior formaggio del mondo, perché
non possiamo anche berlo?”. Detto, fatto: il 15 Aprile 1961 nacque la
Dietalat, ribattezzata Parmalat l’anno successivo.
Tanzi s’inserì così in un mercato agguerrito in cui concorreva con le
varie centrali del latte; il vero salto di qualità si ebbe però con lo sviluppo
di una tecnologia svedese, la famosa UHT (Ultra High Temperature), che
favorì la lunga conservazione del latte e per questo ne permise la grande
distribuzione. Ed il fatturato di Parmalat risentiva degli effetti benefici di
tali innovazioni, visto che cresceva al ritmo del 50% annuo. Il salto di
qualità è di tutta evidenza nei numeri: fatturato 1962 pari a 260 milioni di
vecchie lire, Fatturato primi anni 70 pari a sei miliardi di lire.
Sono questi gli anni in cui la Parmalat entra in altri settori, anche oltre
frontiera, ad esempio facendo una joint venture con un’azienda
sudamericana, la Mococa, per la produzione dello yogurt. Ha anche la
capacità di ridare vigore ad un vecchio marchio di fabbrica dell’attività
conserviera, Pomì.
L’ascesa della società, con il suo proprietario, è messa ancor più in
evidenza dalla sponsorizzazione Parmalat di importanti manifestazioni
sportive, di società di pallavolo, baseball, calcio ed un legame forte con un
grandissimo campione della Formula 1, Niki Lauda. Parmalat aveva saputo
puntare sullo sport e sui suoi uomini come veicolo di diffusione di un
marchio che cominciava ad affermarsi come vincente.
Il fatturato Parmalat del 1984 era arrivato a 635 miliardi di lire, dieci
volte superiore ad un decennio prima. Sembrerebbero numeri eloquenti.
L’espansione industriale, accompagnata da una forte crescita d’immagine,
già allora non era immune da critiche: il Sole 24 ore
2
s’interrogava sul vero
1
Commissioni riunite VI e X della Camera e 6^ e 10^ del Senato, Indagine conoscitiva su “I rapporti tra
il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio” (Indagine conoscitiva), Audizione
del Presidente della Consob Lamberto Cardia, Roma, 20 Gennaio 2004, p. 4.
2
OLIVA G. G., Parmalat, una sfida oltre il latte, in Il Sole 24Ore, 28 Settembre 1985.
3livello dei debiti nel 1984. Tanzi rispondeva che l’esposizione verso le
banche era cresciuta dai 30 mld del 1982 ai 100 mld del 1984, più factoring
ed aumento del circolante per 200 mld, giustificando i numeri con la forte
stagionalità delle nuove produzioni e con l’allungamento dei tempi
d’incasso dai distributori.
Questo tipo di preoccupazioni era condiviso anche dalla società di analisi
R&S di Mediobanca, dai cui calcoli risultava un livello di debito
finanziario, sempre nel 1984, di 160 mld.
Sulla base di tali presunte difficoltà della società si sarebbero fatti avanti
dei compratori (nel 1986 Bsn Gervais Danone e nel 1988 il colosso
americano Kraft), ma Tanzi seppe smentire con vigore le voci rassicurando
ulteriormente sulla solidità della sua azienda.
3
Il 1986 è anche l’anno del primo bilancio consolidato del gruppo,
certificato da Hodgson Landau Brands, in cui si leggeva di un fatturato
arrivato a 1200 mld, di un utile netto di 10 mld, di un cash flow di 50 mld e
di “minori debiti” verso banche per 50 mld. Ancora una volta però i valori
calcolati da R&S suonavano diversi: 247 mld di debiti finanziari netti,
contro i 226 del 1985, a fronte di 62 mld di patrimonio netto e di garanzie
prestate a terzi per 36 mld.
Il giornale “Il Mondo”
4
chiese allo stesso Tanzi se, con oneri finanziari
pari a 48 mld rispetto ad un utile netto di 10 mld, non ritenesse di lavorare
per le banche, egli rispose che quando nel 1988 avrebbe portato a zero
l’indebitamento finanziario netto il giornale rischiava di non avere più nulla
da chiedergli. Lo stesso Sole 24 ore
5
, in merito all’interessamento di Kraft
6
(1988) per l’acquisto di tutte le attività alimentari, scriveva che “la holding
3
RAMENGHI A., Altro che utile, in Il Mondo, 16 Febbraio 1987, p. 62.
4
RAMENGHI A., Altro che utile, cit., p.62.
5
TAMBURINI F., Kraft chiude per Parmalat, in Il Sole 24 Ore, 28 Giugno 1988.
6
La Parmalat, pur dichiarandosi lusingata delle voci su un interessamento del colosso Kraft, smentiva
l’esistenza di trattative. Ma la Kraft rendeva noto che, a seguito di un’assemblea degli azionisti Parmalat,
questi non ritenevano di poter accettare le condizioni essenziali della proposta.
4di Tanzi ha bilanci che lasciano poco spazio allo sviluppo: i debiti vengono
stimati in 300 mld mentre gli oneri finanziari superano i 46 mld”. La
situazione, definita già “difficile da qualche anno”, era dovuta non tanto ai
segnali di stanchezza del prodotto n° 1, il latte a lunga conservazione
(soprattutto in conseguenza della nube di Cernobyl), ma soprattutto alla
crisi finanziaria (già allora!), perché una volta ricapitalizzata la società
sarebbe stata decisamente interessante.
Inoltre, nella relazione al bilancio del 1987, la Hodgson Landau Brands
(revisore) rilevava come “d’ora in poi l’intero cash flow dovrà colmare le
ingenti esposizioni finanziarie a breve termine”.
Sempre “Il Mondo”
7
nel 1988 pubblicava uno studio a cura di Umberto
Bertelè, docente di Organizzazione aziendale al Politecnico di Milano, in
cui si criticava “la scelta di entrare in troppi segmenti di mercato, tutti
affollatissimi”; al di là degli aspetti positivi sui costi della rete “dal punto di
vista della profittabilità equivale ad un’operazione disastrosa, poiché
comporta tanta spesa corrente e pochissimi investimenti”. In più “l’assenza
di una compagine dirigenziale ampia è un altro dei punti dolenti”.
Aspetto, questo, sottolineato anche dall’allora Direttore di SDA Bocconi,
Demattè
8
, che definiva il caso-Tanzi “emblematico”.
Tuttavia quelle che possono essere considerate solo voci (anche se di
certa autorevolezza) lasciavano spazio ad un fatto: nel 1989 la merchant
bank Centrofinanziaria, controllata MPS, organizzava un prestito di 120
mld insieme con altre primarie banche,con clausole abbastanza stringenti
per un’azienda solida, come la dipingeva Tanzi. Infatti, il prestito di tre
anni, se non onorato, sarebbe stato convertito nel 22% del capitale di
7
VICO D., Chi spreme Calisto, in Il Mondo, 9 Luglio 1988, p. 48.
8
VICO D., Chi spreme Calisto, cit., p.48.
5Parmalat Spa e s’imponeva di scorporare il ramo tv (in cui Tanzi aveva
investito e perso molte risorse)
9
.
1.2: Dalla quotazione ai primi sintomi di crisi. Un nuovo versante
della vicenda si apre con l’acquisto da parte di Tanzi, datato 1989, del
51% del capitale di una società quotata, la Finanziaria Centronord (FCN),
al cui proprietario, Giuseppe Gennari sarebbe andato in contropartita il
20% della Coloniale Spa, holding tramite cui la famiglia Tanzi controllava
le attività operative.
La prima operazione attuata dalla FCN fu quella di acquisire, dalla
Coloniale, il 20% di Parmalat Spa per 89 mld e di opzionare un altro 35,4%
al prezzo di 283,2 mld, comprensivo di un ricco premio di maggioranza per
Tanzi. Le risorse occorrenti per quest’operazione erano chieste alla borsa,
varando una ricapitalizzazione di ben 713,2 mld.
Ora, tutta questa operazione equivaleva ad una quotazione implicita della
Parmalat Spa, con uno strumento tra l’altro (l’aumento di capitale) meno
“invasivo” rispetto alla situazione contabile di Parmalat. L’aumento fu
sottoscritto per metà dalla stessa Coloniale, ma Tanzi non avrebbe immesso
risorse proprie perché quegli stessi soldi li avrebbe ricevuti per il
pagamento da parte di FCN della sua quota di Parmalat. L’altra metà fu
richiesta al mercato, in Italia tramite Centrofinanziaria ed all’estero tramite
Morgan Stanley.
Tuttavia il mercato non fu entusiasta della proposta, in ciò depresso
anche dai venti di guerra nel Golfo Persico.
A sostegno dell’operazione, dopo che Gennari decideva di uscire sia
dalla Coloniale che da FCN, interveniva in Italia Banca Akros, anche
9
Diffusamente MALAGUTTI V., Buconero Spa: dentro il crac Parmalat, Roma, Laterza, 2004;
DALCO’ P., GALBANINI L., Parmalat. Il teatro dell’assurdo, Milano, Food, 2004, CAPOLINO G.,
MASSARO F., PANERAI P., La grande truffa, Milano, Class Editori, 2004.
6acquistando una quota del 5% in FCN; all’estero Morgan Stanley cambiava
il meccanismo da offerta pubblica a private placement, dichiarando di aver
avuto manifestazioni di interesse da molti investitori.
A fine settembre 1990 l’aumento di capitale andava in porto; ad ottobre
1990 la società veniva denominata Parmalat Finanziaria ed ora controllava
il 70% di Parmalat Spa, società operativa. Infatti, alle quote acquistate in
precedenza (20%+35,4%) andava ad aggiungersi un ulteriore 15%,
derivante da un aumento di capitale per 300 mld, sottoscritto per intero
dalla ormai ex FCN a causa della mancata sottoscrizione delle quote di
minoranza.
Tanzi
10
sosteneva (ancora una volta!) che “l’incasso di questi 300 mld, in
concorso con le risorse attese dall’attività industriale, è previsto possa
annullare nell’arco dei prossimi tre anni l’indebitamento finanziario netto
di Parmalat, che prima della ricapitalizzazione ammontava a 520 mld”.
Purtroppo alle parole non seguivano i fatti.
Il 1990 fu l’anno in cui fu decisa la svolta verso i mercati internazionali:
si mettevano in piedi acquisizioni in Spagna, Portogallo, Russia, Germania,
Brasile, California. Ma l’Italia non era affatto trascurata: Barili, direttore
generale del gruppo, dichiarava apertamente l’interesse verso le centrali del
latte in via di privatizzazione.
Di pari passo andavano i debiti: si passava da 300 a 428 mld
d’indebitamento finanziario ufficiale (1992). I numeri continuavano a
credere anche nel 1993, dove si prevedeva una crescita del fatturato del
50% (da 1613 mld a 2400 mld circa) con un nuovo aumento
dell’indebitamento finanziario netto fino a 465 mld
11
. Il peso maggiore in
10
PARMALAT FINANZIARIA, Relazione del Consiglio di Amministrazione sulla gestione Gennaio-
Giugno 1990, Milano, 30 Ottobre 1990.
11
VINCIGUERRA L., Parmalat bussa a Piazza Affari con un aumento da 430 miliardi”, in Il Sole
24Ore, 15 Maggio 1993.
7questa crescita era dovuto alla notevole crescita esterna (Usa, Brasile,
Argentina più varie centrali del latte in Italia).
Sempre nel 1993 Tanzi varava un altro aumento di capitale per 430 mld,
dichiarando che sarebbe servito per “ulteriori programmi di sviluppo per
vie esterne e mediante acquisizioni”. Metà dell’aumento serviva invece per
acquisire il 21,4% di Parmalat spa
12
, portando così la quota al 99,2%. Vale
il discorso fatto sull’aumento di capitale dell’ex FCN: Tanzi da un lato
incassava 230 mld per quel 21,4% venduto dalla Coloniale e dall’altro
impiegava questa stessa somma per sottoscrivere l’aumento di capitale
della Parmalat Finanziaria. La restante parte dell’aumento sarebbe stata
richiesta al mercato.
A fine 1993, nonostante il fresco aumento di capitale, la situazione era
ancora più pesante: dopo aver compiuto 14 acquisizioni i debiti lordi
ammontavano a 1230 mld a fronte di 310 mld in cassa.
Ma gli obiettivi che Parmalat-Tanzi si poneva erano su un’altra
lunghezza d’onda: a fine 1994 la società comunicava di aver moltiplicato
per dieci volte il fatturato rispetto al 1984: 3600 mld contro 360 mld. Per il
1995 si annunciava che si sarebbe superata la soglia 4000 mld.
Questi sono gli stessi anni in cui Parmalat è citata da molti giornali
finanziari per la continua emissione di bond, per lo più attraverso la Chase
Manhattan Bank.
La campagna acquisti di Parmalat in giro per il mondo continua con la
volontà di ricercare quote di mercato importanti in mercati esteri, come gli
Usa, in cui ci si proponeva con il prodotto leader, il latte a lunga
conservazione, accompagnato da una dispendiosa ed aggressiva campagna
12
VINCIGUERRA L., Parmalat bussa a Piazza Affari, cit.
8pubblicitaria, solo questa costata 18 mln $. Ma ben presto l’obiettivo di
arrivare al 10% di tale marcato doveva essere abbandonato
13
.
Il bilancio 1996 metteva in risalto un indebitamento lordo di oltre 2500
mld, controbilanciato da attività liquide pari a 763 mld.
Infatti, anche i margini operativi si facevano risicati: il 1990 dava il
margine operativo del gruppo al 12,3%, nel 1994 era del 9%.
Alla fine del 1997 Parmalat si ripresentava al mercato chiedendo: 200
mld in prestiti obbligazionari, 600 mld in guaranteed preference shares
(azioni con rendimento indicizzato al Libor e con un’opzione put a favore
degli investitori esercitatile dopo 20 anni), 400 mld in obbligazioni
convertibili riservate ad investitori istituzionali. Totale, 1200 mld in pochi
mesi. Per fare cosa? “Per rifinanziare l’indebitamento a lungo termine e per
sostenere eventuali ulteriori esigenze di sviluppo.”.
Ma, effettivamente, che contropartite aveva in bilancio questa massa di
passività? Una ricostruzione dei dati del consolidato Parmalat degli ultimi
20 anni, fatta da Milano Finanza, ci può aiutare a capire: infatti, dagli anni
’90 in poi il peso delle disponibilità liquide si fa importante se rapportato ai
debiti lordi.
Anno Debito fin.
Lordo
Cassa,
Banche e
titoli liquidi
Debito fin.
Netto
%Liquidità
/
DebFinLordo
1988 181,15 5,74 175,41 3,17
1989 269,99 6,95 263,05 2,57
1990 204,51 61,95 142,56 30,29
1993 635,35 160,59 474,76 25,28
13
“Se le vendite nel Nord America nel 1994 rappresentavano il 4,4% del totale, lo scorso anno non hanno
superato il 6%. Due anni fa il management si era posto l’obiettivo del 10%”, BANAS P., Sfida al fresco,
in Il Mondo, 21 Marzo 1995, pp. 96-97.