5
INTRODUZIONE
La presente tesi è frutto di un progetto di lavoro eseguito in team e cominciato, per la
sottoscritta, nell’ottobre 2019, ma già ideato e avviato in precedenza. Il termine della stesura non
coincide con il termine del lavoro a cui si riferisce, bensì espone parte di esso in quanto continua ad
essere in corso d’opera. Non è possibile definirne fin d’ora la sua realizzazione completa. Si tratta,
dunque, di un lavoro totalmente inedito.
Nel primo capitolo verrà illustrato un quadro piuttosto ampio ma necessario dell’ambito a cui
il lavoro è contestualizzato riguardante il transmedia storytelling, con un apporto bibliografico ed
esempi concreti coerenti, per tentare un approccio semplice ma non banale ai meno avvezzi del
campo. Nello specifico, è stato utilizzato un ordine logico e ragionato per la spiegazione delle singole
definizioni di transmedia e di storytelling, le loro origini storiche, il loro sviluppo, i loro ambiti di
azione, i metodi e le tecniche di applicazione, per comprendere al meglio il campo mirato del
transmedia storytelling.
A seguire, il secondo capitolo sarà completamente dedicato alla presentazione del caso di
cronaca giudiziaria in questione – il cosiddetto “universo base” o storyworld, per usare i termini
tecnici specifici del campo transmediale – in quanto punto di partenza e senza il quale nulla di tutto
questo lavoro si sarebbe mai realizzato. Tale argomento si basa sul libro universitario Il Biondino
della Spider Rossa. Crimine, giustizia e media
1
, al momento considerato come l’unica pubblicazione
esauriente e dettagliata in termini di indagine sulla vicenda, che racchiude tutti i punti di vista
necessari alla comprensione approfondita di un caso giudiziario: storico-fattuale, medico-legale,
psico-criminologico e mediatico.
La parte più pratica del lavoro è raccolta nel terzo capitolo, che si suddivise in due momenti:
per la parte di ricerca di tipo quantitativo, si è deciso di prendere in esame l’analisi di un questionario
d’indagine, per sottoporlo ad alcuni partecipanti sul finire dell’estate 2020, con l’obiettivo di rilevare
e verificare le opinioni di un potenziale pubblico, in particolare quello appassionato di cronaca nera
e giudiziaria, e le loro modalità di fruizione dei settori di interesse. Per la parte di ricerca di tipo
qualitativo si è deciso di studiare e stilare una profilazione di tre potenziali lettori ideali specifici
dell’audience di riferimento, per sottoporli anch’essi ad alcuni partecipanti, con l’obiettivo di ricevere
un feedback reale ed effettivo sull’orientamento di tali profili.
Infine, il quarto ed ultimo capitolo verte sull’applicazione concreta del transmedia storytelling
ad un caso giudiziario – riferendosi, in questa sede, a quello di Sutter-Bozano –: viene stilato un
1
Maurizio Corte, Laura Baccaro, Il Biondino della Spider Rossa. Crimine, giustizia e media, Bari, Cacucci Editore, 2018.
6
progetto transmediale con un quadro generale di tutte le fasi dei diversi prodotti – o, per meglio dire,
degli “universi paralleli” – sia quelli attualmente in corso di elaborazione sia quelli in fase di
realizzazione più tangibile.
L’approccio utilizzato per questa tesi è stato quello di mostrare nel modo più chiaro possibile
il lungo percorso evolutivo, teorico e pratico, in cui si stanno sviluppando le singole opere inedite del
progetto transmediale in questione: dalle semplici idee astratte che erano all’inizio, alla loro creazione
concreta e reale nel corso del tempo, avvalendosi di strumenti informatici, di personali conoscenze e
competenze pregresse e del costante impegno del team coinvolto nel lavoro.
7
CAPITOLO UNO
Transmedia Storytelling
I racconti sono la moneta corrente di una cultura
2
.
Jerome Bruner
Per definire che cosa è la disciplina del transmedia storytelling, la forma composta tradotta in
modo molto semplicistico come “narrazione transmediale”, bisogna innanzitutto scomporre le due
parole e partire dalle loro origini che hanno avuto sviluppi differenti nel corso del tempo.
1.1 Storytelling
Per spiegare in maniera completa ma non superficiale questo ambito ricco e complesso, è
necessario seguire un ordine attraverso il metodo Kipling o, come meglio noto, metodo “5W1H”. Gli
acronimi rispondono alle domande What? Who? Why? When? Where? e How?; sono tratte da un
componimento dello stesso Rudyard Kipling, The Elephant’s Child, incluso nella raccolta di opere
Just so Stories:
I keep six honest serving-men
(They taught me all I knew);
Their names are What and Why and When
And How and Where and Who.
L’elefantino
[…] Ho sei onesti servitori al mio comando,
che sono stati anche i miei insegnanti.
I loro nomi sono Cosa, Dove e Quando,
Come, Perché e Chi, e sei son già tanti.
3
Le domande di Kipling sono utili per l’approccio al problem solving e applicabili in qualsiasi
contesto. In ambito giornalistico, ad esempio, nel lavoro del giornalista c’è l’arduo compito di riuscire
a costruire notizie complete di ogni informazione che rispondano a tutte le domande del metodo
“5W1H” (fig. 1).
2
Jerome Bruner, La fabbrica delle storie. Diritto, letteratura, vita, Roma, Laterza, 2002, pag. 14.
3
Storie proprio così in Logos Libray, traduzione di Gabriella Cabassi.
8
1.1.1 WHAT. Che cos’è Storytelling
Storytelling è di per sé una parola composta inglese, attualmente entrata nel vocabolario
universale, nata dall’unione etimologica del sostantivo story, ovvero storia (riferito al contenuto di
una narrazione e non alla disciplina che si occupa dello studio degli eventi storici passati, ovvero il
corrispettivo history) e del verbo to tell, ovvero dire, raccontare. Si veda, ad esempio, il dizionario
dello Zingarelli che riporta lo storytelling come il narrare, il raccontare storie
4
. Perciò dalla traduzione
di queste etimologie, il significato di storytelling dovrebbe essere “raccontare storie”, ma l’accezione
in questione è più di una semplice narrazione di storie.
Facendo una piccola ricerca, si possono rilevare significati molto più profondi. Dal
vocabolario Treccani, ad esempio, lo storytelling è definito come affabulazione, arte di scrivere o
raccontare storie catturando l’attenzione e l’interesse del pubblico
5
, secondo invece il progetto Una
parola al giorno il significato di storytelling è l’arte del raccontare storie impiegata come strategia di
comunicazione persuasiva, specie in ambito politico, economico ed aziendale
6
.
Si può notare in entrambe le definizioni la ricorrenza della parola “arte”, con il risultato che
l’ambito dello storytelling è quello di un’arte del raccontare storie, con in aggiunta un aspetto di
affabulazione, ovvero dare una struttura di fabula (riferita all’evoluzione della storia e dei fatti nel
suo ordine cronologico) e una finalità comunicativa. Ad ogni modo, tutti questi aspetti rendono lo
storytelling una forma unica e perciò intraducibile in italiano.
4
Vocabolario Zingarelli 2020 in Ubidictionary, storytelling:
https://u.ubidictionary.com/viewer/#/dictionary/zanichelli.lozingarelli16.
5
Vocabolario Treccani, storytelling: http://www.treccani.it/vocabolario/storytelling_%28Neologismi%29/.
6
Una parola al giorno, storytelling: https://unaparolaalgiorno.it/significato/storytelling. “Una parola al giorno” è un
progetto che nasce dall’idea di due giovani a Firenze nel 2010, il cui intento è quello di raccogliere le parole del
vocabolario italiano e riscoprirne e valorizzarne il significato.
Figura 1. Metodo “5W1H” di Kipling
9
Andrea Fontana, uno dei massimi esperti di storytelling, definisce questo termine come il
comunicare attraverso racconti
7
in senso generale, ma utilizza espressioni più specifiche per spiegarne
meglio la sua funzione, ovvero lo storytelling è il creare “rappresentazioni”: testuali, visive, sonore,
percettive, che un brand, un prodotto/servizio, una persona possono creare per emozionare e
relazionarsi meglio con un pubblico e generare “simulazioni” del reale che diventano il reale
8
. In
questo senso, rappresentazioni e simulazioni sono considerate racconti solo se rispettano determinati
canoni e regole a cui fare riferimento per uno storytelling efficace: la costruzione di un universo di
storie, un habitat dove posizionare e far vivere i soggetti di interesse, attraverso un approccio narrativo
e una serie di competenze, criteri e metodi per far sì che tale mondo si concretizzi.
Quest’arte di raccontare ha quindi una struttura narrativa ben definita, un contenuto costituito
da un intreccio di eventi che viene rappresentato e perciò condiviso con un pubblico, applicando una
strategia comunicativa che sia efficace in modo tale che la storia possa diventare condivisibile; perciò
deve quindi essere ben ideata e raccontata, in modo che il pubblico se ne possa appropriare e
condividerne valori e principi per i quali è stata strutturata.
Prima di concludere sul cosa è effettivamente storytelling, ci sono degli accorgimenti da
chiarire e utili per il proseguo della presente esposizione. Sono stati citati sostantivi quali storia,
racconto, fabula e intreccio, che possono sembrare sinonimi tra loro, ma occupano distinti spazi di un
sistema narrativo.
La storia è il contenuto di una narrazione, ovvero il fulcro di ciò di cui si parla; possono esserci
storie narrative basate sulla realtà e su fatti realmente accaduti o, al contrario, storie frutto di pura
immaginazione. Il racconto è invece la forma che il contenuto prende; in questo senso, la storia può
prendere la forma di romanzo o di film come di tante altre forme narrative.
9
Con il termine fabula si intende l’ordine cronologico degli eventi di una storia, ovvero
l’evoluzione dei fatti dal principio alla conclusione. Con l’intreccio si intende la disposizione degli
eventi all’interno di un racconto, che non necessariamente segue l’ordine cronologico come nella
fabula bensì coinvolge le formule dei salti temporali (flahsback, flashforward, e così via).
In conclusione, si può affermare che lo storytelling è la disciplina ove si configura l’arte di
ideare una storia e saperla trasformare in un racconto che possa essere condiviso da un pubblico che
interessato.
7
Andrea Fontana, Storytelling d’impresa. La guida definitiva, Milano, Hoepli, 2016, pag. 16.
8
Ibid.
9
La differenza tra storia e discorso saranno approfonditi più avanti, nel sottocapitolo 1.1.7 HOW. Modelli di storytelling
e gli elementi base.
10
1.1.2 WHO. Chi racconta le storie
Per logica chi fa storytelling è il cosiddetto storyteller, il narratore, che si rileva da sempre in
tante forme e sfaccettature: dal cantastorie allo scrittore e al giornalista.
Il ruolo del narratore è presente fin nell’antica Grecia, qui nello stesso tempo si stava
sviluppando anche il concetto di teatro: in particolare la figura dell’aedo o del tradizionale cantastorie
raccontava oralmente vicende perlopiù inventate e mitiche accompagnato da uno strumento musicale,
il cui ritmo dava enfasi alla storia protagonista
10
. In seguito, il principale compito dello storyteller era
quello di raccontare storie da lui liberamente interpretate. Nel Medioevo c’erano svariate forme di
storyteller, come il tradizionale cantastorie, il trovatore o troviere e il menestrello, figure che più
comunemente erano riconoscibili tra i giullari: intrattenitori e animatori vagabondi nelle strade, nelle
piazze e nelle feste dei centri urbani di tutta Europa. Si esibivano in varie forme come in un unico
performer con molteplici competenze: dal cantastorie al musicista, dall’acrobata e danzatore
all’ammaestratore di animali
11
. Inoltre, presso le corti dei paesi vichinghi figurava lo scaldo in veste
di poeta o il bardo celtico in veste di cantore di imprese epiche, e così via.
Attualmente è difficile definire con precisione colui che racconta le storie, poiché non è
rappresentato dal solo scrittore o dal solo giornalista. Tante altre figure, e non solo quelle
professioniste, possono essere accostate a quella dello storyteller: sceneggiatore (in quanto scrive
storie e determina le battute dei personaggi), copywriter, politico, blogger, per elencarne alcuni. Il
Cambridge Dictionary identifica lo storyteller come una persona che scrive, racconta e legge storie.
12
Perciò chiunque può essere storyteller, non c’è alcuna formula o regola per diventarlo e
nemmeno una formazione specifica da seguire, purché si applichi lo storytelling secondo basici
principi della disciplina: la capacità di applicare una strategia di comunicazione nell’intenzione di
condividere una storia attraente con un pubblico e di riuscire ad entrare in empatia con esso
rendendolo partecipe attivo e protagonista del racconto stesso.
In conclusione, lo storyteller oggi può essere chiunque abbia una storia da raccontare e un
modo per “venderla”, ovvero una strategia comunicativa rivolta a un destinatario (un pubblico o
audience) che fruisca di tale storia. Più la storia sarà condivisa tra un numero cospicuo di persone,
più questa sarà di successo; “le storie costituiscono l’unica arma più potente nell’arsenale di un
leader”
13
.
10
Cfr. Luigi Allegri, Il teatro e le arti. Un confronto fra linguaggi, Roma, Carocci, 2017, pag. 17.
11
Cfr. Ivi, pag. 50.
12
Cambridge Dictionary, storyteller: https://dictionary.cambridge.org/dictionary/english/storyteller. Traduzione
personale.
13
H. Gardner, The single most powerful weapon in a leader’s arsenal… [le storie costituiscono l’unica arma più potente
nell’arsenale di un leader...], https://greystoneglobal.com/the-single-most-powerful-weapon-in-a-leaders-arsenal/.
11
1.1.3 WHY. Perché si raccontano storie
Non è solo il narratore-storyteller ad avere il potere di muovere le fila della storia che vuole
far conoscere, ma anche le storie stesse che vengono raccontate hanno un grande potere. Per quanto
la figura dello storyteller si sia evoluta nel corso dei secoli, le storie invece non sembrano essere state
scalfite dai passaggi del tempo e dagli avvenimenti tecnologici; il loro filo conduttore non pare
rischiare di volgere alla fine.
Fin da piccoli ricordiamo le sere in cui i genitori o i nonni ci leggevano o ci raccontavano le
favole o ricordiamo quando noi stessi ci appassionavamo alle storie contenute nei libri vagando poi
con la mente e l’immaginazione; è risaputo che sin da piccoli i bambini sono creature profondamente
legate alle storie
14
. Lo storytelling era infatti considerata una forma di comunicazione esclusivamente
dedicata ai bambini, prima di essere analizzato e studiato sotto un’altra luce e sfruttato per altri scopi
a partire dalla metà degli anni Novanta negli Stati Uniti, dando inizio all’“epoca narrativa”.
15
C’è, però, una ragione di derivazione scientifica per questo legame con l’infanzia: nella
psicologia infantile è stato studiato un fenomeno particolare, quello della reiterazione delle storie,
ovvero la continua richiesta di sentire sempre la stessa storia correggendo eventuali discrepanze con
la prima versione già raccontata; da questa teoria si è risaliti alla strutturazione dell’esperienza
individuale che ha inizio nell’infanzia. Questo significa che, nella costruzione delle esperienze
personali, viene data ad esse una struttura in forma narrativa, che parte da quando si è piccoli; i
bambini ricordano ciò che hanno vissuto e lo ricostruiscono nella propria mente dandogli una forma
narrativa (fig. 2). I bambini infatti adorano le favole, perché attraverso esse acquisiscono esperienza,
conoscenza e certezze; tutti elementi indispensabili della storia per la formazione dell’identità
personale.
14
Jonathan Gottschall, L’istinto di narrare. Come le storie ci hanno reso umani, Torino, Bollati Boringhieri editore,
ebook, 2018, pag. 21.
15
Christian Salomon, Storytelling. La fabbrica delle storie, Roma, FaziEditore, ebook, 2014, pag. 9.
Figura 2. Il racconto di storie stimola l'immaginazione e mette in moto
meccanismi psicologici che cominciano nell'infanzia
12
Crescendo le storie continuano ad essere parte della quotidianità di ogni individuo. Da adulti
si creano narrazioni che partono dai ricordi personali, ma che hanno un contenuto anche di finzione;
basti pensare a quando gli amici si incontrano, le chiacchiere e i pettegolezzi che si scambiano sono
essi stessi nuove storie.
16
Questo attaccamento alle storie conosciute lo si può chiamare rassicurazione narrativa: è un
principio legato all’infanzia, dove si comincia ad assimilare e a conoscere il mondo circostante per
poi influenzare, almeno in parte, la crescita dell’individuo; per questo motivo le storie, poiché
interiorizzate, possono avere una valenza rassicurativa e sono una forma conosciuta con cui misurarsi
ed entrare in contatto.
Quindi le storie non sono importanti solo dal punto di vista pedagogico, per la crescita
individuale, ma per l’intera umanità: la storia ha costruito, infatti, le certezze e le rassicurazioni di
tutte le civiltà nel corso del tempo, a partire ad esempio dalla mitologia occidentale. Non è un caso,
infatti, che la parola “mitologia”, dal greco antico mythos, significhi appunto mito, parola, leggenda,
favola. I miti antichi avevano proprio la funzione di raccontare in breve le vicende legate alle origini
del mondo: i fenomeni naturali, le relazioni umane e i vari aspetti della realtà. La stessa cosa è stata
fatta dalla religione cristiana con la Genesi, le origini del mondo contenute in questo libro, sono
illustrate sotto forma di racconto: i sette giorni della creazione, Adamo ed Eva, l’origine del peccato,
e così via. Qui elencati ci sono solo alcuni esempi dei riferimenti culturali più vicini, ma il discorso
vale certamente anche per le altre culture, religioni e civiltà.
L’uso di storie è, in fin dei conti, comune a tutti: cambiano i contenuti, i personaggi, le visioni,
ma la forma a storia e racconto è sempre la stessa.
Un altro aspetto importante ai fini della narrazione e che in parte è andato perso, è l’intento
didattico e moralistico.
Ad esempio, le fiabe popolari che tutt’oggi si conoscono, di tradizione orale e tramandate per
lunghe generazioni in forme sempre più diverse ed evolute, benché comunemente associate
all’intrattenimento dei bambini non erano originariamente nate come tali. Nella versione originaria
di alcune di esse è presente una morale alla base ben diversa che distingue da una parte il successo
della bontà e dall’altra la punizione della malvagità; le conseguenze di questa malvagità venivano
evidenziate dal racconto di aspetti cruenti e brutali, che rendevano le fiabe dell’epoca un esempio per
tutta la popolazione, anche per gli adulti. Tipici di questa forma della morale sono soprattutto le
apoteosi scritte dai fratelli Grimm nelle più note fiabe – Cenerentola, Biancaneve, Cappuccetto Rosso,
Hansel e Gretel, per citarne qualcuna –, in cui le punizioni alla malvagità sono state in realtà
16
Cfr. J. Gottschall, L’istinto di narrare, Torino, Bollati Boringhieri editore, ebook, 2018, pag. 31.
13
modificate dalla Disney, che ha reso gli epiloghi molto più accessibili e positivi ai più piccoli: il
rispetto della famiglia, il coraggio, la generosità, l’umiltà e via dicendo.
Perciò l’aspetto intrinseco educativo dell’individuo, che oggi ha valenza di insegnamento
rivolto al mondo dell’infanzia, un tempo era più universale.
Nonostante oggi non ci sia più bisogno di spiegare l’origine umana o quella dell’universo,
poiché già ampiamente illustrata dalla scienza, per lo stesso motivo non c’è più bisogno della
mitologia per trovare certezze o rassicurazioni, è un dato di fatto che l’uomo non può vivere senza
storie, perché ne è costantemente circondato, altrui o proprie, vicine o lontane. Produrre e consumare
storie è qualcosa di molto più profondo della letteratura, della storia, delle fiabe.
17
Sul motivo per cui si raccontano ancora storie ci sono diverse ipotesi: le storie costruiscono
comprensione e riconoscimento, dando vita a scambi di esperienze. Il racconto di storie nutre la
psiche, poiché in qualche modo nella mente dell’individuo le storie fanno percepire probabile ciò che
è impossibile. Le storie forniscono un’interconnessione relazionale tra le persone, generando
appartenenza e legami verso qualcosa di condiviso. Le storie sono il format personale, perché
mantengono viva una continuità identitaria e la memoria autobiografica. E infine, le storie non sono
neutrali bensì muovono all’azione attraverso il coinvolgimento emotivo profondo, si agisce spesso
per emozione prima che per logica.
18
In sostanza, queste ragioni hanno a che fare con la ricerca di
felicità, che si può cercare all’esterno o all’interno di sé.
1.1.4 WHEN. Le origini dello storytelling
Nel corso del tempo, ci sono stati alcuni avvenimenti fondamentali che hanno rivoluzionato
la storia della narrazione, il primo e più grande fra tutti è certamente il passaggio dall’oralità alla
scrittura: come è noto, inizialmente la trasmissione di storie e del sapere in generale era basata
unicamente sul sistema di tradizione orale.
Questo fenomeno è stato oggetto di studio nella seconda metà del Novecento dello studioso e
antropologo statunitense Walter J. Ong, che delineando le tappe principali evolutive dall’oralità alla
scrittura ha illustrato due principali tipi di cultura che ha attraversato la civiltà occidentale.
La cultura a oralità primaria, considerata come cultura basata unicamente sulla trasmissione
orale e completamente ignara della scrittura, è stata storicamente la prima tappa del percorso che ha
portato alla tradizione scritta. Questo avvenimento è ormai al giorno d’oggi sconosciuto; si trattava
di una comunicazione immediata costituita dall’espressione prettamente verbale. Con l’udito come
senso per eccellenza, e dalla sua conservazione legata esclusivamente alla forma mnemonica; la
17
Ibid.
18
Cfr. A. Fontana, Storytelling d’impresa, Milano, Hoepli, 2016, pag. 29.
14
parola era ritenuta un potere magico
19
poiché associata a livello inconscio come suono naturale del
linguaggio orale.
Con il grande avvento della scrittura, una vera e propria tecnologia, si comincia ad avere la
permanenza e la presenza fisica delle parole in uno spazio visivo, che prima venivano emesse solo
con il suono della voce e, di conseguenza, immediatamente dimenticate. In questa lunga fase, si
susseguono una serie di rivoluzioni mediali intermedie che hanno via via sostituito completamente la
tradizione orale riducendo il suono e l’immediatezza della parola: la rivoluzione chirografica
avvenuta con l’invenzione della scrittura (dai più antichi sistemi di segni e simboli fino al sistema
alfabetico) ha dato il via alla nuova cultura alfabetizzata, la rivoluzione tipografica di Gutenberg con
l’invenzione della stampa a caratteri mobili che dalla metà del 1400 afferma e consolida la parola – e
perciò anche la narrazione – scritta, e la rivoluzione elettrica ed elettronica avvenuta a partire
dall’invenzione del telegrafo. Nel passaggio di transizione in cui l’udito lascia pieno spazio alla vista
e la conservazione non è più legata in modo esclusivo alla memoria, le rivoluzioni della scrittura,
della stampa e dei computer sono tutti mezzi che hanno man mano tecnologizzato la parola.
20
La cultura a oralità secondaria o di ritorno, che non è la cultura della scrittura, segna la piena
era elettronica portata dalle nuove tecnologie (telefono, radio, televisione, cinema) e inizialmente
avviatasi dopo la rivoluzione tipografica. In questa fase “di ritorno” si determina una sorta di causa-
effetto per cui la già ben consolidata scrittura e il recupero dell’oralità si ritrovano a convivere,
acquisendo le caratteristiche l’una dell’altra confluendo nelle moderne tecnologie, rivoluzionando
l’importanza della narrazione e il suo impatto sulla società. L’oralità secondaria, nonostante la forte
diversità, condivide alcune similitudini con quella primaria: entrambe generano un forte senso
comunitario, in quanto chi ascolta si sente incluso in un gruppo come parte di un pubblico sempre più
ampio. Le nuove tecnologie, perciò, hanno modificando l’oratoria secondaria da quella primaria. Con
la radio e la televisione gli esponenti politici hanno potuto coinvolgere masse sempre più numerose,
mentre con l’oratoria antica che raggiungevano gruppi limitati.
La proliferazione dei nuovi media ha modificato gli aspetti socio-economico e culturali della
società odierna e, di conseguenza, i modi di narrare storie, aprendo a nuove forme di comunicazione
e di trasmissione di contenuti e messaggi. Al giorno d’oggi – attualmente ci si trova ancora nella fase
della cultura di ritorno – lo storytelling si basa sui canali mediali di diversificati linguaggi
comunicativi (scritto, orale, di visione) e spesso anche in contemporanea tra di essi.
Ripercorrendo brevemente le origini dello storytelling: l’uomo, sin dalla sua comparsa sulla
terra, ha sempre avuto l’istinto di narrare storie per qualcuno che le ascoltasse; una forma d’arte già
19
Walter J. Ong, Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Bologna, Il Mulino, 2011, pag. 78.
20
Cfr. Ivi, pag. 133.
15
insita per natura, dapprima in forma tradizionalmente orale con cui le storie si sono tramandate di
generazione in generazione, e successivamente con le grandi rivoluzioni mediali della scrittura, della
stampa e del digitale (tuttora in corso). Le storie sono rimaste le protagoniste principali delle
narrazioni, anche se inevitabilmente sotto forme e contenuti molto diversi, e chi le recepisce è rimasto
un pubblico, via via sempre più espanso e sempre più attivo, che ha continuato ad interessarsene.
1.1.5 WHERE. Dove viene applicato lo storytelling
Lo storytelling è uno strumento potente ed efficace, e raccontare bene una storia secondo
criteri e strategie ben consolidati può avere una valenza comunicativa molto forte; è una strategia
comunicativa che arriva direttamente, molto più di altre e viene privilegiata quando si vuole
comunicare in maniera diretta, efficace ed empatica (fig. 3).
Dopo una lunga tradizione secolare di racconti di viaggio, l’approccio narrativo e il concetto
stesso di narrazione ha iniziato ad ampliarsi: nel 1995, in particolare, è cominciata quella che viene
definita the narrative turn, una svolta narrativa evolutiva che si è diramata raggiungendo il campo
delle scienze umane, fino ai campi scientifico, sociale, politico, medico, della giurisprudenza, e via
via favorita dall’avvento di internet e delle nuove tecnologie; lo storytelling è divenuto molto presente
in molti ambiti apparendo come una tecnica e uno strumento di comunicazione, di controllo e di
potere.
21
Lo storytelling è molto più di un del semplice raccontare storie; è un approccio comune a
molte scienze.
22
21
Cfr. C. Salomon, Storytelling, Roma, FaziEditore, ebook, 2014, pagg. 11-13.
22
Andrea Fontana, Manuale di storytelling: raccontare con efficacia prodotti, marchi e identità d'impresa, Milano,
ETAS, 2009, pag. XIV.
Figura 3. Comunicazione, strategia, creatività, originalità, coinvolgimento, competenze. Queste sono alcune
caratteristiche che uno storytelling deve avere per una buona riuscita e per il raggiungimento dello scopo prefissato,
in qualunque ambito di applicazione.
16
I vari ambiti in cui viene applicato lo storytelling sono innumerevoli – e non solo, come è
comune pensare, nei contesti commerciale e lavorativo –, ma se ne usufruisce soprattutto come
tecnica di comunicazione per il raggiungimento dell’obiettivo finale. Qui di seguito ci saranno solo
alcuni dei campi di applicazione, ma essendo lo storytelling in continua evoluzione ed essendo sempre
costantemente circondati da storie è improbabile riuscire ad elencare ogni possibile area.
Il business o corporate storytelling è l’ambito applicativo per eccellenza per uno storytelling
come comunicazione aziendale. In particolare, nel mondo del business ci sono due canali principali
ove sfruttare lo storytelling: l’azienda o l’organizzazione può sfruttare la comunicazione interna, il
cui target sono i dipendenti dell’azienda o i possibili candidati e il cui obiettivo è la promozione della
storia dell’azienda in questione, nella sua evoluzione tecnologica e crescita identitaria, nella sua
cultura e politica aziendale. È un tipo di comunicazione tramite la quale l’azienda che ne fa uso cerca
di esprimersi nel suo valore, mostrando un esempio di storia e di successo in cui potersi identificare
e far sentire i dipendenti interni parte di un gruppo condiviso e renderli partecipi ai cambiamenti
interni.
Costruire una corporate identity, ovvero una identità di impresa su cui potersi rispecchiare,
attraverso la narrazione può dare buoni risultati verso i futuri dipendenti, perché permette all’azienda
di presentare i suoi principi, la sua mission e le sue logiche governative, come anche mostrare la sua
crescita evolutiva ed evidenziare i punti di forza e la sua ambizione, in questo modo attira l’attenzione
dei destinatari e li induce a candidarsi per contribuire ad un progetto aziendale condiviso.
Le pratiche dello storytelling nella comunicazione interna sono utili anche per la formazione
e il miglioramento di competenze dei dipendenti già presenti o nell’ambito del change management,
per rendere noti i cambiamenti aziendali e le necessità di rinnovamento. Queste sono le strategie
comunicative volte a creare e a mantenere un dialogo sempre più diretto tra organizzazione e
dipendente.
Il secondo canale del business storytelling è la comunicazione esterna, con la quale l’azienda
o l’organizzazione interessata ne fa uso per pubblicizzare prodotti e servizi e, di conseguenza, anche
il proprio marchio (brand); il target di riferimento sono i clienti e potenziali tali. È una tipologia di
comunicazione comune nel settore del marketing, nel campo del brand management; il marchio
aziendale è il risultato di una narrazione efficace, perché riesce a raggiungere i destinatari e a
coinvolgerli emozionalmente e in modo meno razionale attraverso un racconto in cui essi possano
ritrovarsi, riconoscersi e sentirsi rassicurati (si riprende qui il principio di rassicurazione spiegato in
precedenza). In alternativa, i destinatari possono apprezzare un racconto perché semplicemente lo
trovano condivisibile e che rientra nei loro parametri di valori e di giustizia.