4
Il secondo capitolo è dedicato interamente alla presentazione del
programma Un giorno in pretura e all’analisi delle sue caratteristiche
costitutive. Partendo dalla contestualizzazione del programma nel
progetto editoriale, elaborato per la terza rete Rai, da Angelo Guglielmi,
metteremo in luce alcuni elementi formali del programma. In base a tali
elementi sarà possibile tracciare i confini entro i quali collocare il genere
di Un giorno in pretura.
Il terzo capitolo è dedicato all’analisi dettagliata di due puntate del
programma, “Il camorrista” e “O’professore”, scelte a campione.
Obiettivi specifici dell’analisi saranno: l’individuazione del percorso
narrativo, in base al quale si ricostruiscono le vicende del processo; la
descrizione delle diverse funzioni che assolvono i vari interventi della
giornalista; l’analisi degli stessi sotto il profilo strettamente linguistico.
Mostreremo, in definitiva, come gli interventi della conduttrice
costituiscano gli snodi fondamentali della narrazione, che guidano i
telespettatori nella comprensione dell’evento processuale e della storia
complessiva che il programma intende raccontare.
5
Cap.1 La televisione italiana: storia, linguaggi, generi
1.1 La televisione italiana al suo esordio
La televisione è un’invenzione anteguerra: le prime
sperimentazioni in questo campo nascono quasi contemporaneamente a
quelle della radio, ma la Tv vera e propria nasce e si diffonde in tempi
diversi nei vari paesi, con dislivelli temporali anche molto forti.
In Italia il servizio televisivo inizia il 3 gennaio del 1954 ed è
svolto dalla RAI, in regime di monopolio e sotto controllo governativo,
insieme a quello radiofonico
1
.
Ai suoi albori il mezzo non aveva un’identità mediologica precisa
ed era inconsapevole delle proprie potenzialità. L’offerta televisiva era
subordinata a due fattori principali: da un lato l’esigenza di riempire lo
schema giornaliero dei programmi, dall’altro la necessità di assolvere ad
una funzione pedagogica, educando il pubblico ad un ascolto “corretto”;
le trasmissioni non dovevano interferire con gli impegni della vita
quotidiana e con le tradizioni familiari, ma rispettarli e “tutelarli”
2
. Il
problema principale era quello di trovare dei contenuti funzionali a
questa politica culturale con cui “riempire” gli schermi. Dato il contesto
in cui si lavorava, e la mancanza di figure professionali con competenze
specifiche del nuovo mezzo, la soluzione più immediata fu quella di
rivolgersi ad altri modelli «saccheggiando generi e repertori della radio,
del teatro, del cinema, manifestando in ogni caso, in tutta la sua
1
Cfr. Menduni 2002.
2
Cfr. Monteleone 1992.
6
produzione, un solido ed esplicito aggancio con le radici umanistiche
della cultura e del pensiero nazionale»
3
.
In Italia (come nel resto d’Europa), la tv diventa presto strumento
culturale delle istituzioni pubbliche: in un’ottica di servizio pubblico, il
mezzo televisivo viene adoperato oltre che per intrattenere, anche e
soprattutto per educare ed informare. Si pensa, per esempio, che la tv
possa aiutare a combattere il diffuso analfabetismo e, in questo senso,
essa contribuirà realmente molto di più della scuola a creare una lingua
nazionale. Nella televisione tradizionale, infatti, gli usi linguistici fanno
riferimento ad un preciso modello letterario di lingua. Attraverso la
televisione questo modello viene proposto e diffuso presso “masse”
sempre crescenti di italiani prevalentemente (o esclusivamente)
dialettofoni.
La neonata televisione aveva un palinsesto settimanale, ogni sera si
trasmetteva un genere diverso e la serata di punta era costituita dalla
prosa del venerdì; la fruizione del mezzo si basava, quindi, sulla logica
dell’appuntamento: si accendeva la tv quando si era interessati ad un
determinato programma.
Oltre alla trasmissione in diretta di eventi sportivi e cerimonie
(proprio la diretta si costituisce come forma espressiva riconosciuta
peculiare del nuovo mezzo), i contenuti televisivi si basavano
principalmente su riadattamenti per il piccolo schermo di opere teatrali,
musicali, letterarie (il romanzo sceneggiato o teleromanzo a puntate) e
sulla produzione in studio di “rubriche” (così erano chiamati i programmi
a cadenza settimanale) di interesse sociale o culturale; molto popolare era
anche l’appuntamento settimanale con gli spettacoli di varietà realizzati
in grandi studi, con la presenza del pubblico che assisteva e talvolta
partecipava, ai giochi o ai quiz
4
. In questa prima fase, obiettivo principale
della produzione televisiva, era la ricerca di una propria identità
3
Cfr. Monteleone 1992, pag. 303.
4
Su questo argomento, cfr. Menduni 2002 e Monteleone 1992.
7
espressiva che in realtà rimase pressoché invariata per tutti gli anni ’60 e
70’: «nonostante le aperture verso dimensioni più narrative o addirittura
cinematografiche, i modelli dell’esperienza teatrale continueranno ad
essere il riferimento privilegiato di questo genere, che rimarrà
sostanzialmente inalterato per tutti gli anni ’60 e ’70»
5
.
Come già accennato il nuovo mezzo televisivo si caratterizza, oltre
che per i modelli a cui fa riferimento, anche per le funzioni sociali che
intende perseguire ovvero educare, informare, intrattenere. Questi
obiettivi legittimano la forte azione della censura sia sulla lingua sia sui
contenuti dei programmi: erano, ad esempio, vietate espressioni
equivoche come “membro del Parlamento”, “in seno alla commissione” o
termini quali “amante”, “parto”, “vizio” e così via. Parallelamente sul
piano dei contenuti, non potevano essere rappresentati adulteri, conflitti
familiari, contrasti sociali: insomma, la televisione doveva rappresentare
il modello ideale per una società sana e solida.
Nel 1957 compare per la prima volta sugli schermi la pubblicità
inserita in un “contenitore” chiamato Carosello, il cui scopo è quello di
isolare e rendere presentabili le inserzioni pubblicitarie facendo prevalere
lo spettacolo sullo spot.
Questo modello televisivo, nato e rimasto in vigore nel periodo del
monopolio RAI, entrerà in crisi intorno alla metà degli anni settanta
quando la riforma del sistema radio-televisivo, apre il mercato alle
emittenti private inaugurando un regime di concorrenza con la televisione
di stato.
1.2. Evoluzione del mezzo
Gli anni che vanno dal ’54 ai giorni nostri hanno visto il nuovo
mezzo evolversi ed espandersi in maniera esponenziale, fino a
stravolgere le proprie logiche produttive.
5
Monteleone 1992, pag. 306.
8
I punti fondamentali che hanno rivoluzionato la televisione sono
perfettamente riassunti nel termine neotelevisione coniato da Umberto
Eco nel 1993. Con questo neologismo Eco ha inteso definire il modello
televisivo impostosi negli anni ‘80, in contrapposizione al precedente
modello da lui etichettato con il termine paleotelevisione.
Il termine neotelevisione definisce il nuovo modello televisivo che
si è imposto negli anni ’80, caratterizzato da un regime di concorrenza tra
le varie emittenti. I nuovi obiettivi della televisione sono il
coinvolgimento empatico del pubblico e la convivialità (l’insistenza
retorica sullo stare insieme), così da creare l’affezione dei telespettatori
per assicurarsene la fedeltà. Funzionali a tali caratteristiche sono
l’autoreferenzialità del mezzo televisivo, l’esplicitazione dei processi
narrativi ed espositivi. Dal punto di vista dei contenuti si preferisce la
rappresentazione della quotidianità e della normalità; la suddivisione tra i
vari generi va progressivamente assottigliandosi, in direzione di una loro
maggiore contaminazione. Per quanto riguarda la fruizione del mezzo
televisivo, non si ha più la logica del grande appuntamento, ma quella
della televisione di flusso, che fa da sottofondo alle nostre giornate,
ideata per un ascolto distratto. Da un punto di vista temporale, la
neotelevisione, risulta più elastica per il ritmo delle trasmissioni e per
l’effetto zapping, quindi il telespettatore può decidere come e quale
trasmissione seguire
6
.
Le caratteristiche che distinguono i due modelli televisivi, sono
essenzialmente sintetizzabili come segue:
ξ si assiste al passaggio da un palinsesto basato sulla logica
dell’appuntamento e settimanale, ad un palinsesto giornaliero e di flusso
(in seguito all’aumento imponente delle ore di trasmissione,
l’apparecchio rimane acceso tutto il giorno, i programmi Tv scandiscono
le giornate e diventano un rumore di sottofondo, una compagnia);
6
Su questo argomento, cfr. Grignaffini 2004 e Grasso 2005/2006, pag.522.
9
ξ i telespettatori assumono più potere nella comunicazione (grazie
ad un’offerta più ampia e variegata hanno la possibilità di scegliere che
cosa guardare);
ξ le emittenti non mirano più ad educare ma ad intrattenere e a
conquistare la fedeltà dei telespettatori, così da garantirsi una parte di
pubblico e rendere appetibili gli spazi pubblicitari per gli sponsor.
L’identità di rete e la gestione del palinsesto diventano due aspetti
fondamentali della neotelevisione, il cui obiettivo principale è catturare il
pubblico e trattenerlo il più a lungo possibile: lo spettatore deve
“affezionarsi” all’emittente. La cosiddetta “programmazione a striscia”
(ovvero la serializzazione della programmazione per cui quiz,
telegiornali, soap opera, vengono trasmessi tutti i giorni alla stessa ora),
la logica del traino (secondo cui un programma difficile viene
“agganciato” ad un programma più forte, sperando che parte del pubblico
della precedente trasmissione rimanga sintonizzato), la suddivisione tra
un palinsesto feriale e uno diverso per il week-end sono tutte strategie
attuate dalla neo TV per rispecchiare la quotidianità e le diverse abitudini
del pubblico; inoltre, si fanno i conti con le stagioni, le festività, il
calendario politico e sportivo
7
.
Dal punto di vista dei contenuti, la Tv tende a parlare sempre più di
se stessa, racconta storie di persone comuni, produce programmi di facile
lettura – costituiti da unità narrative minime, dotate di un proprio senso,
indipendenti dai contenuti dell’intero programma – che permettono un
ascolto distratto e frammentato
8
.
1.3 I linguaggi della televisione
Seguendo l’impostazione di Menduni (2002) possiamo definire i
linguaggi della radio e della televisione «come le forme culturali
7
Cfr. Menduni 2002.
8
Cfr. Menduni 2002.
10
attraverso cui i due media elettronici comunicano e trasmettono ad un
pubblico, più o meno vasto, contenuti e messaggi». […] In questa stessa
ottica per forma culturale si intende «il modo in cui un determinato
contenuto creativo viene organizzato, da un autore singolo o da un
gruppo di realizzatori, per adattarsi al mezzo con cui sarà comunicato, al
pubblico cui sarà diretto, al contesto sociale in cui sarà collocato»
9
.
Il linguaggio televisivo è, dunque, un sistema articolato e
complesso, specifico del mezzo, costituito da più codici (verbali e non
verbali) con cui si costituiscono messaggi e significati. L’individuazione
di un linguaggio specificatamente televisivo ha costituito, fin dalla
nascita del mezzo, un problema centrale: quali modelli si devono
assumere per la produzione televisiva? E quali modalità di linguaggio,
che rendessero la comunicazione efficace? L’identità comunicativa della
TV si è a lungo riconosciuta nella “diretta”, poiché riassume in sé
immediatezza, simultaneità, attualità e la capacità di cogliere
l’imprevisto. Nel momento in cui la TV ci propone immagini di eventi
lontani contemporaneamente al loro verificarsi, essa esplicita la sua
specificità e assolve al suo compito precipuo
10
.
Una volta superata la fase dei linguaggi e dei codici specifici,
riconoscendo il cinema come l’arte del montaggio e la tv come l’arte
della diretta, ha preso campo la definizione di media intesi come
un’insieme eterogeneo di messaggi in cui entrano in gioco codici diversi.
In sintesi, il linguaggio di ogni media si caratterizza per la compresenza
di più codici, e la specificità di ogni mezzo si realizza nella diversa
combinazione di vari codici. Questo significa che uno stesso codice può
essere utilizzato per messaggi realizzati e diffusi in linguaggi diversi: il
montaggio, per esempio, è un codice “translinguistico” poiché appartiene
al cinema, alla tv e alla letteratura. Naturalmente, nel passaggio dei vari
modelli da un linguaggio all’altro, sono inevitabili distorsioni ed
9
Menduni 2002, pagg. 3-4.
10
Cfr. Grasso 2005/2006.