6
Prefazione
“Un incontro Fortunato”
Era il 18 Ottobre del 2010, quando incontrai Lella Golfo, per
ragioni che esulano dalla tesi che sto per presentarvi. Golfo mi propose
di andare a visitare la Fondazione Marisa Bellisario, di cui è ispiratrice
e attuale Presidente; accettai, anche se ignoravo che tipo di
associazione fosse e di cosa realmente si occupasse. Fu così che entrai
per la prima volta alla Fondazione Marisa Bellisario. Rimasi subito
estasiata; osservavo le grandi stanze, le porte, enormi e un po’
invecchiate, davano un senso di grandezza e imponenza a quel posto.
Seguivo la presidente e la sua voce mi attraversava dentro come
un’eco. Entrammo nel suo studio e Golfo mi fece accomodare.
Davanti a me vidi un’ampia scrivania ricoperta di libri, appunti, fogli,
depliant e un personal computer, sulle pareti, notai la presenza di
diversi riconoscimenti e qualche foto (una in particolare mi colpì
molto, raffigurava Lella Golfo a New York; la stessa foto la ritrovai
qualche giorno dopo, durante la lettura dei documenti della vita di
Marisa Bellisario, c’era una foto molto simile, che ritraeva la giovane
manager). Da qui in poi, comincia il mio interesse per una storia che è
lunga venti anni, ma possiede ancora la freschezza e la vitalità di un
tempo che non ha scalfito le conquiste, i successi, le grandi passioni: è
la storia della Fondazione Marisa Bellisario.
7
Introduzione
La tesi è suddivisa in tre parti. La prima parte introduce
l’argomento della questione femminile. La subordinazione delle
donne al dominio maschile è una costante di tutte le società, dovuta
all’esistenza di modelli di percezione e di valutazione strutturanti
l’ordine del mondo.
“Il fatto che l’ordine stabilito, con i suoi rapporti di dominio, i suoi diritti
e i suoi abusi, i suoi privilegi e le sue ingiustizie, si perpetui in fondo abbastanza
facilmente, se si escludono alcuni accidenti storici, e che le condizioni di
esistenza più intollerabili possano tanto spesso apparire accettabili e persino
naturali” (Bourdieu, 1998, p. 7).
Secondo Bourdieu pensare al rapporto di potere tra i sessi
significa ricorrere ai modi di pensiero prodotti dal medesimo
dominio. La forza dell’ordine maschile si misura dal fatto che non
deve giustificarsi.
“La differenza biologica tra i sessi, cioè tra il corpo maschile e il corpo
femminile e in modo particolare la differenza anatomica tra gli organi sessuali
può così apparire come la giustificazione naturale della differenza socialmente
costruita tra i generi e in modo specifico della divisione sessuale del lavoro”
(Bourdieu, 1998, p. 18).
L’introduzione della categoria del genere non si limita a
segnalare un’esperienza di subordinazione e oppressione rispetto e
da parte degli uomini ma, mira a considerare le disuguaglianze come
il risultato della società, in secondo luogo esclude la possibilità che
la condizione femminile possa essere analizzata separatamente da
quella maschile.
8
“Se nell’osservare il mutamento, le istituzioni, i sistemi riproduttivi e
culturali della società, teniamo presenti che essi si evolvono e si strutturano in
un certo modo in quanto mossi da due generi diversi se ci abituiamo a vedere
che la realtà è doppia, sessuata, che esprime e sottintende concezioni del
maschile e del femminile, il nostro sguardo si estende e si arricchisce” (Piccone
Stella e Saraceno, 1996, 10).
Il termine genere ha una forte valenza esplicativa e rappresenta
una vera e propria chiave di lettura della realtà (Scisci e Vinci,
2002); non si limita solo alla descrizione della condizione di
subordinazione delle donne, ma vuole rintracciare le cause profonde
delle disuguaglianze, permette non solo di mettere in luce le
conseguenze di una diversa percezione delle differenze tra sessi, ma
anche di esplicitare come si costruiscono e come si modificano nel
tempo i rapporti tra uomini e donne, indipendentemente dalle loro
caratteristiche biologiche.
Nel secondo capitolo introduco il tema del lavoro femminile
fuori e dentro casa. A partire dagli anni Cinquanta emerge il
cosiddetto fenomeno della femminilizzazione della forza lavoro
(Esping-Andersen, 1993 in Scisci e Vinci 2002). In particolare:
“L’entrata delle donne nella sfera pubblica è un fenomeno che ha
raggiunto tassi considerevoli in rapporto all’abbattimento di alcune forme di
disuguaglianze” (Scisci e Vinci, 2002, p. 45).
La femminilizzazione del mondo del lavoro è stato favorito da
una crescita del tasso di scolarizzazione delle donne, dalla
terziarizzazione dell’economia e dal progressivo aumento dei
contratti di lavoro atipici e flessibili, che sembrano favorire la
conciliazione tra tempi familiari e tempi professionali.
9
La crescente presenza delle donne nel mercato del lavoro
comporta una ridefinizione dei ruoli tradizionali e il superamento
della dicotomia che separava il pubblico dal privato, e che relegava
la donna a svolgere lavori all’interno delle mura domestiche. Oggi
questa distinzione appare in parte superata: le considerazioni
successive mostrano, infatti, non soltanto una maggiore presenza
delle donne nel mondo del lavoro, ma una revisione, almeno per
quanto riguarda alcuni decreti legislativi (legge 53/2000 sul congedo
parentale), dei ruoli all’interno della famiglia, in direzione di una
maggior collaborazione nella gestione del carico domestico.
Tuttavia le disuguaglianze persistono, si materializzano ad
esempio nel fenomeno definito del soffitto di vetro o promotion gap
(Scisci e Vinci, 2002, 52), espressione coniata per definire i
traumatici percorsi di carriera delle donne, che, nonostante meriti e
competenze, incontrano numerosi ostacoli nel raggiungimento dei
piani alti nella scala gerarchica dei percorsi di carriera. Cercheremo,
dunque, di esplicitare motivi e ragioni della segregazione
occupazionale femminile. Le disuguaglianze persistono anche e
soprattutto nella gestione del lavoro domestico: il “doppio fardello”
lo definivano le femministe degli anni Settanta. La dicotomia
famiglia-lavoro sembra, infatti, caratterizzare ancora la realtà
femminile nonostante limitati ma rilevanti segnali di cambiamento
verso una maggiore uguaglianza in termini di opportunità a livello
sociale e una maggiore simmetria dei ruoli familiari. La famiglia è
stata oggetto di profonde trasformazioni, determinate da
cambiamenti sociali ed economici, come la rilevante e consistente
entrata delle donne nel mercato del lavoro. Intorno al ruolo
tradizionale di mogli e madri si è giocata la crisi di identità delle
donne e la loro successiva “rinascita” che ha comportato una
10
rilettura profonda dell’essere donna e una nuova valorizzazione del
lavoro come mezzo di emancipazione, autonomia e realizzazione
femminile. Così la donna è: “Moglie, Madre e Manager” come recita
un famoso slogan. D’altra parte anche l’uomo deve riformulare i
tratti e gli elementi che da sempre lo hanno caratterizzato, per
arrivare ad un nuovo equilibrio di coppia. La famiglia inoltre è stata
considerata nella sua dimensione economica e le ragioni sono da
imputare a quattro aspetti particolari: all’interno di questa avviene
composizione e redistribuzione del reddito, la cellula familiare è un
agente di consumo, è un ambito di definizione dell’offerta di lavoro,
infine, è un intermediario dell’economia formale (Saraceno, 1996).
La seconda parte della tesi è dedicata alla biografia di Marisa
Bellisario, la ragazza ribelle che adorava i gatti, molto legata alla
famiglia d’origine e al marito Lionello. Il suo ricordo è indelebile, il
suo stile inconfondibile, non rinunciava ai bei vestiti, amava la
moda; Marisa “vestita alla marinara” è riuscita nell’impresa
impossibile di risanare il bilancio di una società di
telecomunicazioni, la Italtel, oramai per tutti già fallita. Ha vinto la
sfida, nonostante i presupposti da cui partiva: bilanci disastrati e
pessimismo diffuso. Ancora all’apice del successo, una morte
precoce l’ha portata via. Il suo esempio si fa concreto nella storia
della Fondazione, a lei dedicata. Nel quinto capitolo la presente tesi
racconta le origini, la storia, i valori e le opere concrete della
Fondazione; che cosa è cambiato e che cosa rimane nel corso di un
cammino iniziato venti anni fa? Uno dei motivi che è sopravvissuto
al tempo è quello di mantenere vivo il ricordo di Marisa, inteso e
vissuto come un dovere da parte della Presidente della Fondazione,
Lella Golfo, un dovere che ha trovato l’impegno costante e
appassionato di coloro che con il tempo hanno contribuito a portare
11
avanti l’opera della Fondazione. Il sesto capitolo ripercorre le tappe
annuali del Premio che, ricordiamo, oltre a rappresentare un
momento importante di riconoscimento, ha un significato particolare
in termini culturali, infatti, in occasione dell’evento annuale, studi,
analisi e ricerche sono condotte in collaborazione con diversi enti di
ricerca; gli obiettivi sono: conoscere più a fondo i temi di attualità,
trovare possibili soluzioni e tracciare linee di intervento e strategie
d’azione. Per sostenere e supportare attivamente le manager e le
imprenditrici del nostro Paese si è istituito un “Osservatorio
Internazionale”on- line, che ha lo scopo di conoscere e far conoscere
il mondo femminile (www.leprotagoniste.org). Il settimo capitolo
descrive l’istituzione di “Donna Economia & Potere”, il seminario
internazionale organizzato annualmente, nato nel 2000.
La terza parte ripercorre le tappe più importanti della
Fondazione Marisa Bellisario, iniziative di vario genere che
continuano a diffondere un messaggio positivo e rappresentano uno
stimolo per tutte le donne che vogliono fare carriera. Uno sguardo
particolare si rivolge a diversi progetti all’estero che hanno
l’obiettivo di rafforzare la partnership con associazioni femminili e
attori politici di paesi stranieri, e hanno, inoltre, lo scopo di
intraprendere azioni di aiuto e di solidarietà nei confronti di alcune
città meno sviluppate economicamente.
Ho realizzato questo lavoro con molta umiltà ma nello stesso
tempo con una forte ambizione di arrivare ad un buon risultato.
L’attuazione di un progetto spesso vede cambiare i suoi presupposti,
gli obiettivi e le risorse, in corso d’opera; infatti, “entrare dentro”
all’oggetto di studio, si può rivelare coinvolgente, affascinante, ma il
percorso non è mai privo di difficoltà, a momenti di forte entusiasmo
12
seguono momenti di sconforto. La metodologia utilizzata consiste
nella riesamina dei materiali, dei “prodotti culturali” della
Fondazione, e della raccolta di alcune testimonianze di persone
vicine a questa, in particolare della Presidente e ispiratrice della
Fondazione.
13
PARTE I - Differenze di genere, famiglia, lavoro
14
1. Il “genere”: una categoria analitica per studiare la condizione
femminile
1.1 Questioni di genere
L’antropologa Gayle Rubin nel suo libro The Traffic in Women
(1975) si riferisce per la prima volta ad un sex/gender system presente
in ogni contesto sociale intendendo distinguere con ciò il gender,
ossia la codificazione sociale della differenza tra i sessi e il sex inteso
come fatto biologico e naturale (Scisci e Vinci, 2002, 26).
Gli uomini e le donne sono, ovvio, diversi. Ma non sono così diversi come
il giorno e la notte, la terra e il cielo, lo ying e lo yang, la vita e la morte. Dal
punto di vista della natura gli uomini e le donne sono più simili gli uni alle altre
che a qualsiasi altra cosa - alle montagne, ai canguri o alle palme da cocco. L’idea
che siamo diversi da loro più di quanto ciascuno di essi lo è da qualsiasi altra cosa
deve derivare da un motivo che non ha niente a che fare con la natura” (Rubin,
1975 cit. in Piccone Stella e Saraceno, Bologna, 2006, p. 7).
Con sex gender system Rubin identifica l’insieme di processi
modalità di comportamenti e di rapporti, con i quali ogni società
organizza la divisione sociale dei ruoli differenziandoli l’uno
dall’altro. Se il genere, dunque, è un prodotto di un determinato
momento storico e socioculturale, il sesso è un “universale-biologico”
elemento costante ed immutabile della specie umana. La vita sessuale
non può essere mai completamente naturale, poiché la nostra specie è
sociale, condizionata dal sistema di genere. Il genere prende le
sembianze di una camicia di forza che non fa altro che imprigionare
attori dentro ruoli e significati condivisi, solo il mutamento e
15
l’evoluzione culturale possono determinare la liberazione delle
definizioni di genere maschili e femminili da norme e schemi
comportamentali precostituiti. La storica Joan Scott definisce il
gender come un elemento costitutivo delle relazioni sociali, che si
basa sulla percezione delle differenze tra i sessi, e in particolare come
modo per strutturare relazioni di potere, acquisendo all’interno di tali
relazioni una funzione legittimante.
“Il genere è il primo terreno nel quale il potere si manifesta” (Scott, 1988,
cit. in Piccone Stella e Saraceno, 2006, p. 11).
Le differenze sessuali naturali tra i due sessi si prestano e si sono
prestate ad una disparità storicamente costruita e in virtù della quale si
è legittimata una asimmetria tra i due sessi nella divisione del lavoro,
nei compiti quotidiani, nell’accesso alla sfera intellettuale e simbolica,
e questo sempre a svantaggio della controparte femminile. Il concetto
di genere nasce non esclusivamente come affermazione della presenza
di due ruoli sessuali ma soprattutto in seguito alla consapevolezza di
questa ingiustificata asimmetria. La presa di coscienza delle
discriminazioni, i movimenti politici delle femministe, i loro effetti
sulla società civile hanno sollecitato la riflessione sulla condizione
femminile e la necessità di ulteriori strumenti e categorie di analisi. Il
concetto di genere si inserisce negli studi accademici del movimento
femminista americano ed è esportato in Europa nella seconda metà
degli anni Settanta. La virtù delle potenzialità analitiche del concetto
di genere sta nel fatto che oltre ad evidenziare la costruzione sociale
delle differenze tra i sessi, rende necessario un continuo richiamo alle
relazioni tra le parti, i legami ed i contrasti tra i due sessi, la loro
costante dialettica nel tempo, il continuo modificarsi di questo
rapporto. Tra le prime ad evidenziare che maschi e femmine sono
16
entrambi attori quando si parla di condizione della donna fu Natalie
Zamon Davis in un saggio del 1976, dove esplicitava che l’attenzione
alla categoria del genere può rivelarsi illuminante nell’analisi
economica e sociale, un parametro da tenere in considerazione quanto
le variabili di classe, occupazione, reddito, o status.
“Secondo me dovremmo interessarci alla storia di entrambi, uomini e
donne, e non concentrarci solo sul sesso debole più di quanto lo storico di classe
incentri la propria attenzione esclusivamente sui contadini. Il nostro obiettivo è
capire il significato dei sessi, dei gruppi di genere nella storia del passato”
(Zemon Davis, 1975, 90 cit. in Tosh, 2006, p. 67).
Piccone Stella e Chiara Saraceno nell’introduzione del testo
Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile (2006),
descrivono quattro diverse teorie o paradigmi sulla differenza
sessuale: l’essenzialismo o culturalismo, il decostruzionismo, il
pensiero della differenza sessuale, la teoria delle differenze locali.
Nella visione essenzialista, la base biologica della differenza sessuale
è ritenuta fondamentale nella definizione dell’identità e della donna
come soggetto ed è, inoltre, attraverso le qualità “naturalmente”
femminili che si gioca la trasformazione sociale del ruolo della donna
in funzione di una rivalutazione di queste capacità biofile, “creatrici di
vita”. Questa prospettiva ha avuto il sostegno della pedagogia di
Giovanni Paolo II.
Una variante di questo approccio è quella che propone come
causa della differenza sociale e psicologica l’affidamento alla madre
delle prime cure ai bambini. Nancy Chodorow (1991), nella sua
analisi clinica più che sociologica sostiene che per i maschi il
processo di formazione del sé implica due separazioni come individui
e come genere, per le bambine invece la costruzione del sé e
17
l’approdo alla condizione di adulta è più complicata in quanto
comporta una “dis-identificazione” nel passaggio da oggetto di cura a
coloro che forniscono le cure. Rispetto a queste teorie i due generi
sono socialmente costruiti ma biologicamente diversificati. Nel
costruzionismo di Derrida e Focault (Piccone Stella e Saraceno 2006)
invece, si considera la categoria del genere come pura costruzione
sociale, e per questo motivo, astratta e ingiustificata. La prospettiva
decostruzionista finisce per negare ogni identità e così preclude la
possibilità della costruzione di un soggetto femminile individuale e
collettivo, capace di agire socialmente. Il pensiero delle differenze
sessuali considera il corpo come l’origine non solo fisica ma anche
simbolica del soggetto donna, e l’irriducibilità delle differenze
maschili e femminili.
Infine nella teoria della differenze situate, il corpo non è ritenuto
un dato fisso e stabile nel tempo, ma un’esperienza, dunque, in
continua trasformazione. E’ in particolare Linda Nicholson, (1994, cit.
in: Piccone Stella e Saraceno, 2006) che polemizza contro il
fondamentalismo biologico e sostiene che, anche le differenze fisiche
sono determinate socialmente per mezzo di un dialogo continuo tra
natura e cultura. Nessuna divisione tra donne e uomini può darsi come
immutabile nel tempo. Insieme a questa valutazione c’è dunque
l’approdo ad una nuova concezione del termine genere, che si riferisce
non solo ai tratti della personalità ed al comportamento degli
individui, ma contempla anche il dato concreto del corpo, poiché
anche questo è oggetto di diverse interpretazioni filtrate dalle visioni e
dai modelli culturali della società.
“Il genere è l’organizzazione sociale della differenza sessuale” (Linda
Nicholson, 1994, cit. in Piccone Stella e Saraceno, 2006, p. 41).
18
Il fondamentalismo biologico comprende inoltre anche la teoria
dell’identità come “attaccapanni”, ossia quel pensiero, di numerose
femministe, che vedono le distinzioni naturali come fondanti l’identità
sessuale e comuni trans-culturalmente a tutti i paesi, senza alcuna
distinzione. In questa visione alternativa il corpo non scompare del
tutto: diventa una variabile piuttosto che una costante nella
costruzione sociale della distinzione maschio/femmina.
1.2 Le differenze sessuali nella prospettiva antropologica
Il Panorama che l’antropologia offre con l’accumulo dei
suoi dati non è tranquillizzante: tutte le società umane, nella loro
impostazione generale, sono pervase e attraversate da un forte
carattere discriminatorio e gerarchico. Claude Lévi-Strauss individua
nella sottomissione di un sesso all’altro, nella dominazione maschile
sul mondo femminile, l’inizio della divisione sociale dei ruoli, l’inizio
del rapporto servo/padrone.
“Tutto sembra accadere come se in una sottomissione mistica delle donne al
loro predominio gli uomini avessero scorto, per la prima volta, ma in un modo
ancora simbolico il principio che un giorno permetterà loro di risolvere problemi
che il numero pone alla vita in società; come se subordinando un sesso all’altro
essi avessero prospettato quelle soluzioni reali, ma ancora inconcepibili e
impraticabili per loro che, come la schiavitù consistono, nell’assoggettamento di
uomini al dominio di altri uomini” (Lévi-Strauss, 1967 cit. in Callari Galli 2000,
p. 53)
Un metodo per stabilire la subordinazione è quello di collegare la
differenza a qualità e capacità svalutate o, meglio ancora, cariche di
pericolo e di minacce. Così miti e leggende, credenze di popoli distanti
19
nel tempo e nello spazio rivelano il timore maschile del mondo
femminile: le donne generatrici di vita sono al tempo stesso
dispensatrici di morte. Tra i Samo dell’alto Volta, la vita e la morte
fino alla pubertà, sono decretate dal destino individuale della madre,
d’altronde anche nella nostra società si lega alla madre la salute
mentale della prole. Tra gli aborigeni australiani è assegnato un ruolo
secondario alla donna nella procreazione, concepite come mero
strumento di un atto di volontà puramente maschile. E, anche fra loro è
ribadita la pericolosità femminile: la disobbedienza di una donna al
Creatore ha portato la morte e il peccato sul pianeta, mentre presso i
Tirvi il primo umano morì a causa della moglie che si era innamorata
della luna. In molte società le donne sono assimilate alla selva, alle
forze mitiche della natura, alla divinazione alle pratiche magiche, alla
stregoneria (Callari Galli, 1993). Fra molti gruppi dediti alla caccia e
alla pesca la donna ha il potere di allontanare gli animali feroci.
“In forma più o meno implicita, in ogni società troviamo l’eterno rimpianto
presente nella mitologia dogon
1
: il mondo sarebbe stato più facile da realizzare se
la donna non fosse stata distinta, se l’uomo avesse mantenuto la sua primitiva
condizione di individuo androgino” (Callari Galli, 1993, cit. in Di Cristofaro
Longo e Mariotti, p. 54).
Margaret Mead nei suoi studi mette in dubbio l’effettiva
correlazione tra discriminazione di genere e cause biologiche, anche se
si è soliti farlo per legittimare tale discriminazione, in realtà nella
maggior parte dei casi, i ruoli diversi attribuiti ai sessi hanno
un’origine culturale, sono determinati da valori idee e modelli di una
data società. Il gruppo dominante d’altra parte ha provato a far
apparire quei comportamenti e sistemi di valori come naturali,
1
I dogon sono una tribù di Mali in Africa Occidentale.
20
sottraendoli alla costruzione culturale cui appartengono. Questo
meccanismo è attuato dal gruppo dominante ed è causa di
un’accettazione passiva da parte del gruppo dominato. Ovunque
questo assoggettamento avvenga o sia avvenuto ha avuto effetti
identici: la riduzione ad oggetto, a merce di scambio della donna e il
rafforzamento del potere e della solidarietà maschile (Callari Galli,
1993).
“Gli attributi sia positivi (ma derogativi) sia negativi che sono stati conferiti
alle donne, la posizione affettiva che è stata loro assegnata e l’isolamento nel
quale si è cercato di tenerle, hanno avuto risultati analoghi. La società degli
uomini si è costantemente adoperata in questo senso, e ciò con numerosi mezzi”
(Callari Galli, 1993, cit. in Di Cristofaro Longo e Mariotti, 2000, p. 58).
L’assegnazione di ruoli e mansioni non è dettata dalla natura ma
dall’organizzazione sociale e dal sistema simbolico dominante che
plasma valori e atteggiamenti. Fu Margaret Mead a svelare questa
verità, a mettere in dubbio l’effettiva determinante biologica, mettendo
a confronto ruoli diversi assegnati ai sessi da gruppi culturali diversi.
Il sistema educativo italiano ha scisso il modello maschile,
razionale e forte, dal modello femminile, sentimentale e debole,
accostando il primo alla sfera pubblica e relegando il secondo alla
sfera privata, come se tra i due poli non ci fosse l’ombra di una
sovrapposizione o di una commistione.
“Il modello educativo dominante, questo è il punto rilevante della questione,
che regola i comportamenti sociali dei due sessi, non consente agli individui di
esplicitare, di esprimere” (Callari Galli, 1993, cit. in Di Cristofaro Longo e
Mariotti, 2000, p. 75).