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Rilevando il suo spaziare in campi ed ambiti molteplici e talvolta anche
molto diversificati, il poeta Carducci, che gli era amico e collega nel
Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, lo definì “scienziato di molte
arti”.
Nacque nel 1823 presso Venaria Reale (To) e conseguì nel 1846, a poco più
di 22 anni, la laurea in medicina presso l’Università di Torino.
Successivamente esercitò la professione medica presso l’Ospedale di S.
Giovanni e strinse rapporti di amicizia con giovani esponenti della cultura
risorgimentale, tra i quali spiccano i nomi di Giovan Battista Bottero, Felice
Govean e Domenico Carbone. In seguito, si recò in Francia, in Grecia, a
Malta, in Egitto e, dopo alcuni anni fece ritorno in Italia, recandosi
dapprima a Torino, poi ad Asti, a Genova , A Bologna ed infine nuovamente
a Torino, dove si spense nel 1880.
La fama scientifica di Michele Lessona è legata soprattutto alla sua attività
di naturalista e di diffusione delle teorie darwiniste in Italia; il quarto
capitolo del mio elaborato è incentrato su questo eclettico e complesso
studioso: la sua vita, i suoi studi, le sue opere, i suoi interessi, il
particolare clima storico e culturale in cui visse ma anche gli aspetti più
attuali del suo pensiero e la sua importantissima opera di traduzione,
elaborazione e diffusione delle teorie evolutive nel nostro paese. Il quinto
capitolo è incentrato sulla figura di Charles Robert Darwin, sulla diffusione
delle teorie darwiniste e sulle ripercussioni che queste hanno comportato,
particolarmente, sul versante sociale e culturale della storia umana.
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Per l’uomo è stato quanto meno scioccante apprendere di derivare non da
un essere supremo, perfetto ed eterno, situato nella sfera celeste ma da
una scimmia antropoide, comune essere vivente vissuto su questa terra:
egli si è ritrovato ad essere non più figlio di Dio, ma “figlio”di una scimmia !
Tutte le certezze sono crollate e la presunta superiorità fornitagli dall’
essere discendente diretto, figlio di Dio è diventata discutibile, contestabile,
adombrata comunque dal dubbio perdendo, quindi, la dimensione della
certezza. Pensiamo semplicemente al ribaltamento d’ottica introdotto da
queste teorie e all’annientamento della presunzione umana connesso:
l’uomo non deriverebbe più dall’alto (dal cielo) ma dal basso (dalla terra,
più precisamente dagli animali, esseri comunque considerati inferiori). In
questo capitolo, oltre alla biografia di Darwin, ho analizzato i caratteri
generali del darwinismo, la teoria della lotta per l’esistenza, quella della
selezione naturale e l’influsso contemporaneo di queste teorie.
Il meccanismo dell’evoluzione proposto da Darwin si basa sul presupposto
che gli individui di una specie mostrano una continua variazione, casuale
ed ereditabile, nella forma e nella fisiologia.
Dopo la variazione avvenuta a caso, si instaura un processo di selezione
naturale e, dal momento che le risorse naturali sono limitate, riusciranno a
sopravvivere solo i soggetti meglio adattati all’ambiente: di qui emerge il
concetto di sopravvivenza del meglio adattato.
Questo concetto darwiniano è stato spesso interpretato come se si trattasse
di una continua battaglia mortale fra belve feroci, l’idea darwinista di
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individui favoriti non riguarda, però, tanto la sopravvivenza di un
individuo, quanto piuttosto quella della sua progenie. Darwin vide
chiaramente che le variazioni vantaggiose dal punto di vista evolutivo
vengono trasmesse alle generazioni successive, mentre i caratteri non
favorevoli diminuirebbero di generazione in generazione fino a scomparire.
Secondo Darwin il punto centrale della sua teoria si basava sulla
convinzione che l’evoluzione procedeva mediante l’accumulo di piccoli
mutamenti ereditabili, non di improvvisi mutamenti eclatanti, e le forze
selettive agivano a livello dei singoli individui. L’evoluzione, inoltre, non
seguirebbe uno schema predeterminato, poichè i caratteri ereditabili si
accumulerebbero a caso e la selezione naturale dipenderebbe dalle
condizioni predominanti. Lo studioso non riuscì a fornire chiare indicazioni
su come comparissero le variazioni e su come queste fossero ereditate;
tuttavia, a partire dalla metà dell’ ‘800, sono state acquisite numerose e
dettagliate conoscenze sugli organismi viventi, specialmente a livello
molecolare. Due tappe scientifiche importanti sono rappresentate dalle
Leggi Mendeliane e dalla conoscenza della struttura dei geni, cui fece
seguito la comprensione del codice genetico.
Darwin non conosceva il meccanismo della trasmissione dei caratteri
ereditari, visto che gli studi di Gregorio Mendel non furono resi pubblici
fino al 1865, diventando di dominio comune solo agli inizi del XX secolo.
Ciononostante, Darwin si rese conto che, in qualche modo, nei singoli
individui potevano verificarsi evidenti cambiamenti, o mutamenti, capaci di
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influenzare la morfologia e altri aspetti biologici, fra cui, ad esempio, il
comportamento, e che tali cambiamenti potevano essere ereditati.
Egli notò come la variabilità all'interno di una specie rappresenta la
condizione base su cui agisce la selezione naturale nel produrre nuove
specie; Rilevò, inoltre, come l’evoluzione non procede solamente per
eliminazione o perdita di caratteri non necessari, ma anche mediante
selezione di cambiamenti a carico di caratteri accumulati a caso: ecco
quindi la comparsa di nuovi caratteri dovuti a mutazione e a
ricombinazione genica. Nuove caratteristiche non si originano, come fu
invece sostenuto da Lamarck nella sua teoria fissista per il semplice fatto
di essere necessarie, ma per l’instancabile opera della selezione naturale
sulle variazioni accumulate dagli individui appartenenti a una specie.
Anche se l’importante opera di Darwin condusse alla rapida accettazione
dell'evoluzione, la sua teoria della selezione naturale incontrò alcune
resistenze. Solo all'inizio del XX secolo la sua opera s’integrò con le
nascenti informazioni circa i meccanismi fondamentali dell’ereditarietà
genetica.
L'abbinamento fra genetica e biologia evolutiva è conosciuto come Sintesi
Moderna o Neo Darwinismo, e continua ad essere il presupposto principale
per la comprensione dei meccanismi evolutivi. Recenti studi hanno
ampliato le nostre vedute circa i meccanismi evolutivi suggerendo, che da
un lato alcuni degli eventi più significativi potrebbero essere il risultato più
del caso che della selezione, dall'altro che la selezione naturale può talora
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estendersi al di là dei singoli individui, cioè a livello di popolazioni e persino
di intere specie tra loro affini.
L'evoluzione è il fenomeno più importante della biologia in grado di fornire
un principio in base al quale porre ordine alla grande diversità dei
Vertebrati attuali, nonché di collocare le forme estinte nel contesto di quelle
viventi. La classificazione dei vari esseri viventi, concepita inizialmente
come un metodo per assegnare un nome ai vari organismi, si è trasformata
in uno strumento per comprenderne l’evoluzione.
Le comuni interpretazioni dell'evoluzione mettono in rilievo l'azione sui
singoli individui esercitata dalla selezione naturale quale principale
meccanismo in grado di produrre cambiamenti durevoli, senza che talora si
possano escludere gli eventi casuali. I processi evolutivi sono strettamente
legati ai cambiamenti avvenuti sulla Terra nel corso della storia dei viventi,
a loro volta dovuti ai movimenti dei continenti e agli effetti di tali movimenti
sui climi e sulla geografia.
Si calcola che la vita sulla Terra abbia avuto inizio 3 miliardi di anni fa. Il
genere Gallus fece la sua comparsa 7-8 milioni di anni or sono e i dati
disponibili stanno a indicare, per ora, che fu addomesticato circa 8.000
anni fa.
Soltanto negli anni ’20, quando vennero accumulandosi prove a non finire
grazie al rapido sviluppo della genetica, la comunità scientifica adottò il
concetto di selezione naturale. Dopo la pubblicazione nel 1942 del libro di
Julian Huxley intitolato “Evolution: The Modern Synthesis” si verificò la
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fusione fra concetto darwiniano di selezione naturale e teoria genetica,
dalla quale scatturì il Neo Darwinismo.
Numerosi studi adducevano dati probanti sul fatto che le variazioni
individuali sono dovute a mutazioni puntiformi e alla ricombinazione
genica, nonché sul fatto che l’evoluzione, cambiamenti nella frequenza
genica, procede di solito a piccoli passi ed è il risultato della selezione
naturale sulla variabilità genetica. Si pensava che tali processi fossero
sufficienti a spiegare l’origine dei taxa
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maggiori, purché agissero per
prolungati periodi. Questa concezione del processo evolutivo viene oggi
chiamata microevoluzione o gradualismo filogenetico.
Dopo questa sommaria presentazione del IV° e del V° capitolo vorrei
chiarire qui la valenza ed il significato del termine zooantropologia ed
indagare come questa sia connessa al campo d’indagine della bioetica.
E’ necessario, innanzitutto, precisare come con il termine bioetica si
intenda quella disciplina, di recente nascita, che si occupa dei problemi
morali che nascono dallo sviluppo delle cosiddette “scienze della vita”, ossia
dagli sviluppi e dai progressi compiuti dalla medicina e dalla biologia ed il
loro impatto sulla salute, sulla vita dell’uomo, sull’ambiente e gli altri
animali. E’ facilmente intuibile, pertanto, come la bioetica sia di grande
interesse e coinvolga non soltanto noi esseri umani, ma anche quei soggetti
Taxon - al plurale taxa - è un termine greco che significa ordine; non è altro che l’organizzazione delle specie in categorie
gerarchiche, canonizzata dalla nomenclatura binomia di Linneo.
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che sono alla nostra mercé, come, ad esempio, gli animali e l’ambiente;
accanto alla bioetica medica si collocano, infatti, la bioetica animale e la
bioetica ambientale. Il nostro potere su di loro fa nascere, soprattutto oggi
grazie alla crescente tecnologia, problemi morali di grandissima rilevanza.
La zooantropologia è una disciplina che occupa un posto di notevole
importanza all’interno della bioetica animale e si occupa dello studio del
complesso rapporto sussistente tra la specie umana e gli altri animali, le
modalità in cui si esplicita, le origini ed i possibili esiti di questa
comunicazione interspecifica.
Sebbene l’utilizzo di questo termine ha un’origine recente, risalente intorno
alla seconda metà degli anni ’80, l’argomento che indaga si perde nella
notte dei tempi e caratterizza l’intera storia umana, dal momento che
l’uomo, fin dalla sua comparsa sulla faccia della terra, con modalità più o
meno inconsce, ha attuato comportamenti tesi a metterlo in comunicazione
con gli altri animali.
La zooantropologia ha una definizione tematica divisibile in due tipologie di
analisi: diacronica e sincronica
L’analisi diacronica si pone l’obiettivo di costruire un percorso atto a
spiegare e sostanziare la necessità, per l’uomo, di intrattenere rapporti con
l’alterità animale attraverso la ricerca storica (evolutiva, paleoantropologica,
antropologica, storico-culturale).
L’analisi sincronica viene effettuata attraverso la ricerca sulla struttura del
rapporto uomo-animale in tutte le sue componenti (socio-psico-
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pedagogiche), con definizione del valore e del significato attuale del
referente animale (educativo, emendativo, di sostegno) e offerta di
orientamenti per la valorizzazione delle opportunità ed il contenimento dei
rischi.
La zooantropologia è pertanto definibile come disciplina di confine, poiché
connette diversi ambiti di sapere e svela una natura ibrida che la rende
funzionale alla ricerca transdisciplinare; questa tipologia di ricerca
permette di prendere le distanze dalla separazione rigida e dicotomica
descrizione/prescrizione, poiché la ricerca scientifica (in modo particolare
gli ambiti della biologia evoluzionista, dell’etologia e della chimica
molecolare) diviene il materiale operativo basilare che guida, e,
contemporaneamente, problematizza la ricerca sulle differenti tipologie di
relazione che l’uomo intrattiene con gli animali definendone l’orientamento
prescrittivo.
La ricerca zooantropologica connette due ambiti che, nella storia del
sapere, sono stati separati: congiunge le ricerche e gli studi umanistici con
quelli di tipo scientifico; è pertanto definibile come campo di studio
pluridisciplinare dove ciascuna disciplina permette una chiave
d’interpretazione della referenzialità animale e del rapporto uomo-animale:
antropologia, semiologia, pedagogia, didattica, filosofia, etologia, psicologia,
neurobiologia…Gli aspetti connessi all’interazione tra l’uomo e l’animale
sono stati analizzati nel primo capitolo, mentre nel secondo capitolo ho
cercato di indagare il rapporto uomo-animale riprendendo il pensiero
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antropologico e filosofico, le variabili ed i fattori che condizionano questo
rapporto, i risultati emersi da una ricerca Eurispes del 1999, il ruolo che
l’animale ha nel nostro immaginario, le diverse tipologie di rapporto uomo-
animale e le sue devianze più frequenti, la pet-therapy e la reificazione degli
animali che si verifica, particolarmente, negli allevamenti intensivi e nei
laboratori di ricerca medico-scientifica.
Gli animali sono entrati, a pieno diritto, nelle preoccupazioni morali della
nostra epoca. Gli allevamenti intensivi destinati alla produzione di carne
per il consumo alimentare umano, le modalità di trasporto e macellazione
hanno sollevato perplessità non solo per la nostra salute, ma anche per il
modo in cui questi animali sono trattati; la vivisezione e la sperimentazione
attuate sugli animali di laboratorio mettono in discussione il valore della
ricerca scientifica. Molti sentono che agli animali non dobbiamo solamente
evitare le sofferenze gratuite o le crudeltà, ma dobbiamo anche qualcosa di
così sottile ed umano come il rispetto.
Generalmente però il nostro atteggiamento verso gli animali e l’interesse
per la loro sorte come una sentimentale e pericolosa mancanza di senso
della realtà, ovvero come un semplice fatto di zoofilia. “Zoofilia” è un
termine che letteralmente significa “amicizia, amore per gli animali”; il
problema etico è tuttavia molto più significativo e complesso, prescinde dal
grado di zoofilia che ciascuno di noi può avere, detto in altri termini è un
problema diverso dall’etica.
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Dal punto di vista etico, indipendentemente dal fatto che un animale possa
suscitare in noi sentimenti di simpatia, tenerezza o affetto, noi sentiamo di
avere nei suoi confronti doveri e responsabilità che, inevitabilmente,
portano al problema della giustizia, la quale prescinde completamente da
quelli che sono i nostri sentimenti.
L’attuale necessità è quella di elaborare un codice etico che sia adeguato
allo stato delle nostre conoscenze attuali derivateci dagli apporti
dell’etologia, della fisiologia, della neurofisiologia e della neurofisiologia
comparata.
Se prendiamo in considerazione gli apporti dell’etologia e quello che Konrad
Lorenz ci ha insegnato, risulta evidente come non possiamo più
considerare gli animali, secondo l’insegnamento cartesiano, come delle
macchine. Se quindi gli animali sono esseri senzienti come noi, capaci di
provare dolore, emozioni, sentimenti e di agire comportamenti sociali
complessi, tutto questo deve indurci a considerarli con un’attenzione e con
una particolare preoccupazione anche dal punto di vista morale.
Nel terzo capitolo ho affrontato la “spinosa” questione dei diritti animali ed
il rapporto tra questi ed i diritti umani.
Il primo e più frequente interrogativo che ho cercato di affrontare è inerente
alla domanda se la moralità verso gli animali dipenda da un loro valore
intrinseco o, invece, dalla sensibilità umana nei loro confronti.
Quando noi decidiamo di adottare un atteggiamento eticamente
responsabile nei confronti degli animali possiamo farlo sia perché
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riconosciamo loro un valore inerente, ovvero vediamo in loro soggetti morali
degni della nostra considerazione morale indipendentemente dal nostro
interesse e dai nostri sentimenti o dalla loro utilità, sia che facciamo
riferimento alla nostra attitudine, tipicamente umana, di cura, simpatia o
responsabilità, indipendentemente dal fatto che attribuiamo loro valore
intrinseco.
Questa seconda modalità viene applicata soprattutto dai filosofi utilitaristi,
i quali sottolineano l’importanza di rendersi conto della sofferenza degli
animali e di farsene personalmente carico; qui si apre una prospettiva
alternativa alla prima, avente a suo favore una serie di buoni argomenti,
forti anche dal punto di vista etico e filosofico.
Nel primo caso, al centro dell’attenzione viene posto il soggetto animale, nel
secondo caso il soggetto è l’uomo che si fa carico di una responsabilità nei
confronti di esseri viventi che per tanto, troppo tempo sono stati maltrattati
ed umiliati. Queste due modalità di pensiero sono entrambe sostenibili con
lo stesso vigore e la medesima forza: dipende dal nostro temperamento
filosofico scegliere l’una piuttosto che l’altra.
Uno degli errori più frequentemente compiuti nell’affrontare questa delicata
questione si lega al riconoscimento di una dignità all’animale che viene
pensata come un valore del tipo “tutto o niente”, in cui o c’è la dignità per
l’animale analoga, pari, a quella umana, oppure non c’è dignità. Possiamo
invece più correttamente pensare ad una dignità riferita agli animali e ai
loro parametri di specie e di comportamento.
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Sovente ci si chiede quale sia la natura del rapporto tra diritti umani e
diritti animali, ovvero se a questi si debba riconoscere i nostri stessi diritti.
Formulata in questi termini la domanda risulta essere priva di significato:
nessun filosofo animalista ha mai parlato di attribuire agli animali tutti i
diritti che sono prerogativa dell’essere umano. Se consideriamo il classico
esempio del diritto di voto, nessuno si è mai sognato di attribuirlo agli
animali !
Si tratta, più correttamente e realisticamente, di diritti minimali tra i quali
primeggia quello a non subire sofferenze. Taluni sostengono anche il diritto
ad una vita autonoma e protetta: tale è la posizione del vegetarianesimo e
del veganismo; il diritto a non subire danni. Come è possibile notare, questi
sono tutti diritti che nella maggior parte dei casi sono al negativo, ovvero
diritti che intendono proteggere gli animali dagli abusi peggiori che noi
esseri umani perpetriamo nei loro confronti.
D’altro canto è la storia a mostrarci come il legame tra diritti umani e
animali sia molto più forte di quello che in prima battuta potremmo
pensare: vorrei qui ricordare che si è parlato per la prima volta di diritti
animali nel 1792, esattamente ad un anno di distanza dalla prima volta in
cui si era iniziato a parlare dei diritti delle donne. Nel 1791 Mary
Wollstonecraft scrisse l’opera “I diritti delle donne”, primo manifesto
dell’emancipazione femminile. Un anno dopo, un altro filosofo pubblicò il
libello satirico “I diritti dei bruti” nel quale si sosteneva che se le donne
avevano diritti allora si sarebbe dovuto riconoscerne alcuni anche agli
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animali: secondo un diffuso stereotipo donne e animali erano accomunati
dall’essere natura ovvero esseri irrazionali, privi di anima e di dignità.
Queste considerazioni ci inducono ad una riflessione tanto profonda
quanto attuale nel nostro attuale momento storico segnato dalla paura e
dal pregiudizio nei confronti delle persone e di tutto ciò che non appartiene
al mondo occidentale. Il cammino dell’emancipazione è stato ed è un
percorso molto più complesso ed articolato di come si potrebbe, in prima
facie, ritenere ; inoltre, la minaccia della discriminazione è un aspetto con
cui quotidianamente siamo obbligati a confrontarci. Si chiamino “diversi” le
donne, si chiamino “diversi” gli appartenenti ad altre razze, si chiamino
“diversi” gli appartenenti ad altre specie…, noi saremo sempre costretti a
confrontarci con la problematica dei “diversi” e dei loro diritti.
Tornando al nostro discorso, diritti umani e animali sono coniugabili con
modalità differenziate, accomunate però da una comune radice che
consiste nella lotta contro il pregiudizio e contro la discriminazione
ereditaria.
Quali sono, in conclusione, i diritti attribuibili agli animali?
Noi dovremmo pensare all’affermazione e alla tutela sia morale, sia
giuridica di alcuni diritti, tra i quali il diritto a non subire sofferenze e
anche a non subire dei danni. Se sul diritto alla vita vi sono ostacoli molto
grandi (cfr. cap. III), in una società civile è auspicabile garantire ai suoi
soggetti più deboli, che in questo caso sono gli animali, almeno una vita
che sia degna di questo nome e, pertanto, di essere vissuta.