2
INTRODUZIONE
I risultati, dedotti dall'analisi delle carte sulla vegetazione e sull'uso del suolo, dallo studio sulle
pendenze, dalla constatazione della scarsa consistenza faunistica e dall'alta pressione antropica,
appaiono poco incoraggianti: il Vesuvio non possiede i requisiti, che secondo l'UICN dovrebbe
avere un Parco Nazionale, e solo con difficoltà avrà la possibilità di svolgere il proprio ruolo
secondo quanto è stabilito dalla legge. Il tentativo di pubblicizzare questo territorio come un luogo
di grande valenza naturalistica, sperando nell'aumento dei flussi turistici (i 2 milioni di persone che
visitano l'area archeologica di Pompei ogni anno potrebbero costituire un serbatoio di notevole
importanza), unito all'intento di frenare la speculazione edilizia ed arginare il degrado ambientale
esistente, non può giustificare una scelta che, fatte le debite considerazioni, non garantisce né la
protezione di quei rari ambienti naturali sopravvissuti al degrado, né il controllo di tutte quelle parti
di territorio sottoposto al continuo assalto della speculazione edilizia. Questo parco non potrà
certamente esistere, se si intende organizzarlo e gestirlo così come si organizzano e si gestiscono i
parchi nazionali storici italiani. Oltretutto, alla luce della recente zonizzazione provvisoria, appare
evidente quale frettolosa semplificazione sia stata operata su di un'area che comunque mostra una
varietà insospettabile di strutture ecosistemiche, ciascuna delle quali necessità di particolari norme
di gestione e diverse forme di controllo. Il parco, così come è stato concepito, rischia di
rimanere, per questo, un'astrazione pericolosa. Bisogna, invece, occuparsi di un territorio abitato
da più di mezzo milione di abitanti, con forti carenze strutturali ed un elevato livello di degrado
urbanistico ed ambientale. Bisogna affrontare il problema del rischio vulcanico ed idrogeologico a
cui è sottoposto l'intero territorio e di comprendere le implicazioni che ne discendono. Occorrerà
calarsi concretamente in un contesto complesso, cercando soluzioni adeguate a garantire,
conservazione e recupero.
La conseguente proposta di parco parte dall'individuazione dei diversi ecosistemi presenti e dal
modo in cui essi funzionano. Da ciò, si è tentato di attribuire a ciascuno di essi, sulla base delle
diverse caratteristiche e delle specifiche risorse, diverse forme e gradi di utilizzazione. Il parco
può, allora, essere inteso come un sistema di relazioni fra gli ecosistemi e gli elementi che ne fanno
parte e che risultano compatibili con le diverse funzioni previste . E' necessario, però, stabilire
anche un limite massimo nella capacità di fruizione, in modo da garantirne, nello stesso tempo, la
tutela ed il massimo apprezzamento da parte dei fruitori. Bisogna, quindi, operare su questo
territorio attraverso specifici interventi di conservazione e recupero, rivalutando enormemente le
risorse esistenti. Riteniamo che questo sia la metodologia più adatta per procedere e portare a
compimento un'impresa che a molti può apparire difficile.
3
1. PIANIFICAZIONE AMBIENTALE ED ECOLOGIA DEL
PAESAGGIO
Le prime teorie sull' evoluzione si basavano sul concetto di adattamento, inteso come un
processo dinamico, ma che manteneva l' idea di fondo di un ambiente dato una volta per tutte
cui l'organismo deve adattarsi. La moderna biologia evoluzionista, invece, incentrandosi sul
concetto di cosviluppo, pone l' accento sulle interazioni fra gli organismi e gli ambienti in cui essi
vivono: " tutti gli organismi, e specialmente gli esseri umani, rappresentano non semplicemente i
risultati, ma anche le cause dei loro ambienti".
L' ecologia è la scienza che studia tali interazioni (dal greco oikos: casa, e logos: scienza); mentre
il concetto di ecologia del paesaggio si riferisce più specificatamente allo studio del rapporto
uomo-ambiente. L' uomo, con la sua azione quotidiana, ha modificato i processi circolari della
natura (frutto di miliardi di anni di evoluzione) in processi lineari, causando notevoli stress
ambientali. Le conseguenze negative di un rapporto con l' ambiente così impostato si
ripercuotono, ovviamente sull' uomo stesso: un esempio eclatante è rappresentato dall' aumento
dei rifiuti, dall'inquinamento e, più in generale, da qualcosa che la natura non è in grado di
riequilibrare nei suoi processi e che finisce col condizionare il livello di vivibilità. Le misure usate
contro il degrado ambientale e che mirano a garantire un maggiore benessere umano, si rivelano,
in generale, poco efficaci se messe in atto in conseguenza di problemi già emersi. Per questo la
pianificazione ambientale assume un aspetto particolarmente importante e delicato ed è
necessario che sia improntata ai principi ecologici fondamentali. In questo senso un valido
contributo è fornito dall' ecologia del paesaggio: essa si basa sull' analisi dei processi dinamici
ed interattivi all' interno degli ecosistemi, nonché sulla ricerca delle interrelazioni fra i diversi
ecosistemi e degli effetti spaziotemporali di tali reciproche influenze. Il fine è quello di ricavare
indicazioni di massima e principi di riferimento per la progettazione degli ecosistemi artificiali, che
per funzionare necessitano dell'intervento umano. Ogni ecosistema nuovo o artificiale si basa su
di un ecosistema naturale preesistente; una volta compresa la struttura del sistema naturale è
possibile escogitare vari modi per espanderla, modificarla o ripianificarla, per adattarla a finalità di
carattere antropico. Più profonda è la comprensione del sistema naturale e più solidi sono i
progetti che ne derivano per il sistema antropico. Uno dei principali presupposti cui fa riferimento
la pianificazione ecologica del paesaggio è la valutazione della capacità di carico (o livello
massimo di autoregolazione) degli ecosistemi, ossia la loro capacità di sopportare azioni di
disturbo di ogni tipo (condizioni meteorologiche, malattie degli organismi, interventi antropici) e di
reagire a tali perturbazioni ripristinando di volta in volta l'equilibrio omeostatico. La stabilità di un
ecosistema (ossia la sua tendenza a rimanere vicino ad un punto di equilibrio) varia a seconda di
diverse caratteristiche ma è direttamente proporzionale al suo livello di evoluzione: gli ecosistemi
4
ai primi stadi di successione sono semplici nella struttura e nelle funzioni, caratterizzati da poche
diversità biotiche ed abiotiche, da un alto livello di entropia (energia dissipata dal sistema) e da
una forte instabilità; evolvendo, invece, gli ecosistemi diventano sempre più complessi e più
stabili.
Poiché gli ecosistemi più produttivi sono quelli più semplici (in cui i flussi di materia e di energia
sono più rapidi) l'uomo tende a semplificare il suo ambiente circostante, ma in questo modo è
costretto ad impiegare molte più risorse (con il rischio di esaurirle).
Un esempio è costituito dalle aree agricole: queste hanno notoriamente una struttura molto
semplice, ma richiedono una considerevole quantità di energia per mantenere la stabilità e quindi la
produttività. Sarebbe, invece, auspicabile pianificare un livello di complessità (e quindi di
produttività) che sia compatibile sia per gli usi antropici che per l' ambiente naturale. Tuttavia non
basta pianificare un giusto livello di complessità affinché un sistema artificiale funzioni; è altrettanto
importante che i vari componenti interagiscano fra loro. Se si fa riferimento, ad esempio, alla
vegetazione, una serie di piante prese da disparati contesti e messe indiscriminatamente insieme
non costituisce una comunità coesiva, in quanto ogni pianta si è lasciata dietro una serie di
relazioni: gli animali che sfamava e proteggeva, le altre piante che ombreggiava o da cui era
ombreggiata, il terreno che stabilizzava e da cui traeva nutrimento, ecc.
La fitosociologia (o geobotanica), che studia la diffusione spaziale delle diverse classi vegetali (e le
cause storiche ed ecologiche di tale diffusione), ha fra gli obiettivi principali quello di stabilire per
ogni ecosistema la vegetazione naturale potenziale, ossia il tipo di vegetazione più idonea e in
equilibrio con quel contesto. Analogamente, un approccio ecologico consente di interpretare le
vocazioni d'uso dei vari ecosistemi, ai fini di una corretta pianificazione ambientale. Un aiuto è
fornito, ad esempio, dai bioindicatori (animali o vegetali): in base alla loro presenza, frequente o
rarefatta, è possibile determinare il livello di evoluzione degli ecosistemi e quindi il grado di
fragilità rispetto ai diversi usi.
In sintesi, l'ecologia del paesaggio studia l'organizzazione spaziale e funzionale degli ecosistemi
(tenendo conto dei cosiddetti effetti di vicinanza e dei collegamenti trasversali) e la sua
applicazione per eccellenza è costituita dalla protezione della natura.
Per quanto riguarda la pianificazione fondata sugli aspetti finora trattati, i passi da compiere sono
ancora molti, in quanto è solo negli ultimi anni che il dibattito sulla tutela ambientale si è diffuso a
livello internazionale. Fino ad oggi l'abitudine ad applicare i criteri di valutazione puramente
economici anche a settori cui non si addicono, non ha messo in evidenza i vantaggi che
deriverebbero dalla pianificazione ecologica (infatti, a differenza dei costi, i benefici traibili da
questo tipo di politica sono difficilmente calcolabili in termini di denaro). Tuttavia i disastri
ambientali già avvenuti e l'aumentata consapevolezza dei pericoli incombenti (esaurimento delle
risorse, inquinamento, collasso degli ecosistemi), hanno messo in rilievo l'urgenza di ricorrere a
politiche ambientali lungimiranti e ad una pianificazione in grado di prevedere l'andamento
evolutivo degli ecosistemi realizzati dall'uomo. Allo stesso tempo l'esperienza ha dimostrato che
5
una tutela ambientale di tipo vincolistico non è la strategia giusta per risolvere le generali
condizioni di squilibrio ecologico; infatti i piani che, nelle aree di elevato valore naturalistico,
limitano gli insediamenti e le attività antropiche creano il cosiddetto effetto isola, che finisce con
l'innescare dei processi di congestione delle aree limitrofe, compromettendone l'integrità. La
pianificazione ecologica del paesaggio si pone, dunque, come strumento atto ad un ordinamento
spaziale più equilibrato, nel rispetto delle diverse compatibilità d'uso dei vari ecosistemi.
NOTA
Bologna G., Lombardi P., 1986, Uomo e ambiente - Manuale di idee per la conservazione
della natura, Gremese Editori, Roma, pag.38
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Allen R., 1981, Salvare il mondo, Mondadori Ed., Milano.
Berrini M., Campeol A., Felloni F., Magoni M., a cura di, 1993, Aspetti ecologici della
pianificazione del territorio, Grafo Ed., Brescia.
Bologna G., Lombardi P., 1986, Uomo ed ambiente. Manuale di idee per la conservazione
della natura, Gremese Ed., Roma.
Commoner B., 1972, Il cerchio da chiudere, Garzanti Ed., Milano.
Cullingworth J. B., Town and Country Planning in Britain, Regional Studies University of
Birmingham, Allen & Unwin LTD, London.
Di Fidio M., 1986, Dizionario di ecologia, Pirola Ed., Milano.
Finke L., 1993, Introduzione all'ecologia del paesaggio, Franco Angeli Ed., Milano.
Kilian J., Tricart J., 1985, L'ecogeografia e la pianificazione dell'ambiente naturale, Franco
Angeli Ed., Milano.
Maciocco G., 1991, La pianificazione ambientale del paesaggio, Franco Angeli, Milano.
Marsh G.P., 1988, L'uomo e la natura, Franco Angeli Ed., Milano.
Mc Harg I.L., 1989, Progettare con la natura, F.Muzio Ed.
Odum E.P, 1973, Princìpi di ecologia, Piccin Ed., Padova.
Tillman J., 1985, Design for human ecosystems, Van Nostrand Reinhold co., N.Y.
Trupiano G., "Progettazione ambientale e spazio urbano", Quaderni vesuviani, n.14, primavera
1989.
Ziparo A., 1988, Pianificazione ambientale e trasformazioni urbanistiche, Gangemi Ed.,
Reggio Calabria.
6
2. PROBLEMATICHE DEI PARCHI
2.1. LA LEGGE N.394 DEL 6/12/1991, "LEGGE QUADRO SULLE AREE
PROTETTE
La legge detta i principi fondamentali per l'istituzione e la gestione delle aree protette, per
garantire e promuovere la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del paese.
Nell'articolo 2 si legge che "tale patrimonio è costituito da formazioni fisiche, geologiche,
geomorfologiche e biologiche che hanno particolare valore naturale ed ambientale". La finalità
della 394 consiste nella "conservazione delle specie animali o vegetali, delle associazioni vegetali
e forestali, delle singolarità geologiche, delle formazioni paleontologiche, delle comunità
biologiche, dei biotopi, dei valori scenici e panoramici, dei processi naturali, degli equilibri idraulici
ed idrogeologici e degli equilibri ecologici". La novità sostanziale di questa legge sta, in
particolare, nei metodi di gestione tramite i quali s'intende realizzare l'integrazione tra l'uomo e
l'ambiente naturale, salvaguardando i valori antropologici, archeologici, storici ed architettonici, e
le attività agro-silvo-pastorali tradizionali. Oltre a ciò è necessario sottolineare l'importanza che
sta nella promozione di attività di educazione, di formazione e di ricerca scientifica e di attività
ricreative compatibili, e nella valorizzazione e sperimentazione di tutte quelle attività produttive che
risultano compatibili. Tra le attività produttive vengono indicate quelle agricole condotte con
sistemi innovativi, o con il recupero di sistemi tradizionali, che risultino adeguate a garantire la
protezione ambientale; attività connesse al recupero ed il restauro delle aree naturalistiche
degradate; attività connesse alla diffusione dell'informazione ed dell'educazione ambientale delle
popolazioni interessate.
Questa legge mostra, quindi, la volontà di superare il divario esistente tra interessi economici e
norme vincolistiche di protezione degli habitat naturali, mostrando quali siano gli usi più idonei per
ciascuno di essi.
L'articolo 6 chiarisce anche le misure di salvaguardia vigenti nelle aree protette. In esso è indicato
il divieto di esecuzione di nuove costruzioni e la trasformazione di quelle esistenti; è vietato
qualsiasi mutamento nell'utilizzazione dei terreni con destinazione diversa da quella agricola e tutto
ciò che possa incidere sulla morfologia del territorio, sugli equilibri ecologici, idraulici ed
idrogeotermici e sulle finalità istitutive dell'area protetta.
L'articolo 7 prevede, invece, tutte le misure di incentivazione per i comuni o parti di essi rientranti
nei confini del Parco, al fine di operare il restauro dei centri storici ed edifici di particolare valore
storico e culturale; il recupero dei nuclei abitati rurali; la realizzazione di opere igieniche ed
idropotabili per il risanamento dell'acqua, dell'aria e del suolo; opere di conservazione e di
restauro ambientale del territorio, comprese le attività agricole e forestali; la promozione di attività
culturali, e agriturismo, di attività sportive compatibili; la realizzazione di strutture per l'utilizzazione
7
di fonti energetiche a basso impatto ambientale ed interventi volti a favorire l'uso di energie
rinnovabili.
La tutela dei valori naturali ed ambientali è affidata all'Ente parco, che attraverso lo strumento del
Piano del Parco si occupa dell'organizzazione generale del territorio e della sua articolazione in
aree o parti caratterizzate da forme differenziate d'uso, di godimento e di tutela, di vincoli e sistemi
di accessibilità, di attrezzature e servizi per la gestione e la funzione sociale del parco, di indirizzi e
criteri per gli interventi sulla flora, sulla fauna e sull'ambiente naturale in genere.
Il piano suddivide il territorio in base ad un diverso grado di protezione attraverso:
riserve integrali, in cui l'ambiente naturale è conservato nella sua integrità; riserve generali
orientate , in cui è vietato costruire nuove opere edilizie, ampliare quelle esistenti, e realizzare
opere che trasformino il territorio. Sono consentite le utilizzazioni produttive tradizionali, la
realizzazione delle infrastrutture strettamente necessarie ed interventi di gestione delle risorse
naturali; aree di protezione , in cui possono continuare, secondo gli usi tradizionali, cioè secondo
i metodi di agricoltura biologica, le attività agro-silvo-pastorali, di pesca e di raccolta dei prodotti
naturali ed incoraggiata la produzione artigianale di qualità; aree di promozione economica e
sociale più estesamente modificate dai processi di antropizzazione, in cui sono consentite attività
compatibili con le finalità istitutive del parco e finalizzate al miglioramento della vita socio-culturale
delle collettività locali ed al miglior godimento del parco da parte dei visitatori.
Il territorio del Parco del Vesuvio risulta suddiviso, in base all'ultimo decreto ministeriale, risalente
al 4/8/1995, in due zone:
ZONA 1, di rilevante interesse naturalistico, paesaggistico e culturale con limitato od inesistente
grado di antropizzazione;
ZONA 2, di valore naturalistico, paesaggistico e culturale con maggior grado di antropizzazione.
Questa zonizzazione, pur se provvisoria, non tiene conto dell'incredibile varietà degli ecosistevi
presenti e di conseguenza della loro specifica gestione, ma cristallizza in forme del tutto anonime
ambienti che si modificano in continuazione, non solo per gli effetti antropici che comunque sono
presenti, ma soprattutto per la presenza di un vulcano ancora attivo, che forse più che in ogni
altro caso richiede una maggiore elasticità nelle forme di tutela e di gestione dell'area. Lo stesso
Gambino ritiene che le zonizzazioni, nate "per ridurre i conflitti tra utilizzazioni inconciliabili, (...)
non devono prefigurare divisioni rigide e stabili nel tempo, che non tengano conto delle dinamiche
evolutive degli ecosistemi" (1).
8
2.2. PIANIFICAZIONE ECOLOGICA DEI PARCHI
L'idea di parco continua ancora oggi a suggerire l'immagine di un luogo diverso, eccezionale,
fatto di natura incontaminata, dove è quasi completamente assente l'intervento dell'uomo.
I processi di industrializzazione, di urbanizzazione e i connessi mutamenti socio-culturali hanno
comportato la bipolarizzazione del rapporto con la natura. ''Da una parte la condizione urbano-
industriale, nella quale si vive e si lavora, dall'altra la condizione naturale nella quale
periodicamente o saltuariamente si evade o ci si rifugia (...). Tale separazione non consente né la
qualità della città, né la salvezza della natura ''(2). Soprattutto a partire dagli anni '60, l'approccio
ecologico alle problematiche ambientali, che coglie i legami e le interrelazioni tra i vari elementi
della natura e la loro organizzazione funzionale, pone in evidenza il problema fondamentale della
collocazione dell'uomo nel complesso di tutti i fenomeni vitali. La natura non è qualcosa di dato
una volta per sempre, ma ''un insieme di processi, all'interno dei quali, in misura più o meno
sensibile, l'uomo ha sempre giocato la sua parte -insieme agli altri esseri viventi- sicché è ormai
difficile isolare sulla faccia della terra qualche ecosistema che si possa dire a pieno titolo naturale
(nel senso di non antropizzato)''(3).
Il superamento di questa mentalità di puro conservazionismo, che ha rivolto l'attenzione a separare
e non a correlare le singole parti tra loro, ha consentito di ricercare nuovi comportamenti di
compatibilità ambientale. Ciò ha avuto notevoli ripercussioni sul modo di concepire un parco.
Se nelle classificazioni internazionali eme rge l'idea di parco come area sufficientemente estesa con
più ecosistemi poco o affatto alterati dall'uomo, il parco ''più che un territorio è soprattutto un
modo di comportamento verso l' ambiente''(4), un pretesto per sperimentare e ristabilire un
costante rapporto uomo-natura, posto alla base della pianificazione di tutto il territorio. Solo uno
sviluppo compatibile con gli ecosistemi naturali, secondo i principi della pianificazione ambientale
può significare progresso e qualità della vita. ''Se lo scopo dello sviluppo è di provvedere ai
bisogni sociali ed economici, lo scopo della conservazione è di assicurare la capacità della terra
nel mantenere e permettere tale sviluppo razionale e di assicurare il mantenimento di tutta la vita
''(5). Il parco, luogo di sperimentazione per eccellenza, non puo' piu' essere visto come
elemento isolato, avulso dal resto del territorio che lo circonda e lo influenza, ma come sistema
aperto, necessariamente correlato agli altri sistemi esistenti sull'area. L' esistenza di vari
ecosistemi, ciascuno dei quali ha influenza sull'altro, non può non essere tenuta in considerazione.
La tendenza, ad esempio, a risolvere fuori degli spazi urbani il problema di un rapporto più
equilibrato con la natura di fatto aggrava, nel complesso, le condizioni di squilibrio ecologico che
caratterizzano le aree antropizzate. E' possibile superare questa concezione di sistema chiuso se
nella progettazione del parco si cerca di correlare tutto l' insieme in un'organizzazione unitaria, che
rispecchi la complessa trama di relazioni fra tutte le unità biologiche e che consideri in maniera
integrata i fattori naturali e culturali. Operazione delicata è per questo motivo l'individuazione dei
confini esterni e interni del parco che, senza interrompere la continuità tra i diversi sistemi, devono
9
seguire determinate configurazioni fisiche (il corso di un fiume, la cresta di una parete rocciosa,
una pineta) e, più che lineari, sono ipotizzabili in fasce variabili dimensionalmente e soprattutto
temporalmente. Poichè la realtà naturale è estremamente dinamica, il parco si configura ''come
organismo territoriale in continuo movimento, che si espande, si contrae, si adatta e si modifica, in
pratica evolve perennemente, anche nei suoi aspetti dimensionali e normativi''(6).
Risulta chiaro che la zonizzazione funzionale francese, con l'individuazione di aree concentriche
con finalità diverse, come qualsiasi altra schematizzazione non può porsi come modello di
riferimento, perchè ogni territorio possiede peculiarità morfologiche, strutturali, ecologiche che
suggeriscono una particolare configurazione. Da qui scaturisce una visione a mosaico del parco,
cioè esso è da intendersi come insieme di interventi conformi alle vocazioni ed alle esigenze
riconosciute.
Appare evidente che le finalità dei parchi, riflettendo l'evoluzione dei tempi, sono diventate sempre
più complesse. Dalla rigida conservazione della natura, dalla fruizione sociale, prima a scopo
scientifico, poi a scopo culturale e ricreativo, dallo sviluppo locale si giunge all'attuale tendenza
che vuole compresenti diverse finalità, rispondenti alle esistenti condizioni ecosistemiche del
territorio.
Un ruolo fondamentale assume, inoltre, la pianificazione del parco da definirsi in modo coordinato
con la pianificazione del territorio di cui il parco è parte. Diventa indispensabile un'azione
pianificatrice dell'area che valuti i problemi della conservazione nell'ambito di una più vasta
considerazione dei problemi territoriali. La pianificazione di un parco si identifica dunque con la
pianificazione economica, sociale ed urbanistica dell'area medesima configurandosi il parco come
mezzo e fine della pianificazione. Esso diviene ''strumento di sviluppo umano e di promozione
sociale nei confronti delle comunità depresse o marginali, e di controllo o di correzione per quelle
già sviluppate o godenti di una certa qualità della vita''(7).
Qualunque pianificazione risulterà fallimentare se questa nuova concezione del parco non verrà
assimilata e promossa dalle popolazioni che vivono sul territorio. Informazione ed educazione
sono indispensabili al maturare della consapevolezza di essere parte attiva di un determinato
ecosistema, retto da leggi biologiche ed economiche.
Ad un tale rinnovamento di contenuti ha corrisposto una revisione del metodo di analisi e di
progetto, che non vede più distinti e autonomi i due momenti. Più che fornire montagne di dati,
analisi, studi e ricerche hanno l'obiettivo di evidenziare tutti quei processi, quei meccanismi
evolutivi, quei modelli di comportamento che consentono di vedere l'area-parco nelle sue
dinamiche e di operare delle scelte avendo un quadro completo dei fabbisogni e delle risorse. Si
propone cosi' un metodo che sviluppi una politica dell' ambiente rispettosa della natura e
dell'uomo che di essa fa parte.
Alla luce di tali considerazioni il parco Vesuvio si prospetta come un parco-laboratorio, ''un
parco, cioè, nel quale si possono sperimentare modalità e obiettivi nuovi di realizzazione e di
gestione''(8).
10
2.3. IL PARCO DEL VESUVIO: PROBLEMATCHE
Uno dei problemi più inquietanti che ci troviamo ad analizzare è dato dal carattere e dall'intensità
dell'insediamento abitativo del territorio vesuviano. Il Parco del Vesuvio, così come è stato
concepito ed istituito, comprende 12 Comuni, dove, è noto, come lo sviluppo urbanistico è
apparso, in questi ultimi decenni, inarrestabile.
Al di là dei problemi che l'Ente Parco avrà nel gestire un territorio sottoposto ad una tale
pressione antropica, bisogna prima di tutto tener presente l'alto rischio vulcanico che incombe
sugli abitanti. Il rischio vulcanico è direttamente proporzionale all'intensità dell'evento ed ai danni
arrecati.
Facendo l'ipotesi che possa ripetersi un evento simile a quello che si è verificato nel 1631
(eruzione pliniana), durante il quale perirono, allora, 4000 persone (il 25% degli abitanti), quali
conseguenze dovremmo aspettarci oggi, considerando anche l'insufficienza strutturale della rete
viaria?
La realizzazione di nuove e più grandi arterie, così come è stato proposto da "qualcuno", non
produrrebbe più efficaci vie di fuga, ma poli di attrazione per un ulterire sviluppo edilizio (forse è
questo lo scopo che si intendeva raggiungere!). Fin dai tempi più remoti l'uomo ha cercato di
conquistare ed utilizzare le fertili pendici del vulcano a scopo agricolo. Si dice che i contadini
salissero sempre più in alto per cercare le condizioni più adatte alla coltivazione di vigneti e
frutteti. La forte pressione antropica ha, ovviamente, ridotto in questi ultimi tempi l'estensione dei
suoli agricoli, parte dei quali è stata trasformata in nuovi nuclei residenziali e parte addirittura
abbandonati. Oltre a ciò, la forte richiesta sul mercato dei prodotti coltivati ha avuto come
conseguenza la trasformazione delle tecniche agricole tradizionali, attraverso la meccanizzazione,
l'utilizzazione dei concimi chimici e pesticidi, e la conversione a colture agricole specializzate, che
concorrono a diminuire progressivamente la capacità rigenerativa dei suoli.
Le norme del Piano del Parco potrebbero garantire uno sviluppo più equilibrato dell'attività
agricola, apportando eventualmente un calo della produzione, ma accrescendone notevolmente la
qualità, potendo divenire molto ricercata sul mercato da un pubblico che sempre di più chiede
prodotti naturali. Di sicuro il danno più visibile che subisce il paesaggio è dovuto alle numerose
cave e discariche aperte legalmente o illegalmente su tutto il territorio. Oltre al notevole degrado
ambientale che si registra, la presenza di discariche non controllate (ma anche quelle legalmente
gestite), potrebbero essere e sicuramente sono un pericolo per la salute pubblica. Essendo il
suolo particolarmente permeabile le sostanze inquinanti potrebbero penetrare, attraverso fratture,
nel terreno e finire nella falda acquifera sotterranea, oltre a danneggiare gravemente il suolo
stesso. Le conseguenze appaiono, quindi, molto inquietanti. Il controllo e la gestione di queste
aree devono risultare priorità alle quali i Comuni non possono più sottrarsi.
Oltre al rischio vulcanico il territorio ed i suoi abitanti devono fare anche i conti con il rischio
idrogeologico. Il complesso vulcanico Somma-Vesuvio è solcato da numerosi alvei che scorrono
11
a raggiera lungo le pendici del monte. In qesti alvei s'incanalavano le acque delle precipitazioni che
portavano con sè anche enormi quantità di detriti vulcanici che spesso causavano allagamenti dei
campi agricoli e dei centri abitati. La cementificazione di detti alvei, per la realizzazione di nuove
strade ha, di conseguenza, limitato la capacità di ridurre la quantità di acqua, che veniva assorbita
in parte dal terreno e la velocità con la quale essa scorre a valle. D'altra parte il sistema di
condutture fognarie, in occasione di forti precipitazioni, non è in grado di accogliere questo
enorme volume di acque, che, fuoriuscendo dai tombini, allaga le strade. Ciò rappresenta un
imprevisto ed un grosso pericolo per l'incolumità pubblica. Incendi e terrazzamenti agricoli hanno
ridotto la superficie boschiva delle pendici del vulcano. In particolare sul Somma il bosco è
utizzato a ceduo, comportando il degrado del sottobosco che svolge un ruolo molto importante
nell'attenuazione dell'erosione idrica superficiale e nell'assorbimento di parte delle acque piovane.
E' importante procedere alla rinaturalizzazione degli alvei per garantire il deflusso naturale delle
acque, in modo che "siano ripristinati e regolati a monte" ed in corrispondenza dei centri abitati
"siano ricoperti, senza però diminuire la sezione (copertura spalla a spalla)" (9).
NOTE
(1) Gambino R., 1992, I parchi naturali, Nis, Roma, pag. 65.
(2) ibidem, pag.13
(3) Melandri E., 1987, Parchi e Riserve naturali, Maggioli Ed., Rimini, pag.122.
(4) Giacomini V., Romani V., 1982, Uomini e Parchi, Franco Angeli Ed., Milano,
pag.89
(5) Documento redatto dall'UICN nel 1980, riportato su Giacomini V., Romani V., op.cit.,
pag.45.
(6) Giacomini V., Romani V., op.cit., pag.125
(7) Melandri E., op.cit., pag.126
(8) Leone U., ''Il parco del Vesuvio: tra vecchio e nuovo'', Quaderni Vesuviani nov.1992,
pag.4
(9) Russo F., "Il rischio geologico dell'erosione accelerata sul Monte Somma",
Summana, n. 29, pag. 21.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Cillo B., 1988, Analisi e Progettazione ambientale: tre proposte, Clean, Napoli.
Fabbri P., 1986, Il paesaggio come categoria quantificabile, CELID, Torino
Gambino R., 1994, I Parchi Europei, NIS, Roma.
Graziani, 1981, Parchi nazionali e Regioni, Atti del Convegno, Monteverde Ed., Roma
Melandri E., 1987, I parchi e riserve naturali, Maggioli, Rimini.
Progetto Pollino, Proposte per un Parco naturale, Materiali per il Piano territoriale di
coordinamento, Dip. Att. Produtt. della Regione Basilicata, 1981
12
3. ANALISI DEI CARATTERI NATURALI DEL TERRITORIO
3.1. ASPETTI GEOMORFOLOGICI DEL COMPLESSO VULCANICO
SOMMA-VESUVIO
Il territorio dominato dal vulcano Somma-Vesuvio è caratterizzato da periodiche e rapide
modificazioni dei suoi aspetti geomorfologici, dovute pincipalmente alla intensa e frequente attività
eruttiva del complesso montuoso. "Esso è uno dei pochi vulcani a recinto della Terra, (...)
costituito dalla residua cerchia craterica del Somma, che ha un diametro di circa 4 km e dal più
recente cono del Vesuvio" che s'innalza per 1281 mt. s.l.m.. Il Gran Cono risulta costituito
prevalentemente da prodotti piroclastici sciolti (sabbie, pomici e lapilli) ed è caratterizzato da
processi pedogenetici relativamente giovani; mentre il versante settentrionale è caratterizzato da
una pedogenesi molto più antica.
I due sistemi risultano separati da una "valle semicircolare a doppio displuvio, detta Atrio del
Gigante (circa 5 km), la quale prende il nome di Atrio del Cavallo ad ovest e di Valle dell'
Inferno ad est. Sul versante rivolto a mare, invece, la zona di contatto tra i due monti sovrapposti
consta di pianori ondulati e fortemente incisi dall'erosione torrentizia, giacenti tra 500 e 400 mt. di
altitudine (...). Durante i periodi di attività esplosiva ed effusiva, l'Atrio è quasi sempre invaso da
ingenti quantità di lava, per cui il suo fondo è sottoposto ad un lento innalzamento. In esso, le
eruzioni del 1891-93 e del 1895-98 hanno costituito addirittura due colline cupoliformi,
rispettivamente il Colle Margherita ed il Colle Umberto" (1).
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A causa della diversa permeabilità dei vari strati geologici la circolazione idrica sotterranea
avviene per falde sovrapposte a volte connesse attraverso il flusso di drenanza. Le direzioni di
flusso hanno un andamento radiale. Questi flussi nell'arco dei vari secoli hanno scavato nella
roccia delle incisioni idrografiche note comunemente col nome di Valloni che solcano le pendici
della montagna versando le acque nella pianura cirostante. La struttura geomorfologica di questo
territorio tende a modificarsi di volta in volta, a seguito delle varie eruzioni vulcaniche. Ciò spiega
ancora meglio quel carattere di unicità che intendiamo attribuire all'area in esame.