1
Premessa
Prima di introdurre l‘argomento della tesi, desidero sottolineare
che la scelta di occuparmi della comunità Nomadelfia è stata dettata da
un interesse e una curiosità personale. Avevo sentito parlare di questa
comunità già da tempo, ho avuto la possibilità di assistere ad alcuni
spettacoli e l‘occasione di conoscere, grazie ad amici, alcune persone
che avevano vissuto nella comunità. Nutrivo, quindi, il desiderio di
conoscerla meglio perchè rappresenta un ―mondo‖ apparentemente
molto diverso dal mio.
A parte questa curiosità personale, sono del parere che l‘analisi
sociologico- giuridica di una comunità sia di per sé un tema
interessante, che può riservare delle ―sorprese‖.
La tesi di laurea è stata l‘occasione per affrontare, in modo
sistematico ed il più obiettivo possibile questo tipo di analisi.
La mia ricerca non ha alcuna pretesa di avere valore scientifico,
tuttavia, ho cercato di seguire una metodologia che conducesse alla
verifica di un‘ipotesi iniziale nello sforzo di non limitarmi alla
descrizione di una realtà socio-giuridica.
Desidero esprimere la mia gratitudine al prof. Alessandro
d‘Avack , che ha accolto con favore l‘idea della tesi e mi ha seguito
2
sempre con la massima attenzione e disponibilità; ringrazio la
comunità di Nomadelfia che mi ha ospitato ed ha messo a mia
disposizione tutto il materiale di archivio. Non può mancare un
ringraziamento speciale alla dottoressa Lucilla Vago, l‘―angelo
custode‖ che Dio ha voluto donarmi in quest‘ultima prova
universitaria.
Vorrei, infine, dedicare questo lavoro a tutti coloro (troppi per
ricordarli tutti per nome!), i quali mi sono stati vicini con il loro
affetto, incoraggiamento e preghiere in questi lunghi anni di studio.
3
Introduzione
Il comportamento dell‘uomo si sviluppa e si struttura
soprattutto attraverso i contatti di relazione con le altre persone che
fanno parte del suo ambiente.
Il processo di socializzazione inizia sin dalla primissima
infanzia, praticamente dopo la nascita, e progredisce durante
l‘adolescenza tramite complessi processi di apprendimento i quali
conducono l‘individuo ad assumere quei modelli di comportamento,
che sono in gran parte simili a quelli degli altri individui e che formano
il suo gruppo di appartenenza.
Il primo elementare gruppo nel quale l‘individuo bambino
socializza è la famiglia: dai primi legami con la madre e dalla
socializzazione all‘interno del nucleo familiare il soggetto passa,
tramite lo sviluppo dei rapporti interpersonali ad una maturazione del
comportamento all‘interno del contesto socioculturale della più
generale società
1
.
Dunque, vocazione naturale dell‘essere umano sembra da
sempre quella di cercare il proprio simile, condividerne le sorti, creare
1
R. CANESTRARI, Psicologia generale e dello sviluppo, CLUEB, Bologna 1986, pp. 551-
552.
4
con lui una comunità, anche piccola o piccolissima, nella quale
comunque riconoscersi ed essere, da essa, riconosciuto.
Già Aristotele definiva l‘uomo come un ―animale per natura socievole», la
cui personalità non può realizzarsi appieno al di fuori dei rapporti con i suoi
simili, «chi non è capace di vivere in società, o chi non ne ha bisogno, è una belva o
un dio»
2
.
L‘uomo, generalmente, pare realizzarsi nel ―gruppo‖, dal quale
riceve la protezione e la gratificazione derivante dal senso di
appartenenza. I gruppi o le comunità, come afferma anche Bauman
hanno ―due compiti da assolvere per affrontare di petto le patologie della moderna
società atomizzata su un campo di battaglia realmente significativo sono la parità
di risorse necessarie a trasformare la condizione di individui de iure nelle
prerogative godute agli individui de facto, e l‘assicurazione collettiva contro le
sventure e disgrazie individuali. Questi due propositi sostanziavano le virtù
dell‘originaria comunità, per quanti altri demeriti essa potesse avere‖
3
. Un
gruppo può essere definito come un ―insieme formato da due o più persone
che interagiscono tra loro e che dividono delle mete e delle norme comuni che stanno
a capo delle loro attività, sviluppando una rete di ruoli e di relazioni affettive‖
4
.
Altre definizioni diverse si possono ritrovare nella letteratura
concernente la psicologia sociale, ma la maggioranza di esse contiene,
2
ARISTOTELE, Politica, Laterza, Bari 1993.
3
Z. BAUMAN, Voglia di comunità, Laterza, Bari 2001, prefazione p. IX-X.
4
HARRÈ, LAMB, - MECACCI, Dizionario Enciclopedico di Psicologia, Laterza, Bari 1998
5
comunque, come elemento chiave, l‘interazione sociale e l‘influenza
reciproca tra i membri del gruppo.
Ognuno di noi avrà senz‘altro esperienza di diversi tipi di
gruppo, come la coppia, la famiglia, le squadre di giuoco, le classi
scolastiche, i club sociali e di altri ancora che presentano una maggiore
varietà di compiti di produzione, decisionali e di risoluzione dei
problemi, come i gruppi di lavoro, equipaggi, comitati.
Stime approssimative indicano che un individuo medio,
nell‘odierna società occidentale, appartiene contemporaneamente a
circa cinque o sei gruppi diversi e che più del 90% di tutti i gruppi
esistenti sono formati in media da cinque membri o meno. Gruppi di
questa grandezza con compiti cognitivi, quali quelli decisionali o di
risoluzione dei problemi, sono stati studiati con attenzione da una
branca della psicologia sociale sotto la denominazione di ―dinamica di
gruppo‖
5
o di ―ricerche su piccoli gruppi‖
6
.
Esistono alcune motivazioni elementari di carattere sociale le
quali, pur non essendo della stessa intensità e rilevanza in tutti i
soggetti e non avendo il carattere di comportamenti innati,
costituiscono delle spinte elementari del processo di socializzazione.
5
CARTWNGHT-ZENDER, Group dynamics: Research and theory, Tavistock, London —
Harper &Row, New York 1968.
6
A. P. HARE, Handbook of small group research, McMillian, London — Free Press,
New York, New York 1976.
6
Esse sono la motivazione all‘approvazione, la motivazione affiliativa
(in sostanza il bisogno di ricercare persone ―amiche‖), la motivazione
al successo, la motivazione inerente il compito intrapreso (cioè la
spinta a completare un‘attività).
Una forte componente, questa volta ―innata‖, che spinge
l‘uomo a aggregarsi con i suoi simili, la possiamo inquadrare in una
problematica esistenziale di identificazione, quasi che nell‘osservazione
speculare di un essere fatto a propria somiglianza, si possa
comprendere meglio la propria natura, acquisire quella facoltà di
completa (auto)osservazione negata al singolo dalla Natura.
Questo è senza dubbio un merito della psicologia sociale, l‘aver
posto l‘accento sul vantaggio che l‘individuo può trarre dall‘analisi del
comportamento altrui: la possibilità di osservare in qualche modo, dal
di fuori, se stesso.
Nell‘originaria spinta associativa degli individui si trova spesso
uno scopo, condiviso da più persone: esse, per raggiungerlo, sono
disposte ad assoggettarsi ad un vincolo organizzativo. Basta un
interesse comune, di qualunque natura, per far nascere un incontro di
consensi che è premessa alla formazione di un gruppo. Tale vincolo è
quello stesso che oggi è connaturale alle associazioni come noi,
solitamente, le intendiamo.
7
Una delle motivazioni della tendenza dell‘uomo ad aggregarsi va
ricercata non soltanto nel desiderio di condividere con altri le proprie
aspirazioni o nella gratificazione che nasce dal sentire comune, ma
anche nella volontà di proiettare un ―valore‖, scelto e riconosciuto
tale, al di là dell‘esperienza dell‘orbita individuale, e renderlo così più
durevole. Al riguardo, Leone Tolstoj scriveva ―noi moriamo soltanto
quando non riusciamo a mettere radici in altri‖.
In altri termini liberare dai vincoli della soggettività
un‘aspirazione perché si è trovata una forza attrattiva che la
―oggettivizza‖, legarla ad analoghe pulsioni, creare così un organismo
con vita e caratteri propri distinto dai soggetti che lo alimentano, è
opera di perpetuazione nella quale l‘uomo gratifica il suo desiderio
d‘immortalità.
Dove si ferma il potere dell‘individuo avanza al suo posto
l‘aggregazione umana consensuale, idea esteriorizzata dotata di forma
e di forza necessaria ad imporsi come entità reale.
Il diritto di associazione è stato spesso visto come diritto
naturale, non in quanto precede la costituzione dello stato sociale, ma
perché è un diritto conforme alla natura dell‘uomo, alla stessa stregua
di proprietà, famiglia, religione. In tutti questi ambiti si sviluppano
rapporti che assumono rilevanza giuridica per il fatto stesso che
8
rappresentano valori dell‘individuo, a prescindere dalla sua qualità di
cittadino. La spinta a raccogliersi in gruppi omogenei per la gestione di
interessi comuni è una qualità umana parimenti innata e degna di
rilievo, che risponde a varie necessità tra cui prevale, nell‘ottica
giuridica, quella di creare un soggetto collettivo dotato di forza
superindividuale, che è la risultante degli apporti dei singoli associati.
L‘associazione, come portatrice di coscienza propria, occupa di
fatto uno spazio, piccolo o grande che sia, lasciato vuoto dalle
istituzioni per indifferenza o per impossibilità oggettiva di capire e
tutelare tutti i bisogni dei cittadini.
Come abbiamo quindi visto, l‘associazionismo ha sicuramente
un ruolo predominante nella vita di ogni uomo e, nel caso specifico
che andremo ad analizzare, di ogni fedele. Sono infatti migliaia le
associazioni (pubbliche o private, riconosciute o meno) che gravitano
intorno al mondo del fedele cattolico e delle quali spesso è parte
integrante.
Con il nuovo Codex Juris Canonici
7
per la prima volta si è
formulato e formalizzato uno statuto giuridico dei fedeli e, tra i doveri
e i diritti di tutti i fedeli, è stato enunciato con il can. 215 anche il
diritto di associarsi: ―I fedeli hanno la facoltà di fondare e dirigere liberamente
7
D‘ora in poi verrà citato con l‘abbreviazione CJC.
9
associazioni per fini di carità e di religione, o per promuovere la vocazione cristiana
nel mondo, e di avere riunioni per raggiungere insieme gli stessi fini‖.
Il can. 215 si colloca nel Libro II De Populo Dei, nella parte
prima, che tratta dei Christifideles, nell‘ambito dello statuto giuridico dei
fedeli, di cui parla il principio sesto fra quelli che devono dirigere la
revisione del codice. Tale principio viene normalmente qualificato
come uno dei diritti fondamentali dei fedeli nella Chiesa. Esso viene
enunciato nella prima parte del Libro II, che precisa gli stati di vita dei
fedeli nella chiesa nella prospettiva individuale (fedeli in genere, laici e
chierici, consacrati mediante la professione dei consigli evangelici, can.
207) e viene ripreso sotto il titolo V (cann. 298-329) nella prospettiva
associativa, in cui si danno le leggi precisamente circa le ―Associazioni
dei fedeli‖. Tale titolo si articola di fatto in quattro capitoli: abbiamo
innanzitutto le ―norme comuni‖ a tutte le associazioni, quindi quelle
che riguardano le ―associazioni pubbliche‖ dei fedeli, poi quelle
―private‖, ed infine alcune norme ―speciali‖ sulle associazioni dei laici.
È evidente che un‘esatta comprensione del can. 215 è possibile
soltanto all‘interno del quadro generale della legislazione sulle
associazioni, con la quale il legislatore stesso ha dato applicazione al
principio generale enunciato nel can. 215, anche se non si può
confondere il diritto di associazione con il diritto delle associazioni.
10
Nella presente trattazione il tema scelto si articolerà attraverso
tre passaggi:
a) un‘analisi sul diritto dei fedeli di associarsi e sulla
normativa che lo regola ove, in modo sintetico, si tenterà di fare
il punto sulla nuova normativa prodotta dal codice del 1983,
cercando di fare una riflessione su alcuni aspetti di maggiore
rilevanza e sulle linee di pensiero più significative;
b) un approfondimento su ―Nomadelfia‖, forse la più
particolare e discussa tra le associazioni di fedeli ma certamente
quella in cui i canoni evangelici si riscontrano in maniera più
pregnante;
c) alcune considerazioni su quelle che sono le nuove forme
associative di vita consacrata nella Chiesa di oggi.
Tuttavia tali riflessioni non hanno certo la pretesa di essere esaustive,
in quanto al mondo esistono migliaia di associazioni, più o meno
riconosciute e ciascuna con caratteristiche peculiari, che ancora
sfuggono a numeri precisi.
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Capitolo I - IL DIRITTO DEI FEDELI DI ASSOCIARSI E
LA NORMATIVA CHE LO REGOLA.
QUESTIONI PARTICOLARI
1.1 - Approfondimento del diritto di associarsi
1.2 - La qualificazione del diritto di associarsi
1.3 - Il fondamento del diritto di associarsi
1.4 - Autonomia e dipendenza gerarchica
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1.1 Approfondimento del diritto di associarsi
Molti illustri autori affermano che il discorso non va impostato
tanto sulle associazioni ma sul diritto di associazione, ossia in una
prospettiva antropologica. Lo Castro scrive: ―Il diritto di associazione e di
riunione, come tutti i diritti della persona (compresa la persona ―fedele‖), attiene
infatti in primo luogo ad un‘esigenza di questa, ne esprime profili caratterizzanti,
e, per tale aspetto (ma solo per tale), si può anche affermare che nella persona è
immediatamente fondato, essendolo radicalmente in Dio‖
8
. E precisa: ―I diritti
sono concepibili solo in una dimensione relazionale; anzi pongono essi stessi il
soggetto in una dimensione interrelazionale; sono fonti del rapporto giuridico ed
interessano, perciò, la dimensione sociale, che trascende quella individuale. In breve:
i diritti esistono e possono essere esercitati soltanto in una dimensione sociale, e
dunque la società, da essi toccata, ha interesse a regolarli.‖
9
. Ma una cosa è
affermare il diritto di regolamentazione del diritto di associazione e
altro affermarne il valore pubblicistico. Questo è chiaro negli
ordinamenti giuridici secolari moderni: ―I fenomeni associativi sono legati al
diritto di associazione, dipendono dall‘esercizio di questo, quanto al loro sorgere e
al loro evolversi. Ciò significa che il fenomeno associativo è guardato in una
8
G. LO CASTRO IN L NAVARRO, Diritto di associazione e associazione di fedeli, Ed.
Giuffrè, Milano 1991, prefazione, p. IX.
9
Ivi, pag. X
13
prevalente od esclusiva ottica privatistica‖
10
. Tale affermazione di Lo Castro,
risulta però opinabile dal momento che anche gli Stati ―costituiscono
associazioni (spesso denominate opere nazionali) che hanno caratteri ed
organizzazioni in tutto analoghi a quelli delle associazioni private, ma che vengono
qualificate come enti pubblici forse perché lo Stato ritiene che esse svolgano compiti
che gli organi pubblici dovrebbero assolvere (si tratta di associazioni che tutelano
particolari categorie — es. ex combattenti, ufficiali in congedo, famiglie dei caduti,
non vedenti - oppure che perseguono scopi culturali -, ad esempio forse
l‘Associazione dei Lincei; ma di regola le istituzioni culturali sono disciplinate
come fondazioni o associazioni private)‖
11
. Nell‘ordinamento canonico,
invece, abbiamo qualche cosa di anomalo, in quanto, mentre riconosce
il diritto di fondare le associazioni, distingue poi queste in pubbliche e
in private. Le prime agiscono nomine Ecclesiae. Di fatto il fenomeno
associativo per molti secoli e sicuramente in epoca moderna, fino ai
nostri giorni, ha visto protagonista indiscusso l‘autorità ecclesiastica; in
altri termini, è stato vissuto in una dimensione quasi esclusivamente
pubblicistica. Il diritto di associarsi o perché non era formulato
expressis verbis, o per altre ragioni che qui non interessa vagliare, risulta
che nel suo esercizio fosse di fatto assai limitato. Molti fenomeni
associativi laicali avevano origine in un impulso dell‘autorità
10
Ivi, pag. X
11
P. BARILE, Istituzioni di Diritto Pubblico, VI ed., Cedam, Padova 1991, p. 573.