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Un ordine disordinato
verso una società rinnovata
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INTRODUZIONE.
La realtà quotidiana entro la quale siamo immersi è il risultato dell’azione dei flussi culturali che la
attraversano, che sono a loro volta influenzati dall’assetto sociale entro il quale si esprimono, creando
un vitale circolo di reciproco e incessante condizionamento.
Le diverse epoche sono caratterizzate da tratti culturali peculiari, che si esprimono nelle istituzioni,
nell’organizzazione sociale, nell’ordinamento politico, nell’assetto economico, ma al contempo anche
nelle minuzie dell’esperienza quotidiana, negli interessi di secondo ordine, nell’anodino, negli
apparentemente insignificanti rituali di ogni giorno che costituiscono però un ingrediente
indispensabile per conservare l’equilibrio, e la buona salute dell’ordine sociale. In ciò che è di scarso
rilievo, considerato scontato ed abituale si trovano le radici del senso che proiettiamo sul nostro e
sull’altrui vissuto.
La vivacità culturale e la ricchezza di stimoli e di punti di vista della realtà contemporanea segnano un
netto confine con gli assetti sociali più tradizionali, generando un terreno culturale variegato, ma al
contempo segnato dall’eccesso di proposte e di interpretazioni dal carattere il più delle volte
frammentario, superficiale, conflittuale, di breve, o brevissimo termine, fonte di smarrimento, che
rende complicato orientarsi, e pianificare in modo consapevole la propria azione, e riuscire ad
imbastire progetti in una prospettiva lungimirante, frutto di una riflessione personale e critica delle
variabili coinvolte, e del contesto entro il quale si situano.
Il comportamento diviene in tal modo il risultato di forze eterodirette, difficili da governare, ma persino
da identificare, alle quali si aderisce acriticamente, in maniera conformistica.
Un tratto tipico del pensiero contemporaneo, che costituisce un minimo comune denominatore di
numerose proposte che costellano la nostra sfera culturale, si esprime nel dominio pressoché
incontrastato delle logiche strumentali, performative e razionali tipiche del mercato. Discostarsi da
questo modello, o quanto meno non rispondere prontamente alle sue richieste, significa scontare un
radicale senso di inadeguatezza, quando non di fallimento, che l’individuo è costretto ad affrontare in
solitudine, trovandosi in un ambiente sociale frammentato, abitato da soggetti reciprocamente
sospettosi, che hanno interiorizzato le logiche individualiste, ed egoistiche propinate del modello
utilitarista dell’homo oeconomicus.
La moltiplicazione delle sfere esistenziali che di continuo attraversiamo nel quotidiano presenta una
complessità, e un’organizzazione in numerosi sottouniversi che la rendono unica nella storia
dell’uomo. Ne sono esempi l’ambito lavorativo, familiare, genitoriale, dello svago, del volontariato,
dell’impegno sociale, della partecipazione politica, e via dicendo.
Se la maggior parte di queste realtà ripercorrono le logiche culturali dominanti, alcune si differenziano
grazie a delle proposte alternative, quando non opposte, divenendo una potenziale fonte di critica dello
status quo, e al contempo uno stimolo per riflettere sui nodi problematici del mondo attuale, sui quali
vengono avanzate possibili soluzioni, e proposti differenti assetti socioculturali.
Si tratta di spazi che, riprendendo la definizione dell’antropologo Victor Turner, in questo lavoro in
parte estesa e ulteriormente elaborata, chiamiamo liminoidi (Turner, 2005). Molti si situano in ambiti
di scarsa importanza, come nel caso delle offerte ludiche, e ai margini delle principali istituzioni, come
avviene per i centri di ricerca, i circoli culturali, le associazioni, i comitati, le manifestazioni pubbliche,
i dibattiti su temi di vario genere, e gli organismi che promuovono e diffondono espressioni artistiche
e letterarie. Altre volte rivestono un ruolo più visibile e centrale, è il caso delle scuole, delle università,
e degli istituti formativi, infine sono rinvenibili negli interstizi delle istituzioni che in larga misura si
rifanno alle logiche culturali codificate, come ad esempio le forme cooperative, associative e solidali
nell’ambito lavorativo. Tra le realtà liminoidi rientrano i locali da ballo di latinoamericano,
collocandosi nell’area dello svago e del divertimento, sui quali si concentra questa ricerca, che prende
in esame in particolare il territorio milanese e le sue vicinanze.
L’osservazione e la partecipazione alle serate, ed agli eventi da questi promossi, ci ha consentito di
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cogliere l’esistenza di due principali tipologie di locali, in relazione ai diversi stili culturali che li
caratterizzano: comunitario e societario. Il primo si rifà ad uno stile incentrato su valori espressivi che
regolano le interazioni tra le persone, rendendole dirette, calde, emozionalmente ricche, autentiche.
Tale cultura si caratterizza inoltre per una sostanziale apertura nei riguardi di chi è portavoce di
proposte culturali alternative, e di stili innovativi, senza però rinunciare agli elementi di fondo sui quali
poggia. In tal senso possiamo parlare di un vero e proprio dinamismo culturale, che si esprime in
innovazioni, ed integrazioni di grandezza e intensità variabili.
Al capo opposto la subcultura societaria tende sostanzialmente a ripercorrere i tratti oggi dominanti,
con relazioni dal carattere in prevalenza strumentale, nelle quali prevale un atteggiamento di
marginalizzazione nei riguardi di chi non rispetta i rigidi canoni estetici e performativi consolidati.
Un’accentuata resistenza al cambiamento completa il sintetico quadro introduttivo qui tratteggiato, che
nel corso del testo sarà esaminato in dettaglio, a partire dal secondo capitolo.
Il termine comunità è oggetto di una lunga riflessione in sociologia, che vede nell’opera di Ferdinand
Tonnies del 1887 “Comunità e società”, uno degli autori più significativi al riguardo (Tonnies, 1963).
Questo lemma è stato spesso utilizzato sia nella sociologia classica, sia in quella contemporanea,
rendendo il suo uso problematico per i molteplici significati che incorpora e richiama. Si è tuttavia
deciso di riproporlo, proprio in ragione del valore esplicativo che racchiude, offrendone
un’interpretazione il più possibile adeguata alla contingenza storica particolare nella quale viviamo.
L’evoluzione delle condizioni istituzionali, economiche, sociali e culturali richiede una rilettura di
questo concetto, che se inserito nell’attuale ambito sociale assume un significato peculiare, che in parte
lo differenzia da altre formulazioni. I continui e rapidi mutamenti di questa epoca pongono quanto
resta delle comunità, che nelle società tradizionali costituivano la forma tipica di aggregazione umana,
di fronte a nuove sfide, e possibilità. Le comunità di oggi debbono essere interpretate nella relazione
che intrattengono con il particolare assetto sociale nel quale ci troviamo.
A questo riguardo nel primo capitolo si tratteggia un quadro delle principali caratteristiche culturali
delle società contemporanee, che costituisce uno sfondo essenziale per potere interpretare
adeguatamente il resto del lavoro.
Nel terzo capitolo ci si addentra invece in profondità nelle dinamiche sociali e negli assetti culturali
che governano le realtà dei locali da ballo di latinoamericano, partendo anzitutto dalle valutazioni e
considerazioni, nonché dalle critiche, e dalle problematiche poste dai clienti, e dal personale, cioè da
chi vive abitualmente queste realtà, riproducendone le caratteristiche.
Ci è stato possibile mettere alla prova la bontà del modello culturale comunitario, e la sua utilità, sia
sul benessere individuale, sia soprattutto nel costituire e mantenere un solido e armonioso corpo sociale
(e la speculare ridotta utilità, o persino per certi versi un’azione contraria di quello societario), grazie
allo studio del fenomeno della marginalità nei locali da ballo, e all’analisi del particolare tipo di prassi
comunicativa che li caratterizza, e che vede in Jungen Habermas l’artefice della teoria dell’agire
comunicativo dalla quale siamo partiti per analizzare questo secondo aspetto (Habermas, 1986).
La cultura comunitaria può essere identificata come il luogo dell’autenticità nelle relazioni con gli altri
e con sé, in cui lo sguardo è ripulito dalle pretese performative, e dall’aspettativa di alti livelli estetici.
Si spinge oltre l’apparenza, prestando attenzione agli elementi sostanziali delle espressioni culturali di
cui gli individui sono loro malgrado interpreti e portavoce. E’ anche il luogo nel quale la riflessività
allenata al confronto dialogico e arricchente può dispiegarsi con facilità.
La relazione tra i locali dallo stile comunitario e societario, resa possibile dalla contemporanea
frequentazione da parte dei clienti di diverse realtà, e dai mutamenti nel gusto, di cui parleremo nel
terzo capitolo, ci ha consentito di assistere ad un interessante fenomeno di contaminazione culturale
da un contesto prevalentemente comunitario ad uno societario, a vantaggio delle dinamiche di
relazione, e delle logiche rituali di matrice espressiva. Questo particolare, quanto inatteso evento ci ha
anzitutto offerto un’utile conferma che è possibile, ove ricorrano alcune condizione, un
ammorbidimento dei tratti culturali societari, mitigati dall’azione delle logiche comunitarie, realizzato
peraltro senza incorrere in situazioni conflittuali, bensì seguendo un percorso dialogico e di confronto,
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che ha consentito di coniugare due istanze culturali in apparenza di difficile conciliazione.
Questa vicenda costruttiva ci ha suggerito anche una possibile strategia che consenta alla dimensione
liminoide di acquisire maggiore peso nel contesto contemporaneo, mitigandone le più infruttuose
espressioni, e al contempo valorizzandone gli elementi propositivi e utili.
Lo scenario non consiste semplicemente nell’abbattere un modello sociale, dalle cui ceneri
emergerebbe un nuovo edificio, bensì nell’instaurare una fruttuosa dialettica tra queste diverse logiche,
nel costituire con pazienza un ponte capace di depurare l’assetto societario dalle sue espressioni più
estreme e deprimenti. In questo quadro le indispensabili ed utili componenti della cultura societaria
possono dispiegare al meglio il loro potenziale, dando vita ad un nuovo modello culturale, alternativo
a quello oggi dominante, nel quale le forze strumentali e razionali da una parte, e quelle espressive e
irrazionali dall’altra possano compenetrarsi e supportarsi vicendevolmente nel raggiungere degli
obiettivi.
Il presupposto di questo ragionamento, che sarà affrontato nell’ultimo capitolo, poggia sulla
convinzione che la realtà è un prodotto dell’azione dell’uomo, che di conseguenza da questi può essere
modificata, seppure a volte con fatica. Non si tratta di un dato immutabile che ci si può limitare a
rispecchiare, e ripercorrere di continuo. L’individuo, sempre inteso in relazione con altri, di
conseguenza parte di aggregati sociali, è in grado di attingere a risorse interpretative e manipolative
che lo emancipano dall’influenza di forze eterodirette. Le realtà liminoidi, di cui i locali da ballo di
latinoamericano sono un’espressione, possono incoraggiare e sostenere ciascuno in questa azione in
primo luogo riflessiva e critica, ponendolo oltre la logica utilitarista.
A questo proposito il titolo del testo appare piuttosto enigmatico, suggerendo che un diverso assetto
sociale è possibile, e vi è una tendenza in questa direzione, tuttavia poggia su una contraddizione
espressa dai termini ordine e disordine.
L’ordine attuale prevede che ogni elemento di cui si compone abbia una precisa collocazione. Allo
stesso modo anche le eventuali critiche e manifestazioni di dissenso sono già previste, come le risposte
confezionate ad hoc.
L’assordante silenzio acritico sul quale si regge questo ordine nasconde un’effervescenza collettiva, e
una vitalità critica in via di sviluppo, che costituiscono un primo elemento di latente disordine.
Il disordine presuppone un’alterazione dello stato di apparente quiete nel quale ci troviamo. Costituisce
anche un’ineludibile prima fase dello sviluppo auspicato, nella quale la situazione precedente viene
alterata, e la nuova ha bisogno di tempo per affermarsi. Questo ipotetico momento di transizione è però
foriero di un nuovo mondo, di una diversa organizzazione, di un ordine rivitalizzato, che poggia su
nuovi presupposti e su differenti assunti, capaci di innovare il tessuto sociale, e di esprimere le
potenzialità della nostra epoca.
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CAPITOLO I LA CULTURA
1. Il concetto di cultura.
Il presente lavoro, come esplicitato nell’introduzione, indaga le caratteristiche culturali di alcuni locali
da ballo caraibici di Milano. L’obiettivo è cogliere gli elementi che caratterizzano questi luoghi di
socialità e di incontro, cercando di connotarne i tratti culturali più rilevanti. Per raggiungere questo
obiettivo è necessario in via preliminare chiarire alcuni concetti chiave, che saranno di fondamentale
importanza per cogliere appieno il senso delle considerazioni che seguiranno e che riguardano la parte
empirica di questo lavoro. Anzitutto ci domandiamo che cosa si intende quando si parla di cultura,
cosa sta dietro questo termine.
Vi sono due modi di intendere la cultura, il primo si rifà alla concezione classica o umanistica e il
secondo a una visione moderna o antropologica.
La prima si rivolge miglioramento dell’animo umano, alla sua coltivazione, puntando a purificarlo
dalla superstizione e dai pregiudizi. In questo senso la cultura racchiude un messaggio universale, di
progresso e sviluppo dell’uomo e della società nel suo complesso. Attraverso l’educazione è possibile
raffinare l’uomo, purificare il suo animo ed elevarlo. Il XVIII secolo, il secolo dei lumi ha fatto propria
questa idea di cultura, legandola al progresso dell’intera umanità e alla sua emancipazione dalle
superstizioni, grazie allo sviluppo della ragione. La cultura finisce così per avvicinarsi molto al
concetto di civiltà. Questa definizione di cultura ne sottolinea il carattere astratto, astorico, universale,
ovunque identico, una sorta di ideale comune a tutti gli individui che possono così purificare ed elevare
il proprio animo (Casini, 1980).
Prima l’antropologia e in seguito anche la sociologia hanno indagato le culture diverse da quella
occidentale, grazie alle esplorazioni di nuove terre, oltre i confini del mondo noto, alla scoperta di
nuovi mondi e di civiltà fino ad allora ignote e in seguito per via delle attività coloniali che hanno
caratterizzato il periodo tra ottocento e novecento. In questo periodo si colloca l’inizio di una
concezione di tipo “scientifico” del termine cultura, che è stato alimentato dai resoconti sia scritti sia
verbali, contenuti nei diari e nei racconti di chi per primo è entrato in contatto con gli indigeni dei
nuovi mondi.
Alla fine dell’XIX secolo l’antropologia moderna si va affermando e con essa una rinnovata
concezione di cultura, che a differenza e in contrapposizione alla concezione umanistica o classica,
pone l’accento sulla peculiarità di ogni cultura, attribuendo dignità alle realtà locali, a ogni società
umana, che per essere compresa va studiata dall’interno, seguendo le logiche e le caratteristiche che le
sono proprie, piuttosto che sovrapporre concezioni interpretative esogene che seguono una logica
etnocentrica. In altre parole si passa dall’astrattismo universalistico dell’illuminismo all’indagine delle
forme sociali per come si presentano e strutturano nella loro peculiarità, secondo una logica di
relativismo culturale.
Come si diceva poco fa l’antropologia ha posto al centro del suo interesse la cultura e si può fare
risalire a Edward Burnett Tylor una concezione moderna, in senso scientifico, di cultura. Nel suo
testo intitolato ”Primitive Culture” scrive: “Culture or civilization, taken in its wide ethnographic
sense, is that complex whole which includes knowledge, belief, art, morals, law, custom, and any
other capabilities and habits acquired by men as a member of society”(Tylor, 1920, p. 1).
Tylor pone l’accento sulle caratteristiche distintive di una cultura, su ciò che la caratterizza e la
differenzia da tutte le altre, considerando le minute manifestazioni del vivere quotidiano, entrando
nella vita di tutti i giorni di chi condivide una stessa concezione del mondo, include infatti oltre la
conoscenza, l’arte, le credenze, la morale e il diritto, anche il costume e ogni abitudine che caratterizza
il routinario dispiegarsi dell’esistenza dei membri di una data società. Considera anche gli artefatti,
cioè i prodotti del lavoro umano, che contemplano sia le opere artistiche, gli oggetti di culto, gli abiti,
così come il vasellame, e tutti gli strumenti che vengono abitualmente impiegati giornalmente.
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Un secondo aspetto che vale la pena sottolineare, anche in virtù delle considerazioni successive,
riguarda l’apprendimento della cultura, che viene chiaramente indicato nella definizione di Tylor. La
cultura è un insieme variegato di oggetti, che interessano tutte le sfere dell’esistenza degli individui e
che sono noti alla totalità dei membri della comunità, e che necessitano per essere compresi e impiegati
in modo corretto di essere adeguatamente appresi, presupponendo quindi a monte una trasmissione di
questo sapere, più o meno formalizzata.
Tylor e più in generale l’antropologia fino a circa meta degli anni cinquanta si è dedicata allo studio
delle popolazioni primitive, non affrontando il tema delle più complesse società moderne.
Dopo Tylor altri importanti antropologi quali Malinowski, Mauss e Levi-Strauss, hanno enfatizzato
l’aspetto relativista della cultura e la necessità imprescindibile di immergersi nel tessuto culturale della
società studiata per decodificarne i significati, dando così importanza al vissuto quotidiano e alla
proprietà della cultura di dare senso al mondo che ci circonda.
Gli approcci antropologici più attuali hanno in parte criticato l’impostazione di una cultura statica,
composta da elementi che di generazione in generazione vengono assimilati dai membri di una
comunità, in modo pressoché identico. Alcuni studiosi tra i quali James Clifford considerano la cultura
come un insieme di possibilità e al contempo di vincoli che definiscono la realtà e ne costituiscono le
direttrici di senso, ma all’interno di un quadro dinamico, evolutivo, nel quale vi è una costante e
variegata contaminazione di culture differenti, che creano nuovi contenuti e differenti concezioni del
mondo (Clifford, 1993).
Una definizione sociologica di cultura che appare per i fini di questo studio proficua è quella elaborata
da Peterson: “In contemporary parlance, culture consists of four sorts of elements: norms, values,
beliefs and expressive symbols” (Peterson, 1979, p. 137). La cultura corrisponde quindi all’insieme
delle norme, dei valori, delle credenze e dei simboli diffusi in un certo contesto sociale.
Anche in tale definizione, come in quella avanzata da Tylor, la cultura riguarda un ampio insieme di
oggetti che interessano tutte le sfere dell’esistenza quotidiana di una comunità e che si esplicitano
anche nella cosi detta “cultura materiale”, cioè i prodotti fisici derivati dalle credenze sociali, questi
ultimi veicolano infatti significati immateriali che vanno oltre l’aspetto puramente materiale, cioè
norme, valori, credenze e simboli.
Peterson esplicita con chiarezza di che cosa si compone la cultura, classificandone gli oggetti
all’interno di quattro macrocategorie, che nella biografia di ciascuno sono intrecciate e i cui confini
sono a volte difficili da delineare, ma che sotto un profilo analitico, qui utile per comprendere appieno
un concetto chiave come quello di cultura, sono piuttosto ben connotabili. Ci accingiamo quindi a una
succinta disamina di ognuno di essi.
1.1 Valori.
Il termine valore deriva dall’ambito economico e sta ad indicare il prezzo di un certo bene o servizio
(valore di scambio) o la sua utilità (valore d’uso).
In etica per valore ci si riferisce ai significati ideali che hanno il fine di orientare l’azione e di indicarne
la corrispondenza alle norme condivise da un gruppo e considerate valide.
Da un punto di vista più sociologico Kluckhohn definisce il valore come: "conception, explicit or
implicit, distinctive of an individual or characteristic of a group, of the desirable which influences the
selection from available modes, means and ends of action" (Kluckhohn 1951, p. 395).
In questa prospettiva viene dato un peso rilevante all’elemento cognitivo dei valori, che fornisce una
giustificazione ragionevole e coerente alle scelte compiute. Si tratta quindi di un criterio di scelta, che
caratterizza il singolo o un insieme organizzato di individui. Questa caratteristica si collega ad un’altra
peculiarità dei valori, cioè il fatto che spesso non sono espliciti ed evidenti al soggetto che li segue. Si
tratta di elementi in qualche modo nascosti, ai quali si fa ricorso in maniera irriflessa, non verbalizzata,
ma che anche per tale ragione hanno una capacità di guida delle proprie e delle altrui azioni