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è accolta dall'amministrazione Roosevelt e il sogno di una Cina stabile, unita e
democratica viene ripreso con forza.
Come ha messo in luce il sinologo australiano Colin MacKerras, il periodo che
si apre con l'invasione giapponese della Manciuria (1931) è quello durante il
quale, come mai in nessun momento anteriore o successivo del XX secolo,
l'immagine della Cina in Occidente fu più positiva. L'aggressione giapponese
suscitò grande indignazione presso larghi settori dell'opinione pubblica
americana, concorrendo ad orientarla decisamente in senso filocinese. In
particolare la sinistra "internazionalista", che si richiamava ai principi della
collective security ed in seguito a quelli del "fronte unito democratico",
solidarizzò con la Cina invasa e si prefisse il compito di sensibilizzare i propri
concittadini in merito ai doveri della democrazia statunitense in Asia.
Da questa comune matrice democratica, antifascista e simpatetica nei confronti
della Cina provennero molti dei più noti image-formulators americani, per
riprendere un' espressione di MacKerras, come Edgar Snow, Agnes Smedley,
Anna Louise Strong e molti altri.
Ed è in quest' ambito che si inscrive la vicenda di una rivista, poco o nulla
studiata in Italia, e che sin dal titolo scelto esprimeva l'idea di un inevitabile
coinvolgimento statunitense in Estremo Oriente: AMERASIA, pubblicata a New
York dal 1937 al 1947.
L'interesse della rivista consiste nel fatto che essa offre uno spaccato di quello
che fu un dibattito vivace all'interno della sinistra americana nell'et à di
Roosevelt circa quale dovesse essere il ruolo internazionale degli Stati Uniti
nell'arco di un decennio cruciale, che vide in Asia il consolidamento dei
movimenti nazionali contro le potenze europee e l'ascesa ed il crollo di un
regime giapponese che si proponeva nei fatti di prenderne il posto.
5
Di fronte al progressivo sfacelo del colonialismo europeo e all'affermazione
dell'America come potenza mondiale, si sentì l'urgenza di un dibattito sulle
prospettive e sui compiti che, nel nuovo contesto, si imponevano agli USA e ciò
proprio a partire da una riflessione sull'Asia.
Quel continente in fermento era aperto ai più promettenti sviluppi. Esso segnava
la possibilit à di un "nuovo inizio" per gli USA e per il mondo. Una volta liberati
dall'oppressione europea e giapponese, gli emancipati popoli asiatic i avrebbero
dato vita a regimi democratici e "amanti della pace", proponendosi come
partners politici ideali degli Stati Uniti, mentre la necessit à di avviare
un'autentica ed equilibrata modernizzazione industriale li avrebbe resi ottimi
partners economici. Era in Asia che i margini d'intervento degli USA erano più
ampi e potenzialmente forieri dei migliori risultati.
Farla finita con il colonialismo, favorire la liberazione e la democratizzazione
politica ed economica dei paesi asiatici, per potere in seguito trovare in essi
degli interlocutori politici e commerciali con cui collaborare in piena parit à:
AMERASIA si fece portavoce di questi convincimenti o, meglio, di queste
aspirazioni, che erano poi in buona parte le stesse del Presidente Roosevelt.
Sono idee che, a mio giudizio, meritano di essere analizzate e riconsiderate.
Esse indicavano una strada possibile lungo cui reimpostare le relazioni degli
Stati Uniti con i paesi asiatici liberati ed in particolare con la Cina. Fu un
percorso che, morto Roosevelt e dopo Hiroshima, venne decisamente
abbandonato da Truman, ma che, durante la guerra e la lotta antifascista, venne
ritenuto praticabile e fu condiviso e sostenuto da molti americani.
Ho diviso il lavoro in tre capitoli. Nel primo ho ripercorso brevemente la storia
decennale della rivista, cercando di individuare i più significativi argomenti da
6
essa avanzati e di riproporli, spero coerentemente, in un discorso che segue
l'andamento cronologico. Si individuano così quattro periodi.
Il primo, corrispondente ai primi due anni di vita della rivista (1937-1939), è
incentrato sulla riflessione sulla guerra sino-giapponese. In esso appaiono molte
posizioni che saranno poi riprese in seguito: la critica dell'isolazionismo; l'
esaltazione del "fronte unito" antifascista internazionale, con l' assimilazione
della Cina allo schieramento "democratico" e del Giappone a quello "fascista" e
la conseguente insistita richiesta di un immediato intervento americano contro il
Sol Levante, da attuarsi attraverso misure economiche (boicottaggio, embargo);
la polemica anti-inglese, motivata sia dal disprezzo per il colonialismo, sia dal
rifiuto dell' appeasement, giudicato come un atteggiamento debole e
compromissorio nei confronti dei fascismi.
Al centro dell'attenzione è soprattutto la Cina, come spiega anche la genesi
stessa della rivista, la cui redazione originaria (Chi Ch'ao Ting, Phillip Jaffe,
Frederick Vanderbilt Field e Thomas Arthur Bisson) proveniva da una
precedente esperienza editoriale, quella del mensile illustrato "China Today",
organo dell'associazione "American Friends of the Chinese People" e pubblicato
sempre a New York a partire dal 1934.
Il secondo periodo è aperto dal patto Molotov-Ribbentrop e dall'invasione
hitleriana della Polonia (agosto-settembre 1939) e si chiude con Pearl Harbor
(dicembre 1941). La guerra in Europa esaltava il ruolo degli USA in Asia e,
mentre il "fronte unito" internazionale veniva messo da parte, continuava la
campagna per l'embargo contro il Giappone (poi effettivamente messo in atto).
Fu il periodo in cui massima si fece la critica contro l'amministrazione
americana, la cui politica era ritenuta inerte e delatoria in Asia, dove invece più
efficacemente si giudicava che gli USA avrebbero potuto intervenire a sostegno
7
della "democrazia", e viceversa tendente ad invischiare il paese nel conflitto
anglo-tedesco, interpretato in alcuni articoli come una guerra tra imperialismi.
La terza fase, la più lunga, è quella della guerra nel Pacifico (1942-1945).
Per la vicenda di AMERASIA il settembre 1942 è una data spartiacque. La
responsabilit à della rivista, che si era proposta, sin dal primo numero, di
funzionare come un "forum di discussione critica" sulla politica asiatica degli
USA a cui avevano preso parte, attraverso i loro articoli, oltre cento contributors
e una dozzina di redattori (con numerosi cambiamenti nell'editorial board),
passò ora interamente a due soli individui: Phillip Jaffe, che aveva per altro
sempre avuto un ruolo cruciale in AMERASIA, e l'indologa Kate Mitchell.
Ebbe così inizio quella che può essere qualificata come una lunga fase
declinante nella vita della rivista.
Durante la guerra del Pacifico, i due redattori unici non vollero o non seppero
discutere e seguire analiticamente l'andamento delle operazioni belliche1.
L'attenzione della rivista si concentrò invece sugli aspetti politici del conflitto,
letto come una people's war , una guerra mondiale contro il fascismo a cui i
popoli dell'Asia mobilitati contro l'invasore giapponese erano chiamati a
partecipare al fianco degli Alleati in vista della loro futura liberazione. Il
ragionamento sulla guerra era così intimamente connesso a quello sul
dopoguerra. AMERASIA coltivò il progetto di un' Asia libera, forte e
democratica, quale si riteneva sarebbe dovuta emergere dal travaglio della
guerra antifascista, denunciando nel contempo le tentazioni neo-colonialiste a
cui gli USA avrebbero potuto cedere. La stabilità e la pace mondiale erano
infatti incompatibili con la perpetuazione o la restaurazione del dominio
coloniale contro le giuste aspirazioni dei movimenti d'indipendenza nazionali.
1Jaffe affermò ripetutamente la propria ignoranza di cose militari. Nei periodi precedenti, invece, AMERASIA
aveva spesso ospitato articoli tecnici, opera di esperti di strategia militare, sugli sviluppi e i possibili scenari
futuri del conflitto sino-giapponese. Era anche questo un aspetto dell' inevitabile impoverimento tematico di
AMERASIA, che da forum di discussione critica si era trasformata nella rivista di Jaffe e della Mitchell.
8
Solo un'Asia liberata corrispondeva agli interessi a lungo termine degli Stati
Uniti: essa avrebbe allora potuto porsi come la "nuova frontiera" economica
dell'America, un nuovo vastissimo mercato con cui commerciare ed investire.
Ciò avrebbe potuto realizzarsi solo se le masse asiatiche avessero disposto di un
potere d'acquisto diffuso: perciò era necessario sostenere un processo di
un'autentica democratizzazione che facesse piazza pulita delle oligarchie
economiche e politiche, fossero queste straniere (colonie europee) o indigene
(come la ruling clique militar-fascista in Giappone e in larga misura anche il
Kuomintang in Cina)
I piani di AMERASIA per la ristrutturazione post-bellica dell'Asia si
scontrarono con il clima d'incipiente guerra fredda che caratterizzò la quarta e
ultima fase (1945-1947). La rivista rimase legata alle concezioni della stagione
rooseveltiana in cui era nata e cresciuta e nei suoi ultimi anni condusse
ostinatamente la propria battaglia contro la politica asiatica dell'amminis trazione
Truman, esplicitamente accusata di aver "tradito" gli scopi per cui la guerra era
stata combattuta (cioè, in Asia, porre fine alla dominazione straniera,
giapponese o europea che fosse). Fu un periodo amaro, travagliato anche da un
complesso caso giudiziario che coinvolse la rivista e particolarmente Jaffe.
Nel giugno del 1945, in seguito a perquisizioni nella redazione newyorkese di
AMERASIA, ad opera di agenti dell' OSS, personalmente autorizzati da
Truman2, e dell' FBI, furono rinvenuti dei documenti riservati provenienti
dall'ambasciata americana di Chunking. Si ritenne che fossero stati divulgati da
uno junior officer dell'ambasciata stessa di nome John Service, che fu accusato
insieme a Jaffe di violazione della legge sullo spionaggio, avendo sottratto
documenti governativi e messo in pregiudizio la sicurezza nazionale 3.
2Schaller, The US Crusade in China, 1938-1945, New York, Columbia University Press, pag.226-227
3Schaller, The US Crusade in China, pag.226-227
9
La vicenda va inserita nel contesto della politica cinese americana del periodo.
Dopo la rimozione del generale Stilwell e dell'ambasciatore Gauss (novembre
1944), il rappresentante americano in Cina divenne Patrick Hurley.
Repubblicano, ossessivamente anticomunista, con poca o nessuna conoscenza
della situazione cinese, Hurley, nelle trattative che precedettero la ripresa della
guerra civile, si schierò apertamente dalla parte di Chiang Kai-shek, operando su
iniziativa personale ed in contrasto con il grosso del personale diplomatico, che
era invece convinto dell'inopportunit à di appoggiare incondizionatamente un
regime debole, clientelare ed autoritario. In breve tempo si creò un clima
pessimo con il neoambasciatore che cercava in ogni modo di ostacolare il suo
staff ed impedirgli di far giungere a Washington rapporti che dessero
un'immagine men che ottima del Kuomintang. Service non era l'unico
"insubordinato". Quando Hurley seppe che il diplomatico Arthur Ringwalt
aveva inviato al Dipartimento di Stato un messaggio critico nei confronti del
Generalissimo, sbottò
"You mean you sent them that?...Why I've killed men for less than that". And he actually drew a
pistol. Ringwalt never knew if it was loaded. When the Ambassador had more or less simmered
down and sheathed his weapon, he stated that from then on United States policy would be
whatever he said it was and that his policy was against sending anything derogatory.4
Il 27 novembre 1945 Hurley si dimise senza preavviso, rilasciando una
dichiarazione pubblica in cui attaccava il Presidente, il Dipartimento di Stato, gli
Inglesi e i sovversivi comunisti infiltrati in America.
Questo episodio periferico, che finì per investire Service ed AMERASIA, fu di
fatto il prodromo della successiva "caccia alle streghe" anticomunista, destinata
a dilagare di lì a qualche anno.
4Kahn, The China Hands, pag.145, citato in Schaller,The US Crusade in China, pag.207.
10
Accenno al "caso AMERASIA" solo in questa sede. Una ricostruzione adeguata
di esso richiederebbe evidentemente l'accesso a documenti giudiziari,
diplomatici e di altra natura non disponibili se non in loco ed esula inoltre dal
tema che mi sono proposto di analizzare, ossia quale fosse l'approccio ai
problemi estremo-orientali elaborato dalla sinistra americana nell'epoca di
Roosevelt, rientrando se mai più propriamente in un' indagine sulle origini del
maccartismo e sul dibattito che si sviluppò in America in seguito alla "perdita
della Cina" dopo la vittoria comunista nel 1949, quando la rivista aveva già da
tempo cessato le pubblicazioni. 5
Nel secondo e nel terzo capitolo ho analizzato più specificamente le valutazioni
di AMERASIA, rispettivamente riguardo il Kuomintang e il partito comunista
cinese. La Cina era del resto il paese su cui si incentrava larga parte della
riflessione della rivista.
Ho cercato di mettere in luce come, a mio modo di vedere, nel discorso sulla
Cina di AMERASIA confluissero due filoni di pensiero.
Il primo, che potremmo dire "tradizionale", riprendeva l'idea non nuova che gli
USA avessero una missione storica da svolgere in Cina, cioè favorirne lo
sviluppo economico e politico. Questa concezione si fondava su di una certa
5Jaffe venne in seguito condannato, mentre Service fu assolto. Cfr. Thorne, Allies of a Kind. The U.S., Britain
and the War against Japan, 1941-1945, New York, Oxford University Press, 1978.
E' difficile, dalla sola lettura di AMERASIA, farsi un'idea precisa di quali notizie riservate fossero state
divulgate. Jaffe cita di norma le proprie fonti, in genere articoli apparsi su altri giornali o dichiarazioni ufficiali
del governo cinese. La critica a Hurley non era un'esclusiva di AMERASIA. Si tenga inoltre presente che Jaffe
si rifiutò categoricamente di utilizzare le pagine della rivista per difendersi. L'unico accenno al caso giudiziario è
contenuto in un editoriale apparso sul numero del 15 giungo 1945, pag.179, contenente la seguente
dichiarazione: "By this time, most of our subscribers must be aware of the charges that have been brought by the
Government against the two editors of AMERASIA...We do not wish...to enter into an analysis of our case, but
we wish to assure our readers that the magazine AMERASIA has at no time printed or used, or caused to be
printed or used, any material that might in any way be prejudical to the interests or security of the United States.
On the contrary, its only reason for existence is the sincere belief of its editors that by advancing American
understanding of political and economical developmetns in the Far East, it has made an important contribution
to the future welfare and security of the American people. The number of students of Far Eastern affairs that will
attest to the correctness of this conclusion is legion."
11
interpretazione della storia delle relazioni sino-americane, per cui si riteneva che
gli USA, sia per la loro cultura anti-colonialista, sia per il desiderio di
assicurarsi un mercato di diverse centinaia di milioni di clienti, si fossero
sempre comportati nei confronti del Celeste Impero in maniera radicalmente
diversa dalle potenze europee che avevano invece cercato di estendere il loro
dominio coloniale anche in Cina, assicurandosi sfere d'influenza esclusiva, il
che era in contrasto con gli interessi a lungo termine degli USA.
Gli Stati Uniti si erano perciò sempre impegnati a favore dell'integrit à
territoriale del Regno di Mezzo. Nell'interpretazione di AMERASIA, essi erano
storicamente stati, e avrebbero dovuto continuare ad essere, i paladini
internazionali della libertà cinese.
La visione di una Cina unita, prospera e democratica, si articolò sulle pagine
della rivista in quello che si potrebbe chiamare il "progetto" di AMERASIA per
la Cina, che avrebbe dovuto fare del paese asiatico il futuro più importante
alleato degli USA. Secondo i piani, al riacquisto della completa indipendenza
una volta scacciato l'invasore giapponese, avrebbe dovuto fare seguito il
consolidamento delle istituzioni democratiche cinesi e l'avvio di un programma
di modernizzazione economica in cui sarebbe stato fondamentale l'apporto dei
capitali statunitensi.
Quel che importa rilevare è che AMERASIA interpretò, con una massiccia dose
di wishful thinking, la situazione cinese alla luce di questo schema. Così, per
esempio, la tregua armata tra Kuomintang e partito comunista che passa sotto il
nome di "secondo fronte unito" venne salutato come un passo avanti decisivo
verso il rinnovamento politico del paese in senso democratico. Allo stesso
modo, Chiang fu visto, almeno sino al 1942, come il campione dell'unità cinese,
mentre i comunisti avevano cessato, nella valutazione di molti autori, di essere
comunisti, per diventare riformatori agrari moderati e quindi propriamente "so-
12
called communists". Nel clima di pre-guerra civile che si profilò sempre più
chiaramente dal 1944 in poi, AMERASIA non colse, se non piuttosto
confusamente, la realt à dei fatti di due partiti armati in lotta per prendere il
potere, ma intese il conflitto nei termini ideali ed astratti di "democrazia" (i
"cosiddetti comunisti", più numerosi altri gruppetti politici per noi
retrospettivamente insignificanti, ma su cui la rivista molto insistette) contro
"oppressione - feudalesimo" (la fazione al potere nel Kuomintang).
Inoltre, AMERASIA sopravvalutò costantemente la capacit à degli Stati Uniti di
influenzare gli sviluppi interni cinesi perché essi procedessero secondo il
"progetto" delineato.
La seconda componente fondamentale del discorso di AMERASIA sulla Cina,
che si incrocia con la precedente e le conferisce un nuovo senso, è
l'antifascismo. Gli USA erano chiamati ad intervenire a sostegno della Cina, non
solo in nome del rapporto, sentito come speciale, che legava storicamente i due
paesi, ma soprattutto perché la Cina era una democrazia sorella minacciata da un
regime fascista. Gli USA dovevano combattere il fascismo in tutto il mondo e
potevano iniziare a farlo con maggiori possibilità di successo nel Pacifico. In
questo senso la Cina era la cartina di tornasole della democrazia americana. La
guerra sino-giapponese la metteva alla prova più di qualsiasi altro evento. In
Asia erano in atto processi epocali: lì stava finendo il colonialismo e lì stava
iniziando l'aggressione fascista mondiale. Si trattava, come scrisse Carlson, di
accettare la sfida, puntando sulla rinascita della Cina.
Indubbiamente, l'impostazione di AMERASIA era figlia della lotta antifascista
fatta propria dall'America di Roosevelt. Essa può forse apparire oggi idealistica
ed astratta. La Cina non sarebbe mai divenuta il grande alleato degli USA che
pensava AMERASIA. Essa non era affatto il pupillo degli Stati Uniti.
13
L'affermazione della democrazia nel paese asiatico non dipendeva in alcun
modo dall'operato degli USA. Se mai, l' America poteva astenersi dal compiere
certe scelte, come sostenere il regime autoritario di Chiang.
In questo senso l'amministrazione Truman ebbe un atteggiamento più
pragmatico. Essa appoggiò come poté il Generalissimo, ma lo lasciò in seguito
al suo destino, salvo poi sostenerlo, contro la Cina popolare, quando questi si
rifugiò a Taiwan. Truman si rese conto che non valeva la pena invischiarsi
ulteriormente nella guerra civile e che per gli interessi degli Stati Uniti la
ricostruzione dell'Europa era assai più importante della Cina.
Non di meno, l'isterismo anticomunista e la propaganda anticinese che
sopraffecero il paese dopo il 1949 non ci sembrano certo più ragionevoli
dell'idealismo di AMERASIA. Benché la rivista non auspicasse affatto la
vittoria di Mao, quanto la nascita di una Cina "democratica", essa riconobbe che
gli Stati Uniti avrebbero potuto tranquillamente convivere con una Cina
comunista e seppe inoltre pienamente e per tempo apprezzare la vocazione degli
Stati Uniti come nazione del Pacifico.
14
1. LE GUERRE DI AMERASIA: UNA STORIA DELLA
RIVISTA
1.1 LA GUERRA SINO-GIAPPONESE (marzo 1937 - settembre 1939)
Origini della rivista
Nel suo studio sulle relazioni tra Stati Uniti e Cina nel XX secolo, Michael
Schaller riassume l'atteggiamento dell'opinione pubblica americana nei riguardi
della Cina al tempo della crisi mancese del 1931, citando un titolo apparso su un
giornale del magnate della stampa Hearst: "We symphatize but it is not our
concern" ("Simpatizziamo, ma non è affar nostro")6.
Fra coloro che invece ritenevano che l'invasione giapponese fosse decisamente
"affare loro", vi era un gruppo di uomini e di donne che si riunì una sera del
marzo 1933 in un appartamento del Bronx, dando vita all'associazione "Friends
of the Chinese People".
L'organizzazione pubblicò per qualche tempo un bollettino e, a partire
dall'ottobre 1934, una vera e propria rivista illustrata cui fu dato il nome di
"China Today".
6M.Schaller, The U.S. and China in the Twentieth Century, Oxford UP, New York, 1990, pg.42. Schaller non
dice di che giornale si tratti e nè in che data apparve.
15
La redazione della rivista era composta inizialmente da quattro individui, che si
firmavano con pseudonimi: Phillip Jaffe, Thomas Arthur Bisson, Frederick
Vanderbilt Field e Chi Ch'ao Ting7.
La "guida politica" del gruppetto era Chi, un cinese trasferitosi negli USA per
perfezionare i suoi studi in economia. Già da tempo vicino alle posizioni
comuniste, decise di aderire al partito proprio durante il soggiorno americano.
La sua tesi di dottorato, discussa alla Columbia University nel 1936 e
immediatamente pubblicata, è anche la sua opera più universalmente nota: Key
Economic Areas in Chinese History, uno studio di storia economica cinese
antica incentrato sull'analisi dello sviluppo delle opere idrauliche8.
I redattori di "China Today" maturavano già dai primi mesi del 1936
l'intenzione di dare vita ad una nuova rivista "di più alto spessore accademico".
Nell'agosto di quell'anno si tenne a Yosemite, in California, la sesta conferenza
dell'Institute of Pacific Relations (IPR).
L'IPR era un ente internazionale di ricerca creato nel 1925 con sede ad
Honolulu9. Le attività più importanti dell'IPR consistevano nel promuovere10 e
7Qi usò vari pseudonimi (Hansu Chan, Futien Wang...) fo rse per non mettere in pericolo il suo status di
immigrato. Jaffe, Bisson e Field si firmavano rispettivamente J.W.Phillips, Frederick Spencer e Lawrence
Hearn. Per "China Today" e le vicende che portarono alla nascita di "Amerasia" cfr. le dichiarazioni di Jaffe in
Conlin, The American Radical Press 1880-1960, Greenwood Press, Westport, 1974.
8Chi Ch'ao Ting, Key Economic Areas in Chinese History. As Revealed in the Development of Public Works for
Water-Control, Allen & Unwin, Londra, 1936. Trad. it., Le zone economiche chiave nella storia della Cina, a
cura di David Mamo con una introd. di Enrica Collotti Pischel, Einaudi, Torino, 1972.
9Nel 1935 la sede fu trasferita a New York.
10I due più importanti finanziatori del IPR furono il Carnegie Endowment for International Peace e il Laura
Spelman Rockefeller Memorial Fund .
16
pubblicare le ricerche di vari studiosi (associati all'IPR o meno che fossero) e
nell'organizzare ogni due anni dei meetings internazionali, i quali, dato che
molti dei delegati nazionali ricoprivano frequentemente incarichi tali da poter
influire nel processo decisionale della politica estera dei rispettivi paesi,
funzionavano di fatto come dei summit diplomatici informali. L'IPR pubblicava
inoltre dal 1928 la rivista Pacific Affairs (che è tuttora in corso)11.
L'organizzazione era articolata in una federazione di national councils 12locali,
ognuno dei quali nominava un proprio rappresentante presso l'organismo
internazionale di presidenza collegiale detto Pacific Council. Le funzioni
amministrative erano invece esercitate da un International Secretariat.
Alla conferenza di Yosemite presero dunque parte sia Chi, come membro della
delegazione cinese, sia Field, che era allora il segretario dell' American Council.
Quest'ultimo in particolare si diede da fare per mobilitare i propri contatti
nell'istituto, cercando di assicurarsene la collaborazione in vista del nuovo
progetto editoriale.
11Alcuni singoli councils nazionali stampavano parallelamente proprie riviste.
La rivista dell' American Council si chiamava Far Eastern Survey.
12Inizialmente di sei paesi: Australia, Canada, Cina, Giappone, Nuova Zelanda, Stati Uniti. L'URSS fece parte
dell'IPR solo per un breve periodo e partecipò ad un unica conferenza, quella di Yosemite (1936). Il Giappone
uscì dall'IPR nel 1939. Entrarono in seguito a farne parte: Gran Bretagna, Birmania, Pakistan, India, Paesi
Bassi/Indones ia, Filippine.
17
Nell'ottobre 1936 i quattro si dimisero in blocco dalla redazione di "China
Today"13e nel marzo 1937 uscì finalmente il primo numero di "Amerasia. A
Review of America and the Far East".
Scopi della rivista: sollecitare la riflessione dell'opinione pubblica
sull'Estremo Oriente
Una descrizione basata sul primo numero può valere come indicazione della
struttura della rivista, visto che questa non subì sostanziali modifiche fino
all'autunno del 1942. Il nuovo mensile aveva dunque una cinquantina di pagine
ed ospitava in media una decina di articoli, oltre a tre rubriche fisse: Topics in
Brief, una serie di brevi editoriali a cura della redazione, Far Eastern Economic
Notes, a cura di Chi e News of the Month, una cronologia degli avvenimenti del
mese in Estremo Oriente. Nelle pagine centrali erano poi proposte delle vignette
satiriche, tutte riprese da altri periodici, di solito, ma non solo, americani.
L'editorial board era composto da nove membri, oltre a Chi, Jaffe, Bisson e
Field ne facevano parte anche Kenneth Colegrove, Owen Lattimore, Cyrus
Peake, Robert Reischauer e William Stone. Colegrove insegnava scienza
politica alla Northwestern University, Peake era professore di cinese alla
Columbia, Reischauer collaborava con la School of Public & International
13"China Today" continuò ad uscire, a cura di diverse direzioni editoriali, fino al marzo 1942.