1. Funzionamento della risonanza magnetica funzionale
4
dominante sull' organizzazione del cervello si fonda sull'assunto che le diverse aree
corticali associative e primarie svolgano delle operazioni discrete che contribuiscono alle
nostre capacità percettive, motorie e mentali . E' chiaro che operazioni mentali complesse
non possono dipendere da aree circoscritte del cervello ma piuttosto esse sono garantite da
sistemi neurali distribuiti. Tuttavia, la comprensione delle operazioni dei singoli nodi
neurali di tali reti complesse rimane un presupposto necessario ed una priorità nella ricerca
neuroscientifica da ormai 150 anni. A tale comprensione sta contribuendo in maniera
sostanziale l'imaging funzionale (PET e fMRI).
E' tradizionalmente riconosciuto che l'inizio della ricerca moderna sui correlati
neurali delle funzioni mentali può essere fatto risalire alla seconda metà del XIX secolo e
alle osservazioni di Paul Broca [1] il quale suggerì, sulla base di osservazioni
anatomopatologiche in un paziente gravemente afasico, l'importanza della terza
circonvoluzione frontale sinistra nel linguaggio parlato.
Il metodo di Broca, tuttavia, aveva il chiaro limite di una ridotta accuratezza anatomica e
funzionale dato che si basava sull'osservazione di lesioni cerebrali vascolari, le quali di
solito sono estese e danneggiano aree cerebrali sulla base della distribuzione del letto
vascolare piuttosto che sulla base di un' organizzazione anatomo-funzionale.
Il secondo limite del metodo anatomo-patologico consiste nel ritardo con cui si può
osservare una lesione cerebrale circoscritta alla quale un paziente può fortunatamente
sopravvivere per anni. Tale limite è stato aggirato dalle tecniche di imaging strutturale,
tomografia assiale computerizzata e poi RM, divenute di uso comune all'inizio degli anni
70' e 80' rispettivamente.
Le tecniche di neuroimaging morfologico, importantissime da un punto di vista clinico,
hanno comunque un limite insormontabile per quanto riguarda la ricerca sulle funzioni
cerebrali: esse dicono poco o nulla sul funzionamento del cervello intatto per non dire delle
anomalie funzionali in patologie che non si associano ad alterazioni cerebrali
macroscopiche (es. dislessia evolutiva, schizofrenia). D'altro canto le tecniche
elettrofisiologiche, pur con l'eccezionale risoluzione temporale nel misurare eventi elettrici
legati all'attività cerebrale, mancano di accuratezza anatomica quando l'attività elettrica sia
registrata dallo scalpo (EEG) oppure coprono una finestra anatomica troppo limitata
1. Funzionamento della risonanza magnetica funzionale
5
quando l'attività cerebrale sia registrata con elettrodi profondi in corso di stereo-EEG o con
elettro-corticografia di superficie in corso di esplorazione chirurgica.
Una svolta cruciale sulla via dello sviluppo di tecniche non invasive per la
localizzazione dell' attività cerebrale è stata l'osservazione che cambiamenti di attività
elettrica neurale regionale, la variabile che idealmente vorremmo misurare per mappare le
funzioni corticali, si associano a cambiamenti di consumo metabolico di glucosio cerebrale
e ad aumenti di flusso cerebrale. In particolare, il consumo di glucosio cerebrale è
strettamente legato all'attività della ATPasi Na+/K+ dipendente a livello sinaptico e
quindi all'attività sinaptica stessa. Tali cambiamenti di metabolismo e flusso cerebrale non
sono indiscriminati e globali, ma coinvolgono le aree strettamente implicate nella
stimolazione usata [2] .
I primi studi di attivazione in vivo nell'uomo sono stati eseguiti con tecniche scintigrafiche
planari capaci di rivelare cambiamenti di flusso cerebrale usando il tracciante Xenon 133
[3]. Con l'avvento di tecniche tomografiche PET, capaci di rivelare la distribuzione
tridimensionale di radiocomposti emittenti positroni legati a molecole quali il 18fluoro-
deossiglucosio (18F-FDG) o l'acqua (H215O), è stato possibile indagare più accuratamente
i pattern di attivazione cerebrale associati all'esecuzione di compiti motori, percettivi,
cognitivi (es. linguaggio, memoria, attenzione). Dapprima gli studi di attivazione con PET
sono stati eseguiti con tecnica 18F-FDG che permette la misurazione del consumo
cerebrale di glucosio. Questo genere di esperimenti, estremamente interessanti quando
eseguiti nella condizione di riposo in popolazioni con disturbo cognitivo focale, non si
presta agevolmente a studi di attivazione, a causa della cinetica del tracciante impiegato (il
18fluoro-deossiglucosio -FDG- raggiunge uno steady-state atto alla misura PET a 45'
dall'iniezione endovenosa) e l' emivita del radioiosotopo ad esso legato (il 18F ha
un'emivita di circa 2 ore). Viceversa, numerosissimi sono stati ad oggi gli studi di
attivazione con tecnica PET e misurazione del flusso cerebrale tissutale con H215O, data la
versatilità del metodo che permette fino a 16 misure di flusso cerebrale per soggetto in una
sola sessione sperimentale [4].
1. Funzionamento della risonanza magnetica funzionale
6
Figura 1.1: Foto di uno scanner MRI (Philps Gyroscan ACS-NT), l’esteriore assomiglia a quelli
per CT. Rispetto però alle immagini ottenute con CT, le immagini ottenute con tecnica MRI
hanno un elevato contrasto e sono più dettagliate, sono infatti adatte a rappresentare i tessuti
molli
Figura 1.2: Parti fondamentali che compongono uno scanner per MRI
1. Funzionamento della risonanza magnetica funzionale
7
Per rendere possibile l' avvento delle metodiche di risonanza magnetica funzionale,
così come le conosciamo ora, sono state necessarie altre nuove osservazioni sperimentali e
sviluppi tecnologici.
Il primo fatto da ricordare è lo studio di Fox e Raichle (1986) [5] i quali hanno eseguito un
esperimento di attivazione tattile con la PET misurando sia il flusso che il consumo di
ossigeno cerebrale. Fox e Raichle notarono che il metabolismo dell'ossigeno cresce in
maniera proporzionalmente minore rispetto al flusso in corso di attivazione. Controversa
alla sua pubblicazione, tale osservazione fornisce oggi il fondamento empirico al
cosiddetto blood oxygenation level dependent contrast effect (effetto BOLD) su cui si basa
la stragrande maggioranza degli esperimenti di attivazione con risonanza magnetica.
Tre altri fatti cruciali ci anno portato alla moderna fMRI: la scoperta delle proprietà
paramagnetiche dell'emoglobina [6]; lo sviluppo di tecniche di campionamento RM
ultrarapide quali la tecnica echo-plananre (EPI); l'osservazione dell’ effetto BOLD in vivo
con RM in corso di riperfusione cerebrale e in associazione a stimolazione visiva come
metodo sostitutivo dei traccianti paramagnetici.
1.2 Principio di funzionamento della risonanza
magnetica
Il termine “risonanza” indica il risultato che consegue all’applicazione di uno
stimolo di frequenza uguale a quella caratteristica di un altro sistema che ne riceve
l’energia imposta. L’effetto è massimo quando i due sistemi hanno caratteristiche
intrinseche uguali come, ad esempio, la frequenza di oscillazione.
Nella Risonanza Magnetica1 (RM) il sistema accettore di energia è rappresentato dai
nuclei atomici, spesso di idrogeno, ordinati all’interno di un campo magnetico statico (B0)
di elevata intensità.
Tale proprietà degli atomi fu scoperta già nel 1946 da due fisici Bloch e Purcell ma solo
recentemente, grazie all’avvento di nuove tecnologie per eccitare un segnale proveniente
1
Il nome completo é Risonanza Magnetica Nucleare; l’aggettivo “nucleare” é però spesso omesso.
1. Funzionamento della risonanza magnetica funzionale
8
da un piccolo volume e nel creare mappe spaziali di tale segnale, è divenuta la base di una
delle più moderne, ad alta risoluzione e non invasive tecniche di imaging medico.
I nuclei atomici sono masse cariche positivamente composte da protoni e neutroni ed
alcuni di essi sono dotati di un movimento rotazionale attorno al proprio asse, regolato dal
numero quantico di spin. Questo movimento delle cariche produce un campo magnetico
tale da poter assimilare questi nuclei a microscopici magneti orientati in tutte le direzioni.
Nel corpo umano sono molti gli elementi che si prestano a questa visione, ma la scelta
dell’idrogeno è dovuta principalmente alla sua abbondanza sia sotto forma di acqua che
legato chimicamente a formare zuccheri, grassi e proteine.
All’interno dei tessuti biologici i nuclei di idrogeno sono orientati casualmente ma quando
vengono sottoposti ad un campo magnetico statico di elevata intensità, costante nel tempo
ed omogeneo nello spazio, si vanno ad orientare secondo tale campo nella direzione
parallela (up) od antiparellela (down) a seconda della minore o maggiore energia dei
nuclei.
Figura 1.3: Configurazione ad un certo istante di un sistema di spin all’equilibrio (a). Per
visualizzare il vettore magnetizzazione come somma vettoriale dei diversi vettori momenti
magnetici microscopici ridisegniamo questi ultimi in maniera tale che partano dallo stesso punto
(b). Si nota che i momenti magnetici risultano disposti secondo la superficie laterale di un cono e
il vettore magnetizzazione M ha la stessa direzione e verso di B0
1. Funzionamento della risonanza magnetica funzionale
9
La differenza numerica tra questi due gruppi non è molta così da poter considerare un
unico vettore risultante detto di magnetizzazione (M); aumentando l’intensità di B0 cresce
proporzionalmente anche quella del vettore M con conseguente aumento della quantità di
segnale utile per le immagini RM. Oltre a tale magnetizzazione i nuclei acquistano un
moto di rotazione lungo la superficie di un cono ideale attorno al proprio asse, detto di
precessione (figura 1.3).
Tale moto è rappresentato da una costante giromagnetica (γ) che dipende direttamente
dall’intensità del campo magnetico (I) nel quale sono immersi i protoni del tessuto
biologico da esaminare ed è costante per ogni specie nucleare.
La magnetizzazione all’equilibrio è una quantità piccola difficile da rilevare
sperimentalmente. Le tecniche di RM ad impulsi consentono di registrare il segnale
proveniente dagli spin che tendono a ritornare nella configurazione di equilibrio dopo
essere stati sottoposti ad un opportuno impulso a radiofrequenza (RF).
La condizione indispensabile affinché si verifichi il fenomeno della risonanza magnetica è
che l’onda RF di interrogazione sia di frequenza uguale a quella di precessione dei protoni
di idrogeno, secondo la legge di Larmor:
f Iγ= ⋅ (1.1)
La costante γ per l’idrogeno è pari a 42.6 MHz/T, pertanto per un campo di 0.5 T (Tesla) la
frequenza di risonanza risulta di 21.3 MHz, per un campo di 1.5 T di 63.9 MHz.
L’intensità del campo magnetico statico varia tipicamente tra 0.2 T a 1.5 T in funzione del
tipo e del modello di scanner utilizzato. A titolo di confronto, si osserva che il campo
magnetico terrestre è 100.000 volte inferiore a tale valore.
In presenza di un impulso a RF a 90°, il vettore M allarga il raggio della propria orbita
precessionale, fino a porsi in rotazione sul piano trasversale.
Quando l’impulso a radiofrequenza cessa, il sistema protonico cerca di ritornare nelle
condizioni iniziali eliminando l’energia in sovrappiù accumulata durante l’eccitazione.
Questo rilassamento comporta l’emissione di un segnale RM chiamato free induction
decay (FID).
Essendo i nuclei protonici immersi in ambienti molecolari diversi, la cessione di energia
avrà modalità diverse in relazione alla composizione chimica dei tessuti: alcuni tessuti
1. Funzionamento della risonanza magnetica funzionale
10
ostacoleranno la cessione del sovrappiù di energia (rilassamento più lungo), altri ne
accetteranno il passaggio (rilassamento più breve).
I principali parametri del segnale RM sono:
- la densità protonica DP,
- il tempo di rilassamento T1,
- il tempo di rilassamento T2.
Il primo termine è la quantità di protoni di idrogeno risonanti per unità di volume di tessuto
(voxel). Tale grandezza, responsabile dell’ampiezza del segnale RM, aumenta con
l’aumentare dell’intensità del campo magnetico, poiché sarà più elevata la probabilità di
allineamento dei protoni nella direzione del campo.
Il tempo di rilassamento T1 detto tempo di rilassamento longitudinale o spin-reticolo
regola il ripristino della componente longitudinale di M dopo un impulso RF.
Il tempo T2 detto tempo di rilassamento trasversale o spin-spin regola l’annullarsi della
componente trasversale di M creata da un impulso a RF.
1.3 Esempi di immagini biomediche ottenute con
tecnica di risonanza magnetica
Vorrei, in questo paragrafo, riportare qualche immagine rappresentante il cervello
umano ottenuta mediante tecnica di risonanza magnetica pesate però T1 e T2 per poter
confrontare i diversi risultati. Riporto inoltre un’immagine, sempre del cervello umano,
ottenuta però con tecnica di tomografia computerizzata.