II
luogo infatti, le variabili strumentali della politica monetaria sono relative all'intera area
della Moneta Unica e non più al contesto italiano. In secondo luogo, le stesse variabili
strumentali non reagiscono più a variabili obiettivo di natura nazionale, ma rispondono
solo a variabili obiettivo relative all'intera area dell'Euro. Le modalità di conduzione
della politica monetaria non si sono invece modificate sostanzialmente e lo studio della
funzione di reazione della Banca d'Italia può fornire alcuni elementi per la costruzione
di una funzione di reazione della BCE, quando saranno disponibili serie storiche di
ampiezza sufficientemente elevata. Per queste ragioni, nella realizzazione di previsioni
e nell'analisi più attuale degli effetti della politica monetaria sui tassi d'interesse, il
comportamento della banca centrale sarà, dal gennaio 1999, posto in condizione
esogena.
Nel capitolo II sono effettuate alcune analisi preliminari, volte in primo luogo a
fare emergere alcune caratteristiche di persistenza nei processi stocastici generatori
delle variabili osservate. La presenza di non stazionarietà nei tassi d'interesse preclude
la possibilità di utilizzare tecniche econometriche tradizionali, ma può aprire la strada
all'utilizzo delle tecniche di cointegrazione, introdotte ed applicate nel capitolo III.
L'utilizzo di dati con frequenza mensile, sebbene permetta di cogliere con maggiore
puntualità il meccanismo di trasmissione della politica monetaria, può introdurre
componenti stagionali in grado di compromettere la validità della ordinaria analisi di
integrazione e cointegrazione. Per questo, è effettuata una analisi volta ad indagare la
presenza di componenti stagionali nei tassi d'interesse osservati.
Nel capitolo III, la validità nel lungo periodo di alcune ipotesi teoriche
alternative, sarà sottoposta a verifica mediante l'utilizzo delle tecniche di
cointegrazione. In particolare, l'analisi di JOHANSEN, realizzata tramite l'utilizzo di un
modello VAR (vettoriale autoregressivo), permetterà di specificare con maggiore
precisione teorica le stesse ipotesi, che saranno sottoposte a verifica mediante
III
l'imposizione di alcuni vincoli nei vettori di cointegrazione. Tra le diverse ipotesi
alternative verrano in particolare presentate quelle di mark-up e di mark-down tra i tassi
d'interesse bancari e varie ipotesi più prossime alla concorrenza monopolistica.
L'utilizzo della tecnica multivariata di JOHANSEN verrà poi confrontato con l'utilizzo
della metodologia di ENGLE & GRANGER relativa al caso bivariato. Da entrambe le
metodologie emergerà la centralità del ruolo assunto dal tasso d'interesse Overnight
nella trasmissione degli impulsi di politica monetaria.
Nel capitolo IV, la stima della funzione di reazione della politica monetaria
pone l'accento su alcuni cambiamenti strutturali connessi con l'alternarsi dei regimi di
cambio, con una particolare attenzione al ruolo esercitato sul comportamento della
Banca d'Italia dal corridoio dei tassi ufficiali, dalla moneta, dalla dinamica inflattiva e
da altre variabili di natura finanziaria. Sebbene l'equazione non sia destinata a scopi
previsivi, l'analisi one-step forecast (previsioni un periodo in avanti), abbinata con
un'analisi di stabilità strutturale, permette di evidenziare alcuni limiti nella capacità
esplicativa della funzione di reazione, soprattutto nel corso del 1998, cioè in un periodo
caratterizzato dalla progressiva integrazione tra i mercati finanziari europei e dal
sempre maggiore coordinamento tra le banche centrali delle nazioni che parteciperanno
alla Moneta Unica (e quindi all'Eurosistema).
Infine, nel capitolo V, è effettuata una stima finale delle quattro equazioni
relative ai tassi d'interesse Overnight, sui BOT a 3 mesi, sugli impieghi bancari a breve
termine e medio sui depositi. In questa fase si terranno in considerazione i risultati
prodotti nel capitolo III, relativamente all'esistenza di alcune relazioni di equilibrio di
lungo periodo tra i tassi d'interesse osservati. Le equazioni vengono formulate sulla
base di meccanismi di correzione dell'errore (MCE) che consentono di distinguere tra
dinamica di breve e dinamica di lungo periodo delle variabili osservate. A seguito di
uno shock nel sistema, i tassi d'interesse possono divergere, nel breve periodo, dal loro
IV
valore di equilibrio, mentre nel lungo periodo si innescano meccanismi di
aggiustamento che tendono a ristabilire la situazione di equilibrio iniziale. Anche se la
forma strutturale delle equazioni non verrà stimata in modo simultaneo, sarà comunque
di grande utilità determinare la forma ridotta del modello, esplicitando la relazione
esistente tra variabili endogene e predeterminate. Questo permettera la realizzazione di
alcune simulazioni in grado di porre in luce le proprietà dinamiche di breve e di lungo
periodo del modello. Verranno quindi realizzate alcune previsioni dinamiche su vari
orizzonti temporali. Inoltre saranno analizzati gli effetti sui tassi d'interesse, nel breve e
nel lungo periodo, di alcuni tipici shock nel mercato monetario. Tra questi, la
variazione della pendenza del segmento a più breve termine della struttura per scadenza
dei tassi d'interesse o uno shock nella liquidità, con o senza interventi della banca
centrale. Saranno infine realizzate delle previsioni dinamiche condizionate alla
formulazione di uno scenario per le variabili esogene.
1
CAPITOLO I
IL MODELLO TEORICO DI RIFERIMENTO
2
1.1 Premessa
Obiettivo del presente lavoro è la costruzione di un modello econometrico in grado
di prevedere i tassi d’interesse nel segmento a breve termine del mercato finanziario ed in
particolare il tasso medio Overnight, il tasso dei BOT a 3 mesi, il tasso medio sui depositi
e quello sugli impieghi bancari a breve termine. Tale modello potrebbe essere di utile
supporto per la gestione della tesoreria di intermediari finanziari
1
.
All’interno della vasta gamma di modelli per la previsione
2
(qualitativi, statistico
matematici, finanziari, econometrici) i modelli econometrici presentano un più elevato
contenuto informativo e quindi hanno una valenza non solo previsionale ma anche di
analisi della struttura finanziaria permettendo di evidenziare il fondamentale ruolo
dell’autorità di politica monetaria nell’influenzare i tassi d’interesse. Il modello utilizza
un’analisi di tipo parziale, visto che considera solo le variabili più rilevanti del mercato
monetario escludendo gli effetti prodotti da altre determinanti esistenti nel sistema
economico (come variabili di quantità, sia reali che monetarie) che vengono considerate
esogene per ragioni di semplicità, oppure costanti. Questo non dovrebbe ridurne la validità
esplicativa soprattutto in un contesto di brevissimo periodo
3
.
La presenza di variabili esogene presuppone la necessità di formulare scenari o
comunque ipotesi di evoluzione coerenti delle esogene stesse per tutto l’orizzonte
temporale di previsione: in questo modo la previsione risulta condizionata a scenari che
devono risultare il più possibile coerenti
4
. Le difficoltà di formulazione dello scenario
(strettamente connesso agli orientamenti di politica monetaria) possono essere limitate
tramite:
1
FABRIZI, 1995.
2
COLOMBO, 1995.
3
TIRELLI, 1994, pag.300.
3
- la riduzione dell’orizzonte temporale di previsione
- la riduzione del numero delle variabili esogene
- la previsione delle variabili esogene con altri modelli econometrici o mediante
modelli della classe ARMA appositamente costruiti.
4
GABBI, 1995.
4
1.2. Alcuni aspetti dell'influenza della politica monetaria sui tassi d'interesse
Tra le variabili in grado di influenzare i tassi d’interesse sul mercato monetario un
ruolo di primaria importanza è quello svolto dagli interventi della banca centrale. Essa
possiede strumenti di regolazione della moneta che le permettono di influire sull’intera
struttura per scadenza dei tassi d’interesse ed in particolare sul segmento a breve termine
5
.
L’utilizzo di questi strumenti è funzionale al perseguimento degli obiettivi finali che la
politica monetaria si pone. Tuttavia strumenti e obiettivi costituiscono solo gli anelli
estremi di una catena che costituisce il canale di trasmissione tramite il quale l’azione di
politica monetaria può esplicare i suoi effetti. Comprendere il comportamento della banca
centrale permette di prevederne gli interventi sullo strumento di regolazione monetaria
utilizzato: per questo scopo è utile l’identificazione di una funzione di reazione
dell’autorità monetaria che metta in relazione gli scostamenti delle variabili dagli obiettivi
con lo strumento utilizzato per influenzarli: l’azione dell’autorità monetaria è posta in
condizione endogena all’interno di questo modello.
Nella disamina di obiettivi, strumenti e meccanismi di trasmissione particolare
attenzione sarà indirizzata agli ultimi 10 anni, in considerazione del fatto che la struttura
finanziaria e con essa l’azione di politica monetaria hanno subito profondi cambiamenti
nella seconda metà degli anni ’80 e nei primi anni ‘90. L’esigenza di avere serie
economiche temporali di dimensione sufficientemente elevata viene in questo modo
contemperata dalla necessità di costruire un modello per l’analisi e la previsione che sappia
cogliere, da un lato, gli aspetti più attuali della struttura di un mercato monetario in
continua evoluzione e, dall’altro, gli effetti connessi agli interventi della banca centrale.
5
BUTTIGLIONE - DEL GIOVANE - TRISTANI, 1997.
5
1.2.1 Gli obiettivi della Banca d’Italia negli anni ‘90
Nel corso degli anni ‘90 la Banca d’Italia ha progressivamente intensificato
l’importanza attribuita nella propria funzione obbiettivo alla stabilità del valore della
moneta, divenuta esplicitamente obiettivo prioritario della sua azione
6
. L’esplicitazione di
un tale obiettivo permette all’autorità di politica monetaria di responsabilizzare il proprio
comportamento (accountability), contribuendo così a rafforzarne l'autonomia
7
. Una
maggiore autonomia incrementa la credibilità nel perseguire gli obiettivi
8
se l’autorità
monetaria è vincolata al loro rispetto
9
, eliminando così il problema dell’incoerenza
temporale della politica monetaria generata dall’incentivo a deviare da una politica
monetaria non inflazionistica
10
. Sebbene questo vincolo non fosse espresso formalmente,
(la Costituzione Italiana parla solo di una generica tutela del risparmio
11
) si può
legittimamente sostenere che la necessità di ridurre il differenziale d'inflazione tra l’Italia e
gli altri paesi europei
12
, ai fini dell’ammissione dell’Italia nell'Unione Monetaria fin dal
1999, costituisse un vincolo così rilevante, per le autorità di politica fiscale e monetaria,
tale da intaccarne profondamente la reputazione in caso di mancato ingresso nell’area della
moneta unica europea
13
.
La presenza della Lira nello SME dal 1979 al settembre 1992 è stata funzionale al
contenimento dell’inflazione, considerato il vero obiettivo finale della politica monetaria
14
.
In questa fase, la variabile tasso di cambio può avere assunto rilevanza sia come variabile
6
BANCA D’ITALIA - Relazione Annuale - vari anni.
7
BRUNI – MONTI, 1992.
8
PITTALUGA – VERGA, pag. 584.
9
BRUNI – MONTI, 1992.
10
BARRO – GORDON, 1983.
11
Tuttavia il Governatore Fazio ha interpretato la tutela del risparmio nel senso di preservare il valore della
moneta.
12
Il rispetto del parametro relativo all’inflazione era considerato quello fondamentale per favorire il rispetto
di tutti gli altri parametri rilevanti. Per un approfondimento vedere MODIGLIANI - BALDASSARRE
(1996).
13
DEL GIOVANE – GRANDE, 1997.
6
intermedia sia come obbiettivo “quasi finale” essa stessa, essendo il tasso di cambio uno
dei prezzi della moneta
15
. La limitazione della variabilità del tasso di cambio all’interno
della banda di oscillazione consentita dall’AEC (Accordo Europeo di Cambio) poteva
contribuire a disciplinare il comportamento delle imprese in sede di fissazione dei prezzi in
seguito a una maggiore pressione della concorrenza internazionale
16
. In ogni caso, se il
tasso di inflazione poteva essere considerato l’obiettivo finale della politica monetaria,
questo obbiettivo veniva perseguito principalmente mediante il controllo del cambio
17
, il
quale ha così svolto il ruolo di principale “ancora” per la politica monetaria che,
controllando il cambio, cercava di influire sull’inflazione
18
. In realtà il tasso di cambio è
solo una delle determinanti dei prezzi, sulla cui dinamica incidono non solo la politica
monetaria, ma ad esempio anche quella fiscale e quella dei redditi. Attualmente la stabilità
del valore della moneta è l’obbiettivo prioritario comune di tutte le Banche Centrali
Nazionali appartenenti al SEBC.
19
La politica monetaria riesce ad influire sull’obbiettivo finale del tasso d’inflazione
con un certo ritardo, quindi i risultati dell’azione della banca centrale (b.c.) non possono
essere monitorati, se non dopo molti mesi: questo non è di aiuto per indirizzare l’azione
della b.c. che, nel breve periodo, non ha una possibilità di riscontro oggettivo circa la
validità della sua azione. Si rende per questo necessaria la predisposizione di obbiettivi
14
PITTALUGA-VERGA, 1994. SARCINELLI M., 1995.
15
SARCINELLI M., 1995, pag. 503.
16
Su questo ruolo svolto dagli AEC vi sono tuttavia dubbi a seguito delle frequenti modifiche della parità.
Tuttavia nel periodo 1979-92 il differenziale d’inflazione con le nazioni UE si è sensibilmente ridotto, anche
se non annullato (VISCO, 1995). Inoltre, sebbene la parità centrale della Lira abbia subito delle frequenti
modifiche, queste svalutazioni non hanno perfettamente compensato il differenziale d’inflazione con i
principali partner commerciali (VISCO, 1995), visto l’apprezzamento del tasso di cambio effettivo reale nel
periodo 1979-92 (BANCA D’ITALIA, 1997 – Relazione Annuale 1996, pag. 149).
17
BANCA D’ITALIA, 1993 - Relazione Annuale pag.159. In questo senso anche VISCO, 1995.
18
Al contrario, nel Settembre ‘92, la necessità di mantenere altissimi tassi d’interesse per rispettare la parità
della Lira divenuta insostenibile poteva alimentare aspettative di inflazione anzichè ridurle: la crescita dei
tassi, determinando un aumento del fabbisogno del settore statale, poteva generare inflazione tramite diverse
vie:
- aumento della domanda aggregata (a seguito della spesa pubblica per interessi),
- aspettative d’inflazione provocate da attese di finanziamento del fabbisogno del settore statale tramite
creazione di moneta.
7
intermedi per pilotare l’azione dell’autorità monetaria nel più breve termine, nei confronti
dei quali:
ξ l’effetto dell’impulso di policy si propaga più rapidamente,
ξ si evidenzia una relazione stabile con l’obbiettivo finale del tasso di inflazione, in
modo da influire in modo preventivamente determinabile su di esso: così facendo,
controllare l’obbiettivo intermedio equivale implicitamente a controllare quello finale.
Nei paesi nei quali l’obbiettivo intermedio è costituito da un qualche aggregato
monetario si parla di “monetary targeting”
20
(l’esempio più vicino a tale modello era
offerto dalla Germania, in cui la Bundesbank fissava, prima del trasferimento di funzioni
alla BCE (Banca Centrale Europea), fissava la crescita dell’aggregato monetario M3 come
obbiettivo più evidente della sua azione e coerentemente con l’obbiettivo finale del tasso
d’inflazione desiderato
21
). Secondo questo schema, derivato dall’analisi monetarista
22
,
conoscendo l’andamento tendenziale del PIL reale (e prendendolo come un dato, vista la
neutralità della moneta sul PIL reale nel lungo periodo) e verificata l’ipotesi della stabilità
della relazione tra moneta e PIL nominale, stabilire il tasso di crescita della moneta
significa implicitamente determinare un vincolo per il tasso di variazione dei prezzi nel
medio lungo periodo. A questo riguardo, la stabilità della relazione tra moneta e PIL
nominale nel corso della prima metà degli anni ‘90 è stata confermata in Italia da alcune
ricerche econometriche
23
.
Dopo l’abbandono dello SME nel settembre 1992, una maggiore rilevanza diretta è
stata attribuita dalla Banca d’Italia all’obiettivo finale del controllo dell’inflazione,
divenuto esplicitamente, in questo periodo, obiettivo prioritario della banca centrale
24
. Il
19
BANCA D’ITALIA, 1998 - Relazione Annuale. La Banca d’Italia è ritenuta parte integrante del SEBC in
virtù del D.Lgs.10 marzo 1998, n.43, art.2.
20
PITTALUGA, 1994.
21
VON HAGEN J.,1995.
22
FRIEDMAN M., 1968.
23
Per esempio in PITTALUGA – VERGA, 1995.
24
Considerazioni finali del Governatore Fazio, in BANCA D’ITALIA, 1994 – Relazione annuale.
8
nuovo sistema di determinazione dei salari
25
, non più indicizzati ma legati all’inflazione
programmata nel DPEF (Documento di Programmazione Economica e Finanziaria), ha
contribuito a rendere più credibile l’obiettivo di inflazione fissato dal governo, portando
inoltre la Banca d’Italia a considerarlo come valido obiettivo quantitativo finale per la sua
azione. Questo obiettivo è stato perseguito in particolare fissando obiettivi di crescita
dell’aggregato monetario M2 coerenti con il target fissato dal governo
26
. Tuttavia non
possiamo affermare che essa abbia seguito uno schema di monetary targeting simile a
quello tedesco, visto che la sua attenzione è stata indirizzata ad una molteplicità di
grandezze, sia monetarie, sia creditizie, sia reali in grado di anticipare l‘inflazione
27
.
Inoltre, aggregati più ampi di M2, quali le attività liquide o indici ponderati in base
al grado di liquidità come l’indice monetario DIVISIA
28
, possono svolgere un’utile
funzione in periodi di sostituzione tra attività finanziarie nel portafoglio delle famiglie
29
. In
questo quadro quindi, la crescita annunciata di M2 non rappresenta un vero e proprio
obbiettivo intermedio vincolante; M2 può avere svolto, in periodi di stabilità della
domanda di moneta, una funzione di variabile informativa anticipatrice della dinamica dei
prezzi
30
31
e quindi di utile “reference value”
32
, sia per la Banca d’Italia che per il mercato.
A questo proposito, secondo alcune analisi econometriche
33
, le variazioni della moneta
rispetto al sentiero di equilibrio anticipano l’inflazione in media di 10 mesi.
In alcuni paesi (Svezia, Finlandia, Regno Unito, Nuova Zelanda, Canada)
34
, la
mancata verifica empirica della stabilità della domanda di moneta ha spinto le autorità di
politica monetaria a non adottare un obbiettivo intermedio, ma di fare riferimento
25
Accordo sul costo del lavoro siglato dalle parti sociali del Luglio 1992, poi confermato nel 1993.
26
BANCA D’ITALIA, 1993, pag.175.
27
BANCA D’ITALIA, 1995, pag. 173.
28
BANCA D’ITALIA, Relazione annuale, vari anni.
29
BANCA D’ITALIA, 1998, Relazione annuale, pag.186.
30
FRIEDMANN BENJAMIN, 1994, per il ruolo di variabile informativa attribuibile agli aggregati monetari.
31
Un’analisi del valore informativo degli aggregati monetari è contenuta in ANGELONI – CIVIDINI, 1990.
32
Questo è anche il significato attualmente attribuito dalla BCE all’obbiettivo di crescita dell’aggregato
monetario M3. In proposito si veda DUISEMBERG W.,1998a.
33
PITTALUGA – VERGA, 1995.
34
DEL GIOVANE – GRANDE, 1997, pag. 159.
9
direttamente all’inflazione (inflation targeting), attraverso l’annuncio di un obbiettivo
quantitativo relativo al tasso di inflazione. In realtà anche in questo caso si fa uso di un
obiettivo intermedio: la previsione del tasso di crescita dei prezzi relativa ad un orizzonte
previsivo di lunghezza paragonabile al ritardo medio con il quale si esplicano gli effetti
della politica monetaria. Questo schema permette di massimizzare la visibilità della regola
di politica monetaria, (pregiudicando tuttavia il controllo del target
35
) il cui obbiettivo può
essere facilmente compreso da un pubblico più ampio, rispetto al caso di un target
monetario, vivibile solo ai tecnici: questo aiuta notevolmente ad influenzare le
aspettative
36
, le quali, se la b.c. è credibile, possono favorire un più rapido trasferimento
dell’impulso di politica monetaria all’obbiettivo finale, o possono incidere direttamente su
di esso
37
.
La necessità di incidere più profondamente sulle aspettative (a seguito dell’aumento
della loro rilevanza per la politica economica
38
e per favorire l’ingresso nella UEM
39
) può
spiegare la ragione per cui la Banca d’Italia ha dato avvio, nel 1995
40
, alla prassi di
annunciare un obbiettivo quantitativo esplicito relativo al tasso di crescita dell’indice dei
prezzi al consumo. Tale prassi tuttavia, non implica da sola il passaggio ad uno schema di
inflation targeting, visto che rimane l’indicazione dell’obiettivo in termini di M2
(obbiettivo che sembra essere stato molto meno vincolante per la Banca d’Italia).
Comunque, dal 1995, il modello di politica monetaria della Banca d’Italia sembra avere
35
CUKIERMAN 1995 in “Inflation targets”.
36
CUKIERMAN 1995 in “Inflation targets”.
37
Per i canali tramite i quali, attraverso le aspettative, la B.C. può influire sull’inflazione si rinvia a BANCA
D’ITALIA, 1996, Relazione Annuale, pag. 168.
38
BANCA D’ITALIA, Relazione Annuale, vari anni.
39
FRATTIANI M., 1995.
40
FAZIO A., 1995, “Le considerazioni finali del Governatore”, BANCA D’ITALIA e inoltre 1996, 1997,
1998, Relazione Annuale.
10
avuto alcune rilevanti affinità con uno schema di inflation targeting
41
le cui caratteristiche
sono così riassumibili
42
:
a) instabilità della relazione tra moneta e PIL nominale
b) l’inflazione dipende prevalentemente dalla moneta
c) annuncio di un esplicito obbiettivo quantitativo relativo al tasso di crescita
dell’indice dei prezzi al consumo
d) autonomia della banca centrale
e) fissazione di “state contingent-rule” (fissare obbiettivi quantitativi alternativi, in
relazione a possibili stati del mondo, cioè condizionare il raggiungimento del target al
verificarsi di particolari condizioni) oppure utilizzo di un indice dei prezzi più
“controllabile”, escludendo particolari componenti non influenzabili dalla politica
monetaria (imposte dirette, prezzi amministrati)
f) trasparenza dello schema di politica monetaria.
I punti a) e b) sono requisiti teorici che dovrebbero essere soddisfatti per
giustificare correttamente il ricorso a tale approccio. I punti d), e), f) favoriscono la
credibilità della banca centrale nel perseguire il target indicato. In particolare l’autonomia
permette di porre rimedio al problema dell’incoerenza temporale. In modelli del tipo
BARRO - GORDON (1983) ad esempio, l’eccessiva importanza attribuita ad obbiettivi
diversi da quello di inflazione (come l'obiettivo relativo al PIL), nella funzione di utilità
del policy maker, contribuisce a generare il problema dell’incoerenza temporale della
politica monetaria e quindi mina alla base la piena credibilità di una politica non
inflazionistica. Se al contrario l’obbiettivo prioritario fosse il tasso di inflazione
43
,
41
In realtà anche la Bundesbank attribuiva maggiore rilevanza all’obiettivo dell’inflazione rispetto a quello
monetario (FRATTIANI, 1995 e VON HAGEN, 1995), tuttavia è l’annuncio del target monetario ad
assumere una rilevanza maggiore.
42
DEL GIOVANE – GRANDE, 1997.
43
Come ad esempio propone ROGOFF, 1985.
11
l’incoerenza temporale verrebbe meno, o sarebbe meno rilevante. La maggiore importanza
dell’obbiettivo di stabilità dei prezzi deve tuttavia essere resa effettiva per divenire
credibile: questo si può realizzare tramite la nomina di un “banchiere centrale
conservatore”
44
il quale sarebbe vincolato al rispetto di questo obbiettivo, pena la perdita
della sua “reputazione anti-inflattiva”, o in alternativa tramite la netta separazione tra
autorità di politica monetaria ed autorità di politica fiscale (cioè tra b.c. e potere politico).
In questo caso l’autonomia della b.c. nel perseguire l’obbiettivo prioritario esplicito di
stabilità dei prezzi mira a produrre sulla credibilità lo stesso effetto producibile dal
banchiere centrale conservatore.
In merito al modello di politica monetaria adottato dalla Banca d’Italia è possibile
osservare:
I. Il punto a) ha cominciato ad essere soddisfatto solo nel 1997
45
, quando in
relazione a mutamenti nelle scelte di portafoglio del pubblico si è ridotto il ruolo di M2
come anticipatore della dinamica inflattiva. Per questo non è da ipotizzare che la Banca
d’Italia abbia adottato un obbiettivo quantitativo esplicito in termini di inflazione proprio a
seguito del venire meno del legame tra moneta e PIL nominale
46
. Tuttavia, l’instabilità
della relazione tra queste due variabili contribuisce a rafforzare la validità di questa
adozione.
II. Il punto b) non è soddisfatto visto che l’inflazione non è, ma soprattutto non è
ritenuta dalla Banca d’Italia un fenomeno esclusivamente monetario, ma dipende sia da
variabili monetarie che reali
47
. Tuttavia, in presenza di un efficace coordinamento tra
politica monetaria e fiscale
48
(come sembra nella sostanza essere avvenuto per rispettare i
parametri di Maastricht) e di una politica dei redditi coerente con l’obbiettivo
44
ROGOFF, 1985.
45
BANCA D’ITALIA, 1998, Relazione Annuale, pag. 186.
46
BANCA D’ITALIA, 1995.
47
BANCA D’ITALIA, 1995, pag. 172.
12
dell‘inflazione (basata sul tasso di inflazione programmato contenuto nel DPEF) si ha la
possibilità di non trascurare fondamentali fattori di influenza sui prezzi, basati sul deficit
pubblico (di cui è rilevante l’effetto sulle aspettative d’inflazione
49
) e sul costo del lavoro.
Di questo è stata consapevole la Banca d’Italia quando, in certe occasioni, ha condizionato
il raggiungimento del suo obbiettivo (esempio di state contingent-rule indicato in
precedenza al punto e) ) alla coerenza dell’orientamento della politica fiscale e dei
redditi
50
. L’isolamento dal target di fattori non sotto l’influenza della B. d’Italia è
avvenuto anche formulando obbiettivi che non comprendessero l’effetto di imposte dirette
o dei prezzi amministrati
51
(della cui necessità ho parlato al precedente punto e) ). In
questo contesto, anche se l’inflazione non è un fenomeno esclusivamente monetario, lo
schema di inflation targeting non perde la sua validità e credibilità.
III. L’autonomia della banca centrale è pienamente conseguita dal 1994 con
l’attuazione della riforma relativa la conto corrente di Tesoreria
52
.
IV. La coerenza del comportamento della b.c. ne aumenta la trasparenza.
Quest’ultima è particolarmente importante se la b.c. persegue direttamente un target di
inflazione, visto che il legame più distante tra strumento e obbiettivo comporta una minore
capacità di controllo
53
, sia da parte dell’autorità di politica monetaria, sia da parte del
pubblico, il quale con maggiore difficoltà riesce a controllare l’effettiva capacità
dell’autorità monetaria di influire sul target
54
. Questo problema di trasparenza può essere
limitato rendendo informazioni circa gli indicatori sui quali la b.c. fa affidamento per
l’attuazione della sua politica ed il modo con il quale reagisce ad essi. La tendenza ad
agire seguendo uno schema di inflation targeting, piuttosto che un monetary targeting, può
48
DEL GIOVANE – GRANDE, 1997.
49
BANCA D’ITALIA, 1995, pag. 172.
50
FAZIO A., Considerazioni finali, 1996, pag.11.
51
FAZIO A., Considerazioni finali, 1996, 1997.
52
In precedenza la piena attribuzione al Governatore di stabilire il TUS ed il coefficiente di riserva
obbligatoria sui depositi bancari avevano costituito un passo altrettanto importante nella direzione di una
maggiore autonomia.
53
Vedi nota 35.
13
essere evidenziata dalla importanza che la b.c. pone sulle previsioni di inflazione, rispetto
all’importanza attribuita agli aggregati monetari
55
. La Banca d’Italia ha sottolineato
56
la
grande importanza che essa attribuisce ad indicatori che forniscano informazioni
sull’inflazione futura con un anticipo equivalente al ritardo medio con il quale si esplicano
gli effetti degli impulsi di politica monetaria. Tra questi indicatori vi sono:
ξ previsioni di inflazione formulate all’interno della stessa B. d’Italia;
ξ aspettative di inflazione degli operatori (derivate dalla struttura per scadenza dei
tassi o tramite indagini campionarie su vari orizzonti temporali);
ξ dinamica effettiva dei prezzi ( anche relativi alla produzione industriale o alle
materie prime);
ξ dinamica effettiva del cambio;
ξ aggregati monetari (M2, Attività Liquide, indice DIVISIA), come variabili
informative in grado di anticipare la dinamica del PIL nominale e quindi dei prezzi)
57
.
Rimane tuttavia non precisato l’orizzonte temporale più rilevante al quale la b.c.
riferisce le sue previsioni di inflazione e quindi il ritardo temporale nella trasmissione
dell’impulso
58
; inoltre non vengono rese pubbliche le previsioni di inflazione formulate
all’interno dello stesso istituto, determinando così un’ulteriore differenza rispetto allo
schema di inflation targeting applicato ad esempio dalla Banca d’Inghilterra. Infine,
sebbene l’abbondanza di indicatori permetta di attuare un comportamento più flessibile
utilizzando quello che sembra più valido nel contesto specifico, essa non contribuisce a
dare trasparenza all’operato della banca centrale. Si hanno cioè difficoltà nel comprendere
54
DEL GIOVANE - GRANDE 1997, pag. 168.
55
BANCA D’ITALIA, 1998, Relazione Annuale, pag. 23.
56
BANCA D’ITALIA, 1997, Relazione Annuale, pag. 180.
57
In questo senso il ruolo di M2 sembra essersi ridotto nel corso del 1997 (BANCA D’ITALIA, 1998).
58
La variabilità del ritardo temporale determina la necessità per la BANCA D’ITALIA di riservarsi un certo
grado di flessibilità nel considerare molteplici orizzonti temporali di previsione.
14
quale sia quello più rilevante per la b.c. soprattutto nel caso in cui il loro andamento non
sia concorde
59
.
In conclusione, il comportamento della b.c. dal ‘95 ad oggi si è avvicinato
sensibilmente ad uno schema di inflation targeting, pur non presentandone tutti gli aspetti
essenziali. La Banca d’Italia si è riservata infatti un certo grado di flessibilità nell’utilizzo
di molteplici indicatori sia relativi ai prezzi che monetari limitando così la trasparenza
della sua azione; tra questi ultimi continua la prassi di indicare un obiettivo di crescita
dell’aggregato monetario M2 che, sebbene non possa essere inteso in senso vincolante,
contribuisce ad evidenziare una ulteriore differenza con gli schemi di inflation targeting e
monetary targeting generalmente applicati da altre banche centrali.
Verrà considerato quindi, come ipotesi di partenza, il riferimento della Banca
d’Italia ad un modello di gestione della politica monetaria a metà strada tra il targeting
d’inflazione ed il targeting monetario
60
, attendendo comunque che la rilevanza del primo
sia superiore rispetto a quella del secondo.
59
DEL GIOVANE - GRANDE 1997, pag. 169 in cui viene messo in risalto un parere di Samuel Brittan.
60
Un modello simile è attualmente adottato dalla Banca Centrale Europea, sebbene differisca sensibilmente
da quello della Banca d'Italia per quanto riguarda il livello di trasparenza.