3
trade-off tra reddito e numero di figli. Ecco quindi che l’inserimento di variabili demografiche
in modelli con capitale umano può dirsi avvenire in maniera abbastanza “naturale”.
Un’altra precisazione è necessaria quando si intende parlare di endogenizzazione dei
comportamenti che portano all’evoluzione delle variabili demografiche. In tutti i modelli
proposti dalla letteratura recente, infatti, si trascurano volutamente tutte quelle complicazioni
che riguardano scelte non razionali, ma basate su strutture di tipo etico o morale e si basano le
proposizioni dimostrabili sulla possibilità, per gli agenti rappresentativi, di avere un pieno
controllo delle proprie facoltà riproduttive guidato esclusivamente da preferenze di natura
economica.
Questo lavoro, partendo dalla discussione dei principali contributi proposti in letteratura
sulla relazione fra variabili economiche e variabili demografiche, si propone di studiare la
caduta dei tasso di fecondità in un modello di ottimizzazione intertemporale. Utilizzando il
contesto elaborato da Uzawa (1965) e reinterpretato da Lucas (1988) si introduce il numero di
figli nella struttura delle aspettative e si ipotizza che il numero di figli penalizzi
l’accumulazione di capitale umano e, per questa via, la formazione del reddito. E’ questo,
evidentemente, un contesto molto semplificato; tuttavia, sulla scorta di altri lavori presenti in
letteratura si ritiene che le informazioni teoriche che possono derivarsi siano di notevole
interesse.
Il presente lavoro inizia con una rassegna dei diversi approcci proposti storicamente dalla
letteratura economica per l’analisi del rapporto tra variabili economiche e variabili
demografiche, con particolare riferimento al tasso di fecondità. Nel secondo capitolo viene
affrontato il lavoro di ricerca vero e proprio; il modello di accumulazione di capitale umano di
Uzawa-Lucas viene proposto con l’introduzione di alcune modifiche per consentire al tasso di
fecondità di entrare a far parte della funzione di utilità degli agenti economici rappresentativi
assieme al livello del consumo. Inoltre, tale tasso è inserito anche nella funzione di
produzione del capitale umano la cui accumulazione ne risulta negativamente influenzata. Lo
studio dello stato stazionario del modello permette di formulare alcune proposizioni sulla
relazione fra variabili economiche e tasso di fecondità. In particolare, viene riprodotta la
relazione tra il tasso di crescita del capitale umano, e quindi del reddito, e il tasso di fecondità.
Le conclusioni ripercorreranno i risultati principali del lavoro.
4
CAPITOLO I
LA RELAZIONE TRA CRESCITA DELLA POPOLAZIONE
E CRESCITA ECONOMICA
1.1 - Introduzione
Questa sezione presenta una rassegna dei principali contributi offerti in letteratura a
proposito della relazione tra la crescita economica e alcune componenti della dinamica della
popolazione. Storicamente può dirsi, in termini molto generali, che l’iniziale attenzione per il
nesso tra variabili demografiche e variabili economiche presente in tutta la teoria economica
classica
2
è andata progressivamente spegnendosi per lasciare il passo ad un sostanziale
disinteresse per tali tematiche nelle teorie di stampo neoclassico. Ciò che accade è che, fino ad
anni relativamente vicini, i legami fra le variabili demografiche e l’economia reale sono del
tutto trascurati. Nel modello neoclassico, infatti, gli aggiustamenti si verificano nel tasso di
investimento del capitale fisico e non nel tasso di crescita della popolazione, esplicitamente
assunto come un dato esterno; lo stock di capitale fisico cresce più lentamente quando il
reddito pro-capite supera il suo livello di equilibrio mentre aumenta più rapidamente quando il
reddito pro-capite è al di sotto dell’equilibrio. In questo tipo di modellistica, inoltre, la forza
lavoro è interamente rappresentata dalla popolazione che si evolve secondo un tasso di
crescita indipendente dalle variabili del modello.
Solo recentemente si può parlare di un ritorno di attenzione per le relazioni esistenti tra
crescita della popolazione e dinamica economica anche se può dirsi che tale attenzione si sia
orientata con maggiore enfasi verso le relazioni esistenti tra crescita economica e implosione
della popolazione in molti paesi sviluppati, piuttosto che verso le implicazioni economiche
derivanti dall’esplosione demografica che caratterizza molti paesi in via di sviluppo.
Nell’ambito della “Nuova Teoria della Crescita”, infatti, sono diversi i contributi che
“internalizzano” almeno alcune delle componenti demografiche fondamentali. Tale letteratura,
peraltro, può essere divisa in due correnti complementari. La prima è rimasta nell’alveo della
tradizione neoclassica, lasciando esogeno il tasso di crescita dell’economia, ma
endogenizzando alcune variabili demografiche, mentre la seconda, allontanandosi
progressivamente dai dettami tradizionali, ha cercato di endogenizzare sia le dinamiche della
popolazione sia quelle della crescita economica.
Qui di seguito si approfondiranno i tre approcci fondamentali alle variabili demografiche
discussi in questo paragrafo
1.2 - Malthus e la teoria classica della crescita
L’inserimento di variabili demografiche in contesti di crescita risale alle origini della
scienza economica e diversi fra i primi pensatori economici si sono cimentati nel derivare utili
relazioni tra andamento della popolazione ed economia. Un posto tutto speciale fra questi
teorici è occupato dall’opera di Thomas Malthus (1798). Per questo autore, il modo in cui le
condizioni materiali dell’economia influiscono sulla fecondità e sulla mortalità costituisce un
2
Si pensi soprattutto a Malthus (1798) e Ricardo (1815).
5
elemento centrale dello sviluppo economico. Secondo il suo modello, la mortalità diminuisce
e la fecondità aumenta quando il reddito supera il livello di equilibrio, mentre l’opposto
accade quando il reddito è inferiore a quel livello. Come conseguenza, l’equilibrio dinamico
del modello di Malthus può considerarsi uno stato stazionario
3
in cui il tasso di crescita della
popolazione è determinato dal tasso di crescita dell’output. La popolazione costituisce il
meccanismo attraverso il quale il sistema raggiunge l’equilibrio
4
.
Un aspetto, spesso trascurato, del pensiero malthusiano riguarda il modo, che appare
sorprendentemente moderno, con cui egli ha risolto il problema del legame fra generazioni
attuali e quelle future. Egli, infatti, considera i figli come beni capitali recanti futuri servizi di
lavoro per i genitori; pertanto, le preferenze di procreazione dei genitori non possono non
essere considerate come variabili di scelta all’interno della loro funzione di ottimizzazione.
Sempre nell’ambito della teoria classica, Ricardo (1815), riprendendo il pensiero
malthusiano, cerca di sviluppare un modello di crescita il quale, a differenza di quello
malthusiano, fornisce una rappresentazione più rigorosa del perché la produzione di risorse
può aumentare solo aritmeticamente.
5
Nulla di nuovo è però offerto circa le relazioni tra
variabili demografiche ed economiche.
A conclusione di questo paragrafo può dirsi che il pensiero classico, per quanto suggestivo,
ha esercitato una scarsa influenza sulle moderne teorie della crescita, probabilmente perché
esso prevedeva che l’aumento degli standard di vita avrebbe inevitabilmente condotto ad una
crescita esplosiva della popolazione. Contrariamente a queste previsioni, infatti, eccetto che
nel caso limite di paesi o famiglie molto poveri, gli aumenti del reddito pro-capite si sono
universalmente accompagnati ad una riduzione dei tassi di fecondità e di mortalità,
contraddicendo con ciò le ipotesi malthusiane.
Sebbene tali riscontri storici non abbiano confermato le previsioni di Malthus, occorre
comunque sottolineare come tale approccio al problema della determinazione endogena dei
movimenti della popolazione ha avuto il pregio di tenere, nella dovuta considerazione, le
relazioni fra le variabili economiche e quelle demografiche con modalità che si sono
conservate, nella teoria economica, fino ad anni relativamente recenti.
1.3 - L’approccio della scuola neoclassica alla popolazione e la transizione verso la
letteratura attuale
Come discusso nel paragrafo precedente, il modello di crescita neoclassico trascura ogni
riferimento alle variabili demografiche (cfr. Solow 1956, e Cass - Koopmans 1965) e
considera un tasso di crescita della popolazione dato e non modificabile.
Per capire il contesto in cui questo avviene si consideri la funzione di produzione. La
formulazione Cobb-Douglas può scriversi:
3
Per stato stazionario o steady state si intende l’equilibrio di lungo periodo dell’economia.
4
Le idee malthusiane non sono interamente originali. Già prima di lui, un pensatore come Botero (1589) si
espresse a proposito del fatto che la fecondità umana crescesse fin tanto ché la quantità dei mezzi di sussistenza
lo avessero permesso.
5
In quest’ottica egli attribuì un ruolo significativo alla scarsezza delle terre coltivabili e alla legge dei rendimenti
decrescenti.
6
αα −
=
1
tt
LKY
dove
t
K è lo stock di capitale fisico,
t
L rappresenta il fattore lavoro, α è una costante
compresa tra zero e uno. Solo il caso dei rendimenti costanti di scala è consentito, mentre a
livello di singolo fattore produttivo vale la legge dei rendimenti decrescenti. La variazione
dello stock di capitale, che indichiamo come
dt
dK
K =
•
, è data dall’investimento netto, cioè dal
risparmio meno il deprezzamento. In termini analitici abbiamo:
tttt
KLsKK δ
αα
−=
−
•
1
dove s rappresenta la propensione marginale al risparmio e δ è il tasso di ammortamento del
capitale. A questo punto, il modello neoclassico suppone che la popolazione cresca ad un
tasso esogeno
L
L
n
•
= e che sia tutta impiegata nel processo produttivo. Se si definisce la
variabile
t
t
t
L
K
k = come il rapporto capitale-lavoro o semplicemente come lo stock di capitale
pro-capite si può, dopo derivazione rispetto al tempo, ottenere la seguente formula :
()
tt
t
ttt
t
t
knsk
L
LKLK
k +−=
−
=
••
•
δ
α
2
la quale rappresenta le modalità con le quali il livello del capitale pro-capite
t
k si aggiusta nel
tempo. L’equazione mostra che il capitale per lavoratore viene ridotto dalla crescita della
popolazione in modo del tutto analogo a come esso viene ridotto dagli ammortamenti. Gli
ammortamenti riducono
t
k in quanto una parte del capitale giunge al termine della sua vita
economica, mentre la crescita della popolazione riduce
t
k in quanto lo stock di capitale deve
essere rapportato a una popolazione più grande. Dividendo la precedente equazione per
t
k , si
ottiene la seguente espressione che rappresenta il tasso di crescita del capitale pro-capite:
()nsk
k
k
t
+−=
−
•
δ
α 1
Ora, essendo lo stato stazionario
6
quello stato in cui tutte le variabili crescono ad un tasso
costante, possiamo porre 0=
•
k
k
per ottenere l’espressione:
()nsk
t
+=
−
δ
α 1
6
Essendo lo stato stazionario l’equilibrio di lungo periodo dell’economia, quale che sia il livello iniziale di
capitale, l’economia finirà col pervenire allo stato uniforme dove 0=
⋅
k e
∗
= k
t
k .
7
dalla quale si evince come nello stato uniforme il risparmio
1−α
t
sk sia tale da consentire il
mantenimento del livello di capitale pro-capite.
Nello stato stazionario con tasso di crescita della popolazione pari a n, la quantità di
capitale per lavoratore di stato stazionario,
∗
k , e il prodotto per lavoratore di stato stazionario,
∗
y , rimangono invariati. Poiché la popolazione e quindi il numero dei lavoratori cresce a un
tasso n, il capitale totale e il prodotto totale dovranno anch’essi aumentare al tasso n. In questa
situazione, è evidente che il tasso di crescita della popolazione ha solamente un ruolo
“passivo” nel determinare il tasso di crescita del prodotto totale e non ha nessuna possibilità di
contribuire all’aggiustamento dell’economia sulla stato stazionario.
Come già anticipato nel paragrafo precedente, con l’avvento delle nuove teorie della
crescita e con la tendenza a spiegare all’interno dei modelli un numero sempre crescente di
variabili, è andato crescendo l’interesse per contributi che cercano di inserire anche variabili
demografiche nel complesso meccanismo della crescita economica. Il lavoro di Becker (1960)
può essere considerato come il primo serio tentativo in questo senso. Formalmente, Becker
introduce un tasso endogeno di fecondità nella funzione di scelta dei genitori. Egli riconosce
che i genitori manifestano preferenze sia per la quantità che per la qualità della loro
discendenza, intesa come un “bene di consumo”, che, al pari degli altri beni obbedisce alle
leggi economiche della domanda e dell’offerta.
1.4 - Modelli con popolazione endogena e tasso di crescita esogeno
E’ da sottolinearsi come l’inserimento delle variabili demografiche nella modellistica
economica è avvenuto dapprima all’interno del modello tradizionale solowiano che vedeva il
progresso tecnologico esogenamente determinato e solo successivamente all’interno della
nuova modellistica sulla crescita, dove, invece, anche il tasso di crescita dell’economia è
determinato dalle scelte ottimali effettuate dagli agenti rappresentativi.
La letteratura che ha considerato la fecondità come una variabile endogena ha indagato
sulle possibili relazioni che questa variabile demografica può avere, da una parte, con i diversi
aspetti della crescita economica e, dall’altra, con il livello della salute degli agenti
rappresentativi.
Limitando la nostra analisi al ruolo della fecondità e alle sue relazioni con i principali
aspetti della dinamica della crescita, un ruolo importante è ricoperto, in questa letteratura,
dalla funzione obiettivo dei genitori. Così come indicano Malthus (1798) e Becker (1960), due
sono le ragioni di fondo che possono spingere agenti rappresentativi razionali a mettere al
mondo dei figli. Una ragione riguarda la possibilità che i figli possano apportare benefici
materiali o psicologici alla famiglia. L’altra ragione ha a che fare, invece, col fatto che la
discendenza viene inserita nella funzione di utilità da massimizzare alla stregua di qualsiasi
altro bene di consumo. I benefici materiali sono di due tipi: i figli possono contribuire al
bilancio familiare con il lavoro oppure fungere come una sorta di assicurazione, non
necessariamente economica, per i genitori durante la vecchiaia. Anche i benefici di tipo
psicologico possono essere di diverso tipo e ciò dipende dal modo in cui i figli entrano nella
funzione di utilità dei genitori.
7
7
Si parla in tal caso di motivo “puramente altruistico”.
8
A seconda del motivo che spinge i genitori a mettere al mondo dei figli, gli autori
appartenenti a questa corrente, derivano relazioni di tipo diverso tra le variabili demografiche
ed economiche. Tra questi il Leibenstein (1963) è uno dei primi a rilevare come i programmi
di sicurezza sociale forniti dallo stato alle famiglie, in quanto alternativi al possibile supporto
fornito dai figli nell’anzianità, possano ridurre il tasso di fecondità. Cain (1983) sviluppa una
“Teoria del comportamento dei genitori” secondo la quale il numero di figli è deciso dai
genitori in funzione dei benefici materiali che essi possono apportare durante la vecchiaia.
Secondo l’autore, la percezione del numero minimo ottimale di figli, necessario per assicurare
loro un sostegno durante la vecchiaia, dipende da diversi fattori: la probabilità che hanno i
figli di raggiungere l’età adulta per poter fornire un adeguato supporto, l’aspettativa di un
adeguato livello di tale supporto e la disponibilità di altre fonti di sostegno alternative ai figli.
Becker (1988) propone un modello che analizza le modalità del trade-off tra numero dei figli,
qualità degli stessi (in termini di capitale, umano o fisico, investito) e livello dei consumi; le
scelte dei valori ottimali del consumo, del numero dei figli e della quantità del capitale
investito in ciascun figlio, da parte di genitori altruisti, avvengono tenendo conto dei costi
necessari per l’allevamento dei figli e della dipendenza della loro utilità da quella dei loro
figli. Becker e Barro (1988) ipotizzano una funzione di utilità “dinastica” dove genitori
altruisti verso i figli effettuano le loro scelte di fecondità e consumo ottimali. Da questa
assunzione segue che, in un’economia aperta, la fecondità dipende positivamente dal tasso di
interesse reale di lungo periodo, dal livello di altruismo e dalle probabilità di sopravvivenza
dei figli, e negativamente dal tasso di crescita del progresso tecnico. Barro e Becker (1989)
considerano invece una economia chiusa in cui genitori altruisti effettuano la scelta sulla
dimensione familiare tenendo conto dei livelli dei consumi, dei risparmi, del tasso di interesse
e dei trasferimenti intergenerazionali. Willis (1989) sviluppa un approccio teorico che può
essere utilizzato per sottoporre a tesi l’ipotesi che i figli fungano da assicurazione contro la
vecchiaia. Egli si aspetta di osservare una predominanza di questo motivo laddove vi sia
incertezza sulla longevità dei figli e il mercato delle rendite sia imperfetto. In questo caso, i
genitori dipenderebbero, durante la vecchiaia, in parte dai loro risparmi e in parte dai loro
figli. Di qui l’ipotesi che l’imperfezione del mercato delle rendite avrebbe l’effetto di
incoraggiare la fecondità.
Indipendentemente dal fatto che il motivo principale che spinge i genitori a mettere al
mondo i figli sia puramente altruistico oppure sia rappresentato dall’aspettativa di benefici
materiali o psicologici che facciano da assicurazione durante la vecchiaia, la qualità dei figli
costituisce una variabile di scelta dei genitori che influisce sul tasso di fecondità. Per qualità
dei figli si intende il livello di capitale umano da essi posseduto. Molti autori considerano
necessario, infatti, considerare congiuntamente la qualità e la quantità dei figli come variabili
di scelta dei genitori. Considerare l’una senza l’altra genererebbe fuorvianti conclusioni circa
le relazioni esistenti tra variabili demografiche e crescita economica. La prima sistematica
analisi dell’interazione tra qualità e quantità dei figli è offerta da Becker e Lewis (1973). Essi
considerano il caso di genitori che massimizzano una funzione di utilità in cui la qualità e la
quantità dei figli sono variabili distinte di scelta. Questo modello offre una semplice
spiegazione del fatto che la fecondità può essere correlata negativamente con il livello del
reddito. Invece di sottolineare il ruolo del livello del capitale umano dei figli, Eckstein e
Wolpin (1985) pongono l’accento sul ruolo giocato dal livello di capitale umano dei genitori.
Essi considerano il caso di genitori che non effettuano alcun investimento di capitale umano
nei loro figli e assumono che l’utilità dei genitori dipende dal livello del consumo e dal
numero di figli ma non dalla qualità di questi ultimi. Sotto l’assunzione che il reddito pro-
capite cresce continuamente a causa della accumulazione di capitale umano, il loro modello
genera uno scenario di prima crescente e poi calante tasso di fecondità, spiegando perciò una
9
delle caratteristiche della nota “Transizione Demografica”. Galor e Weil (1996) analizzano un
meccanismo originale che lega il tasso di fecondità alla crescita: la scelta del tasso di
fecondità ottimale è una funzione dei livelli dei salari relativi degli uomini e delle donne. Da
qui, più alti salari per le donne elevano i costi opportunità per l’allevamento dei figli più di
quanto non contribuiscano ad aumentare il reddito familiare. Ciò comporta una riduzione del
numero dei figli che le coppie scelgono di avere.
1.5 - Modelli con popolazione e crescita endogeni
L’approccio seguito dai modelli con popolazione e crescita endogeni si basa sul tentativo di
spiegare il processo di crescita dell’economia introducendo la dinamica demografica e il
comportamento degli operatori economici. Notevole, infatti, è l’interesse manifestato verso le
decisioni di procreazione delle famiglie rispetto alla quantità e alla qualità della prole, ai
trasferimenti intergenerazionali (tenendo conto delle aspettative circa i futuri tassi di
rendimento), ai redditi e ai prezzi, incorporando queste variabili in un modello di equilibrio
generale e dinamico.
In questo senso si spiega l’interesse manifestato verso l’analisi delle cause che hanno
portato le economie più sviluppate da uno stato di stagnazione dei redditi, con alta fecondità e
mortalità, verso un regime di crescita persistente in cui, prima la mortalità, poi la fecondità,
sono calate. Un fenomeno questo, noto come “Transizione Demografica”.
I primi tentativi di spiegare il fenomeno della transizione demografica sono stati rilevanti
nella loro acutezza ma incompleti. Tra questi citiamo il Notestein (1945) il quale ritiene che la
fecondità sia stata alta nella società antecedente quella moderna a causa dei convincimenti
religiosi e dei codici morali. Una alta fecondità è poi necessaria per contrastare un alto tasso di
mortalità.
Ancora più importante è, forse, il tentativo di studiare le relazioni che possono sussistere
tra le variabili demografiche e la produzione di capitale umano. In questo filone di ricerca
citiamo: Becker, Tamura e Murphy (1990) i quali cercano di dimostrare come il diverso tasso
di fecondità di un paese influisce sul rendimento del capitale umano del paese stesso. Ciò
costituisce il primo vero tentativo di offrire un modello di crescita in cui le variabili
demografiche influenzano quelle economiche e sono, contemporaneamente, da queste
influenzate. Questo lavoro fornisce, forse per la prima volta, una spiegazione plausibile e
fondata sul comportamento ottimizzante degli individui della transizione demografica; Ehrlich
e Lui (1991) offrono un approccio alternativo del rapporto che lega i genitori ai figli:
all’interno di un modello con generazioni sovrapposte le decisioni di investimento circa
l’entità dell’investimento in capitale umano verso i figli derivano da una combinazione di
altruismo e di valutazione dell’interesse personale. Il capitale umano costituisce, in questo
modello, il motore della crescita; Galor e Weil (1998) sviluppano un modello che riproduce
l’evoluzione della relazione tra crescita della popolazione, progresso tecnico e standard di
vita. Il cuore del modello si basa su una spiegazione originale del motivo per cui i genitori
preferiscono investire in qualità piuttosto che nella quantità dei loro figli. Secondo Galor e
Weil ciò avviene non per effetto di un determinato ed elevato livello dei redditi, bensì in
risposta ad un “disequilibrio” innescato dal progresso tecnico che alza il tasso di rendimento
dell’investimento in capitale umano, inducendo così alla sostituzione della qualità rispetto alla
quantità dei figli.
10
CAPITOLO II
UN MODELLO DI CRESCITA CON TASSO ENDOGENO DI
FECONDITÀ
2.1 – Introduzione
Il lavoro di Uzawa-Lucas (1988) sulla “meccanica dello sviluppo economico”, riproduce
un sistema economico chiuso con orizzonte temporale continuo e infinito, con due settori
produttivi. Nel primo settore si ha la produzione del bene fisico. Nel secondo settore, invece,
si ha la produzione di capitale umano. La produzione del secondo settore viene realizzata
utilizzando, come input, il capitale umano già accumulato e il tempo trascorso nello studio.
Possiamo interpretare il capitale umano come una misura del livello di istruzione dei soggetti:
un lavoratore dotato di capitale umano pari ad
1
h è, da un punto di vista produttivo, preferibile
ad un lavoratore dotato di capitale umano pari a
2
h , con
21
hh > . Si tratta di un’espressione
qualitativa del fattore lavoro che dal punto di vista formale si traduce in un fattore produttivo
distinto dal bene fisico. Ciò comporta alcune conseguenze rilevanti: l’esistenza di due
funzioni di produzione, una per il fattore produttivo fisico ed una per il capitale umano, e la
difficoltà di analisi che si crea nella dinamica del modello verso il raggiungimento dello stato
stazionario. Una volta raggiunto lo stato stazionario, il rapporto tra i due fattori deve rimanere
costante. Se questo non avviene, con il tendere del tempo all’infinito, il rapporto varia e uno
dei due fattori inevitabilmente si annulla; in questo modo l’economia torna ad avere un solo
settore.
Un elemento fondamentale, che ha reso questo modello una fonte di fruttuose discussioni
in letteratura, riguarda la considerazione di una tecnologia lineare nella funzione di
produzione del capitale umano.
L’esternalità
8
viene ormai riconosciuta come uno dei fattori per ottenere funzioni di
produzione che esprimono rendimenti costanti rispetto ai fattori accumulabili e rendimenti di
scala crescenti rispetto a tutti i fattori. Ciò viene riconosciuto come un fattore chiave per avere
crescita endogena. In realtà, nel lavoro di Lucas, essa non costituisce un fattore strettamente
necessario per avere crescita endogena, come avviene peraltro in altri modelli quali quello di
Barro della spesa pubblica (1990) o il modello “Learning by Doing” di Romer (1986). Nel
modello di Lucas, inoltre, tale fattore produttivo è presente anche nel primo settore.
2.2 – Un modello di crescita con tasso endogeno di fecondità
Si consideri un sistema economico chiuso composto da due settori produttivi con orizzonte
temporale continuo e infinito. La produzione del primo settore,
f
t
y , può essere utilizzata sia
8
L’esternalità consiste in un fattore di produzione la cui presenza i singoli agenti del mercato non sono in grado
di individuare ma che produce ugualmente degli effetti sulla produzione; tali effetti possono essere positivi o
negativi.
11
per il consumo sia per gli investimenti e viene ottenuta utilizzando capitale fisico,
t
k , e
capitale umano,
t
h , secondo la seguente funzione:
()
h
t
ttt
f
t
h
huAky
γαα
∧
−
=
1
dove f , all’apice, sta per final ed indica il settore finale, A è un parametro tecnologico, α è
l’elasticità della produzione rispetto al fattore produttivo fisico,
t
u è la frazione di capitale
umano dedicata alla produzione nel settore del capitale fisico,
t
h
∧
può essere considerato un
valore medio di capitale umano presente nel sistema economico, infine
h
γ è un fattore di
esternalità sul capitale umano, cioè un elemento che l’agente economico privato non
percepisce nella sua entità, in quanto pur sapendo che è presente nel sistema non riesce ad
identificarlo, a differenza del pianificatore sociale.
Tenendo conto del consumo,
t
c , il vincolo dell’accumulazione del capitale fisico sarà il
seguente:
()
t
h
t
tttt
f
tt
c
h
huAkcyk −=−=
∧
−
•
γαα 1
(2.P/1)
Ai lavoratori, dopo aver dedicato la frazione
t
u del loro tempo alla produzione del capitale
fisico, rimane la frazione ()
t
u−1 da dedicare alla produzione del capitale umano che cresce
secondo la seguente legge:
()
ε
δ
−
•
−== nuhyh
tt
e
t
t
1 (2.P/2)
dove e , all’apice, sta per education e indica il settore della produzione di conoscenza o del
capitale umano, δ è un parametro tecnologico, n indica il numero dei figli ed 0>ε
rappresenta l’elasticità della produzione del capitale umano rispetto alla fecondità. Si noti che
le due funzioni di produzione sono considerate, per semplicità, al netto del deprezzamento.
Per ragioni di maggiore chiarezza espositiva, in ciò che segue, faremo cadere il pedice t.
Le preferenze dei singoli operatori economici sono rappresentate dalla seguente funzione di
utilità logaritmica:
dtenc
t
tntutc
ρ
θθ
−
∞
−+
]ln)1(ln[
max
0
)(),(),(
(2.P/3)
con 0≥
t
c , 0≥
t
k , 0≥
t
h , 0≥
t
n , dove θ rappresenta il peso del consumo nella funzione di
utilità degli agenti economici e ()θ−1 rappresenta quello del numero dei figli; ρ è un fattore
positivo di sconto.
La soluzione del problema (2.P/i) con i=1,2,3, può determinarsi attraverso la costruzione
dell’Hamiltoniano in valore corrente, il quale ci consente di trovare il sentiero di crescita
ottimale costituito dalla combinazione di k, c, h, u ed n che massimizza (2.P/3), rispettando i
12
vincoli (2.P/1) e (2.P/2), date le condizioni iniziali () ()
00
0,0 hhkk == . Si definiscano tutti i
parametri come )θαρεγδω ,,,,,,
h
A≡ Ω∈ , dove ()1,0
42
××∈Ω
+++
RR .
2.3 - Soluzione di mercato
Poiché siamo interessati alla soluzione competitiva, l’agente rappresentativo percepisce
∧
h
come un dato. Il seguente Hamiltoniano in valore corrente ci consente di massimizzare il
problema dell’agente rappresentativo:
()[]() ( )[]
ε
γαα
δλλθθ
−
∧
−
−+
−+−+= nuhchuhAKncH
h
1ln1ln
2
1
1
(2.3)
dove
1
λ e
2
λ rappresentano i prezzi ombra, rispettivamente, del capitale fisico e del capitale
umano. Le variabili di controllo sono u, c ed n, mentre le variabili di stato sono k e h.
Per la risoluzione di questo tipo di problema di massimizzazione occorre calcolare prima di
tutto le condizioni del primo ordine. In particolare si dovrà porre:
a) le derivate dell’Hamiltoniano rispetto alle variabili di controllo uguali a zero;
b) le derivate dell’Hamiltoniano rispetto ai moltiplicatori di Lagrange uguali alla
variazione delle variabili di stato;
c) le derivate dell’Hamiltoniano rispetto alle variabili di stato uguali al moltiplicatore per
il tasso di sconto intertemporale meno la variazione del moltiplicatore stesso. Nel caso
dell’Hamiltoniano (2.3) avremo:
0=
∂
∂
c
H
;
1
1
λθ =
−
c (2.4)
0=
∂
∂
n
H
; () ()
ε
δελθ
−
−=− nuh 11
2
(2.5)
0=
∂
∂
u
H
; ()
ε
γααα
δλαλ
−
∧
−−
=− nhhhuAk
h
2
11
1
1 (2.6)
•
=
∂
∂
k
H
1
λ
; () chuhAkk
h
−=
−
•
γαα 1
(2.7)
•
=
∂
∂
h
H
2
λ
; ()
ε
δ
−
•
−= nuhh 1 (2.8)
•
−=
∂
∂
11
λρλ
k
H
; ()[]
h
huhkA
γαα
αλρλλ
−
−
•
−=
1
1
111
(2.9)
•
−=
∂
∂
22
λρλ
h
H
; ()[]()[]
εγααα
δλαλλρλ
−−−
•
−−−−= nuhuhAk
h
11
2
1
122
(2.10)
13
Il modello è consistente solo se si pone hh =
∧
, per cui, sostituendo, si può riscrivere come
segue:
()
εγααα
δλαλ
−+−−
=− nhhuAk
h
2
11
1
1 (2.6-bis)
k
c
huAk
k
k
h
−=
+−−−
•
γααα 111
(2.7-bis)
()
ε
δ
−
•
−= nu
h
h
1 (2.8-bis)
[]
h
huAk
γααα
αλρλλ
+−−−
•
−=
111
11
1
(2.9-bis)
()[]()[]
εααγα
δλαλρλλ
−−−
•
−−−−= nuuhAk
h
11
2
1
122
(2.10-bis)
più le due condizioni di trasversalità
9
:
0)()(lim
1
=
−
∞→
tkte
t
t
λ
ρ
(T1)
0)()(lim
2
=
−
∞→
thte
t
t
λ
ρ
(T2)
Le condizioni di trasversalità (T1) e (T2) rendono definita la soluzione che altrimenti
resterebbe solo generale. Esse, infatti, servono ad individuare, fra tutte le possibili traiettorie
che soddisfano il sistema canonico, quella particolare traiettoria che, date le condizioni iniziali
() ()
00
0,0 hhkk == , è in grado di massimizzare il problema dell’agente rappresentativo
ovvero di condurre all’equilibrio di stato stazionario.
Posto che le condizioni del primo ordine sono necessarie, ma non sufficienti, per stabilire
che l’eventuale soluzione che si troverà sia un massimo, si procede a calcolare le condizioni
del secondo ordine (Vedi discussione in Appendice Matematica 4.1). Dal calcolo delle
derivate seconde si evince che le condizioni del secondo ordine discriminano una condizione
di massimo se vengono rispettate le condizioni ()1<α , ()1<u e
+
<
α
α
1
u . In tale caso il
problema dell’agente rappresentativo è effettivamente massimizzato.
9
Per essere precisi, la condizione di trasversalità dovrebbe essere scritta nel modo seguente:
() () () ()[ ] 0lim
21
=+
−−
∞→
thtetkte
tt
t
λλ
ρρ
Appare chiaro che il soddisfacimento contemporaneo di (T1) e (T2), implica a fortiori anche questa condizione
singola.
14
2.3.1 - Studio dello stato stazionario
Con l’aggiunta del tasso di fecondità nella funzione di utilità nella funzione di produzione
del capitale umano, si ha a che fare con tre variabili di controllo. L’analisi dello stato
stazionario si baserà sulla utilizzazione delle condizioni del primo ordine, la cui combinazione
permetterà di ottenere le soluzioni di equilibrio della frazione del tempo di lavoro spesa nella
produzione del reddito e del tasso di fecondità. Inoltre, una volta determinati i tassi di crescita
di stato stazionario del capitale umano e del reddito, sarà possibile analizzare le relazioni
esistenti con il tasso di fecondità.
Dalla prima delle condizioni del primo ordine sull’Hamiltoniano (2.4), calcolando i
logaritmi e le derivate rispetto al tempo, si ottiene il tasso di crescita di stato stazionario del
consumo:
1
1
λ
λ
ξ
••
−==
c
c
c
(2.11)
Dalla condizione sull’Hamiltoniano (2.9), dividendo tutte e tre gli addendi per il
valore
1
λ , si ottiene la seguente espressione:
αγαα
λ
αρ
λ
λ
ξ
−+−−
•
−==
h
huAk
111
1
1
1
(2.12)
che rappresenta il tasso di crescita di stato stazionario del prezzo ombra del capitale fisico.
Sostituendo la (2.12) nella (2.11) si ottiene il tasso di crescita del consumo di stato
stazionario
10
:
ραξ
γααα
−==
+−−−
•
h
c
huAk
c
c
111
(2.13)
La condizione del primo ordine sull’Hamiltoniano (2.7) rappresenta il vincolo di bilancio
intertemporale dell’agente rappresentativo che percepisce l’esternalità come un dato.
Applicando il principio di consistenza e dividendo tale espressione per k, si ottiene
l’espressione (2.7-bis) che esprime il tasso di crescita del capitale fisico di stato stazionario
che indichiamo con il simbolo
k
ξ :
k
c
huAk
k
k
h
k
−==
+−−−
•
γααα
ξ
111
(2.7-bis)
10
Questo tasso di crescita del consumo non presenta il moltiplicatore
σ
1
, pari all’elasticità intertemporale di
sostituzione, come nel modello standard di Lucas originario, in quanto essendo in questo caso la funzione di
utilità di tipo logaritmico, essa presenta 1=σ .
15
L’equazione (2.8) rappresenta l’equazione di moto del capitale umano. Dividendo questa
espressione per h si ottiene l’espressione (2.8-bis) che esprime il tasso di crescita del capitale
umano. Si indichi questo con il simbolo
h
ξ :
()
ε
δξ
−
•
−== nu
h
h
h
1 (2.8-bis)
Dati i tassi di crescita precedentemente illustrati, può enunciarsi la seguente proposizione:
Proposizione 1. Nello stato stazionario vale l’uguaglianza:
kc
ξξξ == (2.14)
Dimostrazione:
Dalla relazione (2.13) che definisce il tasso di crescita del consumo, si ottiene la seguente
espressione equivalente:
h
c
huAk
γααα
α
ρξ
+−−−
=
+
111
(2.13-bis)
che sostituita nell’equazione (2.7-bis), da luogo alla seguente relazione:
k
c
k
k
c
k
−
+
==
•
α
ξρ
ξ (2.15)
Poiché nello stato stazionario
c
ξ e
k
ξ sono costanti , ne deriva che :
=−
+
=
k
c
k
c
ξ
α
ξρ
costante (2.16)
da cui applicando le derivate e i logaritmi si ha:
kc
k
k
c
c
ξξ ===
••
(2.17)
Q. E. D.
Data la proposizione 1 e le condizioni (2.13-bis)-(2.17), nello stato stazionario, consumo e
capitale devono crescere ad uno stesso tasso. L’inserimento del tasso di fecondità n all’interno
della funzione di produzione del capitale umano e nella struttura delle preferenze degli agenti
rappresentativi non comporta differenze, a proposito della relazione di equivalenza tra i tassi
di crescita del consumo e del capitale fisico, rispetto al modello di Lucas.
Determinati i tassi di crescita del consumo (2.13) e del capitale fisico (2.7-bis) di stato
stazionario e, dopo aver dimostrato che essi devono crescere ad uno stesso tasso, si procede
calcolando il tasso di crescita del capitale umano. A tal fine, indicato questo con il simbolo
h
ξ , può darsi il seguente lemma:
16
Lemma 2. Se vi è una esternalità positiva, cioè per 0>
h
γ , la seguente relazione lega, nello
stato stazionario, il tasso di crescita del capitale umano a quello del capitale fisico:
()
()
k
h
h
ξ
γα
α
ξ
+−
−
=
1
1
(2.18)
Dimostrazione:
Si parta dalla relazione (2.13-bis) che, come già detto, definisce il tasso di crescita del
consumo:
h
c
huAk
γααα
α
ρξ
+−−−
=
+
111
calcolando i logaritmi e le derivate, se u è costante, si ottiene la seguente relazione
11
:
()
k
k
h
h
h
••
+−
−
=
γα
α
1
1
la quale è equivalente alla (2.18).
Q. E. D.
La relazione (2.18) pone in evidenza il ruolo dell’esternalità positiva sul capitale umano.
Per 0=
h
γ , i tre tassi di crescita del capitale umano, del capitale fisico e del consumo
coinciderebbero. Anche in questo caso la presenza del tasso di fecondità non comporta alcuna
differenza rispetto ai risultati ottenuti dal modello Uzawa-Lucas.
Per ottenere il tasso di crescita di stato stazionario del prezzo ombra del capitale umano si
parta dalle due condizioni del primo ordine sull’Hamiltoniano (2.6-bis) e (2.10-bis).
Combinando le due condizioni si perviene al seguente risultato
12
:
ε
λ
δρ
λ
λ
ξ
−
•
−== n
2
2
2
(2.19)
Questo risultato mostra che il prezzo ombra del capitale umano diminuisce secondo un
tasso che è funzione della tecnologia presente nella produzione di capitale umano δ , del
numero dei figli n e dell’elasticità della produzione di capitale umano rispetto alla fecondità,
ε ; si noti come nel caso del modello di Uzawa-Lucas l’assenza del numero dei bambini e la
relativa non considerazione dell’elasticità, contribuiscono a determinare un tasso di crescita
del prezzo ombra del capitale umano pari, semplicemente, al valore negativo di δ .
Lemma 3. La seguente relazione esprime il tasso di crescita del capitale umano in funzione
dei parametri del modello:
11
Vedi Appendice Matematica 4.2
12
Vedi Appendice Matematica 4.2.
17
ρδξ
ε
−=
−
n
h
(2.0)
Dimostrazione:
Segue dalla combinazione delle relazioni (2.6-bis); (2.12), (2.14)e (2.19)
13
.
Q. E. D
Evidentemente, ai fini di una determinazione completa dei parametri, in funzione dei quali
è determinato il tasso di crescita del capitale umano nello stato stazionario, occorre pervenire
al valore di
∗
n che esprime il numero dei figli di equilibrio. Dalla (2.20) può darsi, comunque,
la seguente proposizione:
Proposizione 3.
Nello stato stazionario il tasso di crescita del capitale umano, dipende positivamente dal
parametro che indica la tecnologia del settore δ e, negativamente, dal tasso di sconto
intertemporale ρ , dal tasso di fecondità di stato stazionario
∗
n e dall’elasticità della
produzione di capitale umano rispetto a tale tasso, ε .
Dimostrazione:
Segue direttamente dalla dimostrazione del lemma 3.
Q. E. D.
Dalla considerazione del lemma 3 e della proposizione 3, a parità di valori assunti dai
parametri δ e ρ , il numero dei figli
∗
n , rappresentante il numero ottimale dei figli scelto
dagli agenti rappresentativi
14
e il valore assunto dall’elasticità nel settore della produzione di
capitale umanoε , influiscono sull’accumulazione di capitale umano. La relazione (2.20)
mostra che la scelta di una prole più numerosa penalizzerebbe la produzione di nuovo capitale
umano. Effetti analoghi sortirebbero per valori più elevati del parametro ε : per valori
crescenti dell’elasticità della produzione di capitale umano rispetto al numero dei figli si
determinerebbero valori più bassi del tasso di crescita del capitale umano.
Dal momento che, da quanto detto in sede di presentazione iniziale del modello, la
produzione del primo settore
f
t
y è ottenuta utilizzando capitale fisico k e capitale umano h,
dalla considerazione del lemma 3, relazione (2.20), si evince come il numero dei figli di stato
stazionario
∗
n influisce, indirettamente, sulla produzione del reddito; da quanto detto, può
darsi il seguente lemma:
Lemma 4. Nello stato stazionario, la seguente funzione esprime il tasso di crescita del
reddito:
()
()
[]()[]ρδαρδ
α
γα
αξ
εε
−−+−
−
+−
=
−∗−∗
)(1)(
1
1
nn
h
y
(2.21)
13
Vedi Appendice Matematica 4.2.
14
Vedi anche Becker, Tamura e Murphy (1990).