II
l’assetto partitico della prima Repubblica come un gigante dai piedi
d’argilla.
Negli anni novanta ha inizio una lunga e, per molti versi,
controversa transizione della quale, dopo dieci anni, non si è giunti
ancora ad uno sbocco definitivo. Per la sua importanza storica e per
fornire una cornice entro cui collocare le scelte degli elettori in questo
periodo, è opportuno soffermarsi brevemente su questo punto. La crisi
della prima Repubblica, come accennato, è stata determinata da una
varietà di condizioni che hanno interagito tra loro, rafforzandosi
vicendevolmente: la caduta del muro di Berlino, novembre 1989; il
referendum sulla preferenza unica, giugno 1991; l’indagine sulla
corruzione (Mani Pulite), febbraio 1992; la crisi generale della finanza
pubblica.
Tra queste, due in particolare sembrano aver esercitato un forte
impatto sul comportamento elettorale. In primo luogo, la caduta del
muro impose all’Italia, che era stata dominata dalla contrapposizione
comunismo/anticomunismo, una ristrutturazione complessiva delle
modalità di competizione politica e persino una ridefinizione degli
stessi protagonisti di quella competizione, a lungo definita
“democrazia bloccata”, in quanto priva di alternanza praticabile. Una
dinamica politica che aveva plasmato sia gli attori, sia gli elettori
attraverso la legge elettorale proporzionale, utilizzata fino ai livelli più
bassi del sistema politico [Pasquino 1995 e 2000].
In secondo luogo, l’impatto dei referendum elettorali (il primo fu
proprio quello sulla preferenza unica) sul sistema politico fu tale che
la nostra classe politica fu costretta a cambiare le regole elettorali di
quasi tutti i livelli di governo. I nuovi sistemi elettorali hanno
coniugato proporzionale e maggioritario, favorendo l’emergere di un
fenomeno (non del tutto nuovo) che sta caratterizzando la transizione:
la personalizzazione delle competizioni elettorali.
Storicamente lo studio del comportamento elettorale si è
sviluppato lungo due direttrici fondamentali: la prima avente come
unità d’analisi l’aggregato (cioè un certo insieme di voti), la seconda
(e più recente) avente come unità d’analisi l’individuo. Ciascuna delle
III
due linee di ricerche ha impiegato e impiega tecniche specifiche che
vanno rispettivamente dallo studio ecologico-comparativo, il quale si
serve prevalentemente di strumenti di tipo statistico-demografico,
storico e/o geografico, al sondaggio d’opinione ed al panel. In questo
lavoro si è scelta la prima tecnica, l’analisi aggregata, in un preciso
contesto, la città di Lecce, ed in un determinato periodo elettorale,
giugno 1999-aprile 2000. Si è studiato il comportamento di voto degli
elettori leccesi, nelle elezioni europee, provinciali e suppletive del 13
e 27 giugno 1999 e nelle consultazioni regionali del 16 aprile 2000,
attraverso l’analisi dei risultati elettorali sezione per sezione e facendo
uso delle tecniche statistiche basate sul coefficiente di correlazione.
Si è cercato di capire il processo di formazione delle scelte
odierne dell’elettorato, che sono alla base dell’intensa volatilità del
suo comportamento di voto, partendo dalla descrizione del quadro
storico delle elezioni a Lecce (capitolo primo). In questo ambito, si
sono potute individuare tre fasi principali, ognuna delle quali
caratterizzata per un diverso tipo di risposta dell’elettore, posta in
essere da vari condizioni strutturali proprie di ciascuna fase. Nel
secondo capitolo mi sono soffermato sulla crisi che ha investito lo
schieramento di centro del nostro sistema politico, ed in particolare la
Democrazia cristiana che ne era il fulcro, dopo le elezioni politiche del
5 aprile 1992 e dopo gli avvenimenti di quello stesso anno. Si sono
analizzate le vicende della Dc leccese e dei partiti che ne
raccoglieranno l’eredità, in corrispondenza con l’ascesa di un nuovo e
carismatico leader, Raffaele Fitto, le cui vicende caratterizzeranno
tutte le consultazioni elettorali a partire dalle regionali del 1990.
Dopo aver delineato questo percorso, per così dire storico, delle
elezioni a Lecce, l’attenzione si è spostata sulle consultazioni del
1999, che hanno visto un’elevata volatilità dell’elettorato. Si sono
studiate, in ultima analisi, le ragioni del successo del centrodestra, ed
in particolare di FI, alle elezioni europee del 13 giugno ed il suo
contestuale crollo nelle provinciali dello stesso giorno e nelle elezioni
suppletive di pochi giorni dopo. L’analisi dei risultati di queste
elezioni, svolta nel quinto capitolo, è stata preceduta (capitolo terzo)
IV
da un attento esame delle regole elettorali che ne sono alla base e che
in un quadro politico incerto possono determinare profondi mutamenti
dell’offerta politica (capitolo quarto) e, di conseguenza, della risposta
dell’elettorato.
Il lavoro si è concluso con l’analisi del voto regionale del 16
aprile 2000 (sesto capitolo). In questo contesto si sono verificate le
tendenze emerse nell’analisi del voto ’99, con particolare riferimento
al fenomeno della personalizzazione della competizione politica,
sfruttato abilmente dalla coalizione di centrodestra.
Durante la stesura della tesi ho potuto contare sui preziosi
suggerimenti e sulle osservazioni del mio relatore, il Prof. Roberto
Cartocci, a cui va il mio più cordiale ringraziamento. A conclusione
del mio percorso di studi desidero ringraziare affettuosamente i miei
genitori che, con umiltà e sacrifici, mi hanno dato la possibilità di
vivere serenamente quest’esperienza universitaria e di arricchire i miei
interessi e le mie conoscenze. Infine, un ringraziamento particolare va
a Giovanna, per avermi sostenuto e stimolato nei momenti difficili di
questi anni.
Capitolo primo
CINQUANTA ANNI DI ELEZIONI.
IL VOTO A LECCE DAL 1946 AL 1996.
Le attuali vicende elettorali della città di Lecce hanno radici
lontane. Sin dai primi anni cinquanta, infatti, emergono le
caratteristiche principali dell’elettore leccese, per molti versi
riscontrabili ancora oggi.
Variabili come la mobilità elettorale o la sensibilità dell’elettore
a candidature indipendenti e carismatiche, oggetto d’analisi in questo
lavoro, si possono ritrovare nel decennio 1950-‘60, quando le elezioni,
soprattutto quelle amministrative, riservavano risultati sorprendenti
non meno di quelli odierni.
Per questo, risulterebbe difficile leggere il voto di giugno ’99 in
assenza di un quadro storico, sia pur sommario, della politica locale
che, da sempre, e specialmente a Lecce, ha influenzato, direttamente o
indirettamente, i risultati delle elezioni a carattere nazionale e, di
conseguenza, la selezione e composizione della classe politica.
Inoltre, una superficiale lettura dell’andamento elettorale nel
Comune di Lecce (Tab. 1.2), senza un confronto con le vicende
politico-amministrative locali, ci indurrebbe a considerarla
semplicisticamente un’incontrastata roccaforte democristiana. Invece,
dietro le alte percentuali di voti che il partito democristiano
raccoglieva durante le elezioni politiche, sono nascoste evidenti
difficoltà di affermazione e di legittimazione. Tali difficoltà emersero,
soprattutto, nel dopoguerra e solo nella città di Lecce
1
. Negli altri
centri salentini, infatti, la Dc si era affermata da tempo in tutti i livelli
1
Solo nel dicembre 1960 la Dc andò al governo del Comune ed espresse il suo
primo cittadino: Alessandro Agrimi.
di governo.
Tuttavia, prima di affrontare l’analisi della storia elettorale farò
una breve descrizione del quadro socioeconomico della città.
1.1 Quadro socio economico della città di Lecce
La città di Lecce, nel 1991, contava 100.844 abitanti, di cui la
maggioranza (circa il 46%) ha un’età compresa tra i venti e i
quarantacinque anni. Nel corso degli anni il quadro socio-economico
ha subito profondi mutamenti. La città, infatti, dal dopoguerra ad oggi
ha vissuto un intenso processo di sviluppo e di trasformazione
2
che ha
fatto appiattire sempre più le differenze che essa aveva con altre città
del Nord industrializzato.
Al censimento Istat del 1991, il 72% della popolazione attiva
(pari al 40,5% di quella totale) aveva un’occupazione
3
, mentre il 10%
era disoccupato e circa il 18% risultava in cerca di un primo impiego.
Lecce, al pari di altri importanti centri del Mezzogiorno, ha
avuto un consistente processo di “recente industrializzazione” tale da
creare un vasto tessuto di piccole e medie imprese (con una media di
14 addetti ciascuna) per la maggior parte metalmeccaniche e tessili.
Per diversi anni, però, l’asse portante del sistema industriale leccese è
stata la Fiat Hitachi, dove si producono macchine per movimento
terra. La presenza di un insediamento industriale di così rilevanti
dimensioni ha comportato la crescita di un indotto di aziende legate ad
esso da rapporti di pura subfornitura. La crisi dell’azienda nei primi
anni ’90 ha costretto le numerose PMI legate ad essa a diversificare la
loro produzione. Molte di esse si sono inserite nel settore tessile, che
2
Gli analfabeti tra la metà degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’90 sono passati dal
34% all’1,8%. Contemporaneamente, anche i laureati sono aumentati dal 4 al 10%, grazie
al consistente contributo dato dall’Università degli Studi di Lecce, nata proprio a cavallo
dei primi anni ’60. Oggi il 29,5% della popolazione residente ha un diploma di scuola
superiore, il 31,3% ha la licenza media inferiore ed il 29% quella elementare.
3
Nel 1961 gli occupati erano solo il 34% della popolazione attiva, ulteriore
dimostrazione dell’intenso processo di sviluppo vissuto dalla città dal dopoguerra ad oggi.
in quel periodo viveva una fase di intenso sviluppo, le altre sono state
costrette a sospendere definitivamente la loro attività causando un
brusco aumento della disoccupazione.
In sostanza, il quadro socio-economico della città rileva l’assenza
di un robusto ceto imprenditoriale: “solo” il 19% della popolazione
attiva in condizione professionale è occupata nel settore industriale, la
restante parte è occupata per il 5% nel settore primario e per il 76%
nel settore terziario. Fin dagli anni ’50, infatti, Lecce è stata
caratterizzata da una fiorente attività commerciale che ha lasciato poco
spazio agli altri settori. Lo sviluppo del settore terziario è stato
facilitato, anche, dal rapido sviluppo della Banca del Salento, che in
poco tempo è divenuta il nucleo dell’economia salentina.
Attività v.a. %
Istruzione 5382 16,1
Commercio 5372 16,0
P.A. e Difesa 4505 13,4
Attività manifatturiere 4162 12,4
Sanità e altri servizi sociali 3295 9,8
Informatica e ricerca 2359 7,0
Edilizia 2055 6,1
Trasporti e comunicazioni 1775 5,3
Agricoltura e pesca 1682 5,0
Intermediazione monetaria-finanziaria 1570 4,7
Turismo 760 2,3
Altro 596 1,8
Totale 33513 100
Fonte: Elaborazione su dati Istat 1991
Tab. 1.1 Ripartizione degli occupati nel Comune di Lecce.
1.2. L’onda lunga della monarchia
Il 2 giugno 1946 il 54,3% degli italiani aveva scelto la
Repubblica, mentre il 79% dei leccesi aveva scelto la Monarchia. Una
percentuale altissima, ma che non dovrebbe sorprendere se
considerata con l’esiguità della vittoria repubblicana e con il
consistente numero di voti ottenuti in tutto il Sud dalla Monarchia
4
.
La peculiarità dell’influenza monarchica o, meglio, del Partito
monarchico, sulla vita politica leccese, è nella sua durata. Di fatto, il
Pnm (Partito nazionale monarchico) e, successivamente, il Pdium
(Partito d’unità monarchica) esercitò un ruolo chiave fino al 1967,
anno della scomparsa del loro leader più rappresentativo e
carismatico: Oronzo Massari.
Per capire quali furono le ragioni di una così lunga e importante
influenza, bisogna ricostruire brevemente le vicende e la situazione
della città nell’immediato dopoguerra.
La città era stata solo sfiorata dalle vicende belliche e per questo
poteva contare su una propria autosufficienza, conservando un certo
distacco ed isolamento, quasi a legarsi più con il passato prefascista
che a protendersi verso un futuro democratico.
Lecce era sostanzialmente al di fuori dei fremiti rivoluzionari,
lontana anche dall’Europa liberal-capitalista. Viveva quasi con
rassegnazione il suo mai vinto feudalesimo agrario, i suoi rapporti
sociali che sapevano d’antico, anzi di remoto, gelosa di preservarli
dalle novità di quegli anni e dalle rivoluzioni politiche che pure
avvenivano in Italia. Insomma alla caduta del fascismo Lecce tornava
all’antico, senza brividi di novità, con una specifica fede politica di
destra [Quarta 1991].
4
Al referendum istituzionale del 2 giugno 1946, a Lecce votarono 30.750 elettori
pari al 93% del totale (33.030). La Monarchia ottenne 23.285 voti, pari al 79%, contro i
6.186 della Repubblica (21%). I voti non validi furono 1.279. In Puglia la Monarchia
raccolse il 67,3% di suffragi, seconda solo alla Campania dove ebbe il 76,5%.
La conferma che viene nella scelta monarchica è sintomatica di
come questa città viva in modo tutto suo, dove anche il popolo, oltre
che le famiglie borghesi, sembra convinto della bontà dell’istituzione
monarchica. Gli anni che vanno dal ’43 al ‘50 sono quelli della
conservazione e si muovono intorno ad un quadro economico dove
prevale il settore primario.
1946 1948 1953 1958 1963 1968 1972 1976 1979 1983 1987
Elettori 33.030 36.071 39.732 - 46.797 49.803 53.058 60.936 63.842 70.355 73.189
Votanti 93,1 92,5 93,7 - 94,0 94,2 95,0 82,7 92,4 88,2 90,8
Voti non validi 4.654 929 2.174 1.573 1.745 1.685 1.554 2.480 3.559 3.709
Voti validi
Dc 24,7 43,4 33,8 38,1 38,0 37,0 39,7 41,1 41,1 35,4 37,9
Msi-Msi Dn 3,7 11,2 16,8 13 13 20,9 14,9 14,1 14,2 12,5
Udn 10,3
Pci 4,3 13,3 11,8 11,8 13 14,2 23,9 17,4 15,7 14,4
Pli 3 3,8 15,8 13,6 6,8 1,9 4,1 5,3 3,2
Psi-Psu 3,7 6,5 8,2 12,9 6,5 7 9 11,4 13,8
Psiup 6,1 3,1 1
Psdi 2,5 3 5,3 0,4 4,2 3,1 3,6 4,3 3,2
Pri 7,5 2,6 1,7 1,5 1,1 4,3 4,4 4,5 3,5 5,8 5,4
Pnm-Pnma-Pdium 17,4 27,3 15,8 5,8 2,7
Lm 1,7
Pnp 4,8
Pmp 2,5
Pdup 1,9
Bnl 40,3 12
Verdi 3,8
Dp 2,2 1 1,4
Us 6,5
Fdp 13,5
Adn 1,2
Prad 1,4 3,9 2,1 3,1
Altri 7 1 0,6 0,2 1 2,3 0,1 1,6 1,2
Totale 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100
Fonte: Prefettura di Lecce, Ufficio elettorale
Tab. 1.2 Comune di Lecce. Andamento elettorale 1946-1987. Camera dei deputati
Va subito rilevato che ogni fenomeno politico doveva misurarsi
con la Chiesa locale che, in quegli anni, era impegnata intensamente
nella difesa dei valori tradizionali (anche in modo a volte esasperato,
puntando su molte credenze popolari) al fine di mantenere salda
l’influenza sulle coscienze popolari. Il fenomeno del Partito
monarchico negli anni ’50, seppure intriso di forte qualunquismo, è
giustificabile proprio per la condivisione di buona parte degli ideali
cattolici.
Solo quando il partito democristiano, verso la fine degli anni ’60,
riuscì ad appropriarsi di questi ideali e di questa base popolare fu in
grado di imporsi in modo notevole sulla scena politica cittadina. Allo
stesso modo, l’affermazione del Partito liberale a Lecce e l’elezione di
Agrimi (Dc) e Bonea (Pli) in Parlamento, negli anni ’60
5
, furono
determinate dall’apporto decisivo di voti ex-monarchici.
1.2.1 Lecce qualunquista
Il “fenomeno monarchico” è strettamente legato all’esplosione
del Partito dell’Uomo qualunque. Nelle elezioni amministrative
leccesi del 1946 l’Uq raccoglieva il 47,1% dei suffragi, pari alla
maggioranza assoluta dei seggi in consiglio comunale, conquistando il
diritto di avere un proprio esponente alla carica di primo cittadino
(Tab. 1.3).
E’ fuori dubbio che un ruolo importante nell’affermazione del
qualunquismo l’abbia avuto l’elevato livello di analfabetismo e, di
conseguenza, il basso grado di cultura presente a Lecce in quegli anni.
Tuttavia, altrettanto determinante era l’atmosfera di delusione per i
decenni passati che avevano mantenuto le popolazioni nella
sostanziale arretratezza; era la mancanza di prospettive chiare per
5
Nelle elezioni politiche per la Camera dei deputati del 1963 e del 1968 il Pli
divenne il secondo partito della città, passando dal 3,8% dei voti nelle elezioni del ’58
rispettivamente al 15,8% e al 13,6%, performance che non riuscì più a ripetere nelle tornate
elettorali successive (Tab. 1.2).
l’immediato futuro; ma era, anche, la miseria, la povertà che si
manifestava in quegli anni in tutta la sua durezza. Tutto ciò si inseriva
nella più generale volontà di vivere alla giornata, senza impegnarsi o
interessarsi minimamente della politica, verso la quale vi era un rifiuto
totale.
Periodo Sindaco Composizione giunta
Dic '46- Mar '48 Nacucchi Nicola (Uq) Uq, Monarchici
Mag '48- Giu '51 Martirano Gabriele (Indip.te) Pnm, Pli, Uq, Msi
Lug '51- Apr '58 Massari Oronzo (Pnm) Pnm, Pli, Msi
Giu '58- Nov '60 Nacucchi Nicola (Pdium) Pdium, Pli, Pri, Msi
Dic '60- Mar '63 Agrimi Alessandro (Dc) Dc, Pli, Psdi
Mag '63- Gen '65 Sellitto Francesco (Dc) Dc, Pli, Indip.ti
Gen '65- Ago '67 Sellitto Francesco (Dc) Dc, Pdium, Pli
a
, Indip.ti
b
Ago '67- Nov '67 Commissario prefettizio -
Gen '67 -Lug '69 Lecciso Pietro (Dc) Dc, Psu, Pri
Lug '69- Giu '70 Commissario prefettizio -
Lug '70- Mag '75 Capilungo Salvatore (Dc) Dc, Psi, Psu, Pri
Giu '75- Giu '77 Capilungo Salvatore (Dc) Dc, Psi, Psdi, Pri
Lug '77- Mag '83 Meleleo Salvatore (Dc) Dc, Psi, Psdi, Pri
Mag '83- Set '85 Giardiniero Ettore (Dc) Dc, Psi, Psdi, Pri
Set '85- Gen '86 Meleleo Salvatore (Dc) Dc, Psi, Psdi, Pri, Pli
Gen '86- Ott '88 Melica Augusto (Dc) Dc, Psi, Psdi, Pri, Pli
Ott '88-Nov '93 Corvaglia Francesco (Dc) Dc, Psi, Psdi, Pri, Pli
Nov '93-Nov '94 Ottorino Fiore (Dc) Dc, Psi, Psdi, Pri, Pli
Nov '94- Mag '95 Corvaglia Francesco (Dc) Dc, Psi, Psdi, Pri, Pli
Mag '95- Nov '97 Salvemini Gaetano (Pds) Pds, Ppi, Verdi, Rc, Sdi, Dini
Nov '97- Mag '98 Commissario prefettizio -
Mag '98- Poli Bortone Adriana (An) An, Fi, Segni, Ccd, Cdr, Urep
a
Da luglio 1966
b
Ne fanno parte i "massariani" staccati dal partito
Tab. 1.3 Composizione delle maggioranze che si sono insediate alla guida del
Comune di Lecce. 1946-1998
Fonte: Comune di Lecce, Ufficio elettorale
Mentre, altrove, le elezioni del ’46 erano occasione per imporre
le ragioni politiche della Dc e dei partiti di sinistra, a Lecce (ma, in
verità, non soltanto qui) erano l’occasione per il determinarsi di una
non scelta, dell’attesa, forse della riflessione, ma anche della protesta
[Quarta 1991].
La Dc leccese in questi anni trovava il terreno “occupato” dal
qualunquismo e dai monarchici e, per questo, faceva fatica ad
affermarsi al governo della città. Anche nelle elezioni politiche erano
evidenti tali difficoltà: nel 1953 la Dc perdeva quasi il 10% dei
consensi rispetto alle elezioni del ’48, mentre il Pnm li guadagnava
passando dal 17,4% al 27,3%, diventando il secondo partito della città.
Nel ’53 otteneva un buon risultato anche il Msi che passava dal 3,7%
all’11,2%
6
, affermandosi come una delle forze politiche di maggiore
importanza. I partiti di sinistra negli anni ’50 a Lecce svolgevano un
ruolo di secondo piano; solo il Pci superava il 10% dei voti, mentre il
Psi era in una fase di consolidamento.
La classe politica leccese era formata da personaggi che avranno
non poca influenza nelle vicende politiche future: l’Uq era
rappresentato in parlamento dal Sen. Nicola Nacucchi, già sindaco nel
1946; il Pci aveva in Giuseppe Calasso il suo esponente più in vista;
Vito Mario Stampacchia fu deputato della Costituente per il Psi;
infine, Giuseppe Grassi, massimo esponente del Bnl nel 1948 era
Ministro di Grazia e Giustizia.
Ma gli anni ’50 a Lecce erano caratterizzati, soprattutto, dalla
figura carismatica del monarchico Oronzo Massari, che per sette anni
era stato sindaco
7
e successivamente Senatore della Repubblica. Egli
6
Da allora il Msi a Lecce non scenderà più sotto questa percentuale di voti, anzi
aumenterà i suoi consensi (specialmente dopo la trasformazione in An) sino a giungere al
governo cittadino nel 1998 con Adriana Poli Bortone.
7
“Fu eletto sindaco di Lecce sempre con voti plebiscitari, ma quello che più
sorprende era che Massari non faceva campagna elettorale, pur essendo un abilissimo
oratore. Si limitava a sottoscrivere il foglio di accettazione della sua candidatura e per tutto
il periodo elettorale continuava nella sua professione di avvocato. Anche il comizio finale
(dalle 22 alle 24 dell’ultimo giorno della campagna elettorale), unico suo impegno, è
dubbio che lo intendesse come tale o non piuttosto come uno spettacolo da lui offerto
gratuitamente al pubblico. Quando parlava lui tutti gli altri comizi erano disertati e dopo di
lui c’era solo il vuoto ed il voto” (da “Oronzo Massari”, Amministrazione comunale di
Lecce, 1985).
rappresentava pienamente una certa invincibile voglia di indipendenza
dei leccesi (per molti versi riscontrabile ancora oggi), per i quali Lecce
doveva essere intesa come un’isola felice della politica e della cultura
nazionale. Un mondo a se stante, diverso, aristocraticamente isolato,
orgoglioso della sua autosufficienza. Massari aveva catturato una
grande fetta dell’elettorato moderato leccese e lo aveva spinto su
posizioni politiche poco in linea con la Costituzione italiana. Lecce
era diventata con lui un’isola barocca, fortemente qualunquista, che
non poteva evitare di scontrarsi prima o poi con le spinte dello
sviluppo economico [Quarta 1994 e 1998].
Fino al 1959, anno in cui i monarchici si spaccano dando vita al
Pdium, al quale Massari non aderisce, la sua influenza fu cruciale
nell’impedire alla Dc di andare al governo della città.
1.2.2 Dal crollo monarchico al centrosinistra
Gli anni sessanta vedevano a Lecce ancora protagonista Oronzo
Massari, ma la scena era occupata da uomini nuovi. Si tratta di anni
importantissimi, perché rappresentano il momento di passaggio da
un’epoca storica ad un’altra. Il superamento delle “pretese
monarchiche” consente alla città di aprirsi concretamente al nuovo,
allineandosi alle importanti novità politiche, economiche e sociali
nazionali. Personaggi come Agrimi e Bonea rappresentavano la voglia
di cambiamento politico e culturale che si respirava a Lecce in quegli
anni.
Fu la rottura nell’ambito della destra monarchica e qualunquista,
alla fine degli anni ’50, ad aprire la strada a nuove prospettive
economiche e politiche. Un evento cui aveva contribuito anche la Dc,
ormai impaziente di conquistare l’unico Comune del Salento che
ancora le mancava.
Il primo sindaco democristiano del dopoguerra fu l’avvocato
Alessandro Agrimi, che poteva contare su un legame politico-
personale con il neo Presidente del Consiglio Amintore Fanfani,
impegnatosi direttamente nella risoluzione del “caso Lecce”. Ormai,
anche la maggioranza dei parlamentari leccesi apparteneva alla Dc e
tra questi l’On. Codacci-Pisanelli, fondatore dell’Università salentina,
fu Ministro dei Rapporti col parlamento nel governo Fanfani.
Le elezioni politiche per la Camera dei deputati del 1963 e del
1968 ebbero, sostanzialmente, gli stessi risultati. La Dc si confermava
primo partito con il 38% dei voti, il Pli di Bonea balzava al 15,8% nel
’63 e al 13,6% nel ’68 diventando il secondo partito, il Msi, in leggera
flessione, si attestava intorno al 13%. I partiti di sinistra erano stabili
tra il 10 e il 13%. Da notare l’evidente aumento di consensi per il Pri
nel 1968: dall’1,1% del ’63 passava al 4,3%
8
.
Il dato più rilevante era la definitiva sconfitta ed uscita di scena
del Pdium, che pure aveva unito le forze del Pnm e del Pmp (Partito
monarchico popolare). Il crollo dei monarchici era consistente: Pnm e
Pmp nelle politiche del ’58 avevano raccolto più del 18% dei voti
nella sola città di Lecce, nel ’63 il Pdium non superò il 6% e nel ’68
raccolse appena il 2,7%. Tuttavia, l’elettorato leccese non aveva
dimenticato Oronzo Massari, che nelle comunali del 1964 si
ripresentava con una lista civica (naturalmente di stampo
monarchico), ottenendo un inaspettato trionfo: venne eletto in
consiglio comunale da più di 9.000 leccesi e la sua lista ottenne il
27,5% dei suffragi, a conferma che la monarchia a Lecce era Oronzo
Massari.
In Italia erano gli anni dei primi governi di centrosinistra ed
anche a Lecce il dibattito si sposta sulla possibilità di nuovi equilibri
politici, che incontravano subito molte resistenze.
8
Sono gli anni in cui segretario nazionale del partito era il leccese Oronzo Reale,
che in seguito ricoprirà più volte la carica di Ministro della Giustizia nei governi Moro.
Nonostante, Reale, non fosse eletto nella Circoscrizione leccese, ma in quella di Ancona,
esercitò un’indubbia influenza sul partito della sua città.