Introduzione Tra le contraddizioni del mondo odierno, non può non balzare agli
occhi un rapporto particolare tra la forma di governo degli Stati e le
religioni che entro i confini di quegli stati sono praticate.
Anche considerando esclusivamente le forme di governo
democratiche e secolarizzate, infatti, è impossibile non accorgersi che la
tradizione religiosa investe un ruolo sociale che va a influenzare l'operato
delle istituzioni. Quest'ambito di influenza riguarda la morale, termine di
interesse filosofico che è intesa, nella sua accezione più comune, come “il
presupposto spirituale del comportamento dell'uomo” (Dizionario Devoto-
Oli, ed.1990). Gian Enrico Rusconi, nell'introduzione alla raccolta “Lo
Stato secolarizzato nell'età post-secolare” , sostiene addirittura che:
la democrazia dovrebbe riconoscere alla propria base un
deficit strutturale di valori che soltanto la religione ovvero la tradizione
religiosa, specificamente cristiana, sarebbe in grado di colmare
offrendo al sistema democratico l'ethos di cui ha bisogno […] proprio
oggi nell'età postsecolare la religione è sollecitata a dare
pubblicamente le sue indicazioni morali. […] la religione-di-Chiesa
infatti viene interpellata non per il suo patrimonio teologico ma come
consulente morale.
(Rusconi 2008, pag.27)
Seguendo questa configurazione, sembrerebbe che la religione si
ponga come guida morale in una situazione di “vuoto etico” insito nella
democrazia; d'altra parte, come ricorda Francesco Traniello, un'analisi
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storico-lessicale degli aggettivi “laico” e “clericale” mette in luce come,
mentre il primo è applicabile ad una forma di governo, il secondo, dopo il
Risorgimento, si riscontra soltanto affiancato a termini come “partito”,
“giornale”, “scuola”: ambiti che non hanno a che fare tanto con le istituzioni
quanto con la società civile. Ciò indicherebbe che il clericalismo non è una
forma di governo in diretta concorrenza con lo stato laico e democratico,
ma una componente della società civile. I clericali tenderebbero dunque a
incidere, come partito, sulla struttura politica e sull’organizzazione dello
stato, ma senza identificarsi con esso.
Lo stato laico ammette i clericali al proprio interno, li
comprende come partito secondo i principi costituzionali, ma li
considera anche come forza potenzialmente eversiva nella misura in
cui sono portatori di un modello alternativo di stato che è lo stato
confessionale.
(Traniello 1990, p.20)
Questa considerazione porterebbe ad avallare quanto sostenuto in
precedenza; ovvero, che non esiste più un dualismo manicheo tra laicismo
e clericalismo, ma che al contrario la religione fornirebbe un supporto
morale ai governi democratici secolarizzati. Nell'ambito delle riflessioni
storiche e politologiche, diversi pensatori si sono chiesti se possa esistere
qualcosa come una morale laica, slegata da qualsiasi religione
confessionale.
1
Il termine religione civile, già coniato da Rousseau, è stato
recentemente ripreso dallo storico Emilio Gentile, che lo usa per indicare:
una forma di sacralizzazione di un'entità politica collettiva che
1 Per un approfondimento a riguardo, cfr. Tullio-Altan (1995), Gentile (2001)
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non si identifica con l'ideologia di un particolare movimento politico,
afferma la separazione fra Stato e Chiesa, e, pur postulando
l'esistenza di un essere soprannaturale concepito deisticamente,
convive con le religioni istituzionali tradizionali senza identificarsi con
nessuna confessione religiosa particolare, ponendosi come un credo
civico comune sovrapartitico e sovraconfessionale, che riconosce
un'ampia autonomia al'individuo nei confronti della collettività
santificata e fa generalmente appello al consenso spontaneo per
l'osservanza dei comandamenti dell'etica pubblica e della liturgia
collettiva.
(Gentile 2001, p.208)
Nella riflessione di Gentile, il termine religione civile risulta
particolarmente calzante per gli Stati Uniti d'America e per la Repubblica
Francese; nella storia italiana invece si hanno avuto soltanto esperienze di
“religione politica”, ovvero un totalitarismo ammantato di misticismo; nelle
parole di Don Luigi Sturzo, un' idolatria collettiva (Sturzo, 1933).
Riguardo la situazione italiana contemporanea, esiste un dibattito
acceso ancora in corso sui livelli di ingerenza della guida morale della
chiesa cattolica nelle vicende politiche, e sulla possibilità di nascita, nel
nostro paese, di una religione civile che prenda il posto di questo rapporto
complesso. Questo dibattito è culminato negli ultimi anni nella polemica tra
due filosofi di spicco quali J ü rgen Habermas, tra i fondatori della Scuola di
Francoforte, e Paolo Flores d'Arcais, direttore della rivista MicroMega.
Laddove infatti Habermas rivendica la legittimità delle ragioni
religiose nello stato liberale (cfr. Habermas 2001), specificando però che
queste ragioni devono trovare una “traduzione” in termini laici, il filosofo
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italiano obietta che una concessione del genere porta con sé un grosso
rischio per la democrazia stessa; nelle parole di Flores d'Arcais si
tratterebbe di:
tenere fermi i principi democratico-liberali secondo un'esigente
versione repubblicana […], e allo stesso tempo riconoscere le
“ragioni” religiose in quanto tali – cioè le argomentazioni e le
motivazioni politiche che fanno ricorso a Dio – non solo come
legittime, ma anzi utili, e infine imprescindibili nel quadro della
convivenza democratico-liberale.
Tale riconoscimento, secondo Habermas, comporta addirittura
il dovere per i cittadini non credenti, di tradurre in termini laici le
“intuizioni” e le “ragioni” che il cittadino religioso sa esprimere solo in
termini comprensivi della sua esperienza di fede.
(Flores d'Arcais , 2007
2
)
Il che, per Flores d'Arcais, significa sostanzialmente mettere in
gioco in politica un pericoloso argomento assoluto, che lui definisce
argomento-Dio: un dogma retorico che non sempre, secondo il filosofo, è
possibile tradurre in termini laici; tanto che a esempio, come ha ammesso
il cardinale Tettamanzi durante un loro dialogo: “solo a partire da una
concezione antropologica che contempli la realtà di Dio – del Dio cristiano
– si può dire un «no » assoluto all'eutanasia” (ivi, pag.138).
Ed eccoci al punto di partenza di questo lavoro. Proprio il tema
dell'eutanasia, infatti, mette bene in luce questo particolare rapporto che
2 In MicroMega n°7, 2007. L'articolo è riportato per intero nella versione online della rivista, all'indirizzo
http://temi.repubblica.it/micromega-online/le-tentazioni-della-fede-undici-tesi-contro-habermas/
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etica laica e etica religiosa hanno nel nostro Paese, arrivando a
confliggere su alcuni punti e a compenetrarsi in altri, in una molteplicità di
posizioni sfaccettate che fatica a ricondursi a un dualismo netto. La
mancanza di chiarezza nei confini tra le due parti ha diverse conseguenze
pragmatiche, tra cui l'estrema difficoltà se non l'impossibilità di legiferare a
riguardo, il susseguirsi di sentenze contraddittorie da parte dei tribunali e
l'impossibilità da parte dello Stato di rispondere con un chiaro “sì” o un
altrettanto chiaro “no” alla richiesta di alcuni dei suoi cittadini di porre fine
alla propria vita o a quella di loro parenti in condizioni disperate, causando
calvari giudiziari e umani che si protraggono per anni e anni.
Due tra questi casi di sofferenza sono balzati negli ultimi anni
all'attenzione della cronaca, contribuendo a far oscillare e ridefinire confini,
definizioni e discussioni riguardo la cosiddetta bioetica , “l'etica della vita”.
Si tratta delle vicende umane di Eluana Englaro, in stato neurovegetativo
permanente dal 1992 in seguito a un incidente stradale e per cui da anni il
padre invocava la sospensione dell'alimentazione, e Piergiorgio Welby,
malato di sclerosi laterale amiotrofica, che si è rivolto al Presidente della
Repubblica per rivendicare il proprio “diritto a morire”. Nella storia di
queste due persone il problema medico e giuridico si compenetra così
strettamente con quello morale da farli apparire inscindibili, se non
addirittura in un rapporto di causa-effetto: la differenza tra le posizioni
etiche è, in buona sostanza, il motivo per cui non si riesce a legiferare una
volta e per tutte sull'argomento.
L'intento di questo lavoro è di seguire la trattazione che tre
quotidiani italiani ( Il Corriere della Sera , La Repubblica e Avvenire ) hanno
fatto dei casi Welby e Englaro, nel tentativo di definire le posizioni del
dibattito e i valori profondi soggiacenti alle parole vita , morte , dignità della
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vita , per comprendere le posizioni laiche, quelle religiose, e tentare di
definire se esista un terreno comune ad entrambe.
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Parte prima: il metodo.
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Capitolo 1
Il corpus d'analisi Il corpus che prenderò in considerazione consisterà negli articoli di
giornale che riguardano i due casi in analisi: per quanto riguarda
Piergiorgio Welby si va dal 23 Settembre 2006, giorno in cui è stato
pubblicato sui giornali il suo appello al Presidente della Repubblica, fino al
24 dicembre 2006, giorno in cui si sono tenuti i funerali laici. Per quanto
riguarda invece la vicenda Englaro mi concentrerò sugli articoli che vanno
dal 13 novembre 2008, giorno in cui la Corte di Cassazione ha respinto il
ricorso della procura di Milano contro l'interruzione di alimentazione e
idratazione artificiale, fino all'11 Febbraio 2008, giorno dei funerali della
ragazza.
In entrambi i casi ho scelto di escludere dall'analisi le vicende
giudiziarie che sono seguite, a carico l'una di Mario Riccio, il medico che
ha staccato la spina a Piergiorgio Welby, e l'altra di Beppino Englaro,
padre di Eluana che ha preso la decisione di interrompere l'alimentazione:
questa scelta è stata difficile, perché, come già notato da Galofaro (2009),
nelle vicende che riguardano l'eutanasia il discorso etico-religioso, quello
politico-mediatico e quello giuridico si intrecciano così strettamente che
diventa difficile scindere i legami tra questi temi e considerarli l'uno senza
l'altro.
In ogni caso, visto che il tema principale del lavoro è il dibattito
etico, mi concentrerò sulla definizione dell'Oggetto di Valore-Vita e sulle
assiologie in gioco, lasciando da parte il discorso, altrettanto articolato e
complesso, dell'aspetto giuridico, inquadrandolo solo in un momento finale
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come “sanzione” delle vicende in analisi.
1.1 Azioni, attori, corpi Per quanto riguarda l'analisi, mi soffermerò in un primo tempo sul li -
vello narrativo, cercando di individuare le diverse strategie di rappresenta -
zione del soggetto della vicenda, le modalizzazioni di cui è conferito e i va -
lori soggiacenti a ognuno dei tre racconti giornalistici imperniati sulla stes -
sa vicenda reale, per rilevare eventuali incoerenze o trasformazioni nelle
assiologie messe in gioco. A sostegno dell'analisi degli articoli di giornale e
dei relativi paratesti mi appoggerò ai concetti chiave espressi nel manuale
Semiotica del Testo Giornalistico di Anna Maria Lorusso e Patrizia Violi
(2004).
In secondo luogo, vorrei toccare il tema del corpo del paziente:
come viene ritratto, rappresentato, descritto. Già ad una lettura superficia -
le si può notare che, nel caso di Welby, si parla di un corpo malato, in pro -
gressiva decadenza, sostenuto da macchine, in cui la mente è lucida e la
volontà è forte; nel caso di Eluana Englaro, di un corpo in cui, non è possi -
bile stabilire con certezza se risieda ancora una mente (cfr. cap.3.5 del
presente lavoro). Diventa estremamente interessante, dunque, vedere la
come di questi corpi si parla, e come vengono ritratti (nel caso di Eluana
non sono state divulgate fotografie in stato neurovegetativo, ma risulta già
molto importante il fatto che l'idea di divulgarle o meno abbia scatenato un
dibattito acceso, così come sono interessanti i racconti che di questo cor -
po vengono fatti.) Per quanto riguarda questa parte dello studio, cercherò
di basarmi sulle teorie esplicitate da Jacques Fontanille nel saggio Figure
del Corpo (2004) : lo scopo sarà cercare di definire in che modo questi cor -
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pi malati fino ad essere costretti all'immobilità vengono ritratti nel loro (im -
possibile?) rapporto con il mondo.
In terzo luogo, cercherò di analizzare quella serie di racconti che
ognuno dei giornali porta a confronto con i casi Welby ed Englaro, molto
utili per individuare la chiave di lettura che ogni testata dà alle vicende
principali: questo raffronto non permette soltanto di far emergere in manie -
ra più evidente le categorie in gioco e le relative assiologie, ma consente
di riflettere sulla figura del malato e della sua posizione in società. Per ri -
flettere su questi temi mi avvarrò soprattutto delle teorie sostenute da Eric
Landowski nei saggi La Presence de l'Autre (1997) e La Società Riflessa
(1989) .
1.3 Cosa si intende per etica.
Non è semplice condensare in pochi paragrafi la lunga tradizione
filosofica che si occupa dell'etica: possiamo tentare una breve disamina
per avere un'idea del campo che andremo a trattare.
Il termine ethikà (neutro plurale dell’aggettivo ethikos ) è entrato in
uso con Aristotele, che con esso intitolò le sue trattazioni di filosofia della
pratica; poco piú tardi lo stoicismo designò con lo stesso aggettivo la terza
e suprema parte della filosofia, che, dopo la logica (dottrina della
conoscenza) e la fisica (dottrina della realtà), stabiliva come l’uomo si
dovesse praticamente comportare rispetto a questa realtà. Da allora in
poi, il termine è stato usato in filosofia come termine tecnico per designare
ogni dottrina che si venga elaborando speculativamente intorno al
problema del comportamento pratico dell’uomo. E' importante notare
come nell’antichità non si distingua tra etica e morale, essendo i due
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