3
Come su un’altalena, il primo movimento si lega ad un secondo.
Il primo serve a caricare, il secondo è uno slancio che spesso, di volta in volta,
si tenta di rendere sempre più proiettato in avanti. In questa familiare
meccanica riconosciamo una certezza: un movimento necessita sempre l’altro,
ed essi si susseguiranno immancabilmente. Il presente lavoro si è ritrovato,
senza volerlo, ad esprimere una dinamica del genere.
La spina dorsale del testo è costituita dall’analisi del pensiero di Karl Otto
Apel e quello di Michel Maffesoli. La voglia di accostare e confrontare le idee
di due pensatori così diversi tra loro nasce dal desiderio di rimanere sorpresi
nel momento in cui la comparazione regala la gioia di intuizioni inaspettate.
Se è vero, con Aristotele, che la filosofia nasce con la meraviglia, era giusto
inseguire il piacere di trovare una nuova finestra da cui affacciarsi sulle cose
del mondo, anche quando non la si stava veramente cercando.
Così, c’è un filosofo tedesco che, raccogliendo l’eredità kantiana, pone la
propria sensibilità a servizio della ricerca di un’etica universalmente
condivisa; segue un sociologo francese il quale, occupando la cattedra che un
tempo fu di Durkheim, individua nella società postmoderna la saturazione dei
valori fondanti della modernità, riconoscendo nelle espressioni neotribali
attuali un nomadismo comunitario fondato su una nuova dimensione
dell’ethos.
Ecco subito la domanda più ovvia: in questo nuovo tessuto sociale, sempre più
caratterizzato da manifestazioni aggreganti fondati su un nuovo senso estetico,
4
che richiama ai valori ancestrali della gioia della vita vissuta in prossemia,
fuori da qualsiasi impegno che non sia quello dello stare insieme l’uno per
l’altro in una dinamica orizzontale e mai più verticale, ebbene, in questo
contesto, è possibile riconoscere un’etica universale valida per tutti, di
fondazione trascendentale e che si affretti ad attualizzarsi ed estendersi nel
mondo delle persone, dai palazzi del potere fino all’ombra degli umili?
Una volta chiesto questo, si può passare ad una seconda questione, forse meno
ovvia della precedente ma senz’altro di eguale interesse e fondata su due
domande parallele: perché molti si affannano a cercare un linguaggio comune
che riesca a fondare un dialogo con la maggior parte dell’umanità? E perché,
allo stesso tempo, piccole o grandi comunità si chiudono, invece, nelle loro
realtà e cercano un proprio linguaggio, una propria identità, una propria radice
difendendosi strenuamente dall’imposizione di qualsiasi metalinguaggio?
Sono queste le due questioni che verranno scandagliate nel testo attraverso il
supporto degli studi e delle osservazioni di teorici che si sono occupati di tali
argomenti, ma soprattutto partendo proprio dal confronto dei due autori che ho
scelto di porre, questa volta, su un’altalena a coppia.
Apel è alla ricerca di un perfetto aprioico, di un principio trascendentale
astratto che goda di un’inaggirabilità incontestabile. È ciò che egli stesso
definisce parte fondativa A dell’etica del discorso; questa è caratterizzata dal
principio di corresponsabilità primordiale che lega tutti gli individui del
pianeta attraverso l’inaggirabilità del pensiero argomentativo. Una volta
5
compreso questo, è possibile definire una parte B dell’etica del discorso,
attraverso la quale si rendono attuali quei principi fondativi-trascendentali di
riferimento. Affinché succeda questo, è indispensabile che lo Stato di Diritto,
attraverso le sue storiche istituzioni della politica e dell’ economia, si
sostituisca alla corresponsabilità dei cittadini. Apel avverte tuttavia che non
sussistono oggi le condizioni tali affinché questa traslazione di responsabilità
avvenga. In altre parole, lo Stato fondato sull’economia capitalista e su una
cieca politica globalizzante non permette, attraverso l’occultamento degli
altri, degli esclusi dal discorso, un’accessibilità completa a tutti gli aspiranti
della comunità mondiale della comunicazione. Tuttavia, come lo stesso
filosofo tedesco tiene ad ammonire, l’incertezza della sua giusta soluzione
non toglie nulla della sua gravità.
Veniamo ora a Maffesoli. Qui abbiamo uno sguardo sulla realtà da un punto di
vista molto lontano e diverso da quello di Apel. Se quest’ultimo ha affrontato
l’inadeguatezza della condizione moderna da un punto di vista del “dover-
essere”, Maffesoli si sofferma piuttosto sui sintomi di questa situazione dal
punto di vista dell’ “essere”, un approccio micro che focalizza i
comportamenti neotribali di una società che “corteggia” lo spirito nomade. Il
sociologo francese vuole celebrare la morte della modernità e dei suoi valori;
addirittura, a volte, con la sua scrittura incalzante e solenne come solo il
6
quotidiano sa essere
1
, sembra danzare sulla sua tomba. I fenomeni di
aggregazione odierni sono l’indice di una sorta di nostalgia dell’arcaico,
paradossalmente nutrita e appoggiata dalle tecnologie dei nuovi media.
L’istituzione del sociale, divenuta ormai intollerabile, viene scongiurata
attraverso un ritorno alla socialità. È in atto un reincantamento supportato
dalle potenzialità della tecnologia che consente di ridare spazio alle molteplici
espressioni di sé fuori dai ruoli asfissianti del sociale. L’aura estetica che
caratterizza la nostalgia comunitaria alla base di questi fenomeni propone un
nuovo senso etico: è quello che scaturisce dall’essere insieme senza l’impegno
attribuito dall’alto, ma che proviene elusivamente dalla prossemia eticizzante.
Restituendo credito ai valori dionisiaci, all’anomia di un momento come
ordine fondante del domani, la forma estetica, la bellezza che poggia sul vuoto
possono diventare validi indici di eticità. Se si attribuisce il giusto peso alle
potenzialità della tecnologia e non si cade nel tranello di un virtuale ingordo
di identità, che appiattisce ed oscura la persona nel nulla, allora il faccia a
faccia comunitario si impone come il primo momento etico fondante, quello
che, riconoscendo un volto fuori dai ruoli del sistema, restituisce piena dignità
e valore alla persona.
Detto questo, si può ora salire sull’altalena.
1
In questo accostamento che somiglia ad un ossimoro è in realtà racchiuso un elemento
importante della sociologia di Maffesoli: il quotidiano si erge ad unico riferimento temporale
dell’uomo postmoderno, dove perfino il futuro diventa una somma di più “presenti”, o un
eterno presente; qui risiede la solennità che fa di ogni momento del presente un istante eterno,
contro l’ordinario e il normale solitamente attribuito al quotidiano.
7
Capitolo Primo
Karl Otto Apel. Per un’etica della comunicazione
“L’incertezza della sua giusta soluzione
non toglie nulla della sua gravità”.
K.O. Apel
8
1. Il discorso sull’etica (per un’etica del discorso)
L’apparato teorico che Apel pone alla base del fondamento di un’etica della
comunicazione universalmente intesa non è certamente di facile fruizione.
Questa complessità ermeneutica caratterizza, d’altra parte, il fascino e
l’originalità del suo pensiero che continua ad affacciarsi sulle questioni attuali
con la stessa urgenza e drammaticità – se con questo termine intendiamo
l’intensità della sua rappresentazione – degli anni settanta, periodo in cui
vedeva la luce l’opera Comunità e comunicazione
2
, uno dei testi fondamentali
del percorso etico del filosofo tedesco. Se in questo testo del 1977 trovano
spazio principalmente le analisi linguistiche che, partendo da Wittgenstein e
Heidegger, vengono sviluppate in prospettiva di un’analisi dell’etica delle
scienze, con i lavori successivi ed in particolare in Etica della comunicazione
ed etica della liberazione
3
, scritto a quattro mani con il filosofo argentino
Enrique Dussel, la ricerca apeliana si rivolge alla fondazione pragmatico-
trascendentale di una macroetica planetaria che sappia fondare la
responsabilità delle azioni umane. L’interesse e lo studio profuso dal nostro
autore nei confronti della scientistica e del suo superamento nell’ermeneutica
trascendentale, con l’intento di costruire una dottrina della scienza in chiave
2
K. O. Apel, Comunità e comunicazione, Rosemberg & Sellier, Torino, 1977
3
K.O. Apel - E. Dussel, a cura di A. Savignano, Etica della comunicazione e della
liberazione, Editrice scientifica Napoli, 2001
9
gnoseoantropologica, lo ha condotto infine ad avvertire l’inevitabile necessità
– fino ad esigerne la presenza – di un legame sovra-individuale che assume le
fattezze di un perfetto apriorico di kantiana memoria anche se – come
vedremo in seguito- dalla possibile fondazione pragmatica. Questa tensione
che ho voluto definire ‘esigenza’ di una corresponsabilità sovra-individuale
nasce dalla sensibilità di un osservatore sociale come Apel che avverte
l’impotenza del singolo di fronte ai vecchi e nuovi problemi della
responsabilità dell’umanità. Per il filosofo tedesco l’individuo si orienta
ancora oggi secondo la tradizionale etica, la quale, si tratti di un’etica
religiosa o kantiana, resta un’etica individuale. All’ etica del discorso viene
affidato il compito di superare il senso di impotenza individuale e di
“rendere cosciente la responsabilità di tutti gli uomini e forse anche in un
certo modo di organizzarla”
4
. In ogni contesto sociale dove non si esclude
una fondazione razionale dell’etica, un’ etica del discorso si impone in tutta la
sua essenziale urgenza come mezzo per rendere consapevole la
corresponsabilità degli uomini, organizzare in discorsi le divergenze di
opinione e mettere a frutto il sapere degli esperti. Apel non nasconde a tal
proposito come i mezzi di comunicazione possano oggi offrire corpo all’
anima del discorso. Il ruolo dei media dovrebbe infatti essere quello di
sottoporre problematiche, idee e soluzioni all’attenzione dell’opinione
pubblica sviluppando in essa una coscienza critica mondiale. Apel non ignora
4
Tratto dall’intervista L’etica della comunicazione, Napoli, Vivarium, 24 aprile 1991.
10
l’uso distorto e strumentale dei mezzi di informazione che, tra l’altro,
esercitano un’influenza negativa sui paesi del Terzo Mondo esaltando ed
“esportando” forme di violenza e consumismo di carattere occidentale. Il
filosofo tedesco riconosce terreno fertile per l’applicazione dell’etica del
discorso nei mille colloqui
5
della comunità illimitata della comunicazione. Il
discorso si pone come meta-istituzione di tutte le istituzioni e in quanto tale
“esso è già sempre un’istanza normativamente vincolante che non rimette gli
individui all’arbitrio del loro argomento soggettivo ma li costringe, perché
mantengano la comunicazione, a un dialogo intersoggettivo sulle norme
sociali”
6
. Tutti i livelli di discussione in cui viene incanalata ed organizzata
la corresponsabilità e la cooperazione degli uomini – cioè quella dei membri
5
K.O. Apel, Il concetto di corresponsabilità primordiale quale presupposto di una
macroetica planetaria, aprile 2001, relazione tenuta all’Università degli studi di Salerno
6
K. O. Apel, Comunità e comunicazione, op. cit., pag. 160
6
Hans Jonas, Il principio responsabilità, Einaudi, Torino, 1990. Il principio, secondo
l'autore, costituisce l'unica possibile alternativa all'utopia del principio speranza di Ernst
Bloch, nel dibattito morale contemporaneo. Il principio responsabilità si pone, nel momento
attuale, come il tentativo serio e concreto di rispondere al bisogno di un'etica per la civiltà
tecnologica. Il bisogno di questa etica nasce dalle contraddizioni che sorgono dal nostro
rapporto con la tecnologia, dalla fiducia che l'uomo ripone in questa, e dall'idea di progresso
che costituisce il motore immobile dell'avanzamento scientifico - tecnologico. Il vero
pericolo che minaccia il futuro dell'uomo è senza dubbio il suo credo incrollabile nella
scienza, la fede indiscussa nel metodo e nell'indagine razionale. Alla fiducia nelle possibilità
della scienza che portano ad applicazioni sempre più meravigliose e utili, Jonas contrappone
il ritorno alla frugalità nell'economia della terra, e ancora di più il rispetto per la natura, in cui
Jonas riconosce la presenza degli scopi. Che dalla natura provenga il ''dover essere''
dell'uomo è l'idea principale della fondazione del principio responsabilità, e a suffragio di
questa idea Jonas porta numerosissime e originali idee. Da questo nucleo principale si
sviluppa l'etica della responsabilità che ha l'obiettivo di ristabilire il giusto rapporto tra
l'uomo e sé stesso, tra l'uomo e la natura, rapporto che il punto di vista della scienza ha
interpretato in maniera univoca. Soprattutto nella discussione sulla bioetica l'uomo è
chiamato a fare delle scelte importanti, da cui dipenderà il suo futuro, e il principio
responsabilità, qui, vale soprattutto come appello per gli scienziati, affinché tengano presente
nel loro lavoro anche la dignità degli uomini che verranno.
11
delle differenti nazioni, ma anche quella dei membri dei diversi settori e
istituzioni dell’umanità – rientrano nell’ inaggirabilità dell’etica del discorso,
essenza stessa della comunità della comunicazione. L’esigenza di una
corresponsabilità pragmatico–trascendentale fondata nell’etica del discorso
scaturisce dall’incompletezza che Apel riconosce nelle precedenti proposte di
un’ etica su scala planetaria. A parlarne in questi termini fu anche Hans Jonas
nel 1979 nel suo libro Il principio responsabilità
7
. L’istanza centrale del
libro – secondo cui oggi noi dobbiamo assumerci una sorta di responsabilità
metafisica per la prosecuzione dell’essere dell’umanità - è apparsa a taluno
come un “utopismo della responsabilità”. In particolare si è criticata la pretesa
caratteristica di Jonas secondo cui diventa fondamentale assumere su scala
mondiale la responsabilità delle conseguenze – probabilmente irreversibili e
che comunque mutano la conditio humana – delle attività collettive degli
uomini in campo scientifico e tecnologico, ma anche nell’economia e nella
politica. Nei suoi confronti si è obiettato quanto Arnold Gehlen aveva
formulato nel suo libro del 1973 Morale ed ipermorale
8
, cioè che se si
volesse assumere la responsabilità per le conseguenze di attività collettive al
di là della sanzione e del controllo, significherebbe cadere nell’ipermorale: “il
termine ‘responsabilità’ ha senso perspicuo solo laddove qualcuno deve
rendere conto pubblicamente delle conseguenze del suo agire e lo sa; così il
8
Arnold Gehlen, Morale e ipermorale , un’ etica pluralistica, Ombre corte, Verona, 2001
12
politico del suo successo, l’industriale del mercato, l’impiegato della critica
dei suoi superiori o il lavoratore del controllo della sua prestazione”
9
.
Intellettualmente affine alla posizione di Jonas, Apel giudica ‘cinico’
l’atteggiamento critico di Gehlen nei confronti di un certo umanitarismo degli
intellettuali. In particolare Apel sfrutta la sua analisi dell’etica individuale per
collocarla proprio in quel recinto concettuale della tradizionale
responsabilità imputabile all’individuo che lui stesso si propone di superare
attraverso la fondazione pragmatico–trascendentale dell’etica del discorso. Da
qui la necessità di un’etica post-convenzionale che – comunque imputabile
individualmente senza per questo arenarsi al singolo – superi l’etica odierna
convenzionale definibile, per dirla con Hegel, ingenua eticità sostanziale
10
.
Questa morale convenzionale non è da ignorare. Se non altro perché Apel
riconosce che un’eventuale applicazione del modello di corresponsabilità
pragmatico-trascendentale verrebbe applicato in corso di storia: “ A mio
avviso dovremmo tener presente che la storia – anche la storia della
regolazione morale o giuridica dei conflitti – ha già avuto un suo inizio e che
quindi, nel mondo della vita, già sussiste una morale convenzionale, un’
‘ingenua eticità sostanziale’ la quale, dal punto di vista del principio del
discorso, può essere considerata come un compromesso tra la pretesa di
validità della giustizia e gli interessi strategici di auto-affermazione degli
9
K.O. Apel, Il concetto di corresponsabilità primordiale quale presupposto di una
macroetica planetaria, op. cit.
10
K. O. Apel, Etica della comunicazione, Jaca Book, Milano, 1992 pag. 47
13
individui e delle comunità concrete”
11
. E allora, una volta integrata la morale
classica con un’ etica post-convenzionale, chi è precisamente colui al quale
va imputata la responsabilità? Può ad esempio qualsiasi uomo o gruppo
umano essere responsabile per l’inquinamento dell’ atmosfera e per il
mutamento del clima indotto dall’industria nel suo insieme, o per il
progressivo impoverimento di parti del Terzo Mondo sulla base dell’ordine
economico mondiale vigente, o per l’interdipendenza tra la crisi ecologica e
l’indebitamento del Terzo Mondo che rende inevitabile la depredazione
dell’ambiente compiuto da parte degli stessi poveri autoctoni – vedi foreste
tropicali – oppure per l’esplosione demografica del Terzo Mondo che a sua
volta incrementa la crisi economica ed ecologica? Per dirla con Apel: “In che
modo un singolo consumatore o produttore del Primo Mondo potrebbe
sentirsi moralmente responsabile del fatto se, nello scambio tra materie
prime del sud e prodotti industriali del nord, i prezzi siano giusti o meno,
oppure se la Banca Mondiale o il Fondo Monetario Internazionale svolgano
le loro funzioni in modo moralmente corretto o meno? Se qualcuno, a tal
riguardo, tentasse comunque di prendere posizione in chiave di
responsabilità morale, si sentirebbe rispondere che l’ ‘ethos della
solidarietà’ rappresenta un tratto caratteristico e non generalizzabile delle
piccole comunità arcaiche (…). Esso si configurerebbe oggi come una
richiesta retorica che, se applicata all’economia internazionale, svolgerebbe
11
Ibidem.
14
soltanto una funzione nociva della pura ‘morale contrattuale’ (...)”
12
. Sono
solo alcuni esempi di responsabilità per le conseguenze e le implicazioni delle
attività collettive degli uomini, esempi che fanno apparire almeno come
comprensibile il diffuso sentimento di impotenza verso tale responsabilità .
Di fatto oggi vi sono non poche voci che ritengono del tutto non fondabile e
persino non necessaria una macroetica basata sulla responsabilità planetaria;
essi invitano ad attenersi ai moduli consueti della morale tradizionale inerente
alla forma di vita di ciascuno e a non cercare – con Kant – una bussola etica
per l’umanità. Apel sostiene che in una questione di tale rilevanza non
bisognerebbe desistere così presto. Dove risiede allora il carattere strutturale
di un’iniziativa volta a scoprire una responsabilità postconvenzionale e della
sua imputazione sperimentale? Il concetto tradizionale di responsabilità
individualmente imputabile almeno nella sua forma convenzionale parte dal
presupposto che la responsabilità, persino la nuova assunzione di
responsabilità, presuppone sempre delle istituzioni sociali o dei sistemi e
sottosistemi funzionali ( quelli della politica, del diritto, dell’economia, della
scienza, della tecnica, dell’educazione, oltre quelli basilari della famiglia, del
matrimonio, dell’amicizia e simili). Qui di fatto c’è sempre anche una
limitazione della responsabilità imputabile. Ad esempio, nel mondo
occidentale un imprenditore o un banchiere non può essere reso responsabile
del fatto che il sistema mondiale dell’economia, le cui condizioni dettano
12
Ivi pag. 14
15
largamente anche a lui le regole per la sua libertà d’azione, è a causa della
povertà e della distruzione dell’ambiente nel Terzo Mondo. Tuttavia si può
dire che oggi gli uomini – soprattutto gli uomini che hanno più sapere e
potere degli altri – non solo hanno una responsabilità imputabile nel quadro
delle istituzioni ovvero dei sistemi sociali, ma anche al di là di questi confini
tradizionali; vale a dire hanno su scala globale una responsabilità per
l’organizzazione di istituzioni e sistemi sociali, ovvero per la loro costante
revisione e trasformazione allo scopo di allontanare rischi di cui si prende
coscienza e di evitare effetti esterni negativi. Iniziative relative alla
responsabilità vengono prese di continuo, sia pure solo sul piano
dell’orientamento della conoscenza, quando ad esempio si pongono questioni
scientifiche e si fanno progetti di ricerca in vista della scoperta di rischi e di
potenziali responsabilità. Anzi, si può dire che la critica permanente di tutte le
istituzioni prevista negli Stati democratici da parte dei partiti politici e del
“pubblico ragionante” (Kant) funziona, per così dire, quale esercizio
metaistituzionale della responsabilità per la formazione e il controllo delle
funzioni collettive delle istituzioni. L’opinione pubblica nella sua critica
ragionata è la metaistituzione responsabile di tutte le istituzioni. Tuttavia,
nonostante questi accenni di una corresponsabilità post-convenzionale, siamo
ancora al confine del campo di una responsabilità imputabile individualmente
nell’ottica di un’etica tradizionale. È diverso, invece, se il partecipante alla
comunità della comunicazione – sia egli uno scienziato o un qualsiasi titolare
16
di un responsabilità nei riguardi delle conseguenze del suo agire – parte dal
presupposto che non sussiste ancora una responsabilità individualmente
imputabile, ma che tuttavia lui stesso e tutti quelli cui si rivolge per consiglio
e collaborazione, hanno per natura una corresponsabilità capace di mobilitare
(per le conseguenze e le implicazioni di attività collettive) quelle conseguenze
che oggi sono diventate così dirompenti. Pertanto, egli presuppone una
solidarietà della responsabilità umana che lo dispensa a priori dall’
attribuzione di una responsabilità globale da sostenere da solo, senza che ciò
consenta lui o qualsiasi altro di esonerarsi dalla corresponsabilità per i rischi
scoperti di recente e per le istituzioni da creare ancora. Qui viene alla luce un
nuovo concetto di responsabilità in quanto corresponsabilità; esso si
distingue nel suo paradigma dal concetto tradizionale di una responsabilità
imputabile individualmente. Questo concetto della corresponsabilità
introdotto in maniera sperimentale non esclude né rende superfluo – per Apel
– il concetto tradizionale di responsabilità imputabile individualmente. Anzi,
nel quadro delle istituzioni, la corresponsabilità di tutti si presuppone
esattamente per la nuova attribuzione - che avviene di continuo - di una
responsabilità imputabile individualmente. Proprio in questo appare
manifesto che gli uomini, sul piano della discussione e dell’ argomentare su
qualsiasi problema, hanno una responsabilità meta-istituzionale. E questo, in
fondo, si dà per scontato in una democrazia
13
.
13
Cfr. K.O. Apel, Il concetto di corresponsabilità primordiale, op. cit.