3
soprattutto ideologica dell’Italia post-risorgimantale: “la produzione
teatrale dell’epoca tende a fondare l’egemonia culturale della
borghesia italiana che, dal progetto della unità nazionale, passa ora
alla sua realizzazione, quindi all’uso, didattico e formativo, delle
sue istituzioni”
3
. Il consolidamento dei nuovi valori si riflette
inevitabilmente sul gusto del pubblico che ora sulla scena vuole
trovare una conferma ai propri ideali, niente più tragedie di stampo
manzoniano, quindi, ma solo drammi borghesi. Cardini del
fortunato genere teatrale sono la famiglia, il lavoro, il decoro
sociale e il denaro, inquadrati in una prospettiva attuale e vicina
alla quotidianità.
Una formula indispensabile poi per assicurare l’esito positivo ad
ogni testo destinato alla scena coincideva con lo sfruttamento della
situazione adulterina nell’ambito di uno schema fisso moglie-
marito-amante.
Bracco, che condivise questo particolare “humus” con gli altri
autori della nascente drammaturgia italiana – primi fra tutti Praga,
Verga, e Giacosa – diede alla sua produzione un tocco di originalità
prendendo via via le distanze dai soliti temi. Nel lungo percorso
compiuto dallo scrittore tra il debutto di Non fare ad altri (1886)
e la rappresentazione de I Pazzi (1929), approvazioni e consensi si
alternarono spesso a severi giudizi che lo hanno visto al centro di
dure polemiche letterarie: alcuni critici, confrontando l’opera di
Bracco prima con Ibsen e poi con Pirandello, lo accusarono di
“plagio spirituale”. Certo non mancarono di farsi sentire le voci di
3
F. Angelini e C. Madrignani, Cultura, narrativa e teatro nell’età del
positivismo. Editori Laterza, Bari 1990, pag.141.
4
difensori autorevoli, ma le colpe di “ibsenismo” e “pirandellismo”
pesarono ugualmente sulla sua fortuna artistica.
Per quanto riguarda i rapporti con il drammaturgo norvegese, il
nostro autore era ben consapevole delle differenze esistenti tra loro
e, non a caso, nel pieno della maturità, così scriveva ad un caro
amico riprendendo vecchie questioni: “A teatro, facendo il critico,
seppi dell’esistenza di Ibsen ( tre o quattro drammi). Allora Ibsen
aveva fama di filosofo e sembrava astruso. Io cominciai a spiegarlo
alle turbe, con una singolare semplicità. Entro la cinta daziaria di
Napoli, ero un apostolo di Ibsen. Ma se Ibsen avesse potuto leggere
quel che scrivevo, avrebbe forse respinto il mio apostolato, che
riduceva a esigue dosi la filosofia riconosciutagli ampia da critici
illustri. E l’apostolato mi procurò la nomea di ibseniano”.
4
Eppure, al di là di influenze più o meno fittizie, un filo sottile che li
unisce esiste davvero: la donna. “Uno spettro s’aggira per l’Europa
alla fine dell’Ottocento – dice Alonge – ma non è lo spettro del
comunismo”
5
, quanto piuttosto quello della “questione femminile”.
Concetti di indipendenza e autonomia, portati alla ribalta anche dai
moti risorgimentali, iniziano a circolare insieme all’esigenza di
infrangere le tradizionali gerarchie che da sempre avevano
caratterizzato l’istituto familiare. Prima in società e poi nel privato,
le donne manifestarono il bisogno di rimettere in discussione
l’ineguaglianza tra i sessi e di rivoluzionare i fondamenti del diritto,
4
R. Bracco in Lettere inedite di Roberto Bracco, a cura di L. M. Personè,
“L’Osservatore politico letterario”, anno III, n. 7, luglio 1957, pag.84.
5
R. Alonge, Teatro e spettacolo nel Secondo Ottocento. Editori Laterza, Bari
1988, pag. 105.
5
della politica e della filosofia, vere roccaforti della mentalità
maschilista.
Ibsen aveva piena coscienza dei cambiamenti che investirono il
XIX secolo e, con grande lucidità, nei suoi manoscritti affermava :
“Una donna non può essere se stessa nella società attuale che è una
società esclusivamente maschile, con leggi scritte da uomini e con
giudici e accusatori che giudicano il comportamento della donna da
un punto di vista maschile”
6
.
Nello scrittore napoletano l’impegno e la denuncia sociale non
ebbero certamente la forte caratterizzazione di tanti drammi
ibseniani, ma ciò non toglie che la figura femminile rivestisse nel
suo teatro un ruolo determinante.
Oggi che critici e registi sembra abbiano dimenticato la produzione
di Bracco, già caduta in disgrazia con il silenzio imposto dalla
censura fascista, il presente lavoro si propone di “riscoprirla”
attraverso l’esuberante vitalità delle sue “eroine”.
Sensibile anch’egli all’incerta condizione femminile di fine secolo,
Bracco affronta il problema in chiave molto personale e con un
senso di autentica partecipazione dando vita ad una vasta e
variegata schiera di personaggi: donne che amano, soffrono, si
sacrificano, lottano per difendere se stesse e i propri ideali, capaci
di soccombere materialmente, ma di uscire poi vittoriose dal
confronto morale con gli altri antagonisti.
6
H. Ibsen, Appunti per Casa di Bambola, in A. Reznicek, Ibsen in Italia.
Biblioscandia, Oslo1980.
6
Dalle commedie ai drammi, avremo modo di entrare in questo
multiforme universo femminile che trasuda umanità e di fronte al
quale Bracco si pone come un “complice” e un sostenitore.
“I contatti più diretti, i contatti preferiti del mio io col mondo –
scriveva sempre in una lettera - sono stati quelli con la Donna. (…)
A me pare che il mio teatro sia una continua esplicazione del mio
vero io nell’ambito della vita muliebre. Pur se nel mio vero io ( le
chiedo scusa della ripetizione insistente di questo “vero io” che
certamente rompe le scatole a lei come le rompe a me stesso) ci
siano stati moti estranei alla vita muliebre, non ho saputo
estrinsecarli altrimenti che mettendoli in relazione con la Donna”
7
:
la prima fonte d’ispirazione Bracco l’ha cercata in se stesso, nel suo
modo di vedere e sentire la vita, e quindi non solo nella letteratura
drammatica straniera, come alcuni critici hanno voluto più volte
sottolineare.
Lo scrittore ritrae le numerose protagoniste nei diversi ruoli che la
società impone loro all’interno e fuori del matrimonio,
preoccupandosi di mettere in risalto soprattutto il rapporto
conflittuale esistente tra i due sessi; ecco allora che Clara,
nell’Infedele (1894), dovrà usare tutta la sua malizia e femminilità
per “sottomettere” un marito stupidamente geloso, mentre Manina,
in Uno degli onesti (1900), sarà costretta a lottare contro un amante
ipocrita che vede in lei un puro strumento di piacere da tenere in
serbo durante le “fughe” extra-coniugali. Nei drammi, tra suicidi e
disperate rinunce, il dissidio uomo-donna sfiora momenti di forte
tensione e anche di grande tragicità; la storia di Clelia, in Una
7
R. Bracco, Lettere inedite, op. cit., pagg. 84-85.
7
donna (1892), è in questo senso esemplare perché rappresenta la
prima vera denuncia da parte di Bracco dell’egoismo e dell’ottusità
maschile. Le giovani “vittime” delle “pièce” successive devono
molto a lei, alla passionalità che ha dentro e al suo enorme spirito di
sacrificio e ne ricalcheranno inevitabilmente le orme.
Così anche Claudia, in Maternità (1903), e Graziella, in Notte di
Neve (1906), si uccidono con in grembo un figlio profondamente
desiderato, consapevoli che la cattiva sorte e la meschinità del
legittimo padre lo avrebbero senz’altro reso infelice. Da questi testi
emerge un’immagine avvilente dell’uomo, la cui limitata levatura
morale non può reggere il confronto con l’altro sesso, nemmeno
quando di fronte si trova una donna culturalmente inferiore: un
caso per tutti quello di Stefano, poeta sprezzante ma vuoto, che
nella Piccola fonte (1905) si rivela incapace di cogliere la forza
interiore di Teresa, la sua devota compagna.
Il discorso rimane pressappoco invariato per le due protagoniste di
Tragedie dell’anima (1899) e I fantasmi (1906): nel primo caso
Caterina deve aspettare la morte del proprio bambino, nato da un
fugace e insignificante incontro adulterino, per ottenere il perdono
del marito; nel secondo, invece, Giulia si vede costretta a giurare
fedeltà ad un uomo che, stretto dai morsi della gelosia, non crede
nella sua onestà e con le sue assurde fobie la perseguiterà in eterno.
Con I Pazzi (1922) arriviamo al termine della carriera di Bracco e,
come vedremo più avanti, la pubblicazione del dramma scatenò
subito un’animata disputa nel mondo della critica letteraria
originata soprattutto dal resoconto interamente negativo che
Adriano Tilgher espresse in merito su “Il Mondo”. Dall’accusa di
8
aver scritto un’opera “vecchia” e “superata” a quella di essersi
lasciato influenzare troppo da Pirandello, il passo fu breve. Intanto
Bracco rispondeva agli ennesimi giudizi malevoli con quella
“cordiale” e ironica disinvoltura che da sempre lo aveva distinto: “Il
mio caro Luigi?…Ma che! Scherzate. Ben felice sarei di sapermi
influenzato da lui. Sono stato uno dei suoi primi ammiratori! (…) Io
ho il torto di non conoscere nessuna delle sue commedie”
8
.
Ma a dare un taglio netto alla questione ci pensò il fascismo già a
partire dall’estate del 1929, quando la rappresentazione romana de I
Pazzi fu sospesa a metà del secondo atto per la rumorosa
indignazione delle camicie nere presenti in sala. Il padre spirituale
delle nostre eroine venne allora liquidato del tutto dal panorama
culturale italiano perché giudicato dalle autorità un intellettuale
“scomodo”, troppo convinto delle sue idee.
Conclusosi il ventennio e svanita la censura, a metà degli anni ’50
la figura di Bracco ancora non era andata in contro a quella
“necessaria rivalutazione”
9
che qualcuno invocava per lui; il
compito era reso più difficoltoso dall’inappelabile giudizio di Silvio
D’Amico, il quale riduceva i fondamenti della drammaturgia dello
scrittore “a schemi piuttosto puerili, con un modesto spolvero di
scienza positiva”
10
. Unica eccezione, stando alle sue parole, era
8
R. Bracco in un’intervista con E. Scaglione, Mezz’ora con l’autore dei Pazzi,
“Il Mondo”, 16 giugno 1922.
9
C. Giacchetti, Una necessaria rivalutazione, “La Sicilia del Popolo”, 7
settembre 1949.
10
S. D’Amico, Storia del teatro drammatico. Garzanti Editore, Milano 1953,
vol. IV, pag. 274.
9
rappresentata da Il Piccolo Santo (1912), un testo molto interessante
che attraverso il “non-detto” dei personaggi analizzava, con un
certo anticipo, i problemi del subconscio.
Visto che questo lavoro si propone anche come una “sfida”, non
affronteremo quei drammi unanimamente riconosciuti validi dalla
critica tradizionale, ma cercheremo di capire le ragioni storiche ed
estetiche che ancora oggi continuano a tenere le opere di Bracco
lontano dalle nostre scene. Riteniamo che il modo migliore per farlo
sia quello appunto di richiamare in causa “un autore dalla parte
delle donne”.
10
CAPITOLO I
LE COMMEDIE D’ESORDIO
La sera del 22 dicembre 1886, al Teatro Sannazzaro di Napoli,
viene data alle scene la commedia Non fare ad altri.... E’ la
Compagnia di Ermete Novelli a firmare l’atto di esordio di Roberto
Bracco : “la buona prova era fatta. Il giovane ebbe coscienza di
potere bene sfruttare le sue attitudini di scrittore teatrale”,
commenta Costagliola
11
. Sono quelle stesse attitudini che il
drammaturgo aveva dimostrato di possedere anche nelle numerose
novelle, da cui non smetterà mai di trarre spunti ed idee, veri e
propri germogli che si svilupperanno sulla ribalta.
Venuta alla luce per un caso fortuito (l’ozio forzato dell’autore per
un piccolo incidente) e grazie all’amicizia tra l’affermato
“mattatore”
12
e il giovane Bracco, la commedia conquistò subito il
pubblico : “il successo d’ilarità che ebbe a teatro fu vivissimo ; e
11
A. Costagliola, Roberto Bracco, “Nuova Antologia”, 16 ottobre 1908, pag. 580.
12
“Tra gli anni Settanta e gli anni Novanta si decide in Europa la partita per il dominio della
scena. Le consegne passano dall’attore al regista. In Italia invece il controllo della situazione è
tutto saldamente nelle mani dell’attore. Se qualcosa muta - in questo ultimo trentennio
dell’Ottocento - è solamente il sovrapporsi di una generazione ad un’altra di detentori della
sapienza attorica, con talune modificazione stilistiche e recitative, e qualche misurato
cambiamento terminologico : non più grandi attori bensì mattatori. (...) Una piccola parte l’ha
giocata anche l’avvento dei novelli italici drammaturghi”. R. Alonge, Teatro e spettacolo nel
secondo Ottocento, op. cit., pag. 135.
11
dopo tanti anni, con gran rammarico dell’autore ancora si
rinnova”
13
.
Veri protagonisti di questa piccola farsa sono le “gaffes” e gli
equivoci, ed è la situazione in se stessa, con le varie combinazioni e
sorprese, a rendere gustosa e piacevole la commedia.
L’intreccio poi è complicato e divertente: un tale viene arrestato
dal brigadiere e condotto nell’ufficio di Polizia perché sorpreso a
fuggire dalla casa del commissario. Interrogato proprio da questi,
lasciando trasparire una certa agitazione, subito confessa di essere
un ladro. La sua versione vacilla quando gli viene trovato indosso
un ritratto di Betta, moglie dello stesso commissario, con una
dedica alquanto compromettente.
La donna viene convocata immediatamente per fornire spiegazioni
sull’accaduto. Il marito, risoluto e con fare minaccioso, le mostra
per sbaglio un altro ritratto, che nella confusione è stato scambiato
con quello della serva, conservato gelosamente dal brigadiere come
segno della loro relazione amorosa.
Il maldestro “incidente probatorio” restituisce a Betta sicurezza e
persino audacia, tanto che risponde alle pesanti “illazioni” del
marito con sarcasmo apertamente offensivo.
L’analisi di questo breve atto unico è interessante sia per cogliere il
sottile umorismo delle battute iniziali, ancora acerbo rispetto alla
produzione della maturità, sia per il tema dell’infedeltà, dominante
in tanti altri testi.
La figura della moglie adultera appare con poche battute solo verso
la fine dell’opera, ma il carattere appena accennato, il suo repentino
13
P. Parisi, Roberto Bracco. Remo Sandron Editore,Palermo 1923, pagg.132-133.
12
cambiamento di umore, come quando davanti al commissario-
marito riconosce l’amante, sono elementi che “in nuce” ci
riconducono al migliore teatro di Bracco :
“Betta - (entra disinvolta) Son venuta io stessa a...(sorpresa e
sconcertata tra sé) Oscar !...(Al commissario, sforzandosi di
nascondere la sua profonda trepidazione) Son venuta io stessa
a...”
14
.
Colpisce della breve vicenda il fatto che il marito, una volta
scoperta la verità, non si mostra in collera con il presunto ladro, ma
solo con la propria moglie, come se fosse l’unica responsabile del
tradimento.
Grazie all’equivoco della fotografia, unica prova del misfatto, Betta
riesce, sebbene dalla parte del torto, a prendersi gioco del goffo
marito :
“IL COMMISSARIO - E’ stranissimo ! Ma udite, udite, moglie
mia, quest’altro particolare anche più strano. Io ho fatto perquisire il
ladro... Ebbene, gli è stato trovato indosso... (ringhiando) il vostro
ritratto ! (In fretta, cava di tasca una fotografia e gliela getta
innanzi)
BETTA- (raccogliendo il ritratto e animandosi d’ un subito) Il
ritratto della vostra serva !!?
IL COMMISSARIO - (in un sussulto di rabbia e mortificazione, tra
sé) Maledetto ! ...Mi sono sbagliato ! ...”
15
Nel teatro di Roberto Bracco questa è una situazione ricorrente :
all’immagine comune dell’uomo forte, del marito che deve essere
14
R. Bracco, Non fare ad altri... in Teatro. Remo Sandron Editore, Palermo 1922, Vol.
I, scena IV, pag.37.
15
R. Bracco, op. cit. , scena IV pagg.38-39.
13
rispettato, dell’egoismo maschile, il commediografo napoletano
oppone quella della donna scaltra, intrigante, pronta a mettere a
rischio il buon nome della famiglia per soddisfare le proprie
“inclinazioni” passionali.
E’ infatti sempre più tagliente il tono ironico con cui, nelle
ultimissime battute, Betta si rivolge al commissario, il quale non
riesce a trattenersi dal commettere l’ennesima “gaffe”:
“BETTA - (si avvicina al Commissario: gli sorride
sardonicamente, e, con voce melliflua, gli dice:) Quando amate sul
serio, caro Commissario, siete vendicativo coi vostri rivali. Avete
punito il brigadiere ... della serva; ma non avete sentito il bisogno di
punire il ladro... della moglie.
IL COMMISSARIO - (solenne) Signora! Vi prego di credere ...che
la legge non è uguale per tutti! Cioè no...che diavolo mi fate
dire!...”
16
Nel 1887, sempre agli esordi della carriera di drammaturgo, al
Sannazzaro di Napoli viene rappresentata per la prima volta dalla
Compagnia Pasta
17
la commedia in un atto Lui, lei, lui.
Siamo in presenza del tipico “triangolo borghese” : Giulio, il
marito, Clotilde, la moglie, e Federico, l’intimo amico di lui che si
innamora di lei.
16
R. Bracco, op. cit., scena V, pag.45.
17
Francesco Pasta (1839-1905) si avvicinò al teatro giovanissimo, ma solo nel 1872 si affermò
definitivamente come “primo attore assoluto” nella Compagnia N. 1 Bellotti-Bon, al fianco di
Adelaide Tessero. Dal ’76 al ’78 passò alla Compagnia N. 2 dove ebbe la possibilità di
confrontarsi con la celebre Pia Marchi-Maggi. Dopo qualche anno (1882), Pasta che “nella sua
austerità, nella sua perspicacia, nella sua freddezza presentiva tutti i requisiti del capocomico”
formò una compagnia propria in società con Annetta Campi, raccogliendo successi e consensi
per circa cinque anni. Luigi Rasi rimproverava all’attore romano l’eccessivo distacco: “A lui
mancavano (...) gli scatti della grande passione, e soprattutto le sdolcinature dell’innamorato
romantico”. L. Rasi Comici italiani. Fratelli Bocca Editori, Firenze 1905, Vol. II, pag.235.
14
Spoglia e di sapore impersonale è la didascalia che apre l’atto
unico : la scena è costituita da pochi elementi e l’arredamento si
presenta sobrio ; è determinante però, per capire quale sia il
contesto in cui si svolge la vicenda, l’informazione che ci viene
fornita “in primis”, ovvero che il luogo coincide con il solito
“salottino elegante”.
Dopo un inconsistente dialogo tra Giulio e il servitore nella prima
scena, è l’ingresso di Federico in quella seguente ad introdurci nel
vivo della commedia ; il suo stato d’animo, descritto con attenzione
nella didascalia, e il timore manifesto di una confessione che è in
procinto di fare ad un caro amico mettono su di un piano diverso,
quasi opposto, i due personaggi.
Il forte senso di colpa e la lealtà, sentimenti che Federico sembra
dimostrare sinceramente, si contrappongono alla figura bizzarra, e
per certi versi irritante, di un marito le cui parole sono piene di
diminutivi e superlativi inutili ed osservazioni involontariamente
comiche sulla natura circostante :
“FEDERICO - (con gesto annunziante una deliberazione
irreversibilmente presa, dice a voce ferma, che è però uno sforzo)
Giulio, ti voglio parlare.
GIULIO - (...) Gli alberi fioriscono, gli augelli garriscono, le
farfalle s’inseguono, il ruscelletto mormora, io mangio molto e
bene, dormo dolcissimamente, posseggo una moglie che è un
tesoretto, posseggo te che sei un amico carissimo : tutto sommato,
io sono un uomo felice. Questa è la villeggiatura del mio corpo e
15
del mio spirito ! Metti all’occhiello questo bottoncino di rosa,
(glielo dà) e va passeggiare
18
”.
L’effetto inequivocabilmente caricaturale di Giulio non viene meno
neppure nel solenne momento della verità, quando, a fatica,
Federico gli confessa di amare Clotilde, quel “tesoretto” di moglie.
L’inverosimiglianza di questa scena, in cui la reazione più
plausibile da parte di un marito sarebbe per lo meno quella di
cambiare l’espressione del volto, di impallidire improvvisamente,
oppure di esigere delle spiegazioni, conferisce all’intera commedia
un tono vacuo e superficiale.
La battuta con cui il marito risponde alla confessione non può che
suscitare il sorriso, infatti Giulio si sente quasi in dovere di
consolare e giustificare l’amico per quello che è accaduto,
attribuendone la causa all’avvenenza di Clotilde.
Così iniziano, a turno, a tesserne le lodi :
“GIULIO - Oh povero amico mio ! Hai ragione, perbacco...Hai
ragione. Quella benedetta Clotilde è così carina !
FEDERICO - Carina ?! Qualcosa di più !
GIULIO - (entusiasmandosi anche lui) E’ graziosissima, ne
convengo”
19
.
Sfiora la soglia del ridicolo la frase pronunciata, sempre da questa
insipida figura di marito, poco più avanti, quando ingenuamente
afferma : “(...) Ah ! Si stava tanto bene in tre !”.
Quando Clotilde entra in scena, cogliendo di sorpresa entrambi,
anche Federico si mostra goffo ed impacciato, inizia a balbettare e a
stento riesce a dire qualcosa che abbia senso compiuto.
18
R. Bracco, Lui, lei, lui in Teatro, op. cit., scena II, pag. 54.
16
La figura più interessante di questo trittico dai toni buffi è appunto
Clotilde, la quale, sicura delle sue qualità femminili e conscia di
possedere tutti i requisiti per far tornare ogni cosa al proprio posto,
viene ritratta da Biondolillo, un critico intransigente e severo, come
una moglie “né così sciocca da non avvedersi della miseria morale
del marito, né così stupida da doversi innamorare d’un imbecille : è,
anzi, furba, maliziosa, insinuante”
20
.
Se diamo uno sguardo d’insieme alle molteplici eroine che
costellano il teatro di Bracco, viene naturale confrontare questo
personaggio con Clara Sangiorgi dell’Infedele, perché entrambe
sprigionano una vitalità tutta al femminile e prima che mogli sono
soprattutto donne affascinanti e scaltre.
All’interno della famiglia, cosi’ come nella vita, Bracco non si
stancherà mai di sottolineare l’esistenza di un rapporto fortemente
dialettico tra l’uomo e la donna, che “vittima” o “carnefice”, tanto
nei lavori comici quanto in quelli drammatici, sarà in grado di
provare la sua superiorità, “e se cade è soltanto per colpa di lui,
marito, amante o seduttore...”
21
Per quanto il finale inconcludente, che vede la “vittoria” di Clotilde
su Federico, persuaso a rimanere loro ospite, lasci lo spettatore
insoddisfatto, in Lui, lei, lui si può comunque riconoscere l’abilità
di Bracco nel far uso di un’efficacissima “vis” comica, allora molto
apprezzata dal pubblico in sala.
Questo lavoro scenico, non privo di paradossi e inconcludenze, si
rivela ancora allo stato embrionale; non è un caso quindi, che lo
19
R. Bracco, op. cit., scena II, pag. 58 - 59.
20
F. Biondolillo, Il teatro di Roberto Bracco, Gaetano Priulla Editore, Palermo 1923, pag. 9.
21
C. Levi, Autori drammatici italiani. N. Zanichelli Editore,Bologna 1922, pag. 54.